Le
notti insonni, dicono, passano lentamente e sembra che il mattino non
debba arrivare mai. In realtà ad Elke questa sembrava una di
quelle
dicerie senza senso perché la notte per lei era volata via
in un
attimo da quando aveva riaperto gli occhi e si era ritrovata davanti
Mattheus Hansele, ricomparso come per magia dal suo passato e dai
suoi ricordi in modo talmente imprevedibile ed inspiegabile che
ancora faticava a credere fosse stato reale.
Era
stato qualcosa di talmente inaspettato che si era sentita scossa ed
inerme davanti a lui, sicuro e schietto come lo ricordava, per nulla
turbato dal fatto di ritrovarsi faccia a faccia dopo tre anni, tanto
lontani da Pennes. Del resto non capiva come mai fosse tanto stupida:
Mattheus era sempre stato così, sfuggente e solitario, uno
che non
si scomponeva davanti a niente, imperturbabile davanti a ogni
sorpresa che la vita gli riservava. Per lei invece non era stato
così, tanto che per un attimo, appena riaperti gli occhi,
era stato
come se il tempo e il luogo in cui si trovava perdessero consistenza
e si confondessero col suo passato, tanto da non farle comprendere
più nulla. Era stata felice di vederlo? Turbata? O
spaventata, come
aveva sostenuto lui? Forse era stata un concentrato di tutte queste
sensazioni messe insieme perché in fondo al suo cuore aveva
sempre
desiderato rivederlo, ma Mattheus era tante cose, tanti ricordi,
alcuni dei quali per nulla piacevoli. Aveva desiderato un suo
abbraccio, silenziosamente, ogni singolo giorno di quegli ultimi tre
anni, ma allo stesso tempo aveva voluto con tutta se stessa non
rivederlo mai più: il ricordo dei loro ultimi istanti
insieme
bruciava ancora e le faceva male accettare che affezionarsi a lui era
stato probabilmente un grosso errore.
Con
un sospiro spinse la porta del convento, entrando con passo felpato
mentre fuori albeggiava. Dormivano ancora tutti e nei corridoi
regnava il silenzio. Aveva molte cose da fare, doveva sbrigarsi, ma
prima di tutto voleva andare nella sua stanza per pulirsi dalla
sporcizia della notte passata in piazza e soprattutto accertarsi che
Helena stesse bene dopo il confronto con suor Faustine.
Raggiunse
la stanza ed entrò piano, per non svegliare
l’amica e con sua
sorpresa scoprì che Helena non era sola: si
accigliò, strano che
dopo quanto accaduto il giorno prima suor Faustine avesse permesso
alla ragazza di tenere con se la piccola Anna. La bimba dormiva nel
letto, rannicchiata contro il petto della madre. Il suo respiro era
affannoso e le sue guance color porpora.
“Helena”.
Si inginocchiò accanto al letto dell’amica,
scuotendola lievemente
per le spalle.
Helena
aprì gli occhi. Erano stanchi, solcati da lunghe e scure
occhiaie,
pieni di preoccupazione. “Elke, sei tornata per
fortuna”.
“Come
mai Anna è quì?”.
Helena
si voltò verso la figlia, accarezzandole i boccoli biondi.
“Non è
stato un regalo di suor Faustine, figurati! Ieri pomeriggio mi ha
dato talmente tanti schiaffi che avrò male alle guance fino
all’estate. Sai com’è
fatta…”.
Elke
alzò gli occhi al cielo. Sì, sapeva
com’era fatta quella donna,
più che bene! “E allora
perché?”.
Helena
scosse la testa. “Ha la febbre altissima da ieri sera, di
nuovo. Me
l’hanno portata perché non infettasse gli altri
bambini. Le ho
tenuto la pezza bagnata sulla fronte per ore ma è ancora
bollente e
fatica a respirare. Ho paura Elke, non l’ho mai vista stare
così
male”.
Elke
posò la mano sulla fronte della bambina e la sua espressione
si
incupì. La piccola stava andando letteralmente a fuoco.
“Avete
chiamato un dottore?”.
“Suor
Faustine dice che ci penseranno le preghiere e la fede a
guarirla”.
Elke
sbuffò, alzando gli occhi al cielo. “Si certo, la
fede… Ma
magari potremmo fare anche qualcosa di più terreno per
aiutare il
Signore e la fede a guarirla, come ad esempio cercare delle
medicine”.
Helena
scosse la testa. “E’ la figlia di una poco di
buono, pensi che
spenderebbero soldi per chiamare un dottore? Anna è solo...
Anna.
Non è una principessa o la figlia di un nobile”.
Si buttò sul
letto senza forze, abbracciando la figlia, rassegnata.
“Cambiando
discorso, a te com’è andata? Mi spiace
così tanto, è solo colpa
mia quello che è successo”.
Elke
sorrise. “Tranquilla, non è male passare la notte
in piazza coi
senza tetto, ormai siamo amici. E’ andata abbastanza
bene”.
“Si
gelava stanotte!” – obiettò Helena.
“Ci
sono abituata”. Non aveva voglia di raccontarle quanto
successo
quella notte, di Mattheus, della sua storia assieme a lui, di cosa
aveva significato rincontralo. Helena non lo conosceva e aveva ben
altre preoccupazioni per la testa in quel momento, per pensare a lei.
Però, ora che ci pensava, lo stregone aveva detto che era a
Bozen
per lavorare e lei sapeva bene quale fosse la sua fonte di guadagno
principale. “L’acqua…”.
Guardò Helena, sorpresa di se stessa
per non averci pensato prima. “L’acqua del
lago!” – ripeté.
“Elke,
stai bene?”.
La
ragazza sorrise. “Sì! E so come curare Anna. Sta
con lei ed
aspettami, cercherò di tornare il prima possibile”.
Helena
impallidì. “Elke, non è una buona idea,
hai del lavoro da
svolgere, dove vuoi andare, cosa vuoi fare? Non tirare troppo la
corda con suor Faustine o…”.
“Al
diavolo suor Faustine, Anna è più importante! Se
sarò fortunata
comunque, sarò di ritorno prima che si accorga della mia
assenza.
Aspettami qui e sta vicino alla tua bambina, ha bisogno di
cure”.
Non le diede tempo di rispondere, presa da un’improvvisa
forza che
sembrava darle energia per ribaltare il mondo. Avrebbe cercato
Mattheus e con la sua acqua avrebbe potuto curare Anna. Non le
importava di come avrebbe reagito, di cosa le avrebbe detto o altro,
le importava solo dell'acqua.
Corse
per i corridoi, verso l'uscita, incurante del fatto che qualcuno
potesse svegliarsi; stava rischiando molto disubbidendo e le
conseguenze potevano essere molto gravi, ma in gioco c'era la vita di
Anna e questo era più importante di tutto.
Appena
giunta nella strada ancora deserta si strinse nelle braccia per
ripararsi dal freddo, pensando a cosa fare: Mattheus aveva detto che
era in città per lavoro, ma come trovarlo? Bozen era grande
e loro
si erano rincontrati per puro caso, difficilmente sarebbe stata
così
fortunata una seconda volta. Per trovarlo doveva usare il cervello:
la via dove Mattheus aveva svoltato quella notte dopo aver lasciato
la piazza era elegante, piena di locande di prima scelta dove di
solito soggiornavano ricchi viandanti e nobili. Il resto di Bozen non
era così, era formato solo da ammassi di baracche e case
diroccate
che ospitavano taverne di pessima qualità, non erano posti
che
Mattheus avrebbe potuto frequentare. Lui aveva sempre un'ampia
disponibilità di denaro, odiava chiasso e schiamazzi e amava
la
comodità, soprattutto la sua. Aveva scelto di certo la
locanda più
accogliente e calda della città e poteva trovarla solo nella
strada
dove l'aveva visto l'ultima volta. Pregò di non sbagliarsi,
che non
avesse cambiato le sue abitudini in quegli ultimi tre anni o avrebbe
perso tempo prezioso inutilmente.
A
passo spedito, mentre si avviava verso la piazza, un pensiero le
trafisse la mente: il suo incontro con Mattheus non era stato
né
amichevole né piacevole e non era così convinta
che lui sarebbe
stato felice di aiutarla. Non doveva, non poteva presentarsi a lui
come Elke, la sua vecchia assistente, doveva diventare un suo cliente
se voleva ottenere qualcosa, giocare con lui e contrattare come
facevano tutti gli altri, Mattheus amava il denaro e avrebbe messo da
parte tutto il resto per il guadagno. Il problema però era
che per
comprare l'acqua come chiunque altro Mattheus chiedeva dei soldi che
lei non aveva. Sospirò. Era così maledettamente
seccante essere
povera! Ma forse, con un po’ di fortuna, altri poveri come
lei, se
si mettevano tutti insieme, potevano aiutarla. Corse verso la piazza,
decisa a chiedere aiuto ai suoi amici senza tetto che grazie alla
carità dei passanti avevano sempre qualche spicciolo in
tasca.
Mattheus non sarebbe stato felice di rivederla ma di certo non si
sarebbe irritato per la mancanza di soldi per un servizio che gli
richiedeva.
Quando
giunse in piazza i primi commercianti delle bancarelle dei mercatini
di Natale stavano iniziando ad esporre e sistemare la loro merce e
pian piano il centro tornava alla vita. "Rudolph". Chiamò
il suo amico che, sonnacchioso, si stava stiracchiando sotto i
portici.
"Elke,
che ci fai ancora quì? La vecchia strega ne avrà
a male".
Elke
sorrise. "Sì, probabilmente si infurierà, ma non
importa.
Rudolph, ho bisogno del vostro aiuto. E' per la piccola Anna".
"Oh,
la bimba di Helena?".
Elke
annuì. "E' malata, ha una febbre altissima che non scende.
Ho
bisogno di portarle delle cure e so da chi potrei trovarle ma mi
servono soldi che non ho. Tu e i tuoi amici riuscireste a racimolare
tre monete di rame? So di chiedervi molto, non avete da mangiare,
ma...".
Rudolph
la bloccò, passandole l'indice sulla labbra. "Shhh, non dire
altro. Aspettami qui! Io e quei poco di buono dei miei scalcinati
amici possiamo fare a meno della birra per oggi, se è per il
bene di
Anna. Ti servono solo tre monete di rame?".
"Sì,
solo tre monete". Era quello il prezzo che Mattheus chiedeva per
un'ampolla dell'acqua del lago, lo ricordava bene. Fra se e se
sperò
che nei tre anni di lontananza non avesse alzato i prezzi... Da lui
poteva aspettarsi di tutto.
Aspettò
poco, giusto una manciata di minuti. Rudolph, accompagnato da un
bambinetto di strada sporco e spettinato, le ricomparve davanti con
un piccolo sacchetto di pelle sgualcito. "Tieni Elke, sono tutti
gli spiccioli che sono riuscito a racimolare. Credo che, sommati,
siano più o meno la somma di cui hai bisogno" –
disse,
tirando su col naso.
Elke
prese la sacca fra le mani mentre le monetine al suo interno
tintinnavano cozzando fra loro. "Grazie, vi sarò per sempre
debitrice".
"Su,
non perdere tempo e vai a prendere questa medicina".
"Certo".
Con un cenno veloce di saluto corse via dalla piazza, immettendosi
nella via dove aveva visto Mattheus per l'ultima volta. Fece mente
locale sulle sue abitudini, sfilando davanti alle eleganti locande
che sorpassava, attenta a ogni movimento dei loro clienti. La strada
era ancora deserta, era mattina presto, la luce del giorno era fioca
e la maggior parte delle persone probabilmente stava ancora poltrendo
sotto le coperte. Mattheus invece no, lo ricordava molto mattiniero,
si alzava prestissimo per lavorare e spesso, quando lei e i nani si
svegliavano, lui era attivo già da ore. A quei pensieri,
quei
ricordi, una fitta le trafisse lo stomaco, tanto che fu costretta ad
appoggiarsi al muro. Le mancavano quei momenti,
quell'intimità
famigliare che si era creata in quella casa di Pennes con Falko,
Drago e Mattheus, il loro modo di stare insieme, il sentirsi per la
prima volta in vita sua a casa. Ricordava quanto Mattheus la
prendesse in giro ogni mattina perché non sapeva cucinare e
di come
le avesse vietato di avvicinarsi alla cucina per paura che
incendiasse la casa nel tentativo di cuocere qualcosa, il modo
sbarazzino ma allo stesso tempo dolce che usava quando scherzava con
lei e anche le serate tranquille in cui, soli loro due, le insegnava
a leggere e scrivere.
Ricacciò
indietro una lacrima. Quella era stata la sua casa, Mattheus e i
gemelli la sua famiglia e, anche se per poco tempo, si era sentita
amata e al sicuro.
Improvvisamente
la porta della locanda della signora Hermann, la più
lussuosa della
città, si aprì e frettolosamente un uomo scese
gli scalini di
pietra stretto nel suo mantello. Elke trattenne il fiato,
ringraziando tutti gli angeli del paradiso. Era stata fortunata, era
lui! Quelli come Mattheus non cambiano le proprie abitudini, mai.
Deglutì,
in un misto fra tensione e imbarazzo, avvicinandosi a lui. Mattheus,
a passo svelto, si stava avviando verso i palazzi della piazza e le
fu difficile accodarsi a lui, da quanto camminava veloce. "Mattheus
Hansele, aspetta!" - urlò, appena fu a pochi metri di
distanza.
L'uomo
si fermò di colpo, voltandosi lentamente verso di lei. La
squadrò
per un lungo istante, l'espressione immobile e accigliata. "Cosa
ci fai quì?" - chiese infine, con freddezza.
"Avevo
bisogno di parlare con te!".
Mattheus
si avvicinò di alcuni passi non togliendole gli occhi di
dosso. "E
come hai fatto a trovarmi? Mi stai per caso pedinando?".
Elke
sostenne il suo sguardo, decisa a non farsi intimidire da lui. Era un
orso, lo era da sempre, ma dopo tutto non aveva torto a chiedere come
lo avesse trovato. "Non è necessario pedinarti, conosco
benissimo le tue abitudini. Mattiniero e amante dei posti comodi e
lussuosi, non bisogna certo essere dei geni per trovarti".
Di
tutta risposta, con aria sospettosa, Mattheus incrociò le
braccia al
petto. "Cosa vuoi? Non mi pare di averti dato da intendere in
nessun modo che ho piacere di parlare con te".
"Non
voglio parlare, sono qui per concludere un affare".
Non
seppe se la cosa lo interessasse, ma di certo la sua espressione fu
di stupore e curiosità. "Concludere un affare? Noi due?".
Elke
annuì, togliendo dalla tasca tutte le monete di rame che era
riuscita a raccogliere. "Ho bisogno della tua acqua".
"Dove
hai trovato quei soldi?".
Elke
alzò le spalle. "I miei amici della piazza, i senza tetto.
Sai,
è incredibile l'altruismo delle persone che non hanno nulla,
soprattutto se paragonato all'egoismo di chi ha tutto".
Mattheus
finse di non sentirla, osservò di sfuggita la sacca di
monete e poi
lei. "La mia acqua è molto cara e tu non puoi permettertela".
"Tre
monete di rame ad ampolla, giusto? Questo era il suo prezzo, se non
ricordo male".
Mattheus
chiuse per un attimo gli occhi, come indeciso sul da farsi. E questo
le parve talmente strano che stentava quasi a riconoscerlo. "Soldi
Mattheus, sono sicura che sai cosa sono, vero? Difficilmente
rinunceresti ad un guadagno quindi fa finta che non ci sia io qui
davanti a te e fingi che ci sia un acquirente qualsiasi. Tu mi dai
l'ampolla e io i soldi e finisce tutto qui".
"Una
moneta d'oro Elke! E' questo il prezzo dell'acqua per te. Se ce l'hai
bene, affare fatto! Se non ce l'hai...".
Per
un attimo rimase attonita, ammutolita. Il tono di voce di Mattheus
era freddo, provocatorio, quasi strafottente. La stava provocando e
non ne capiva il motivo. "La tua acqua non costa così tanto".
"Il
prezzo lo decido io in base al mio umore, al tempo e a chi ho
davanti. Vuoi un'ampolla d'acqua e io te la darò ma
SOLAMENTE se mi
pagherai il giusto prezzo".
Scosse
la testa, incredula, indietreggiando di alcuni passi. "Non ho
una cifra del genere e tu lo sai".
"Non
è un problema mio. Chiedi di nuovo ai tuoi amichetti della
piazza,
sembrano tanto bendisposti verso di te. Magari se coinvolgerai tutti
i senzatetto di Bozen riuscirai a racimolare abbastanza soldi per
l'acqua. Di disperati ne è piena questa città,
dopo tutto. E visto
che mi dici che son tanto altruisti, magari potresti farcela a
trovare il denaro che ti serve".
Fu
troppo, per sopportare ancora. Non capiva, non riusciva a comprendere
il gioco che stava facendo Mattheus e nemmeno chi avesse davanti. Non
lo riconosceva più! Chi era Mattheus Hansele? Quello che
l'aveva
abbracciata e sorretta la notte di Natale di tre anni prima o la
persona fredda e sprezzante che aveva davanti? Decise che non le
importava, non più almeno. "Non parlare a questo modo di
quelle
persone, sono infinitamente migliori di...".
"Di
chi?".
Sorrise,
freddamente. Se Mattheus aveva desiderato ferirla, ci era riuscito. E
ora avrebbe ricevuto lo stesso trattamento. "Di te".
Lo
guardò negli occhi e lui sostenne il suo sguardo. C'era
furore in
lui, un qualcosa che sembrava rabbia a prima vista, ma c'era anche
altro, qualcosa che ancora le sfuggiva... I suoi occhi le sembravano
così cupi, vuoti e spersi, nonostante i modi di fare
così decisi
che stava adottando con lei. "Bene, vattene allora! Niente
soldi, niente acqua. La faccenda finisce qui per me".
"Anche
per me". Gli voltò le spalle, fece per andarsene ma poi si
fermò. Se quello era un addio, avrebbe fatto in modo che
fosse
definitivo. "Sai Mattheus, io sono una dannata stupida
perché
ti ho creduto, per tanto tempo. E ho avuto fiducia in te, talmente
tanto che ti avrei affidato la mia vita ad occhi chiusi. Ti ho anche
voluto bene, per me eri una famiglia, eri qualcuno che, da solo,
sapeva farmi sentire a casa e al sicuro. In fondo non ho smesso di
credere in te nemmeno quando me ne sono andata da Pennes, anche se ci
ho provato ad odiarti, te lo giuro, non ci sono mai riuscita. Non
è
stato facile cercarti, oggi. E non è facile nemmeno essere
qui a
parlare con te, preferirei la compagnia di mio padre alla tua, in
questo momento! Ti ho cercato perché l'acqua mi serve per
una
bambina che sta molto male e tu eri l'unica opportunità che
avevo
per salvarla. Non la volevo per me, non era un capriccio".
"Lo
sai bene come funziona l'acqua del lago, lo sai che non può
evitare
la morte alle persone che vi sono destinate. Credevo che questo lo
avessi imparato, nei mesi in cui hai vissuto con me".
"Lei
non morirà e ora lascia perdere tutti questi discorsi, non
voglio
più stare a sentirti e mi stai solo facendo perdere tempo.
Sono solo
curiosa di sapere perché mi odi così tanto, ma
credo che potrò
continuare a vivere tranquillamente anche senza saperlo".
"Elke!".
Gli
voltò le spalle, decisa ad andarsene. "Non ho più
niente da
dirti".
"Fermati
un attimo!".
"No!".
Corse, convinta di averlo lasciato indietro. Non sapeva cosa provasse
davvero, se rabbia o delusione. O entrambe. In realtà il
sentimento
che più avvertiva in se e che soffocava tutti gli altri era
il
dolore, tanto forte e lacerante che le faceva mancare il fiato. Erano
sempre state bugie, ogni sua parola, ogni suo gesto, ogni suo sorriso
e ogni suo abbraccio. Tutto finto, quel Mattheus non esisteva e ora
che ci aveva sbattuto il muso per la seconda volta lo aveva
finalmente capito. Voleva piangere ma decise che non lo avrebbe
fatto, non avrebbe sprecato altre lacrime per lui. No, c'era un altro
modo per buttare fuori tutta la rabbia e la disperazione che
avvertiva dentro di se ed era stato lo stesso Mattheus ad
insegnarglielo. Rallentò, per poi fermarsi in un piccolo
vicolo
deserto. E poi, con tutta la forza che aveva, sferrò un
pugno contro
il muro, seguito subito da un altro ancora più violento.
E
a quel punto una mano sconosciuta le afferrò il braccio,
bloccandola. Irritata si voltò, trovandosi davanti ancora
Mattheus
che evidentemente l'aveva seguita senza che se ne accorgesse.
"Lasciami" – intimò, rabbiosa.
Lo
stregone scosse la testa, stringendole il braccio ancora più
forte.
"Ti lascerò quando lo deciderò io! E la nostra
conversazione
finirà allo stesso modo, quando lo deciderò io.
Tu mi hai cercato e
ora ascolterai quello che ho da dire, che ti piaccia o no".
Elke
cercò di strattonarlo e di liberarsi dalla sua presa ma
Mattheus non
si mosse di un centimetro. Era tutto uguale, in modo inquietante, a
quanto successo tre anni prima. "Cosa vuoi da me? Dannazione,
lasciami".
"No".
Con la mano libera, dalla tasca, Mattheus tolse un'ampolla contenente
l'acqua del lago e la sollevò, fino a portarla davanti al
suo volto.
"La vedi, Elke? E' questo che volevi, giusto?".
"Sì.
Ma tanto non me la darai e quindi è perfettamente inutile
stare a
parlarne".
"E'
vero, non te la darò. Perché sai, anche se tu
riuscissi per
miracolo a trovare i soldi che ti ho chiesto, io raddoppierei poi il
prezzo".
Elke
sorrise, freddamente. "Lo immaginavo".
"E
sai perché lo farei?".
Elke
alzò le spalle, sfinita ma nonostante tutto decisa a
tenergli testa.
"Non lo so e non mi importa".
"Sì
che ti importa, invece". Mattheus le lasciò il polso e poi
con
un gesto veloce le prese dalla tasca la sacca di monete che gli aveva
offerto poco prima. "Prima hai detto che non sai perché ti
odio
così tanto ma la verità è che non
è così, non ti odio. Se tu
fossi venuta da me e mi avessi semplicemente chiesto aiuto io ti
avrei dato tutta l'acqua che volevi, senza chiederti un centesimo. Lo
avrei fatto senza chiedertene il motivo perché ti conosco e
so che
ne avresti fatto un buon uso. Ti sarebbe bastato poco, semplicemente
meno arroganza e più gentilezza. Come facevi una volta,
ricordi?".
Elke
spalancò gli occhi, sorpresa, mentre uno strano senso di
vergogna e
colpa prendeva possesso di lei. "Cosa?".
Mattheus
per un attimo abbassò lo sguardo, allontanandosi lievemente
da lei.
Ora non sembrava rabbioso ma al contrario... ferito?
"E'
questo che sono per te? Un approfittatore delle disgrazie altrui, uno
interessato solo al denaro, che ti dà retta unicamente se
può
trarne profitto? Credevo che avessi imparato a conoscermi, che...".
Strinse la sacca di monete fra le mani e poi la gettò a
terra con
violenza. "Non ha importanza in fondo stare a parlarne, hai
ragione! Non voglio i tuoi soldi e non voglio niente da te".
In
quel momento, forse per la prima volta da quando l'aveva conosciuto,
Mattheus gli parve vulnerabile. Si sentì in colpa, mentre la
rabbia
di poco prima scemava dal suo corpo, evaporando nell'aria fredda.
Capiva, meglio di quanto lui credesse. Offrendogli quel denaro aveva
rinnegato tutto quello che loro due erano stati. "Io...".
"Fine
del discorso, ti ho detto tutto quello che dovevo". Lentamente
lasciò la presa sull'ampolla d'acqua, facendola cadere a
terra. Il
vetro si ruppe in mille frammenti, disperdendosi fra la neve e il
fango della via mentre l'acqua che conteneva scivolava in ogni
direzione possibile. "Ora si che te ne puoi andare, ragazzina!
Non voglio vederti mai più".
"Mattheus,
aspetta!".
Ma
lui non aspettò e d'altronde non si aspettava che lo
facesse. Aveva
sempre fatto di testa sua, Mattheus, e di certo non l'avrebbe
assecondata in quel momento. La guardò, per un lungo
istante, in
silenzio. Poi tirò su il cappuccio del mantello, gli
voltò le
spalle e sparì a sua volta fra i dedali di vie del centro.
Per
un breve istante rimase incerta sul da farsi e se seguirlo o meno. Lo
aveva ferito, anche se non di proposito, ma non aveva tempo di
seguirlo, chiarirsi e cercare di sistemare le cose. Mattheus aveva
detto no alla sua richiesta di dargli l'acqua del lago di Valdurna e
lei aveva il disperato bisogno di trovare una cura per la piccola
Anna e se non poteva usare l'acqua magica dello stregone c'era solo
un'altra strada da percorrere. Sapeva usare le erbe, ne conosceva le
proprietà curative e molte cose era stato lo stesso Mattheus
ad
insegnargliele. Sospirò, persuasa dal fatto che non avrebbe
fatto
ritorno al convento troppo presto e avrebbe passato dei guai per
questo, ma non c'era altro da fare.
Corse
come una forsennata verso la periferia sorpassando la piazza, le vie
del centro e via via i vicoli fangosi della zona esterna che
portavano alla campagna e ai monti che dominavano la città.
Si fermò
quando non aveva più fiato, lontana dalle mura di Bozen, in
un prato
ricoperto di brina e nevischio da cui si dominava il paese.
Si
avvicinò a una piccola scarpata, scivolando al suo interno.
"Artemisia, devo trovare l'artemisia!". Di quella pianta ce
n'era molta da quelle parti e sapeva che, pestata, resa poltiglia e
poi cotta in infuso, era un ottimo rimedio per la febbre e le
infezioni della gola.
Trovò
i ciuffetti della pianta che crescevano qua e là nella
scarpata e li
raccolse in fretta, fino ad ottenerne un grosso mazzo. Poi con un
sasso li batté e sbriciolò, riducendoli in
poltiglia. Fece in
fretta, più che poteva, ma nonostante questo, quando
udì in
lontananza le campane di Bozen che rintoccavano il mezzogiorno, non
era che a metà del lavoro. Aveva bisogno di tempo e di calma
per
fare le cose al meglio, ma non ne aveva: Anna aveva bisogno
urgentemente di una medicina e lei era sufficientemente in ritardo
per cacciarsi nei guai. Suor Faustine si era di certo accorta della
sua assenza e la sua reazione sarebbe stata sicuramente poco
amichevole. Per un attimo si fermò guardandosi attorno,
perdendosi
nel silenzio dei boschi e della campagna; Quello era stato il suo
mondo fino a tre anni prima e spesso aveva desiderato tornarvi, anche
in quel momento non sognava che quello. Ma non poteva e il pensiero
di Helena e Anna la riportò alla realtà. Doveva
fare in fretta,
tornare e smettere di sognare qualcosa che non avrebbe mai
più
avuto.
Finì
che ormai era pomeriggio e poi tornò verso Bozen a passo
veloce. Era
stanca, stravolta, non mangiava dal giorno prima, non aveva riposato
e mille sentimenti contrastanti si agitavano dentro di lei.
Preoccupazione per Anna, paura della punizione che l'attendeva una
volta rientrata in convento e rabbia e senso di colpa verso Mattheus.
Forse sarebbe davvero stato meglio rimanere in montagna, lontana da
tutto, come faceva da bambina quando correva fra gli abeti con Maike,
ma ora non era più una bambina, la sua lupa era morta e la
sua vita
era a Bozen, non c'era altro per lei la fuori.
Giunse
al convento che ormai imbruniva. Entrò di soppiatto,
approfittando
del fatto che a quell'ora le suore cenavano e quindi i corridoi erano
per lo più deserti. Attenta a non farsi scoprire corse fino
alla sua
camera, sgattaiolandoci dentro come una ladra.
"Elke!".
"Helena!".
Sospirò, rinfrancata dal vedere l'amica in stanza, accanto
alla
figlia che dormiva nel suo letto. "Come va?".
Di
tutta risposta Helena si alzò dal letto, scagliandosi contro
di lei.
"Dove diavolo sei stata tutto oggi? Santo cielo, mi hai fatta
preoccupare! Suor Amelia ti ha cercata tutto il giorno, avevi un
sacco di lavoro da svolgere e nessuno sapeva dov'eri! Ha informato
suor Faustine della tua assenza e mi hanno fatto mille domande su di
te. Suor Faustine è furiosa, non l'ho mai vista
così. Elke, dove
diavolo eri finita? Mi avevi detto che saresti tornata subito".
Di
tutta risposta Elke prese dalla tasca del vestito il fazzoletto dove
aveva riposto le erbe schiacciate, lasciandolo scivolare nelle sue
mani. "Helena, sono erbe che servono a far calare la febbre.
Trova dell'acqua calda, fanne un infuso e fallo bere ad Anna.
Starà
meglio".
Helena
osservò il piccolo fagotto che gli aveva messo fra le mani e
poi
lei. "Oh Elke... Ti sei cacciata di nuovo nei guai a causa mia".
"Non
pensarci". Si avvicinò alla porta, tirando giù la
maniglia per
aprirla. "Occupati di Anna invece".
"E
tu dove vai di nuovo?".
Elke
sospirò. "Da suor Faustine a ricevere il mio castigo. Tanto
vale farlo subito e togliersi il pensiero, giusto?".
"Ti
massacrerà".
Elke
le strizzò l'occhio. Era terrorizzata ma non era il caso di
far
preoccupare ulteriormente Helena. "Ci sono abituata, ho le
spalle larghe ormai".
"Scappa".
"Non
saprei dove andare. In fondo non sarà così
terribile, sarà
questione di pochi minuti come al solito".
Helena
sospirò, poco convinta. "Buona fortuna".
"Anche
a voi" – rispose, lanciando ad Anna un'ultima occhiata. Poi
chiuse la porta e si avviò verso il refettorio. Conosceva
suor
Faustine, i suoi modi duri, il suo rancore verso di lei, il suo
essere convinta di avere a che fare con un essere demoniaco da
addomesticare, conosceva il bruciore dei suoi schiaffi e la furia
delle sue parole. Sapeva cosa l'aspettava e nonostante poco prima si
fosse dimostrata tranquilla con Helena, in realtà aveva
paura.
Passò
davanti alla porta del refettorio e vedendo le suore ancora intente a
cenare, si trascinò stancamente fino al corridoio dove si
trovava la
porta della stanza e dello studio di suor Faustine. Si sedette a
terra, appoggiando le ginocchia al mento ed aspettando.
C'era
silenzio attorno a lei, ovattato e quasi rilassante, tanto che per un
istante la stanchezza ebbe la meglio facendola addormentare. Ma
appunto, fu solo un attimo.
Aprì
gli occhi di scatto, mentre un'ombra troneggiava su di lei. "Suor
Faustine..." - mormorò deglutendo, trovandosela davanti. Era
una donna appesantita dagli anni e dalla corporatura robusta, ma
sapeva camminare con la leggerezza di una piuma.
La
suora la squadrò accigliata per alcuni istanti, la sua
espressione
neutra e incolore. "Ebbene, eccoti qui. Ti credevo in fuga,
lontana, devo ammettere che riesci sempre a stupirmi".
"Helena
mi ha detto che mi cercavate oggi e che siete adirata con me".
Con
un cenno della mano la suora le fece segno di alzarsi, poi
aprì la
porta del suo studio e la spinse all'interno, chiudendo l'uscio
dietro di loro. "Adirata? Ne avrei motivo, giusto Elke?".
La
ragazza si guardò attorno, osservando quell'ambiente spoglio
e
semplice composto da un letto, una scrivania e un grosso crocifisso
che dominava tutto e tutti dall'alto della parete. "Suppongo di
sì, vi ho disubbidito e ora merito di essere punita. Sono
qui,
facciamo in fretta e togliamoci il pensiero".
"Non
così in fretta, Elke. Siediti" – le
ordinò la suora,
indicandole la sedia davanti alla sua scrivania.
Elke
si sedette, stringendo fra le mani la stoffa del suo abito. Si
sentiva terribilmente a disagio e suor Faustine si stava comportando
il maniera anomala e diversa dal solito. E questo non era un bene, le
suggeriva il suo istinto.
"E
allora ragazza, dove sei stata tutto oggi? Cos'avevi di tanto
importante da fare che ti ha sottratto ai tuoi doveri?".
Elke
si morse il labbro, indecisa sul da farsi. Se avesse raccontato a
suor Faustine la verità, cioè che era stata a
cercare delle erbe
per curare Anna, le avrebbe offerto su un piatto d'argento la
possibilità di incriminarla per stregoneria. Viveva a Bozen
da
abbastanza tempo e aveva imparato che le donne che usavano erbe per
curare le malattie venivano poi perseguitate dall'Inquisizione e a
volte finivano sul rogo. Suor Faustine glielo aveva insegnato, suo
malgrado, due anni prima quando l'aveva costretta ad assistere al
rogo di una strega in piazza. Sentiva ancora dentro di se le urla e
lo strazio di quella donna consumata dalle fiamme e il terrore di
essere lì davanti a lei, inerme e impossibilitata ad
aiutarla.
"Questo
è quello che succede alle streghe come te, se non
abbracciano Dio".
Questo
le aveva detto suor Faustine quella volta e lei lo aveva tenuto ben a
mente. Sospirò, optando quindi per una bugia a cui la suora
avrebbe
creduto senza problemi. "Stanotte ho dormito poco e male in
piazza e oggi non avevo voglia di lavorare. Mi sono rintanata in un
vicolo e ho dormito tutto il giorno".
La
suora le passo davanti più volte, passeggiando per la
stanza. "Ti
devo riconoscere un certo fegato ad ammettere le tue mancanze senza
accampare scuse e d'altronde sappiamo tutti quanto tu sia maldestra e
poco portata per il lavoro fisico. Però, nonostante apprezzi
la tua
sincerità, questo non ti aiuterà di certo
perché mi hai comunque
disubbidito e hai mancato ai tuoi doveri, rischiando di compromettere
la pacifica vita e l'organizzazione del convento". Si fermò
d'improvviso, guardandola negli occhi con una strana espressione
furiosa. "Cosa dovrei fare ora con te, Elke? Come posso punirti
in modo che tu possa capire i tuoi errori ed evitare che ti venga la
tentazione, in futuro, di perseverare nel peccato?".
Elke
trattenne il fiato. Quella suora le stava chiedendo come voleva
essere punita, picchiata e umiliata? "Non lo so, signora".
"Ho
provato con gli schiaffi, a privarti del cibo, di un tetto sulla
testa e a caricarti di lavoro pesante. Ma non è servito!
Passiamo
alle maniere forti, ragazza, non mi lasci scelta, ma d'altronde lo
sapevo che con te sarebbe stata una lotta dura". La suora si
avvicino al piccolo armadio dietro la scrivania, tirandone fuori una
cinta di cuoio. "Alzati in piedi e appoggia le mani sul tavolo".
"No...".
Indietreggiò, terrorizzata, capendo le intenzioni di suor
Faustine
fin troppo bene. No, non poteva succederle di nuovo, non poteva
essere! Era un incubo, non c'erano altre spiegazioni. Aveva
già
provato da bambina il sapore delle frustate sulla pelle, il senso di
sopraffazione, il dolore atroce della carne che si lacera e quella
sensazione terribile di soffocare per il male. "No, vi prego".
Suor
Faustine finse di non sentirla. "Appoggia le mani al tavolo"
– ripeté, stranamente calma.
"No.
Tutto ma non questo, per favore".
Suor
Faustine si avventò su di lei, prendendola per i capelli e
spingendola contro la scrivania. "Appoggia quelle mani sul
tavolo o ti costringerò a farlo con la forza e soffrirai
doppiamente".
"No"
– singhiozzò, fra le lacrime. Tentò di
divincolarsi, di cercare
una via di fuga ma d'improvviso l'aria attorno a lei vibrò e
poi,
con violenza, una frustata la colpì da dietro, sulla
schiena. E poi
un'altra e un'altra ancora, sempre più forti. Suor Faustine
e il suo
braccio sembravano posseduti da una forza sovrumana che si abbatteva
su di lei senza pietà. Sentì gli abiti lacerarsi
e poi la sua pelle
nuda martellata da decine di colpi incessanti.
"Le
mani, appoggia quelle mani sul tavolo o non la smetterò"
–
urlò la suora, nel suo orecchio.
Strinse
i denti per non gridare, per non svenire, per cercare di resistere
quanto più possibile. Il male era atroce, sentiva il sangue
colarle
giù per la schiena e non riusciva più a muoversi.
Cercò di
rifugiarsi in un pensiero felice che isolasse la sua mente da
quell'inferno e tutto quello che le venne in mente fu la sua lupa,
Maike, le loro corse, i giochi da bambina che aveva fatto in sua
compagnia e a come l'avrebbe protetta se in quel momento fosse stata
al suo fianco. Per un attimo, persa in quel pensiero fugace, si
ricordò della statuetta in legno che qualcuno le aveva
regalato
pochi giorni prima e che tanto le ricordava Maike. Non aveva mai
scoperto chi gliel'avesse donata ma le venne in mente che solo a
Mattheus aveva parlato di quella lupa. Che fosse stato lui? Percorsa
dalle frustate scosse la testa, mentre le lacrime le rigavano il
viso. No, non poteva essere stato lui, Mattheus non era un tipo da
regali e di certo non ne avrebbe fatti a lei.
Una
frustata più forte la fece stramazzare a terra. Le mancava
il fiato,
le forze la stavano abbandonando, il dolore alla schiena era
diventato talmente intenso da stordirla e si stava avvicinando al
punto di diventare insopportabile.
"Appoggia
le mani sul tavolo" – le intimò, col fiato corto,
di nuovo,
suor Faustine.
"Perché?".
La
suora la prese per il colletto del vestito, tirandola su con uno
strattone. "Perché da domani tu avrai talmente tanto lavoro
da
non poter respirare e voglio che qualsiasi cosa tu faccia, ogni volta
che muovi le dita e le mani, senta talmente tanto dolore da impedirti
di dimenticare quello che sta succedendo qui. Appoggia le mani su
quel tavolo Elke o io continuerò a frustarti
finché non avrai più
carne sulla schiena. E poi passerò alle gambe".
Ricacciò
indietro le lacrime, in un ultimo vano tentativo di essere forte. Una
volta Mattheus le aveva detto di non accettare il male che le veniva
fatto, di combatterlo, di resistere. E probabilmente, vedendola
cedere, sarebbe rimasto deluso da lei. Ma non ce la faceva
più a
sopportare, non era così forte e in fondo a Mattheus non
interessava
nulla di lei per cui non aveva niente da dimostrargli.
Chinò
il capo, sottomettendosi alla volontà della suora. Tremante
appoggiò
le mani al tavolo, chiudendo gli occhi e preparandosi a venire
nuovamente frustata.
La
suora iniziò a colpirla di nuovo sulle dita, sui polsi,
sulle mani,
con una forza ancora maggiore. Urlava parole crudeli al suo indirizzo
ma la sua voce le appariva ovattata e confusa, tanto che per un
attimo le sembrò di avere accanto suo padre, col suo
disprezzo e la
sua violenza esplosa a suon di frustate una sera di Natale di tanti
anni prima.
"Figlia
del diavolo...".
Fu
un pensiero fugace, che le attraversò la mente con la stessa
velocità delle frustate che le venivano inferte e che mai
avrebbe
pensato di poter formulare. In fondo non sarebbe stato così
brutto
essere davvero la figlia del demonio, avrebbe potuto difendersi,
combattere, restituire la violenza che subiva e suo padre, il
diavolo, l'avrebbe aiutata in questo. Se tutti la credevano la figlia
del diavolo, tanto valeva diventarlo davvero, pensò prima
che
un'ultima frustata, più forte delle altre, le lacerasse la
mani e la
facesse cadere a terra priva di sensi.
Il
mondo divenne un posto buio, quel buio in cui avrebbe voluto perdersi
e nascondersi per sempre.
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