Quel
figlio di...vabbè, lasciamo perdere! Ladro oltre che falso
vampiro.
Doveva averla presa lui la scheda, poco ma sicuro.
Un
sospiro fuoriuscì dalle labbra dell'irlandese, seccato
più che mai
di dover tornare a casa dell'altro per recuperare la propria memory.
Se l'avesse fatto di proposito, inoltre, come diavolo avrebbe fatto a
convincerlo a restituirla? Non è che il proprio fisico fosse
esattamente portato per gli scontri violenti. Per non parlare del
fatto che non ne vedeva alcuna utilità in quel gesto. Va
bene, forse
allo spagnolo aveva dato fastidio essere fotografato al locale, ma
andiamo, da lì a rubare le cose altrui...
No,
quello era uno sconosciuto e lui si era fatto infinocchiare alla
grande. Un po' in tutti i sensi, ma sorvoliamo questo piccolo
particolare.
Bryan
tornò quindi a stendersi sul letto, osservando il soffitto
con aria
imbronciata, mille pensieri per la testa sul perché o il per
come
quello sbandato gli avesse rubato la schedina. Ormai però
era
andata, non aveva senso rimuginarci troppo sopra e star lì a
piangersi addosso: dopo il lavoro sarebbe tornato a casa sua e lo
avrebbe convinto a ridargli ciò che gli apparteneva. E gli
avrebbe
fatto una bella ramanzina. E lo avrebbe preso in giro per la sua
stupida fissa. E...insomma, troppi “e” da
aggiungere man mano che
pensava a tutte le imprecazioni che avrebbe voluto sputargli addosso
in toni ben poco carini.
Quindi
trascorse quel poco tempo rimastogli a giocherellare con il telefono,
di tanto in tanto emettendo qualche mugolio corrucciato, borbottando
tra sé e sé parole velenose.
Di
per sé Bryan aveva un carattere gentile ed era sempre
disponibile
con tutti, e a volte sì, i suoi comportamenti prendevano dei
connotati ingenui, ma tutto ciò era troppo.
Una
doccia veloce poi non glie la tolse nessuno, giusto per calmare i
bollenti spiriti, infine dopo aver recuperato la borsa a tracolla
sportiva, di quelle che si usano comunemente a scuola, e averci
buttato dentro alla buona le chiavi e quelle quattro cose di cui
necessitava, si avviò verso il posto di lavoro, non troppo
distante.
In fondo finchè casa e lavoro si trovavano in centro, non
gli
serviva poi molto per spostarsi, una ventina di minuti a piedi o in
metro e si sarebbe trovato ben presto in tutti i luoghi più
trendy
della città. Comodo vivere in centro, non si era pentito di
quella
scelta.
Quartiere
Salamanca. Ecco la meta da raggiungere tramite la ormai solita linea
5, che dalla fermata Toledo lo avrebbe portato ad Alonso Martinez
senza bisogno di cambi, tra gente di corsa per rientrare al lavoro,
mamme con bambini intente ad andare al parco del Reitiro o giovani
che saltavano scuola. Nulla sembrava poter disturbare la quiete di
Bryan, fatta eccezione per la scoperta di poche ore prima. Ma
sì,
meglio non pensarci. Avrebbe dovuto lavorare ora.
Sceso
alla fermata giusta, Calle de Génova gli sembrò
sempre più lunga
di quanto ricordasse, ma ormai era all'ordine del giorno. Non avrebbe
comunque impiegato troppo ad arrivare in fondo, svicolando poi a
destra e a manca per i vicoli del quartiere in stile ottocentesco,
sede di diverse figure politiche del passato e del presente. In
effetti a pensarci bene quel quartiere aveva tutto ciò di
cui lui
avrebbe avuto bisogno, a partire dai ristoranti di lusso, fino al
prestigioso museo delle cere, per terminare con la stessa
architettura in un ampliamento urbanistico portato a termine durante
il regno di Isabella II. Un quartiere per ricchi e nobili, insomma,
tutto ciò che un ragazzetto di campagna abituato alle mucche
al
pascolo o quasi, avrebbe sempre desiderato.
Una
volta raggiunta la meta eccolo lì, il tanto amato locale:
due piani
di lusso e sfarzo, nonché cristalleria sui tavoli,
imbellettati da
tovaglie di ricercato tessuto ricamato in un pattern di fine
damascato bianco, a rendere il tutto più luminoso. Anche
all'esterno
le posate in argento, poste su tovaglioli bordeaux altrettanto fini,
risplendevano sotto ai raggi del sole, sempre battente in quella
città, nel paese delle spiagge limpide, delle lotte con i
tori nello
sterrato polveroso, della Sierra selvatica e ostile.
Il
sommelier all'entrata stava servendo una coppia, fidanzati a
giudicare dagli sguardi romantici, dal risolino di lei in
contrapposizione a quella ostentata sicurezza del cavaliere che le
sostava davanti, in una scena da cartolina con tanto di perfetto
ambiente luminoso e raffinato, dove tutto spende e chissà,
forse le
avrebbe anche chiesto di sposarlo.
Per
un attimo Bryan rimase in contemplazione del locale, come perso nei
propri pensieri e in quel velato romanticismo che dava speranza anche
a uno come lui. Avrebbe trovato la persona giusta, si sarebbe
spostato e avrebbe adottato qualche bambino per rendere la propria
famiglia perfetta, dove papà e papà si sarebbero
occupati di tutto
come una dolce coppia di sposini felici. Un sogno a occhi aperti. Nel
vero senso della parola.
“Bryan
che ci fai lì fuori?! Entra, muoviti!”
La
voce di Miguel, il cuoco, nonché proprietario del locale, lo
riportò
alla realtà. Non che fosse scortese o cosa, solo un po'
brusco
nell'esprimersi, di tanto in tanto.
Ma
quell'essere richiamato all'ordine lo fece voltare nella sua
direzione, per far crollare un'altra volta tutti i suoi sogni di
giovane venticinquenne in erba, deciso più che mai a farsi
una vita
decente, invece di passarla in quello che era davvero il proprio
posto di lavoro: un tapas bar con tavola calda e piatti tipici della
zona. Di fronte al ristorante meraviglioso di due secondi prima,
ovviamente.
Perché
“El lobo serrano” non aveva
proprio niente a che fare con
l'eleganza del “Cervantes” lo
stesso che dava il nome al
famoso istituto di lingua e sì, anche a quel bel locale
elegante in
cui si vedeva già sposato con figli, fino a pochi secondi fa!
Bryan
sospirò, scuotendo la testa qualche istante prima di
avviarsi verso
il posto di lavoro, entrando nel locale senza troppa enfasi,
incontrando i colleghi intenti a finire di sistemare, qualcuno come
Miguel uscito a fumare una sigaretta per qualche minuto.
“Ciao
ragazzi...” salutò, sospirando ancora.
Quel
posto non era una topaia o chissà quale strambo locale in
cui si
mangia male o cosa, Miguel in effetti era molto bravo e sapeva
gestire tutto, nonostante ogni tanto gli desse buca per qualche
serata, ma all'irlandese sembrava di perdere il proprio tempo in quel
posto. Troppo rustico, ecco la verità. Tra tavolini e
bancone di
legno all'entrata e la saletta più interna, giusto un po'
più
ricercata nel design e nell'ordine, non era nulla di speciale. Niente
damascato e lampadari con cristalli a goccia per il “lobo
serrano”, no, solo tanto legno, manco si trovassero
all'interno
di una nave pirata!
Sentì
giusto velatamente i colleghi rispondere al proprio saluto,
avviandosi verso il retro dove avrebbe indossato abiti meno
ricercati, per quanto jeans e canottiera lo potessero essere,
passando a pantaloni scuri e maglia a maniche corte bianca, giusto un
po' più formale. Ringraziava Dio ogni volta per non aver
fatto
venire in mente a Miguel la bella idea di mettere in dotazione una
qualche sorta di cappellino con visiera, di quelli stupidi che spesso
si vedono nei fast food o cose simili. Già i propri capelli
non
stavano in ordine di loro, figurarsi se avesse preso l'abitudine di
indossare un cappello!
Abiti
convenzionali: fatto. Giornata intensa causa lavoro: fatto. Sorriso
smagliante per accogliere i clienti...beh, possiamo lavorarci.
Il
solo pensiero di iniziare a lavorare gli fece venire voglia di
fuggire. Non che fosse colpa del povero Miguel, ci mancherebbe, ma
quando lo avevano assunto per aiutare in cucina, tutto si sarebbe
aspettato tranne un locale simile. Era stato troppo felice di avere
quell'opportunità, all'estero tra l'altro, quindi si era
detto che
si sarebbe adattato e avrebbe fatto del proprio meglio in ogni
circostanza. Nulla di più sbagliato.
Il
turno di per sé non sembrò durare molto, per
fortuna, tra clienti
esagitati per la fretta, le tipiche famiglie in vacanza e i gruppi di
ragazzi intenti a passare lì la pausa pranzo, prima di dover
poi
rientrare a scuola.
Bryan
aveva preferito i corsi di formazione, all'università, che
già di
per sé aveva trovato fin troppo difficile. Quindi si era
dato a una
serie di corsi e master nelle discipline più disparate,
volendo
imparare le basi di tante specialità diverse. Prima aveva
iniziato
nel proprio paese, poi si era spostato a Londra e una volta saputo di
Madrid, ne era stato entusiasta. Almeno finchè non aveva
messo piede
in quel locale e ci aveva lavorato per una settimana.
A
volte il turismo e la folla erano talmente tanti da fargli desiderare
li lanciare fuori dalla porta tutti i clienti con un paio di scarpate
nel sedere a testa. Aveva passato l'inverno precedente a fare un
corso di spagnolo avanzato, ma il turismo era talmente aumentato che
gli erano capitate persone da tutta Europa e quando nessuno parlava
né spagnolo, né inglese, la cosa si era rivelata
un problema.
Una
volta terminato il servizio, decise di uscire a prendere una boccata
d'aria sul retro, prima di cambiarsi. Fu lì che
trovò Miguel
intento a fumare l'ennesima sigaretta, canticchiandosela con un
banjo, o qualcosa di simile, alla mano.
“Oh,
scusami, non volevo disturbare.” disse Bryan, accorgendosi di
lui.
Miguel
si limitò a sollevare la mano, per sventolarla a mezz'aria
senza
troppi problemi, rimanendo seduto sulla cassa di birra, probabilmente
appena arrivata.
Un
armadio di uomo, ecco come lo si poteva definire. Un metro e novanta
buono per due spalle larghe da nuotatore e quella barba perennemente
incolta, oltre a un sorriso invidiabile. L'allegria dello spagnolo
avrebbe potuto stendere anche la persona più seria, finendo
inevitabilmente per farla ridere, facendola aggiungere al gruppo vuoi
di lavoro, vuoi di semplice bevute, fosse una giornata normale o nel
pieno dei festeggiamenti.
“Ragazzo,
lasciatelo dire, hai una pessima cera, oltre che un pessimo odore
addosso. Ma dove diavolo sei stato?” sbottò
Miguel, prima di
scoppiare in una sonora risata.
Non
era il tipo di Bryan, con tutto il rispetto. Oltre a essere il suo
capo.
“Ho
fatto tardi sta notte, sono rimasto in un club di Chueca fino a una
certa ora e poi sono andato via con un tipo.”
Lo
stesso imbecille che gli aveva fregato la memory card! Se non altro
lavorare gli aveva fatto dimenticare tutto quel caos giusto per
qualche ora. Poi gli venne un'illuminazione, come se improvvisamente
si fosse ricordato qualcosa.
“Conosci
un certo Javier? Alto, moro...” riprese.
Un
fisico da urlo, per non parlare di quegli occhi magnetici...ah,
sì,
giusto, crede di essere un vampiro. Meglio lasciar perdere.
“Ma
chi, quel vampiro? E' conosciuto in città.” chiese
l'uomo,
scoppiando poi a ridere. “Non dirmi che sei andato a letto
con lui!
Bryan, sapevo dei tuoi gusti particolari, ma diamine, uno svitato
come quello potevi anche evitartelo.”
Un
tiro alla sigaretta, mentre le corde dello strumento non vennero
mosse di un millimetro. Miguel sapeva bene che a Bryan piacevano i
ragazzi, non ne aveva mai fatto un dramma in una città
simile, di
mentalità molto aperta, ma evidentemente conosceva quella
sottospecie di pipistrello succhiasangue e anche lui gli dava dello
svitato. A sentirgli dire certe cose, il rossore si palesò
sul viso
dell'irlandese, vergognoso come poche altre volte.
“Che
c'è, era un bel ragazzo! Lo so che è scemo e
pensa di essere una
specie di...di pipistrello con le ali, ma non si può negare
che
fosse attraente!” sbottò.
L'agitazione
lo fece pure straparlare. Pipistrello con le ali...genio, tutti i
pipistrelli le hanno! Sospirò poco dopo, cercando di
calmarsi,
vedendo l'altro ridacchiarsela di gusto.
“Ragazzo,
fai attenzione a quello lì. Cioè, dicono sia un
bravo ragazzo e
pare non beva sangue umano, ma sul serio, i tipi come lui non mi
piacciono molto. E non perché dice di essere un vampiro, non
ho
nulla contro i vampiri, ma quello è il tipo di persona che
non
cambierà mai.”
Normale
che usasse quell'appellativo, “ragazzo”, vista la
differenza
d'età. Un momento, come sarebbe a dire che non ha nulla
contro i
vampiri?! Pure lui ci si metteva con questa storia? L'espressione di
Bryan la diceva lunga, non sapeva se credere di più alle
parole
premurose del proprio datore di lavoro, o a questo punto, di Javier
stesso. Insomma, parliamone, un vampiro gira per la città e
tutti ne
parlano come se fosse normale? Assurdo.
Miguel
sembrò pensieroso e l'irlandese stava per fare l'ennesima
domanda,
quando uno dei colleghi li interruppe, aprendo la porta che dava sul
retro, da cui erano usciti entrambi.
“Capo,
la settimana prossima vai via tre giorni, giusto?”
esordì il
collega.
“Sì,
segnalo pure sul calendario, così ci organizziamo come
facciamo
sempre e magari...metti Bryan come vice. Sono curioso di vedere che
sa fare questo piccoletto.”
Per
un attimo al ragazzo mancò un battito. Vice chef, un titolo
così
importante anche solo per mezza giornata era come ricevere un milione
di euro. Oddio, “chef” era una parola grossa. E no,
un milione di
euro forse era troppo.
Gli
occhietti vispi del ragazzo si posarono in quelli di Miguel, che
pareva guardarlo come fosse il padre fiero dell'anno, certo di aver
riposto la propria fiducia in buone mani, a vederlo così
impettito.
Altro che armadio, a vederlo da quell'angolazione pareva ancora
più
imponente. Dallo sguardo dell'irlandese si evinceva tutta la
gratitudine che sprizzava fuori dai pori senza freni e lo chef non
fece altro che sorridere e sghignazzare poco dopo, scuotendo la testa
come se lo trovasse adorabile. Probabilmente era così, ma al
momento
a Bryan non importava.
Non
tornò sull'argomento “vampiro”, tanto
sarebbe dovuto andare di
nuovo a casa di quel cretino in ogni circostanza, preferendo
ringraziare per la possibilità datagli e rientrare a
cambiarsi gli
abiti, terminato il turno di lavoro. Ovviamente nessuno di loro
lavorava troppe ore filate, ma ridendo e scherzando si era fatto
pomeriggio inoltrato, quindi avrebbe dovuto sbrigarsi a recuperare
ciò che gli apparteneva.
Ricordava
ancora la strada, ormai memore delle viuzze più improbabili
della
città, visti i locali che era solito ricercare per le
fotografie e
per il proprio piacere personale. L'Irlanda rispetto a quel paese
baciato dal sole era totalmente diversa, poco ma sicuro, di
conseguenza ogni scusa era valida per andarsene in giro a cercare
nuovi scorci e nuovi locali da esplorare.
Aggiungendoci
il caos frenetico della vita del sud e l'accoglienza degli spagnoli,
non era difficile immaginare come sarebbe andata a finire in ogni
caso, per un tipo espansivo come lui. Espansivo, ma pur sempre nel
limite della propria privacy e questo non fece che fargli mantenere
in testa quel tarlo della memory per tutto il tragitto fino al
quartiere Chueca, che trascorse comodamente a piedi, talvolta
borbottando tra sé e sé da solo. A chiunque non
farebbe piacere,
andiamo!
Raggiunto
l'edificio in questione, si prese la briga di dare un'occhiata in
giro, per assicurarsi di essere nel posto giusto, ma così su
due
piedi, gli parve di sì.
Cercò
quindi il campanello con il nome corretto, senza tuttavia ricordarsi
di una cosa: quel tipo gli aveva fornito solo un nome, del cognome
non c'era traccia. Senza contare che da buon spagnolo avrebbe pure
potuto averne due o tre. C'erano diversi “Ramones”
ed “Espinoza”,
“Gonzales” e “Sanchez” da far
invidia a un'anagrafe!
A
pensarci bene, avrebbe potuto premerli tutti e chiedere di Javier, ma
nel caso ce ne fosse stato più di uno nel palazzo, sarebbero
stati
guai. Potè quasi percepire il proprio corpo sudare freddo,
la testa
permeata di pensieri bui, certo che non avrebbe mai più
rivisto la
propria scheda di memoria, neanche avesse avuto al suo interno
qualche segreto di stato. Ma a giudicare dall'espressione sconsolata
dell'irlandese, quella era una tragedia. Una tragedia greca che lo
fece imprecare un paio di volte, indeciso sul da farsi mentre
avvicinava a un campanello o all'altro il dito, senza tuttavia
riuscire a premerne nessuno.
Avrebbero
potuto scambiarlo per uno stalker! Sì, uno di quei pazzi
depravati
che dopo aver conosciuto un ragazzo in discoteca, lo pedinano come
fosse una loro proprietà, illudendosi che un giorno lui
sarebbe
stato loro. La cosa lo fece rabbrividire e arrossire non poco per
l'imbarazzo.
Non
si accorse di una presenza alle proprie spalle, talmente silenzioso
da poter aggredire il più feroce dei predatori, senza
nemmeno farsi
percepire.
“Che
diavolo ci fai tu qui?”
Per
poco Bryan non fece un infarto nel riconoscere la voce di Javier alle
proprie spalle, emettendo una sorta di squittio non ben definito per
lo spavento.
Nel
voltarsi a guardarlo, avrebbe voluto imprecargli dietro con tutta la
rabbia che provava per ciò che lui gli aveva fatto, ma
riuscì
solamente a fissarlo per diversi secondi, la bocca aperta con le
parole morte in gola, lo sguardo a posarsi sul corpo dello spagnolo
come si fosse trovato davanti una statua greca. Un respiro, due, tre,
tutti nel tentativo di sbloccare gli insulti che avrebbe voluto
vomitargli addosso di violenza, ma nulla. Solo un'espressione da
pesce lesso e una sorta di bagliore negli occhi per quel corpo
stupendo.
Le
gambe fasciate dai jeans fin troppo aderenti, a vita bassa, quelle
spalle che spuntavano fuori dalla canottiera, costituita da troppa
poca stoffa, praticamente un filo accanto al collo, a percorrere
dapprima le clavicole sul davanti, poi le scapole dietro, in una X
non ben definita che lasciava intravedere praticamente ogni
centimetro di pelle possibile almeno fin quando la stoffa non si
allargava a coprire il ventre e la parte inferiore della schiena.
Perché petto e parte superiore non è che fossero
molto coperti
visti quegli archi a tratti profondi, dettati da un tessuto morbido,
di moda in questo periodo.
Inutile
dire che Bryan sentì il corpo fremere. Ma perché
si sentiva di
nuovo in quel modo?! Forse perché detta molto francamente un
tipo
del genere non sarebbe passato inosservato nemmeno a un cieco? Che si
trattasse di donne o uomini, chiunque lo avrebbe guardato, poco ma
sicuro! Una pelle perfetta, addominali scolpiti, ma senza esagerare
nel definire il tutto con un asciutto tonico e resistente.
Perché
ormai il “crash test” lo avevano fatto, sapeva
quanto fosse
resistente. Più lo guardava e più rimaneva
imbambolato, non
desiderando altro che l'ennesima notte assieme, come la precedente.
Javier
sollevò le sopracciglia, sospirando poi nel scuotere la
testa, quasi
seccato.
“Se
sei uno di quegli stalker patetici che credono di essere il mio
fidanzato dopo una nottata passata insieme, puoi anche girare i
tacchi e andartene.” disse, fin troppo diretto, acido quasi.
Bryan
scosse la testa per riprendersi, sfarfallando le ciglia per un
istante. Sentì poi la scocciatura, perché di vera
rabbia non si
trattava, risalirgli lungo la spina dorsale.
“Hai
preso tu la mia memory card dalla macchina fotografica? E' da sta
mattina che è sparita e ieri sera l'avevo lasciata nella
macchina”
“Ovviamente
l'ho presa io”
Come
fosse scontato e logico e si stesse beffando di lui. La cosa fece
innervosire l'irlandese, che per quanto si arrabbiasse, diciamolo,
con quel faccino rimaneva sempre e comunque fin troppo adorabile.
Pose in avanti il braccio, la mano aperta con il palmo verso l'alto,
diretto al vampiro.
“Restituiscimela”
Javier
si mise a ridere. La cosa spiazzò non poco Bryan, che per un
attimo
pensò di aver fallito miseramente nel proprio tentativo di
minaccia
e non avrebbe mai più rivisto la schedina. Non che si
potesse dire
il contrario.
“Non
ridere e restituisci ciò che è mio! Non si rubano
le cose alle
persone!” alzò la voce l'irlandese.
In
risposta l'altro si avviò verso la porta d'entrata, cercando
le
chiavi per aprirla e poter salire nell'appartamento.
“No.
Ora tornatene a casa, bimbo.”
Un
tono secco, deciso, di chi si oppone senza la minima ombra di dubbio
e canzona pure. Sguardo di sufficienza per il vampiro, ancora una
volta nel proprio ruolo del bello e tenebroso, tanto per cambiare, ma
ripetiamo che lo scherzo è bello finchè dura poco
e lui stava
iniziando a calcarci troppo la mano.
Bryan
tuttavia non si lasciò intimidire. Testardo
finchè basta, sapeva a
cosa sarebbe andato in contro, ma decise di provare comunque,
aggrappandosi al braccio dello spagnolo, provando a strattonarlo
più
per riflesso psicologico che altro. Non aveva mai messo le mani
addosso a nessuno, non era un buon motivo per iniziare.
“Ho
detto che la rivoglio!”
Javier
non si mosse di un millimetro. Non solo per il suo essere
visibilmente irritato, ma nemmeno per gli strattoni dell'irlandese,
che ci rimase male non poco. Ok, o quello era fatto di piombo o la
cosa era inspiegabile. Fosse pesato anche solo 70kg, almeno un po'
avrebbe dovuto smuoverlo.
Per
una frazione di secondo i loro sguardi s'incontrarono e Bryan ebbe il
timore che Javier lo avrebbe aggredito. Cazzate sui vampiri a parte,
avrebbe potuto rompergli un braccio o tirargli un pugno sul naso da
un momento all'altro. Come sarebbe andato al lavoro con il naso
rotto? Ma soprattutto come lo avrebbe spiegato a Miguel?
Chiuse
gli occhi alla svelta, incassando la testa nelle spalle, voltando il
viso di scatto per non essere colpito in pieno, spaventato dall'idea
che avrebbe potuto fargli del male.
Eppure
Javier sospirò di nuovo, deciso a salire in casa dopo aver
aperto la
porta. Bryan fu veloce nel capire che quello stava per defilarsi e
s'infilò subito dietro di lui, senza volerne sapere di
mollare la
presa. In parte sapeva che avrebbe dovuto lasciar perdere, ma
dall'altra voleva indietro quella schedina a tutti i costi.
“Allora,
me la restituisci?” chiese, retorico o quasi.
“No”
Vide
lo spagnolo avviarsi per le scale e lo seguì senza troppi
preamboli,
standogli appiccicato come una zecca, a costo di portarlo
all'esaurimento nervoso.
“Puoi
anche provare a lasciarmi chiuso fuori, ma non me ne andrò
finchè
non avrò recuperato ciò che mi
appartiene!”
Ennesima
minaccia ed ennesimo sospiro da parte del vampiro. Che nervi
quell'idiota, nemmeno la soddisfazione di farlo arrabbiare! Qualsiasi
cosa Bryan gli dicesse, sembrava scivolargli addosso come acqua,
senza fargli un graffio, rendendolo solamente più sexy ogni
secondo
di più.
Quando
fu il momento di aprire la porta, l'irlandese si frappose davanti,
impiegando il proprio corpo come scudo, le braccia allargate come
avesse potuto davvero impedirgli di fare qualcosa.
Lo
sguardo focoso e deciso per un attimo lasciò perplesso lo
spagnolo,
che tuttavia non sembrava intenzionato a lasciar continuare oltre
quello stupido gioco.
“Pensi
davvero di potermi fermare?” chiese Javier, in tono di
sufficienza.
Eccolo
ripartire con quella stupida recita degna di Anne Rice e dei suoi
personaggi. Anche uno come lui doveva avere dei limiti a quei giochi
idioti e fin troppo fantasiosi, quindi no, Bryan non si sarebbe
spostato di un millimetro, rimanendo a fissarlo seriamente, il
più
possibile minaccioso, per quanto la cosa potesse riuscirgli.
“Apri
bene le orecchie, vampiro dei mie stivali: il gioco è bello
finchè
dura poco! Mi sono divertito e se vuoi sfogare le tue voglie di
cosplayer represso, non m'interessa, ma non muoverò un
muscolo
finchè non mi avrai ridato le mie cose! Potresti essere
anche Thor
in persona, ma non. Mi. Interessa!” rispose l'irlandese,
alzando il
tono verso la fine.
Bryan
aveva notato quell'aria di sufficienza dell'altro e seppur apparisse
piuttosto deciso, in realtà dentro sé il cuore
gli batteva a mille.
Preoccupato a morte che quello potesse fargli del male, le gambe non
erano cedute per miracolo. Coraggio da vendere, nulla da dire, un
degno rappresentante di casa Grifondoro, se si fossero trovati nel
mondo di Harry Potter.
Lo
sguardo fisso in quello dello spagnolo non durò a lungo,
visto lo
sporgersi di Javier nella sua direzione, lento nel piegare appena il
busto, cercando con il viso quello di Bryan, arrivando al suo
orecchio per mantenere un tono basso e melenso.
“Riformulo
la domanda: pensi davvero di potermi fermare?”
Era
come essere passati dalla trincea della guerra mondiale al bordello
più lascivo della città in un nanosecondo. Quel
tono caldo,
sensuale, misto alla vicinanza dei loro corpi, per poco non lo fece
cadere a terra sulle ginocchia. Brividi lungo tutto il corpo nel
tentativo di rispondergli a tono, di imporre il proprio volere e di
contrastarlo in tutti i modi possibili. Modi che si trasformarono ben
presto nei peggiori pensieri lascivi immaginabili. La testa era
partita da un pezzo, per non parlare del fisico, già in
trazione da
quando si erano incontrati al pianterreno. Bryan ci provò a
trattenersi, ci provò con tutte le proprie forze fin quando
non si
ritrovò le labbra di Javier sul collo, intento a baciarlo in
modo
fin troppo spinto, ansimando qualche parola a caso, non ben definita.
La
mossa successiva per il vampiro fu aprire la porta senza la minima
difficoltà e senza volerne sapere di staccarsi dalla preda,
perché
a dirla tutta, il caro Bryan era finito dalla padella nella brace.
Senza ormai un briciolo di integrità mentale, il pensiero
della
memory sembrava lontano anni luce per l'irlandese, che pareva non
desiderare nient'altro che il corpo dell'altro, come ne avesse una
necessità impellente, aria dopo diversi minuti in totale
assenza.
Le
proprie labbra cercarono quelle di Javier, più concentrato
invece in
altre zone del viso e della parte alta del corpo, come stesse
decidendo dove soffermarsi, che rispose alla sua ricerca con
nervosismo, soffiando come un gatto, mostrando i denti affilati e
appuntiti. No, non le aveva tolte quelle dannate protesi, erano
ancora lì.
Ovvio
che Bryan lo squadrò qualche istante, cercando poi di
infilare le
mani al di sotto della sua canottiera per poterla levare, se non
fosse stato bloccato dallo spagnolo con una salda presa sui polsi.
“Perchè
la rivuoi? La scheda, intendo.” chiese Javier, senza il
minimo
accenno di fiatone.
A
differenza di Bryan, già perso con la mente, intento a
fissarlo tra
i sottili ansimi di piacere, come se si fosse ricordato ora della
memory.
“Ci
sono le mie foto. I miei ricordi. Ci sono cose importanti che
desidero mantenere vive.”
Perché
le fotografie per lui erano vive, come fosse riuscito a intrappolare
parte di qualcosa in quelle immagini, avendone catturato l'essenza in
modo che nonostante il cambiamento nel tempo, quella parte di anima
sarebbe rimasta lì, inalterata. Un pensiero profondo e
filosofico,
certo, e molto importante per lui che della fotografia ne faceva la
propria ragione di vita, assieme alla cucina. La cucina è
per
rendere felici gli altri, la fotografia per sé stesso.
Per
un attimo gli parve di vedere una scintilla negli occhi di Javier,
qualcosa che non gli aveva mai visto addosso, come se lo avesse
scosso più del previsto.
“Facciamo
un patto: io ti restituirò la tua roba, se riuscirai a
riprenderla
con la forza.” riprese lo spagnolo, estraendo dalla tasca
memory e
custodia in plastica trasparente.
Come
la vide, gli occhi di Bryan si sgranarono e ancora peggio fu quando
vide l'altro sollevarla sopra alla testa, guardandolo con
quell'evidente aria di sfida, più che mai deciso a risolvere
la cosa
con uno scontro fisico.
L'irlandese
era quasi convinto di lanciarglisi addosso, ma sapeva che se non era
riuscito a smuoverlo prima, poco ci avrebbe risolto ora. Quindi
optò
per una mossa intelligente, o almeno così gli era parsa.
Cercò non
solo di agguantare la schedina saltando, per coprire la loro
differenza di altezza, ma di fatto l'idea era quella di arrampicarsi
letteralmente addosso a Javier, pur di riprendere ciò che
era suo.
Nulla
di più sbagliato. Quella vicinanza era una tentazione,
sarebbe stato
impossibile riuscire nell'intento senza arrossire o ritrovarsi con il
corpo bloccato dalla vergogna. Insomma, avere addosso uno che
nell'arrampicarsi si struscia addosso in quel modo, non si sarebbe
certo potuto dire poco imbarazzante.
“Non
mi hai chiesto che ti succederà se dovessi
perdere” incalzò
Javier.
“Non
ne ho bisogno.”
Talvolta
la testardaggine di Bryan lo faceva sragionare. Non aveva accettato
che fosse un vampiro, figurarsi fermarsi dal raggiungere il proprio
scopo per una persona comune. Va bene, forse Javier non si era mosso
di un millimetro quando lui lo aveva provato a tirare per il braccio,
ma doveva essere sicuramente un gesto calcolato, qualche impiego
particolare della forza come viene insegnato nelle arti marziali o
roba simile. Bravo a recitare e abile nelle arti marziali, peggio di
così non sarebbe potuta andare!
Provò
di nuovo a fargli abbassare il braccio, aggrappandosi con tutto il
proprio peso, sollevando le ginocchia per far sì che i piedi
non
toccassero terra, ma nulla da fare. Così come non risolse
nulla nel
cercare di porre il piede su una delle sue gambe, ben dritte e fin
troppo scivolose. Non voleva arrivare a fargli del male e detta
francamente, nemmeno ci sarebbe riuscito.
Bryan
iniziò davvero a sentirsi impotente. Quante storie per una
stupida
memory card da quattro soldi! Si erano messi a litigare come bambini
per una questione così futile.
Non
gli restava altro da fare. Lo sguardo vittorioso di Javier era
qualcosa di talmente irritante, che la propria testardaggine sapeva
gli avrebbe fatto commettere cose stupide. Ma quella sottospecie di
Batman fasullo voleva la guerra e lui glie l'avrebbe data!
Il
corpo si mosse da solo, appiccicandosi a quello dello spagnolo nel
tentativo di provocarlo. Gli sarebbe bastato strofinarsi appena
contro di lui per ottenere la reazione che voleva, quello era sicuro.
Le braccia portate sulle sue spalle, attraversavano la sua figura per
far si che le mani poco dietro intrecciassero le dita tra loro, in
una posa da quadretto romantico o quasi, come una ragazzina
innamorata, mentre i baci successivi vennero elargiti come un
cucciolo alla ricerca di attenzioni da parte del padrone. Prima sul
collo, sottili, dolci, provocanti, poi sul viso, sempre più
vicino
alle labbra, ricercando quel contatto flebile, un tentativo di
cedimento da parte dell'altro, che a giudicare dalla muscolatura,
parve rilassarsi.
Venduto
finchè bastava l'irlandese, ma se avesse potuto recuperare i
propri
averi, sarebbe stato disposto a far cedere l'avversario anche in quel
modo.
Sentì
il corpo di Javier reagire, nonostante avesse già preso lui
stesso
ad ansimare sottilmente, la presa delle sue mani sulla propria
schiena, come a tentare di avvicinare i loro corpi ulteriormente,
salda e passionale a differenza dei gesti di Bryan, quasi timidi in
certi punti. Aspetta...mani? Se lo spagnolo le stava impiegando
entrambe, la memory doveva essere stata posata da qualche parte,
oppure era ancora tra le dita di una delle due.
Con
uno scatto, Bryan cercò le mani di Javier con le proprie,
facendogliele aprire per controllare dove fosse l'oggetto tanto
ambito, ma nulla, nemmeno l'ombra della scheda. Quindi diede
un'occhiata in giro, decidendosi infine a tornare a fissare il suo
viso e al di sopra.
Rimase
paralizzato nel vedere che la memory era ancora lì, a
diversi
centimetri sopra le loro teste, intenta a levitare come per magia. Ma
non fu solo quello a sconvolgerlo, no, la cosa che lo fece
immobilizzare, fu il sottile strato di una sostanza rossastra
semitrasparente, ad avvolgerla, come un liquido disperso in quella
bolla di acqua e aria, dai filamenti ben definiti, che si spostavano
a destra e sinistra. Fumo liquido, rosso, ecco cosa sembrava.
Ovvio
che così di primo impatto, pensò a un gioco di
prestigio. Un
sistema di calamite con liquido metallico o qualche vaccata simile,
quindi spostò lo sguardo sul viso di Javier, con quell'aria
da presa
in giro tipica di chi è scettico, con tanto di sopracciglia
sollevate.
Lo
spagnolo sospirò ancora, socchiudendo gli occhi per qualche
secondo
prima di riaprirli e fissare Bryan con seria noia. Dal verde semplice
che di norma lo caratterizzava, le iridi avevano assunto un colore
rosso vivo, luminoso, un effetto mai visto prima nella
realtà, solo
nei film fantastici con tanto di effetti speciali a portata di
schermo. Man mano che lo sguardo si illuminava con maggiore o minore
intensità, la sfera di gas e liquido sopra di loro
vorticava,
facendo assumere forme fluide al pigmento rossastro e conformazioni
sempre più strampalate alla stessa sfera, che da
tondeggiante
diventò prima dotata di punte della stessa trasparenza, poi
quadrata, poi piramidale e via dicendo.
Il
cervello dell'irlandese impiegò diversi secondi a realizzare
che era
davvero Javier a modellare quella struttura di natura non ben
definita a seconda del suo volere, senza nemmeno aver bisogno di
impiegare le mani, ancora ben salde sui propri fianchi.
La
reazione fu semplice e più naturale del previsto: Bryan
cacciò un
urlo degno di una banshee e di lì a poco tutto si fece nero,
lasciandolo privo di sensi tra le braccia di quello che ormai aveva
realizzato essere davvero un vampiro.
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