Nell’attimo di silenzio che precede l’attacco, Kyouya assapora una
vittoria bagnata di sangue.
Il pugno
si schianta, il muro si sgretola sotto le nocche e schegge di
cemento penetrano nella carne di Sawada, tagliandola come fosse
fatta di burro.
«Oh?»
non è una domanda quella di Kyouya, è un’affermazione,
un’esclamazione di gioia in cui ammira il proprio operato e, chinato
su di lui, si lecca le labbra.
Tsunayoshi non ha avuto il tempo di muovere un muscolo. Ne ha, pochi
mesi prima – sembra passata una vita, qualcuno forse lo ha colpito
con il Bazooka di Lambo e lui ancora non se ne è accorto – sarebbe
stato pelle attaccata ad ossa gracili e tremolanti, ora invece c’è
carne e massa muscolare, ci sono bicipiti e addominali e, anche se
non sembra, c’è lui che non sente così tanto dolore. Però
urla, più un imbarazzante gracchiare forse.
«Hiii!
Pe-perché va sempre a finire in questo modo?!»
Agita le
mani, mulina le braccia, negato nell’allontanare le persone. Sawada
Tsunayoshi è, anzi, quel genere di ragazzo che le persone le attira,
è il Cielo dei Vongola in fondo e, che lo si voglia o meno, il cielo
è l’unico luogo in cui si potranno mai trovare le nuvole.
«Ti avevo
detto che non avrei perdonato alcun ritardo» Kyouya Hibari parla a
voce bassa, la sua è la calma che precede la tempesta e i colpi dei
suoi tonfa. Solleva il braccio libero e l’arma apre un altro buco
sul muro, accanto alla testa del giovane Boss.
«Ma-ma-ma-ma-ma…»
Il
balbettio viene tranciato da un altro colpo, pezzi di cemento e
calcestruzzo colano tra i capelli di Tsunayoshi.
«Ogni
scusa è inutile, Sawada. Accetta la tua punizione.»
Kyouya
gli stritola il mento tra le dita, sente le ossa scricchiolare e
legge negli occhi di Tsunayoshi il dolore per la sua presa. Il
ragazzo geme – è questo l’unico suono che vuole sentir provenire
dalla sua bocca, gemiti e il proprio nome rotto da ansiti e
singhiozzi – e finalmente tace le sue scuse.
Kyouya
sorride e mostra i denti.
{
kamikorosu yo[1]
}
Il morso
spacca il labbro inferiore di Tsunayoshi e il sangue cola sul
palato. Azzanna forte, non dosa mai la propria forza – Hibari
dopotutto è un ragazzo che non ama perdersi in troppe cerimonie,
l’unica a cui teneva, anzi, è stata messa in pausa perché il
Presidente della commissione disciplinare potesse mordere fino
alla morte i ritardatari. Uno in particolare, degli altri non
gli interessa niente, può ucciderli quando vuole. Questo, invece, è
diverso.
Diverso
perché dopo i denti, contro la bocca di Tsunayoshi preme le labbra,
in un bacio avido che si bagna di sangue e del respiro affannato del
ragazzo.
Contro le
spalle percepisce le sue mani, si stringono al gilè della sua divisa
e fanno cadere la giacca in un frusciare silenzioso che si deposita
ai loro piedi. Hibird la raggiunge cinguettando
{
midori tanabiku namimori
no[2]
}
e vi fa il nido, spiando con occhietti neri e inespressivi il suo
padrone e quel suo nuovo animaletto, sperando solo non si
dimentichi di lui.
«Hi-hibari-san
e la… la cerimonia d’apertura dell’anno scolastico?» le parole di
Tsunayoshi escono intervallate da respiri profondi, quando la bocca
sfugge (viene lasciata libera) ai baci prepotenti di Kyouya. Il
resto del corpo è, però, ancora permuto contro quello del ragazzo,
schiacciato con la schiena al muro.
«Aspetteranno, così come ho dovuto aspettare io.»
Tsunayoshi gli dà il profilo del capo e nasconde un’espressione di
biasimo e paura, non ha il coraggio di dire a voce alta quel che
pensa, né ce ne sarebbe bisogno: Hibari ascolta solo ciò che vuole.
Ciò che gli piace. Ciò che lo eccita. Ciò che fa ribollire il suo
sangue e gli spazzola via la noia.
«E se
quegli stupidi dei tuoi deboli amici verranno a disturbarmi –»
«…nostri…»
Un’occhiata feroce e Tsunayoshi si pente di averlo interrotto. No,
corretto. Non c’è un nostri, un noi, quando si
parla di Hibari, non ci sarà mai, nemmeno tra loro due, il che rende
tutto sempre più complicato.
«Lo so,
lo so, kamikorosu…» quasi lo singhiozza pateticamente via,
trattenendo a stento le lacrime che già fanno capolino all’angolo di
occhi grandi e nocciola. Kyouya li guarda – ci si immerge, anche se
non vorrebbe, perché sono gli unici in grado di catturarlo, di
fermare la corsa delle nuvole e incatenarle a lui – sorride e preme
un altro bacio, un mezzo morso che questa volta punta alla
giugulare.
Il gemito
di Tsunayoshi è più forte, gli riempie le orecchie e nei timpani
cola il proprio nome sbocconcellato. Gli sorride contro la gola e
tra le labbra il calore del più giovane è fuoco che bagna la pelle e
che, eppure, non lo brucia. Lo inghiotte, lo avvolge con una
gentilezza che non gli ha mai chiesto ed è capace (lui solo)
di tenerlo al sicuro – come se davvero uno come Kyouya ne avesse
bisogno.
Eppure
Kyouya beve di quel calore, lo stringe tra i denti, lo mastica e lo
fa proprio.
Non c’è
fretta, nessuno può metterne a Hibari.
L’aula
magna pullula di ragazzi e professori, i membri in giacca nera e
fascia rossa e oro del comitato disciplinare piantonano i due
ingressi e fanno pressione affinché la cerimonia d’apertura del
nuovo anno aspetti il ritorno del loro Presidente. Soltanto il
solito gruppo di allegri idioti { «Juudaime, dove sei?!» «Ahahah,
starà giocando a nascondino!» «Cerchiamolo tutti insieme fino
all’estremo!» «Anche Lambo-san vuole giocare!» «Wa, che ci fa qui
quella stupida mucca?» } gli daranno problemi, ma a quelli può
pensare dopo, quando sarà il momento di picchiarli e liberarsi degli
scocciatori una volta per tutte.
«Ah,
Hi-hibari-san…» il volto di Tsunayoshi è rosso (caldo) e il
balbettio è quasi più sottile del pigolio di Bird.
Kyouya
non smette di azzannarlo, lascia macchie rosse e impronte di denti
sul suo collo e scioglie il nodo già ormai deforme della sua
cravatta.
«Ehm…
ecco…»
«Parla e
basta, Sawada.»
«Hiii! Va
bene, va bene, scusa!cioèvolevodiregrazie!grazieperavermiaspettato!»
parole, pause e punteggiatura si mescolano e scorrono tutte insieme,
come un fiume in piena, condite da un brivido di paura e uno più
caldo (molto più caldo) che inizia a farsi strada al
bassoventre.
Kyouya
storce il naso, il suo è uno «Tsk» che pretende indifferenza, ma
quel calore infuocato che sono l’anima e l’essenza di Tsunayoshi
(e no, non è merito di un proiettile, ma è sempre stato lì, dentro
il ragazzo, alimentato dai battiti del suo cuore e dai suoi stupidi
sorrisi) gli scoppiano addosso, lasciandolo sconfitto.
Maledetto Sawada Tsunayoshi.
«Grazie
Hibari-san! Grazie Hibari-san!» perfino Hibird ha imparato una frase
nuova, ruota la testolina piumata e spalanca piccole ali giallo
limone per volare intorno ai due.
«Pfff…»
Tsunayoshi copre la risata col palmo della mano, ma il sorriso
risale gli occhi e si tuffa su Hibari, lo stringe a sé con l’altra
mano e non pensa più alla paura, non quando si tende per baciarlo,
per mimare un’azzannata alla sua bocca che non fa male, ma che
strappa uno sbuffo (soddisfatto?) dal più grande.
Dovranno
tornare alla cerimonia prima o poi.
Prima
che…
«Juudaimeeeee!
Che cosa ti sta facendo quel bastardo?!»
«Wow, non
sapevo che Tsuna e Hibari fossero così amici!»
«Wahahahahah,
che schifo! Bakatsuna sbaciucchia i ragazzi! Chu-chu-chuuuu!»
«Se sei
un vero uomo, non devi avere paura di baciare chi ti piace! FINO
ALL’ESTREMO!»
…che sia
la cerimonia a trovare loro. |