cinque
Capitolo
Cinque.
-
Oltre
la prima impressione.
« Galleggiava nei
suoi pensieri, sospinto dal vento della malinconia.
Ogni tanto si
immergeva in qualche ricordo e poi risaliva a prendere aria.
In quella notte
stupenda che aveva un solo difetto: non era fatta per stare da soli.
Ci vollero quattro
bicchieri di rum per sciogliere il groppo alla gola e un quinto per far
scivolare la testa
sul lato della
poltrona e chiudere gli occhi.
Dopo aver mandato a
fare in culo il mondo intero. »
» La pietà dell'Acqua,
Antonio Fusco
- Le
ore trascorrevano rapide mentre Ivan si divertiva insieme ai suoi
compagni: ballavano al ritmo della musica sparata a tutto volume,
bevevano così tanto alcool da avere la vista
offuscata.
Quando si
avvicinò il momento di mangiare, ogni invitato
lasciò la pista da
ballo e si parcheggiò attorno ad uno dei tre tavoli per
ingozzarsi
di cibo spazzatura.
Ivan non era il personaggio che adorava
mangiare, si sentiva soffocare se passava un minuto in più a
tavola,
ma le danze e l'alcool gli avevano messo addosso una fame da lupi,
quindi spizzicò volentieri un po' di patatine fritte con
ketchup,
oppure dei piccoli panini imbottiti.
Davvero ottimi.
Ivan
era concentrato sulla cena, però si ritrovò a
chiacchierare con
cinque dei nuovi arrivati, risultò faticoso parlare e
masticare.
Erano dei ragazzi molto gentili, educati e intelligenti, non volevano
fare niente di male se non complimentarsi per il discorso, oppure per
il motto che aveva recitato a memoria. Avevano elogiato con parole
complicate Tentacruel, il Pokémon che si era intromesso
all'improvviso e che l'aveva accompagnato durante la conclusione
della cerimonia. Ivan era al settimo cielo davanti alle lusinghe, era
contento di aver fatto una buona impressione.
Inghiottì
velocemente ogni boccone per terminare il pasto, recuperò
qualcosa
da bere e si accostò alle nuove reclute per rispondere alle
domande,
passò diversi minuti a spiegare che, a festa finita, li
avrebbe
riuniti per accompagnarli negli unici alloggi rimasti liberi. In un
secondo momento, si preoccupò di avvertirli sul modo di
vivere
all'interno del Rifugio: alcuni partivano per raggiungere
stabilimenti diversi, altri restavano e dovevano gestire al meglio il
Casinò, svolgere attività nei laboratori,
prestare servizio nelle
cucine per dare una mano al cuoco, oppure rispettare il turno delle
pulizie.
Alla fine dell'interminabile chiacchierata i cinque si
congedarono, sorridevano soddisfatti mentre raggiungevano la pista da
ballo; Ivan intanto aveva la gola che bruciava, era sul punto di
recuperare un'altra birra per raggiungere Gerardo, ma si
presentò un
trio dall'aria piuttosto bizzarra e i suoi piani andarono in fumo.
La
pazienza di Ivan era messa a dura prova quella sera, ma si
bloccò
con il sorriso perché il lavoro veniva prima delle
comodità, così
rinunciò all'idea del bicchiere d'alcool e scrutò
i novellini
rimasti: c'era una ragazza dai capelli blu raccolti in una coda di
cavallo, il fisico era piuttosto asciutto e privo di curve femminili
e, un enorme paia di occhiali, le invadeva il viso. La seconda donna
era l'opposto della prima, un po' grassottella e con il seno che a
momenti esplodeva sotto alla divisa nera, capelli biondi e mossi che
teneva sciolti, pelle olivastra da cui proveniva un ottimo profumo e
occhi verde smeraldo.
Ivan
era sul punto di attaccare bottone con le due femmine, quando gli si
piazzò davanti il terzo elemento. Era un maschio questa
volta e,
l'espressione che teneva in volto, non pareva la più
amichevole del
mondo. Il corpo del giovane scienziato era snello e la sua pelle era
di uno strano pallore, secondo Ivan a quel tizio gli serviva una
vacanza al mare, magari si sarebbe abbronzato un po'. Il viso della
recluta era squadrato e dai lineamenti marcati, occhi scuri e
abbondanti capelli rossi che teneva ben pettinati sotto al cappello,
ma trattenuti da un delizioso codino sulla nuca.
«Ciao»
esclamò Ivan con il sorriso, guardando lo scienziato.
«Buonasera»
commentò.
Ivan
a quel punto capì che doveva andarci piano con lui,
perciò avvicinò
la mano alla sua e cercò di essere il più
cordiale possibile: «Il
mio nome è...»
«Non
mi interessa» lo strano tizio lo bloccò subito,
non aveva sciolto
la posa per rispondere al saluto. Braccia intrecciate dietro alla
schiena, schiena dritta come se fosse un soldato ben addestrato e
sguardo privo di emozioni.
Quel novellino poteva essere
classificato come il fratello minore di Ariana, magari aveva la
possibilità di arrivare alla famigerata divisa bianca,
sempre se
continuava ad affrontare la routine del Rifugio con quello spirito di
iniziativa. «Sei il nostro tutore, mi basta sapere
questo»
Ivan
si limitò ad annuire, poi afferrò il bicchiere:
«Va bene, come
preferisci».
«Sono
qui per presentarti le mie colleghe, sono Dana e Leila»
iniziò a
parlare il ragazzo, poi indicò le due donne alle sue spalle
per
presentarle. «Adesso posso andarmene, non voglio perdere
tempo. Però
sii gentile con le mie amiche, solo perché sei il tutore non
significa che puoi abusare del tuo compito» e detto
ciò il ragazzo
dai capelli rossi si congedò, Ivan allora si girò
appena e lo
guardò mentre camminava in un punto impreciso della stanza.
Poi
sospirò e tornò dalle due donne.
Doveva
essere forte, non tutti erano buoni e gentili lì dentro.
«Scusalo...»
commentò la biondina e si sistemò un ciuffo di
capelli, lei doveva
essere Leila. «Il nostro amico non è proprio il
massimo, però c'è
del buono in lui. Basta solo avere pazienza, con il tempo si
scioglierà un po'»
«Non
è il primo che mi parla in quel modo, perciò non
preoccuparti...Leila, vero?»
«Esatto,
hai capito bene, lei invece è Dana. Ma io la chiamo
Primula»
esclamò la ragazza, poi Dana si presentò con il
gesto veloce della
mano.
La piccoletta aveva il viso cosparso di rossore,
evidentemente era troppo imbarazzata per aprire bocca. «Molto
lieto
di fare la vostra conoscenza, voi siete le uniche donne che hanno
passato l'esame. Non è forse così?»
«Certo,
siamo felici di essere qui al Rifugio dei Rocket»
«Tutti
lo sono all'inizio, Leila, poi con il passare dei giorni cambiano
idea e chiedono un permesso per essere trasferiti altrove»
raccontò
Ivan e scoppiò a ridere, nell'attimo dopo si
preoccupò di riempire
due bicchieri per le ragazze. «C'è veramente molto
lavoro da fare
qui dentro, ma Giovanni dona alle fanciulle dei compiti un po'
più
leggeri. Spero che non vi dispiaccia, non siamo dei maschilisti,
è
solo che alle donne concediamo incarichi dove è
più utile usare il
cervello»
Leila
annuì soddisfatta e afferrò i due bicchieri, poi
passò il secondo
calice a Dana che si rifiutò di ingerire dell'alcool.
«Io sono
pronta a lavorare, non sono la donna che teme di spaccare pietre
sotto al sole. Mi considero una tutto fare»
«Ne
sono felice» Ivan tornò a ridere, già
adorava Leila e non vedeva
l'ora di passare del tempo con lei. «E noi abbiamo bisogno di
donne
così. E tu Dana? Cosa preferiresti fare qui dentro? Magari
posso
mettere una buona parola per te, è il mio compito quello di
aiutarvi»
«Io...»
esclamò la ragazzina dai capelli blu, che abbassò
lo sguardo e si
schiarì la voce con un leggero colpo di tosse. Era ancora
imbarazzata, però sembrava sul punto di sciogliersi.
«A me
ecco...Piace molto stare a contatto con i macchinari, sono la mia
principale passione»
Ivan
si piazzò davanti al tavolo e piantò in asso la
birra, versò un
po' di succo alle bacche dentro a un bicchierino di plastica e lo
passò a Dana. La guardò con il sorriso per
incoraggiarla, la
trovava veramente carina e aggraziata in ogni movimento, anche se in
quell'attimo sembrava più paralizzata dalla vergogna.
«Non tutte le
ragazze sono attratte da quel genere di cose, ma non significa che
sia negativa la tua passione»
«Grazie»
sussurrò lei e mostrò un sorrisetto compiaciuto,
recuperò
l'oggetto dalle mani di Ivan e sorseggiò liquido fresco.
Poi
restò in silenzio e si trovò un angolo abbastanza
appartato, non
era dell'umore giusto per discutere con qualcuno, così Leila
tornò
a parlare come se niente fosse accaduto.
«Ancora
non sappiamo il tuo nome, lo vuoi forse tenere nascosto?»
«Ivan»
si presentò a quel punto.
«Oh,
davvero particolare. Mi piace»
«Grazie»
«Ivan,
adesso che ci conosciamo, che ne diresti di accompagnare me e Dana
sulla pista da ballo? Siamo un po' timide e abbiamo bisogno di
compagnia, Max purtroppo ci ha lasciate da sole. Devi sapere che lui
non è il tipo che si lascia trasportare da questo genere di
feste,
l'ho dovuto trascinare fin qui con la forza, forse per questo
è
stato così scontroso»
Ivan
annuì all'affermazione di Leila, senza perdersi in troppe
chiacchiere vuotò il calice con un lungo sorso, lo
posò in un punto
impreciso della tavola e allungò la mano verso Dana,
così la invitò
a ballare. Lei accettò.
Subito
dopo i tre cominciarono a dirigersi verso la folla danzante ma, poco
prima di scatenarsi con il ballo, Ivan riuscì a intravedere
la
figura solitaria del rosso: era immobile sulla poltrona in pelle
più
appartata della stanza, non faceva niente di particolare per
intrattenersi, si limitava a osservare l'ambiente che lo circondava e
aveva un'espressione annoiata sul volto. Quel ragazzo, a Ivan, faceva
una gran pena.
Max,
quello doveva essere il nome che aveva sussurrato Leila.
Ivan
riusciva a tenerlo a mente, era difficile dimenticarsi di un
individuo dalle maniere così rigide, non c'era da
meravigliarsi se
era riuscito a ottenere il titolo di recluta. Nonostante l'episodio
Ivan percepì una strana sensazione, si sentiva attratto da
quella
sagoma dai lineamenti perfetti, era sul punto di avvicinarsi
perché
desiderava coinvolgerlo.
Rinunciò presto all'idea perché si
ricordò del caratteraccio, non era risultato interessante,
perciò
preferì tornare ai festeggiamenti e ballare fino a tarda
notte. Dana
e Leila erano di buona compagnia, dopo l'imbarazzo delle prime
parole, erano riuscite a schiudersi e si erano dimostrate come due
donne fantastiche. Ma Ivan continuava a pensare a Max mentre si
muoveva, era in perfetta armonia con le note assordanti che lo
circondavano, non accettava l'idea di stare lontano da quel tipetto.
Voleva conoscerlo, voleva scoprire qualcosa di lui, voleva andarci
almeno d'accordo. Almeno...Sì...
Era
quello che sperava.
- *
* *
- Il
party che le reclute avevano organizzato non era così
stimolante,
Max si sentiva fuori posto e restava in un angolo appartato per
osservare gli altri, detestava essere circondato da musica
elettronica e alcool di scarsa qualità.
Aspettava
Dana e Leila, non vedeva l'ora di andarsene e di coricarsi, il
mattino successivo si sarebbe svegliato presto per continuare le
ricerche sulle pietre, mettere le mani sul laboratorio era
ciò a cui
puntava fin dalla partenza. Però in quel lasso di tempo si
sentiva
un vero schifo, era rimasto da solo in un contesto che non faceva per
lui, aveva mal di testa e non aveva toccato cibo, sentiva i crampi
allo stomaco. Era seduto su una poltrona in pelle nera, attendeva con
pazienza la fine dei festeggiamenti.
«Posso?»
Una
voce maschile attirò l'attenzione di Max, che
alzò lo sguardo verso
un giovane ragazzo dai capelli scuri e gli occhi castani. La sua
corporatura era talmente gracile da farlo navigare all'interno della
divisa, il viso però era rotondo dalle guance paffute.
«Sì»
Mormorò
Max e annuì educatamente, non gli dispiaceva avere un po' di
compagnia, così lo sconosciuto sprofondò sulla
poltrona accanto,
poi si sollazzò con un profondo sorso di birra. Solo allora
lo
scienziato adocchiò le mani esili di quel ragazzo che, anche
se
erano nascoste dai guanti, le dita slanciate e fini rimanevano in
bella mostra. Erano bellissime, parevano quelle di un'artista.
«Prima
io e un mio amico ti abbiamo visto discutere con il tutore, ecco
perché mi sono avvicinato, volevo parlartene»
confessò la recluta
Rocket, si sistemò il colletto della maglia e si
grattò la testa
con un comportamento impacciato, rivelò un mezzo sorriso per
nascondere la timidezza. Doveva essere simile a Dana, entrambi i
soggetti si schiudevano solo con le persone che conoscevano da
diverso tempo, mai con gli sconosciuti. «Secondo il mio
collega sei
praticamente scappato, quindi mi sono fatto avanti. Dimmelo se
c'è
stato qualcosa che ti ha infastidito o altro, domani ci
penserò io a
farlo ragionare. Ivan è testone come un Tauros, diciamo che
non è
proprio il massimo della galanteria, ti prego di perdonarlo»
Max
rabbrividì e sbiancò quando sentì
nominare il tutore, erano
passate poche ore e già ne aveva abbastanza di quell'assurda
storia.
Non era interessato a creare dibattiti.
Però
il suo nome, Ivan, lo trovava delizioso.
Gli
stava bene, in fin dei conti.
Lo scienziato scrollò le spalle,
almeno tentò di contenersi con le riflessioni.
Mostrò un sorriso
per tranquillizzare l'interlocutore e tornò a parlare come
se niente
fosse, voleva evitare di arrabbiarsi ancora: «No è
tutto nella
norma, ti ringrazio per il pensiero ma non è necessario.
Avevo
bisogno di sedermi, il viaggio mi ha stancato»
«Posso
immaginarlo. Io sono Gerardo, comunque»
«Max.
Lieto di fare la tua conoscenza, Gerardo» Max
stiracchiò le braccia
per sgranchirle e accavallò le gambe, una posizione comoda
era ciò
di cui necessitava, altrimenti il mal di schiena l'avrebbe fatto
dannare per diverse ore. «Cosa fai all'interno del
Team?»
«Sono
uno scassinatore»
Max
annuì compiaciuto e mostrò un sorriso gentile:
«Interessante»
«Sì,
insomma» Gerardo si lamentò con un tono poco
garbato e gettò in
terra il bicchiere vuoto, poi scrollò le spalle e si
pulì la bocca
con il bordo della manica. L'alcool era una brutta bestia se non lo
si usava con consapevolezza, era capace di trasformare la gente
più
elegante e raffinata in bestie insopportabili; Max aveva compreso
l'effetto delle strane bevande quando aveva dieci anni, ciò
era
merito del padre che non passava un bel periodo con il lavoro,
trascorreva le serate nella solita locanda cittadina e tornava a
notte inoltrata. L'uomo non combinava dei disastri, il mattino
successivo era sempre pronto a affrontare le mille avversità
dell'ufficio, ma durante la sbronza si trasformava in un essere privo
di bontà e amore, infatti Max veniva riempito di botte se si
lasciava beccare sveglio eppure, durante quel periodo, era un bambino
che cercava di addormentarsi grazie alle pagine profumate di un
libro. Dopo un paio di episodi di violenza, in cui finì
anche
all'ospedale con un braccio rotto, Max aveva capito la lezione e
cercò di rigare dritto fino agli anni del liceo, era sempre
impaurito quando quell'uomo rincasava, si nascondeva sotto le coperte
e faceva finta di dormire, era terrorizzato dall'idea di finire tra
quelle mani diaboliche.
Gerardo
recuperò una sigaretta dalla cintura per accenderla, si era
messo a
fumare come se niente fosse. Max reagì con alcuni colpi di
tosse,
grazie all'intervento del fumo si distaccò dai pensieri, con
la mano
destra cercò di deviare la direzione della nuvola creata da
Gerardo,
almeno evitava di respirare il fumo passivo. Non amava le persone che
si rovinavano i polmoni, gli bastava restare a contatto con i gas
velenosi del Koffing di Leila.
«Sono
stato promosso come scassinatore professionista solo di recente, ma
io sono un ladro di prima categoria e ne ho avute di esperienze.
Peccato che qui dentro le reclute si mettono a rubare tramite piani
ben elaborati, organizzati da Giovanni o i suoi fedeli Generali,
nessuno rischia la vita con mosse azzardate e improvvisate, sono
rimasti in pochi quelli che sanno aprire le serrature, che riescono a
entrare nelle case delle persone senza farsi scoprire, che portano
via tutto ciò che può avere un certo valore.
Gioielli, soldi, anche
Pokémon se è necessario» Gerardo
continuò a descrivere il suo
incarico con una certa enfasi e, questa volta, catturò anche
l'interesse di Max che l'ascoltò in silenzio. «Lo
sai che è stata
la madre di Giovanni a scegliere questo incarico? Solo
perché ero
magro, piccolo di statura e svelto, è ciò che
serve per portare
avanti una professione simile. Devi sapere che all'epoca accadeva
tutto nel Rifugio, io sono stato addestrato dentro a queste mura,
sotto gli occhi dei più esperti che non mi davano mai pace.
E
nulla...Madame Boss mi ha adocchiato dal giorno in cui mi sono
arruolato, ha seguito il mio esame di ammissione e ha scelto
ciò che
era giusto per me.
Si è comportata così con coloro che ha
selezionato, anche Ivan ha avuto più o meno la mia sorte.
Peccato
che la sua storia è diversa dalla mia, forse è
differente rispetto
a tutte le reclute che vedi»
Max
scrollò di nuovo le spalle e roteò gli occhi in
un'espressione
scocciata, Gerardo non sapeva fare altro che parlare di Ivan, quel
maledetto ragazzone senza cervello che si comportava come una diva.
Lo
sguardo di Max capitò in mezzo alla folla danzante, senza
farlo
apposta inquadrò il diretto interessato: si stava concedendo
un
ballo insieme a Leila e Dana, sorridevano entrambi dalla gioia e lui
non esprimeva alcuna perversità, anzi. Anche se quel corpo
era
inadatto per il contesto, Ivan era capace di fondersi divinamente con
il ritmo incalzante della musica elettronica, i movimenti di quel
bacino ben scolpito erano splendidi e non si potevano criticare. Max
arrossì di colpo e si mordicchiò il labbro,
voleva guardare Gerardo
per continuare a chiacchierare, ma Ivan era elegante e ipnotizzante,
la divisa nera che aderiva a quei muscoli a momenti lo
lasciò senza
fiato.
«Come
mai è così diverso?» domandò
Max che si schiarì la voce, alla
fine riuscì a staccarsi dalla visione di Ivan che ballava
con le sue
amiche. «Io non ci vedo niente di interessante, tutto muscoli
e
niente cervello»
«Ivan
non brilla di intelligenza, questo è risaputo. Se non lo
conoscessi
da una vita, non mi fiderei mai di lui» Gerardo
scoppiò a ridere e
incrociò le braccia fini contro al petto, poi si
rilassò allo
schienale della poltrona. «Però ha altre mille
qualità e su questo
non posso criticarlo, è una persona fantastica, basta
conoscerlo un
po' e ti ci affezioni subito. Mi ricordo che l'ho incontrato dopo una
settimana dal reclutamento, ti giuro che non sapeva nemmeno parlare e
si esprimeva in versi come se fosse un selvaggio, sta ancora
imparando ed è già tanto se ha fatto successo con
il discorso di
stasera»
Max
sgranò gli occhi a quella notizia, era assurda.
Per un attimo si
sentì in colpa per le critiche fatte in precedenza, ma era
strano
sapere che esistevano uomini incapaci di parlare correttamente.
«Mi
dispiace...» commentò, poi si
mordicchiò l'interno guancia.
«Perché non sapeva parlare? Ha subito qualche
trauma? Infanzia
infelice?»
«Non
lo so, purtroppo. Nessuno è in grado di raccontare la storia
di
Ivan, nemmeno Madame Boss che era tanto affezionata a lui»
raccontò
Gerardo con un sospiro, ma il discorso non terminava lì.
«Anche se
siamo amici da un paio di anni, non ho mai fatto domande
perché non
vorrei essere indiscreto, Ivan me lo dirà quando
sarà pronto per
farlo»
Max
annuì senza esprimere emozioni, cercò Ivan con lo
sguardo.
Ma la
figura muscolosa non era più nei paraggi, ormai la pista da
ballo
cominciava a svuotarsi e la musica era già più
bassa, anche Dana e
Leila sembravano scomparse nel nulla: «Ma come ha fatto a
finire
qui?»
«La madre di Giovanni l'ha trovato a rotolarsi dentro alla
spazzatura, non era molto lontano da Azzurropoli quando è
successo.
Lei ha sempre avuto un debole per gli orfanelli di qualsiasi
età,
così l'ha portato qui e l'ha sistemato a dovere, poi l'ha
messo al
servizio del Team Rocket. Sono stato il primo ad incontrarlo, da
allora non ci siamo più separati»
«Capisco»
Gerardo
a quel punto sbadigliò, si stiracchiò e si
levò il cappello dalla
testa. Si stropicciò l'occhio, doveva essere stanco:
«Ormai la
festa è finita, è il momento di andare a dormire.
Di sicuro Ivan
sta radunando i tuoi compagni per portarli agli alloggi, vuoi che ti
accompagno Max?»
«Sì,
mi farebbe molto piacere».
- *
* *
- Era
scoccata la mezzanotte al termine dei festeggiamenti, molte reclute
erano scappate per rintanarsi nei dormitori, che si trovavano al
secondo piano del Rifugio.
Ivan
non aveva mai smesso di ballare e la stanchezza cominciava a farsi
sentire, ma per le mani aveva un compito che non poteva rimandare,
quindi era rimasto in mezzo alla pista da ballo ormai vuota e aveva
radunato i nuovi arrivati.
Era
difficile parlare o muoversi a causa dell'alcool ingerito, ma Zeno e
Gerardo erano al suo fianco per aiutarlo, quindi era più
semplice
tenere in mano il controllo della situazione.
«D'accordo,
vediamo di darci una mossa, non voglio perdere tempo»
esclamò Ivan
prima di grattarsi la barba, i due compari lo guardarono e annuirono
in silenzio.
Anche Gerardo e Zeno erano impacciati con i
movimenti, stavano accusando il peso della festa:
«...Cosa
dobbiamo fare, di preciso?» domandò Zeno.
«Dobbiamo
dividere i nuovi arrivati nelle stanze rimaste vuote. Ariana oggi
pomeriggio mi ha assegnato la lista e le chiavi, sapeva che Ivan era
talmente distratto da dimenticarsene» spiegò
Gerardo con un sorriso
beffardo sul volto, era l'unico che del trio poteva vantarsi per
l'intelligenza.
«Ariana
si comporta come una mamma con voi due, io mi offenderei»
osservò
Zeno, poi si lasciò andare in una risatina. Era ubriaco
fradico.
Mentre Ivan si azzuffava scherzosamente con il gigante, i
novellini guardavano la coppia senza capire ciò che
succedeva,
Gerardo si avvicinò alla poltrona su cui si era accomodato
in
precedenza e, da sotto di essa, recuperò un sacco che
conteneva la
lista con le chiavi delle stanze vuote: «Ecco a voi,
animali».
«Grazie
Gerardo» mormorò Ivan e recuperò
l'occorrente, poi si sbrigò a
srotolare il foglio. «E io dovrei leggere tutta questa roba?!
Ma
siamo impazziti?!»
«In
un certo senso sì, tra di noi sei tu il tutore»
puntualizzò
Gerardo, scocciato.
«Andiamo
Ivan, non è mica la fine del mondo dire ad alta voce dei
nomi. Prima
lo fai e presto potrai andare a dormire» Zeno si era
intromesso per
incoraggiarlo.
«No,
non se ne parla nemmeno, ho già fatto abbastanza con il
discorso di
prima. E non posso leggere, ho la vista offuscata. Puoi farlo tu
Gerardo?» Ivan si preoccupò di insistere, poi
avvicinò la carta
alle mani del compagno. «Per favore...» lo
supplicò.
«E
va bene, però domani pulirai questo schifo al mio
posto» Gerardo
sbuffò irritato, poi strappò il foglio dalle mani
e andò verso i
novellini.
Poco
tempo dopo c'era Ivan al suo fianco, che teneva in mano le chiavi
delle stanze.
«Adesso
vi smisteremo nei vostri alloggi» spiegò Ivan
senza divulgarsi
troppo con le parole. «Il mio amico dirà i vostri
nomi e le stanze
a voi destinate»
Dana
e Leila, stanza 0731 del dormitorio femminile.
Cisco
e Alphonse, stanza 0821 del dormitorio maschile.
Frank,
Michael e Bic, stanza 0822 del dormitorio maschile.
Per
ogni gruppetto nominato, Ivan aveva consegnato la chiave corretta.
Ma
c'era qualcosa che non andava.
Le
reclute erano otto, ma i nomi pronunciati sette.
Max infatti era
rimasto davanti a Ivan e Gerardo, non aveva un posto letto. I due
quindi si guardarono sbalorditi, i conti non tornavano fin da
principio:
«Gerardo,
come mai quella recluta non compare nella lista?»
«Non
lo so, deve esserci un errore di conteggio»
«Strano,
Ariana non è la donna che sbaglia. Forse qualcosa
c'è sfuggito...»
I
due chiacchieravano a bassa voce, ignari che il rosso fosse occupato
a origliarli. Era sdegnato, lo si vedeva lontano un chilometro.
«Ignorate
il fatto che il Rifugio è al completo»
mormorò Zeno quando si
avvicinò al duo, rideva a crepapelle a causa della sbornia.
«Le
numerazioni delle camere del reparto maschile arrivano allo 0822,
quello delle donne allo 0731. A quanto pare, il nostro nuovo amico,
deve occupare un posto che è già assegnato a
qualcuno»
Ivan
e Gerardo erano rimasti paralizzati, sbalorditi dalla notizia.
Non
sapevano come procedere.
«E
quale stanza ha un posto libero?» domandò Gerardo.
«Non
lo so...Noi minatori dormiremo sui divani, non è un problema
che mi
riguarda» ridacchiò Zeno.
«Sì,
c'è un alloggio che può ospitare un altro
ragazzo» commentò Ivan
a quel punto, scrollò le spalle. «La
mia».
|