Il cielo e
il mare fanno a gara per assumere la stessa livrea: un informe bianco.
Solo
quando le raffiche si placano per un momento, smettendo di bistrattare
i
fiocchi di neve, si riesce a raccapezzarsi su dove stia il sopra e il
sotto.
Non è la
tempesta però a preoccupare i marinai e il capitano: quando il
satellite li ha
informati del suo arrivo, ne avevano già sentito il sapore nell’aria e
come
vascello di osservazione scientifica in missione nei mari del nord, la Gypsy Dancer può sopportare senza
problemi
anche peggio di quel fortunale. Dunque, come già è stato, quando il
vento
calerà le eliche torneranno a girare e il piccolo rompighiaccio si farà
strada
attraverso il pack, lo stesso che al momento li stabilizza contro le
raffiche.
Nemmeno i -45°C all’esterno preoccupano l’equipaggio: come sempre, si
tratta solo
di avere pazienza aspettando al chiuso…
Mai prima di
quella volta però, la Gypsy Dancer
aveva
dovuto accogliere uno shuttle orbitale sulla sua piazzola
d’atterraggio: a
sentirne il pilota, una gran bella donna dal pessimo carattere, l’attaché diplomatico che era stata
costretta ad imbarcare aveva deciso di fregarsene dei bollettini meteo
per
cercare di ingraziarsi l’altro passeggero. Ne avevano pagato il prezzo
una
volta rientrati nell’atmosfera, quando le era diventato chiaro molto in
fretta
che non sarebbero riusciti a raggiungere l’isola di Svalbard prima che
la
tempesta li facesse precipitare. La Gypsy
Dancer si era semplicemente trovata nel posto giusto al
momento sbagliato,
ed erano stati costretti a diventare il loro porto.
L’orologio
segna l’1 di notte, ma anche se a bordo tutto va bene, per la prima
volta Wolfram
Zähstein non riesce a farselo bastare. Perché anche se il pilota dello
shuttle ora
dorme nella cuccetta di cui si è appropriata, e l’imbecille che li ha
quasi fatti
precipitare sta probabilmente abbracciando la tazza (il peggior caso di
mal di
mare che Wolfram abbia mai visto in tutti i suoi anni sulle onde), il
terzo
passeggero ancora non vuole saperne di rientrare, preferendo rimanere
ad
osservare il vento e la neve.
L’orologio
segna l’1 di notte: è su quel ponte da tre ore, a 45 sotto zero.
…‘Fanculo.
Anche con addosso
un triplo strato isolante, Wolfram ha esitato ancora un attimo prima di
farsi
strada tra le raffiche e la neve. Per fortuna conosce la nave meglio
delle sue
tasche e un po’ grazie alla ringhiera sulla murata con cui tirarsi, un
po’ per
intuito, l’ha trovato abbastanza in fretta: il passaggio di raccordo
sotto la
passerella di collegamento tra la piazzola d’atterraggio e il resto
della nave.
Uno dei pochi luoghi in cui il suono del vento attorno a loro venga
attutito. Deve
sempre essere rimasto lì, senza muoversi affatto: la neve ha cominciato
a
posarsi non solo attorno, ma anche sopra di lui, al punto che il
capitano ha
creduto per un istante che si fosse congelato. Un terrore di breve
durata il
suo però, meno di un istante, perché il Midion ha cominciato subito a
muovere
le mani e a parlare, lasciando che la neve gli cadesse negligentemente
di dosso
da sola:
“Capitano.”
“…Non ha freddo?”
Wolfram batte gli scarponi
sul ponte e si spazzola le spalle per sottolineare la sua domanda,
mettendosi
con lui al riparo:
“No.” e dalla
voce sembra quasi che sorrida: “…Come può immaginare, abbiamo una certa
esperienza nel costruire corazze ambientali.”
“Mhh…” 8 millenni di guerra, deve
costringersi
a ricordare Wolfram: non riesce nemmeno ad immaginarli.
“Se può
rassicurarla, mi permetterebbe di sopravvivere anche se cadessi in
acqua. Sarebbe
piuttosto imbarazzante, però.”
“Oh?”
“Non galleggerei.
Anche senza la mia corazza voglio dire. Siamo troppo… densi.”
Uno
dell’equipaggio l’aveva perfino spiegato al suo capitano: il corpo
umano è
fatto circa al 65% - 70% d’acqua. L’ammontare in quello Midion non
arriva al
10%.
“Una ragione
di più per farla rientrare.”
“Mi conceda
questo capriccio: la vista è irrinunciabile.”
“La neve?”
“…Non
esattamente.” e questa volta Wolfram è certo che stia sorridendo: “Più
che
altro, ciò che essa mi dà.”
Il capitano
lo supera di tutte le spalle e quasi metà del torso, eppure parlare con
quel
Midion gli dà una strana sensazione, anche se non riesce a dargli un
nome
preciso. È qualcosa del colore della nostalgia, ma allo stesso tempo
diversa.
Non è solo
una sua suggestione: tutti i Midion causano quella sensazione in noi.
“E che cos’è?”
“Prospettiva
e idee.” risponde pronto il Midion, come se si fosse aspettato la
domanda: “…Nella
mia lingua, ciò che in questo momento copre tutto non ha una parola con
cui io
possa indicarla. Anche ora sono costretto ad usare un giro di parole, o
affidarmi alla vostra lingua per chiamarla. Nella mia, noi possiamo
solo
indicare e dire: questa è acqua che cade
dal cielo. Non conosciamo una parola per indicare questa
bellezza.”
“…È solo
neve.”
“Lo è per
lei, capitano. Ma la mia specie ha dovuto inventare il viaggio
interplanetario
per poterla vedere per la prima volta. La parola stessa con cui nella
mia
lingua indichiamo casa, viene da un
termine che indica a sua volta il luogo dove acqua scorre liquida. Può
provare
ad immaginare cosa questo implichi... Prospettiva.” gesticolò
lentamente il
Midion.
“Lei è un
linguista?”
“No, affatto.
Il mio campo di specializzazione è la comparazione evolutiva tra specie
diverse.”
“E come è
finito qui?”
“Sulla sua
nave? Mister Johnson ha saputo della mia qualifica dall’ammiraglio.
Così, sono
stato invitato a visitare il vostro caveau globale dei semi, sull’isola
di
Svalbard.”
“L’ammiraglio…?”
“Sì, sono
l’ufficiale scientifico capo della flotta del Vento.”
“Ah.”
“…Sembra che
conosca un po’ della mia cultura. Dovrò disperdere qualche preconcetto?”
“No. Ma
spero non si aspetti un inchino.”
“Affatto. Sono
un ospite dopotutto.”
A quanto
pareva, il pilota dello shuttle aveva avuto torto nel lamentarsi:
nessuno di
noi può dire di conoscere davvero l’interezza della cultura Midion, ma
ci sono
alcuni elementi che siamo in grado di comprendere più facilmente di
altri,
perché risuonano con la nostra cultura… o con i nostri tabù. Ad
esempio, è vero
che i Midion si nutrono solamente con cibo vivo: le loro battute di
caccia nel
deserto sono ancora oggi una parte imprescindibile della loro
socialità,
nonostante il tributo di vite che continua a costare. E sì, è anche
vero che nello
loro cerimonie funebri si pratica del cannibalismo rituale. Entrambi
questi
aspetti però, che ci appaiono così primordiali per la cultura di un
impero
interstellare, devono essere considerati nell’ottica della loro storia
e
soprattutto del loro mondo natale: un luogo in cui di giorno il nostro
sangue
bollirebbe spontaneamente, se esistesse ancora. Ciò che noi chiameremmo
un
deserto spietato, per i Midion è solo un giardino di dune. Ma come i
Midion
hanno dovuto imparare molto presto, tutti questi giardini devono essere
difesi:
l’hanno imparato bene e ora prosperano, nonostante tutto.
La società
Midion non possiede il nostro concetto di nobili o di re. Ciò che più
si
avvicina ad essi si può trovare all’apice delle gerarchie nelle quali è
organizzata la loro popolazione, con i Tearki a svolgere il ruolo di
governatori planetari e “difensori di tutto ciò che si trova a terra”,
mentre
quella militare, con gli ammiragli a soprintendere alle loro flotte
come
capiclan, ha la consegna di “combattere tutto ciò che si trova tra le
stelle”.
Dona una certa
prospettiva sulla loro società il riflettere sul fatto che sia i Tearki
che i
loro ammiragli di flotta rispondono entrambi ad una sola persona: nella
nostra
lingua lo chiameremmo imperatore-dio, dato il suo ruolo e l’ossequio
con cui i
Midion lo invocano. Nella loro lingua però, egli è “il molto riverito (perché estremamente) avvelenato”.
Dunque,
l’ospite di Wolfram era qualcuno che aveva l’orecchio di un signore
della
guerra che non solo rispondeva direttamente all’Imperatore-Dio dei
Midion, ma
che anche aveva il potere e il diritto di incenerire interi pianeti, se
lo
avesse creduto necessario. Qualcosa che doveva aver già fatto per
decadi, prima
di essere costretto a riparare nel sistema solare per far riparare le
proprie
navi, in modo da tornare a farlo. Ecco perché nel caso del suo
ufficiale
scientifico capo, era importante cercare di accontentarlo.
Comprendendo
a fondo questo, il capitano inspirò profondamente, il naso e la bocca
ben al
riparo del bavero della giacca isolante:
“Riesco a
capire cosa intende per prospettiva. Ma in che senso idee?”
“Cosa rivela
sulla mia specie e la mia cultura il fatto che non abbia una parola per
definire la pioggia, o la neve? Oltre all’evidente s’intende: l’acqua
che
conosciamo solamente per essere così rara, qui abbonda al punto che il
cielo può
disfarsene… È così difficile essere qui per noi.”
“In che
senso?”
“È bello al
punto da farmi dimenticare quanto possa essere fragile. E quindi mi
sforzo di
pensare quale sia il modo migliore per poterlo tenere al sicuro.
Ammesso che ne
abbia il diritto, certo.”
“…E le è
venuto in mente qualcosa?”
“Molte cose:
non so ancora se vi piaceranno.”
“Crede che
ci potrebbero essere d’aiuto?”
“…Estremamente.”
“Allora non
so se abbiamo il diritto di non farcele piacere.”
“C’è sempre
una scelta, capitano. Più di quanto possiate immaginare: raramente però
sono
facili. Un po’ come lei quando ha scelto di venire a cercarmi.”
“Si è
trattato solo di uscire…”
“Le è solo
sembrato. Noi rappresentiamo una terribile incognita per voi: anche per
questo siamo
grati dell’accoglienza che avete voluto darci. Più di quanto riusciamo
ad
esprimere… Lo sa, a volte non riesco a capire se voi esseri umani siete
di una
purezza infantile, o solo molto ignoranti.”
Il capitano
fece quasi in tempo a rispondere, ma il Midion si mosse, troppo veloce
per
riuscire a seguirlo, appoggiandogli quasi una mano sulla bocca: Wolfram
poteva
superarlo di tutta la testa e metà del busto, ma il capitano sa che
avrebbe
potuto piegarlo come un foglio di carta se solo avesse voluto.
“…E, ad
essere sincero, è una domanda di cui non voglio conoscere la risposta.”
“Perché
potrebbe non piacerle?”
“Perché
toglierebbe qualcosa alla bellezza di questo mondo e della specie che
lo
abita.” e detto questo, l’alieno tornò ad osservare ciò che la sua
lingua non
aveva parole per esprimere, mentre lentamente i fiocchi si facevano
trasportare
dal vento e dalla gravità.
Wolfram
restò con lui fino a quando il vento calò, senza pronunciare altro che
il suo
respiro: la polmonite che si prese e il principio di congelamento ne
sarebbero valsi
la pena.
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