Si
risvegliò di colpo quando le campane suonarono le dieci. Non
si era
accorto di essere tanto stanco e nemmeno di essersi addormentato
accanto ad Elke dopo averla curata.
Ancora
mezzo stordito si stiracchiò, guardandosi attorno con aria
confusa.
Fuori dalla finestra poteva vedere la neve che scendeva
incessantemente imbiancando la città, dandole luce e vita in
quella
notte di Natale.
Mancavano
solo due ore alla mezzanotte e dalla strada cominciavano ad arrivare
voci e schiamazzi di chi, incurante del gelo e della forte nevicata,
si cominciava ad avviare verso la Chiesa per prendere parte alla
Messa.
Sospirando
e ricordando quanto successo poche ore prima proprio in Chiesa,
abbassò lo sguardo su Elke che ancora giaceva priva di sensi
sul
letto, avvolta nella coperta rossa che le aveva messo addosso dopo
averla curata con l'acqua del lago. Non si era mossa per niente e la
sua espressione era stanca ma sembrava anche distesa, nonostante
tutto. Sapeva che stava meglio, le ferite sul suo corpo erano
scomparse e la sua fronte non scottava più, ma era cosciente
di
quanto la sua mente fosse scossa e di quanto fosse stata fuori di
sé
fino a poco prima. Certo, poteva essere stato a causa della febbre e
del dolore, ma era anche consapevole del fatto che Jakob aveva
ragione, le ferite interne, quelle della sua anima, sarebbero state
più difficili da curare.
Si
sedette, piegando le ginocchia sotto al mento. Con la mano,
distrattamente, le sfiorò i capelli ancora richiusi in
quella coda
di cavallo malfatta, finché non la sentì gemere e
lamentarsi.
"Elke?".
La
ragazza mugugnò qualcosa, poi aprì gli occhi con
aria spaesata. Il
suo sguardo era vago e confuso, come se faticasse a capire dove si
trovasse in quel momento.
"Come
ti senti?".
Elke
lo fissò per alcuni istanti, poi si guardò,
accorgendosi di essere
senza vestiti e avvolta in una coperta. La sua espressione si fece
sospettosa ed allarmata. "Che cosa...?".
Assolutamente
tranquillo, Mattheus alzò le spalle. "Dovevo medicarti la
schiena, con gli abiti addosso mi sarebbe stato impossibile".
Gli
occhi di Elke si assottigliarono. "Non avresti dovuto farlo! Che
ore sono, da quanto sono qui?".
Il
tono di voce di Elke era ancora freddo ed impersonale.
Deglutì.
"Mancano meno di due ore alla mezzanotte".
La
ragazza spalancò gli occhi, come colta da un attacco di
panico.
"Dannazione, dannazione! Come hai potuto tenermi qui fino a
quest'ora? Devo tornare in Chiesa o...".
Fece
per alzarsi, ma con una presa ferma sul suo polso la bloccò,
costringendola a sedersi di nuovo. "Tu non vai da nessuna parte.
Eri piuttosto malconcia fino a poco fa, avevi la febbre alta e le
ferite sulla schiena si erano infettate. Ti ho curata ma ora resterai
qui finché non ti sarai ripresa del tutto".
Lo
sguardo di Elke si piantò su di lui con una ferocia che in
qualche
modo lo spaventò. Non la conosceva, non sotto quell'aspetto.
"Quello
che faccio non è affar tuo, Mattheus! Per colpa tua sono nei
guai,
di nuovo!".
"Che
cosa avrei dovuto fare, lasciarti ferita e febbricitante davanti a
quella Chiesa?".
"Sì,
esattamente! E' quello che io del resto avrei fatto con te se le
parti fossero state invertite. Non hai nessun dovere verso di me e io
voglio che tu mi lasci in pace".
Lo
disse con una freddezza e una noncuranza che lo ferì. "Non
ti
credo" – rispose, con una nota di incertezza nel tono di voce.
"Non
mi interessa! E ora dammi i miei vestiti".
"No".
Davanti
alla sua fermezza, Elke si strinse nella coperta, sospirando. "Vedo
che la testa dura non l'hai persa".
Mattheus
annuì. "E non ho intenzione di perderla nemmeno in futuro.
Per
favore, resta qui al caldo e al sicuro, hai bisogno di riposo e se
esci ora ti ritornerà la febbre. Eri ridotta davvero male
Elke, se
non ti avessi curata avresti potuto rimetterci le penne".
La
ragazza si guardò le mani, quasi incredula di rivederle di
nuovo
sane, stringendo poi i pugni con forza. "Non ci avrei rimesso le
penne, non sono così fortunata. Sarebbe stato ironico se
fossi
morta, sarebbe stato il primo favore di suor Faustine. E lei non mi
farebbe nessun favore, te lo assicuro!".
Mattheus
si oscurò a quelle parole. "Non dire mai più una
cosa del
genere!" - disse in tono secco ed irritato. Non le avrebbe MAI
permesso di pensare e sperare in una cosa del genere!
Anche
lo sguardo di Elke si fece duro. "Come puoi dirmi cosa sperare e
cosa volere per me stessa? Cosa ne sai di quello che si prova ad
essere me? Cosa ne sai del dolore che si sente quando con una cinghia
ti lacerano la carne e colpiscono, colpiscono senza pietà
anche se
urli, piangi e implori di smettere? Cosa ne sai di come si sta al
mondo quando tutti ti guardano come se fossi la peggior creatura
degli inferi? Cosa ne sai di come vive una persona che non avrebbe
dovuto nemmeno nascere e che non è mai stata accettata
nemmeno dai
suoi genitori? Cosa ne sai di cosa si prova quando sai che al mondo
non c'è nessuno che combatterebbe per te, che tiene a te e
che
correrebbe in tuo aiuto quando ne hai bisogno? Quando saprai
rispondere a tutte queste domande, Mattheus Hansele, allora forse
ascolterò una tua paternale".
Si
morse il labbro. Perché non aveva idea di cosa dire, Elke
aveva
ragione, lui non sapeva nulla. "E' vero, non so niente di queste
cose e da stupido non ho mai cercato di capirle quando ne avevo
l'occasione. Dimmelo per favore, spiegami cosa si prova ad essere
te!".
"Che
ti importa?".
"Mi
importi tu!". Perché negarlo ancora a se stesso e
soprattutto a
lei? La stava perdendo per sempre e doveva lottare per riaverla,
mettendosi a nudo come non era mai stato capace di fare.
Elke
però non parve molto colpita da quelle parole. Scosse la
testa,
stringendosi nella coperta. "Mi hai sempre mentito e lo stai
facendo anche adesso. Avete sempre mentito tutti! A nessuno importa
di me e sicuramente tu non sei un'eccezione".
"Elke
ti prego!". Alzò la mano ad accarezzarle la guancia, in un
gesto istintivo. Sapeva che non si fidava di lui ed era consapevole
che ne aveva mille buoni motivi, ma non poteva accettarlo. "Io
non ti ho mai mentito e tu lo sai. Io, Falko, Drago e Jutta ti
abbiamo sempre voluto bene. Non puoi pensare sul serio che non ci sia
mai importato di te".
Al
sentire quei nomi, Elke impallidì. "Ti prego Mattheus, non
farmi questo, smettila di dire cose in cui nemmeno credi
perché la
tentazione di illudermi che siano vere è troppo forte per
combatterla. Non hai mai creduto in me, lo hai detto pure tu quel
giorno che non avevi alcun motivo per pensare che non fossi la figlia
del diavolo, visto che tutti affermavano il contrario".
Mattheus
si morse il labbro. Ricordava bene quelle parole e la sua rabbia nel
pronunciarle. Era fuori di se quel giorno, aveva bisogno di sfogarsi
e lo aveva fatto con la persona che meno se lo meritava, ferendola di
proposito. "Elke, scusami".
La
ragazza scosse la testa. "Non è necessario scusarsi, non ha
importanza. E' passato tanto tempo e ormai ci sono talmente abituata
che non mi importa più. E' sempre così,
sarà sempre così per me e
tu sei solo uno dei tanti, Mattheus. Prima volevi sapere cosa si
prova ad essere me, giusto? E allora te lo dirò, visto che
sembri
tenerci tanto". Alzò gli occhi al soffitto, osservandolo
distrattamente. "E' come vivere perennemente in una bolla di
sapone, Mattheus. Il mondo sta di fuori, quelli normali e sempre nel
giusto son tutti lì, vicini a me ma allo stesso tempo
lontani ed
irraggiungibili. Io non posso uscire da quella bolla perché
non
potrò mai essere come gli altri ma voi invece certe volte
riuscite a
raggiungermi ed arrivate a me per ferirmi, umiliarmi e poi vi voltate
e riprendete a condurre le vostre vite perfette. La bolla di sapone
mi isola ma non riesce a proteggermi, mai. Ecco come mi sento
Mattheus, sei soddisfatto ora?".
"No".
Non lo era, si sentiva uno schifo ora che aveva udito quelle parole.
Era stata sincera Elke, lo sapeva, lo aveva percepito nella nota di
dolore di ogni singola sua frase. Tre anni prima non aveva compreso
appieno quanto l'avesse ferita, aveva preferito pensare che quella di
Elke fosse stata una reazione infantile ed esagerata ad un semplice
litigio, ma non era così, ora ne aveva la piena
consapevolezza, ora
sapeva cosa voleva dire essere una persona albina. Essere Elke
significava vivere avendo come uniche compagne paura e solitudine,
significava venire picchiati e frustati senza motivo e senza che
nessuno muovesse un dito per aiutarti, significava desiderare di
morire perché a un certo punto, superato un certo limite,
tutto
diventa insopportabile. "Ti sentivi così anche a Pennes,
quando
vivevi con me e i gemelli?".
"No,
forse con voi non era così. Sai, io...". Le tremò
la voce,
quasi facesse violenza a se stessa per non piangere. "Io volevo
solo avere una mamma che mi stesse vicino e mi insegnasse tutto
quello che sapeva fare lei, volevo un papà forte che ogni
tanto mi
prendesse fra le braccia per proteggermi, volevo giocare con le mie
sorelle, volevo crescere e magari innamorarmi di qualcuno. Avrei
voluto, come tutte le donne, desiderare un figlio un giorno e non
sentirmi così, con la consapevolezza che non posso
permettermi di
averne perché l'unico modo in cui un uomo si avvicinerebbe a
me è
con la violenza e perché il mio bambino potrebbe nascere
albino. Non
sarò e non saprò mai fare la madre, visto che
nessuno mi ha mai
insegnato come si fa".
Mattheus
spalancò gli occhi. Era così diversa dalla
ragazzina dei suoi
ricordi, un po’ dolce e un po’ ingenua. Era
cresciuta, era una
donna che ne sapeva della vita molto più di lui. Era
disincantata,
aveva perso l'innocenza e l'ingenuità di una volta, aveva
smesso di
sognare e non aveva alcuna aspettativa per sé, era ben
cosciente di
cosa la circondasse e di come le cose sarebbero sempre state
difficili per lei. "Vorrei poterti dire che ti sbagli, che un
giorno le cose si sistemeranno, ma la verità è
che sarebbe una
bugia, giusto?". Le accarezzò il mento, costringendola ad
alzare il viso per guardarlo in faccia. "Però posso anche
dirti
che non hai ragione su tutto perché non è vero
che nessun uomo si
avvicinerebbe a te se non con la violenza e non è nemmeno
vero che
sei sempre stata sola, avevi noi. Sai, dopo che te ne sei andata, una
sera Falko e Drago, parlando di te, hanno detto che eri la
principessina della nostra casa ed era vero. Dopo che te ne sei
andata, quella casa è diventata improvvisamente vuota e
priva di
calore e ci sei mancata. A ME sei mancata!".
A
quell'ammissione, gli occhi di Elke divennero lucidi e alla fine
quelle lacrime che aveva cercato di trattenere con tutta se stessa
presero a rigarle il viso. "Ma mi avete mandata via, non vi
è
importato nulla di me. Eravate la mia famiglia e mi avete lasciata
sola anche voi" – sussurrò, con rabbia.
"Falko
e Drago non c'entrano, è stata solo colpa mia". La
abbracciò
ed Elke non oppose resistenza. Sentiva i suoi singhiozzi, il calore
delle sue lacrime sul collo e si sentì sollevato
perché tutto
quello di cui aveva bisogno era sfogarsi. "Vuoi sapere la
verità
su quel giorno e su tutto quel che mi riguarda? Tu prima, quando ti
ho chiesto cosa provassi, sei stata sincera. Credi di potermi
permettere di fare altrettanto?".
Elke
alzò lo sguardo su di lui. "Raccontarmi la
verità... su
cosa?".
"Su
tutto. Una volta eri così incuriosita da cosa nascondesse il
lago di
Valdurna e dall'origine dei miei poteri, ricordi?".
Elke
annuì, asciugandosi la guancia col palmo della mano. "Non
sei
obbligato a raccontarmi niente".
"Ma
voglio farlo. Non è una giustificazione al modo in cui mi
sono
comportato con te, ma quanto meno, forse, potrai capire il
perché
quel giorno sono ammattito all'improvviso. Non chiedo il tuo perdono
perché forse nemmeno me lo merito ma io..." - strinse il
lenzuolo fra le mani, nervosamente – "Io te lo avevo promesso
esattamente tre anni fa. Ti avevo promesso che te l'avrei detto prima
o poi e credo non ci sia momento più adatto di questo".
Elke
si scostò da lui, mettendosi a sedere, con la schiena
appoggiata
alla spalliera del letto e stretta nella coperta. "Non hai
obblighi verso di me ma... va bene, se è quello che vuoi
davvero".
"E'
una storia lunga" – la avvertì.
Elke
non rispose e con sguardo basso annuì col capo, come ad
incoraggiarlo ad iniziare. Era strano fare quel discorso, ricordare
ad alta voce la sua storia, raccontarla a qualcuno e mettersi a nudo.
Raccontare significava rivivere gioie e dolori che aveva tenuto
celati nella sua mente per fin troppo tempo. Non aveva idea di quello
che lei avrebbe pensato, di cosa avrebbe detto alla fine del
racconto, di come si sarebbero messe le cose fra di loro. Ma non
avrebbe omesso niente!
Prese
un profondo respiro e parlò a lungo mentre le parole
venivano fuori
con una facilità estrema, come un fiume in piena che non
aspettava
altro che straripare. Gli raccontò della sua infanzia in
Val Ridanna,
dei suoi genitori, della volontà di suo padre di affidare la
sua
educazione a Jakob, di come fosse cresciuto con quell'anziano maestro
diventato di fatto una figura di riferimento talmente forte da far
impallidire le altre presenti nella sua vita, di come si fosse
improvvisamente ritrovato orfano e di come la sua vita, da quel
momento, avesse preso strade inaspettate. Gli raccontò ogni
cosa di
Jakob, della sua gioventù, del forte guerriero che era
stato, di
come, durante i suoi viaggi, avesse appreso dagli stregoni del nord
del continente ogni segreto della magia bianca e della magia nera, di
cosa lo avesse legato a Jutta e di come, una volta fattosi anziano e
suo maestro, lo avesse introdotto alla conoscenza delle fate, degli
elfi, degli gnomi e di tutte le altre creature che poi aveva fatto
conoscere anche a lei. Infine le parlò di quel giorno quando
Lucius,
il demonio, lo aveva sfidato e Jakob, ormai anziano, per difendere
lui e Jutta si era battuto fino all'ultimo sangue, morendo sconfitto.
Gli raccontò delle sue ultime volontà, di venire
cremato e di
spargere le sue ceneri nel lago e di come, da quelle acque,
continuasse a stargli vicino e ad aiutarlo. E infine quanto successo
a Pennes dopo che se n'era andata, della sua battaglia con Lucius e
di quello che aveva fatto Jutta per salvare lui e tutto il villaggio.
Elke
non lo interruppe mai, lo ascoltò a testa bassa senza
espressioni
sul viso, senza apparenti emozioni, in assoluto silenzio. Solo alla
fine di tutto, quando il silenzio ripiombò fra loro come un
macigno,
si decise a sollevare lo sguardo e a guardarlo negli occhi. "Quindi
è per questo che mi avevi detto che l'acqua del lago ascolta
solo
te! Non è l'acqua in sé ma Jakob che, attraverso
di essa, continua
a starti vicino e ad aiutarti. Non è una tua magia...".
Mattheus
annuì, imbarazzato di fronte a quelle parole. Se Elke
l'aveva
creduto infallibile ed irraggiungibile in passato, probabilmente si
era ricreduta di molto circa le sue reali capacità. "Si, per
questo tu o chiunque altro non potete usare quell'acqua come faccio
io. Jakob è lì solo per me. Non so
perché sia rimasto, perché non
abbia abbracciato quella pace eterna a cui tutti ambiamo dopo la
morte, non lo so davvero. Ma lui c'è ed è come se
continuasse a
vivere".
Elke
scosse la testa. "Non glielo hai mai chiesto? Tu in fondo non
hai bisogno di lui, tu sai usare la magia indipendentemente
dall'acqua. Come hai fatto prima, quando hai attaccato suor Faustine.
Non hai usato l'acqua del lago, ma hai creato comunque qualcosa di...
potente".
"Sì,
io posso essere autonomo come stregone, indipendentemente da Jakob.
Mi aveva insegnato tutto quello che sapeva e studiando, negli anni,
ho appreso ancora più cose. Ma il lago e quell'acqua sono
l'unico
legame che mi unisce ancora a lui e a quella che era la mia famiglia
e non me ne riesco a staccare".
"E
allora Mattheus, forse è per questo che rimane e continua ad
aiutarti, perché non sei pronto a lasciarlo andare".
Mattheus
sorrise amaramente. Elke aveva ragione e sicuramente aveva centrato
il punto della situazione meglio di quanto avesse mai fatto lui. "Una
volta ti avevo detto di crescere in fretta ma temo di essere io
quello ancora immaturo. Riesci a capirmi meglio di chiunque altro al
mondo".
Elke
scosse la testa. "No, non è vero, io non posso capirti, non
in
questo. Non posso capire come ti senti perché io non ho mai
avuto
nessuno accanto e quindi non so cosa si provi di fronte alla perdita
di una persona cara". La sua espressione si addolcì e con
sua
somma sorpresa alzò la mano ad accarezzargli la guancia.
"Però
mi dispiace per te, quello che hai vissuto è stato qualcosa
di
terribile, soprattutto perché eri un ragazzino".
Per
un momento rimase spiazzato e non seppe cosa dire. Non si aspettava
un gesto gentile da parte di Elke, ma in fondo, pensandoci bene, era
così tipico della persona che lei era. Non era cambiata poi
così
tanto, dopo tutto. "Sai, per un attimo oggi, davanti a quella
Chiesa, ho creduto di averti persa per sempre, che avessi abbracciato
il male, che lo desiderassi. Ma per fortuna non è
così, sei ancora
capace di essere dolce e gentile".
Elke
sospirò. "A dire la verità Mattheus, sono
fortemente tentata
dalla voglia di picchiarti".
"Puoi
farlo se pensi che ti farà star bene, in fondo me lo merito".
"Non
mi tentare".
Le
prese la mano fra le sue, portandosela alle labbra e baciandola. "Tu
non potrai mai essere diversa da quello che sei sempre stata. Puoi
provarci, certo, ma sarai sempre destinata a fallire. Se c'è
al
mondo una persona che non è in grado di essere cattiva,
quella sei
tu".
La
ragazza scosto lo sguardo da lui. "Lo vorrei tanto sai? Essere
come la gente crede che io sia. Sarebbe tutto più semplice
ma io non
ne sono capace, avevi ragione tu, non so fare niente, non so nemmeno
essere la figlia del diavolo".
Mattheus
scosse la testa. Non era vero che non sapeva fare niente e non voleva
che lo pensasse. Con la mano le sfiorò la nuca, attirandola
a se e
costringendola a poggiare la fronte contro la sua. "Tu sei la
miglior persona che mi sia mai capitato di incontrare e ti prego,
credimi, non ho mai pensato che potessi avere attinenza con demonio.
Il diavolo non fa figli e se anche li facesse, non sarebbe tanto
idiota da renderli riconoscibili dal colore dei loro capelli. E'
subdolo, ma non stupido, ricordatelo! E dopo quello che mi è
successo, ti assicuro che se avessi avuto anche il minimo sospetto di
un tuo collegamento con Lucius, non ti avrei permesso nemmeno di
rivolgermi la parola. No Elke, tu sei altro... Tu sei semplicemente
una ragazza coi capelli chiarissimi, tutto qua, hai i pregi e difetti
di ogni persona vivente e le debolezze e la forza che ognuno di noi
possiede. Tu sei una persona buona e gentile, sei simpatica, ironica,
intelligente e curiosa, ami e conosci la montagna e le sue leggi
meglio di chiunque altro e sai rispettarla e rispettare gli esseri
che vi vivono come ben pochi sanno fare. Sei quella che da bambina
aveva una lupa per amica e quella che mi ha sopportato per mesi,
nonostante il mio pessimo carattere. E sei stata la migliore compagna
ed assistente che avrei mai potuto desiderare, una persona di cui mi
sono sempre fidato ciecamente, tanto da permetterti di ficcanasare
nella mia sacca da viaggio mentre dormivo. Ricordi quella sera,
quando siamo rimasti bloccati in quella baita a causa della tormenta
di neve, solo io e te?".
Elke
sussultò, arrossendo. "Si... Me lo ricordo".
Per
un attimo chiuse gli occhi, riassaporando il calore e
l'intimità
respirata in quella baita dispersa in mezzo alla tormenta. "Mi
ero addormentato e quando mi ero risvegliato, tu eri lì a
pochi
passi da me a lavorare. E per la prima volta mi sono reso conto che
potevo lasciarti rovistare fra le mie cose senza problemi, che non mi
importava che frugassi nel mio zaino e che era bello non esserne
preoccupato perché mi fidavo ciecamente di te. Sapevo che
avrei
potuto riaddormentarmi senza problemi e tu avresti fatto un ottimo
lavoro comunque, per me. Non è vero che non sai fare nulla
Elke, sei
dannatamente in gamba e sei sopravvissuta all'inferno fin da quando
sei venuta al mondo, cosa che io probabilmente non sarei riuscito a
fare. E poi... sei stata anche il mio porta fortuna, sai?" - le
disse, strizzandole l'occhio.
"Cosa?".
Alzò
la mano destra, tirandosi su la manica. Sul polso aveva legato un
nastrino blu che portava sempre con se da tre anni a quella parte.
"Lo ricordi?".
Elke
lo guardò storto. "Quello è mio!".
Mattheus
scosse la testa. "Sbagliato, è mio! Me lo hai regalato".
Sul
viso di Elke comparve l'ombra di uno stentato sorriso. "Già,
il
giorno che era nato Blue. Ed avevi borbottato per ore, se non ricordo
male".
"Sì,
è vero, ma come vedi l'ho tenuto!".
La
ragazza allungò la mano a sfiorare il nastrino. "Davvero ti
ha
portato fortuna?".
"Certo!".
Elke
sorrise, questa volta in modo più disteso. "Suppongo quindi
che
i tuoi affari a Bozen siano andati a gonfie vele!".
Quando
Elke sorrideva in quel modo dolce, si sentiva attratto da lei come
una calamita. La riattirò a se, abbracciandola. "La fortuna
è
stata rincontrare te" – le sussurrò all'orecchio.
"Mi
spiace di essermi comportato come un idiota l'altra notte in piazza,
quando mi hai visto la prima volta. E ancor di più per come
mi sono
comportato tre giorni fa, quando mi hai chiesto l'acqua per curare
una bambina. Sono orgoglioso e testardo lo sai, ma mi sono
sinceramente odiato dopo quello che è successo. Io sapevo
che eri a
Bozen ben prima di quella notte in cui ci siamo rincontrati in
piazza, ti avevo già vista per caso davanti al convento
alcuni
giorni prima. E avevo già visto anche quella suora di poco
fa e una
tua amica che suppongo sia la madre della bambina malata".
Elke,
benché stupita da quelle parole e forse desiderosa di fare
altre
domande, si limitò ad appoggiare il viso contro il suo
petto. "E
a me dispiace di averti fatto arrabbiare. Sono stata davvero stupida
ad offrirti quei soldi ma tu mi sembravi tanto intrattabile e non
sapevo come...".
"Tu
non hai colpe, avrei dovuto darti l'acqua e basta!" - concluse
lui, mentre senso di colpa e pentimento gli strisciavano in corpo
come serpenti. "Come sta quella bambina per cui ne avevi
bisogno?".
Elke
sorrise. "Meglio! I bambini sono molto resistenti, sai? Le ho
preparato una cura a base di erbe ed ha funzionato".
Mattheus
si accigliò. Tre giorni prima, quando Elke gli aveva chiesto
l'acqua, stava bene. Quindi le frustate erano state successive al
loro incontro e se tanto gli dava tanto, aveva passato dei guai
proprio a causa di quelle erbe. "Perché ti hanno frustata?".
Elke
si oscurò mentre la mano con cui gli stringeva la camicia
prese a
tremare. "Non voglio parlarne".
"E'
a causa di quelle erbe?" - insistette lui.
La
ragazza sospirò, arrendendosi. "Sei così
dannatamente
testardo! Dovevo trovare una cura per la piccola Anna e non avendo
l'acqua ho dovuto procurarmi quelle erbe e così sono stata
via tutto
il giorno e non ho potuto svolgere i lavori che mi avevano assegnato
al convento. Suor Faustine è sempre molto severa con me ma
ultimamente ho tirato molto la corda e disubbidito un po’
troppo
spesso per i suoi gusti. Tutto qui".
"Tutto
qui?". Mattheus la strinse a se. "E' colpa mia... Se non
avessi fatto l'idiota e ti avessi dato quella dannata acqua, avresti
potuto tornare subito al convento e non sarebbe successo nulla. In
fondo credo che tu debba darmelo davvero quel pugno".
Elke
scosse la testa. "Non sei stato tu a frustarmi e quindi non
è
colpa tua. D'altronde non potevi saperlo".
Le
sfiorò i capelli, baciandole la nuca. Nonostante le parole
di lei,
si sentiva uno schifo. "Potrai mai perdonarmi per tutto quello
che ti ho fatto?".
Elke
alzò lo sguardo. "La verità Mattheus,
è che tu hai fatto
molto per me, questo l'ho sempre saputo. Ogni volta che mi sono
soffermata a leggere un libro o un'iscrizione per la strada, non
potevo fare a meno di pensare che potevo farlo solo grazie a te e al
tempo che hai perso per insegnarmi a farlo. E poi mi hai dato una
casa, un lavoro, cibo e calore, sei stato la famiglia che non ho mai
avuto. Certo, mi hai ferita tre anni fa e ho tentato in tutti i modi
di odiarti ma non ci sono mai riuscita, non potevo! Ora so la
verità
e capisco perché fossi diventato tanto aggressivo quel
giorno. Avere
Lucius davanti agli occhi ti ha fatto rivivere il tuo passato e alla
fine te la sei presa con chi avevi più vicino. Uno sfogo,
che forse
potevamo risolvere in tempi brevi se io non fossi scappata e ti
avessi dato il tempo di calmarti".
Analisi
perfetta quella di Elke, ma le cose non stavano proprio
così.
Mattheus sorrise, appoggiando nuovamente la fronte contro la sua. Se
c'era un momento giusto per essere sinceri con se stessi e con lei,
era indubbiamente quello. "Non ero solo turbato dalla presenza
di Lucius. Io ero arrabbiato perché aveva osato toccarti,
prenderti
la mano e fare il cascamorto con te. Ero semplicemente geloso, non
volevo ti si avvicinasse, io non volevo... non voglio... dividerti
con nessuno. Non volevo che un essere del genere sfiorasse la persona
che più avevo a cuore, non...".
"Mattheus...?".
Le
accarezzò la guancia, attirandola ancora più
vicino. "Io
voglio che tu sia solo mia. Per tre lunghi anni non ho desiderato
altro che riaverti accanto, sentire la tua voce, abbracciarti e
tenerti vicina a me. Capisci cosa intendo?".
Elke
sorrise amaramente. "Capisco... che questa è la cosa
più
stupida che potresti mai desiderare. Potresti avere di meglio
Mattheus, lo sai anche tu".
"Sono
grande abbastanza per capirlo da solo cos'è meglio per me".
A
quelle parole Elke parve arrendersi e si avvicinò a lui
tanto che le
punte dei loro nasi si sfiorarono. "Chi sei davvero tu? Mi hai
mostrato mille facce, ma non ho ancora deciso quale sia quella
più
vera".
"Uno
che ha bisogno di te" – ammise – "perché
sei l'unica
che riesce a rendermi davvero felice e perché mi migliori.
Solo tu
riesci a farlo e non ho la minima idea di come ci sia riuscita a
farmi sentire così. Hai scombinato tutti i miei piani, la
mia vita,
il mio modo di essere e di pensare. Volevo stare solo e invece ora
non chiedo altro che di riaverti perché per me nulla avrebbe
senso
se non ti avessi al mio fianco. Io sono una persona che ha sempre
pensato che ad amare si rischiasse di soffrire e ora sono disposto a
correrlo quel rischio per te, se lo vorrai".
Elke
annuì, non allontanandosi da lui. "Ad amare si rischia di
soffrire, hai ragione... Ma si rischia anche di essere felici".
Lo
disse a lui, ma era anche piuttosto convinto che lo dicesse anche a
se stessa. Mattheus sorrise, accarezzandole la guancia. "Sei
diventata incredibilmente saggia, lo sai?".
"Ho
avuto un buon maestro".
Non
seppe resisterle. Quegli occhi blu, lo sguardo complice che si erano
appena scambiati dopo tanto tempo, dopo la lontananza e dopo che per
poco non si erano davvero persi per sempre, furono come una calamita.
Lasciò scivolare la mano dietro la sua nuca attirandola a se
e poi,
senza darle tempo di reagire o scappare, posò le labbra
sulle sue in
un lungo bacio. Non era nemmeno così sicuro di esserne
capace ma gli
venne talmente naturale che la sua mente, prima di zittirsi, se ne
stupì. La sentì tremare per un attimo e poi
rilassarsi fra le sue
braccia. Aveva labbra sottili e morbide e un modo di rispondere al
suo bacio un po’ stentato ma gentile.
Quando
si separarono, per alcuni istanti rimasero in silenzio a guardarsi
negli occhi. Le accarezzò la guancia e poi, senza incontrare
reazioni, la strinse a se accarezzandole i capelli. "Sei
autorizzata a prendermi a pugni anche per questo, ma credo che
comunque non me ne pentirò mai" – le
sussurrò all'orecchio.
Affondò il viso nel suo collo e Elke prese ad accarezzargli
i
capelli, piano, sfiorando uno ad uno i suoi ricci.
"Non
avresti dovuto andartene tre anni fa, mi sei mancata così
tanto. Mi
dispiace per tutto il male che ti ho fatto".
Elke
annuì. "E' passato tanto tempo". Fece scorrere le braccia
attorno alla sua vita, abbracciandolo, tornando poi ad accarezzargli
i capelli. "Sono più lunghi di come li ricordavo".
"Anche
i tuoi capelli sono diversi, non usi più nastrini colorati e
perline!".
La
presa di Elke si fece più forte. "Sono troppo grande per
usarli
ancora".
Non
era molto d'accordo su questa cosa e non era certo che quella fosse
la verità perché Elke adorava curare i suoi
capelli, ma non era
quello il momento per discuterne. C'erano ben altri pensieri che gli
frullavano per la testa e il suo corpo pareva andare a fuoco dal
desiderio. "Posso baciarti ancora?".
"Mattheus,
da quando mi chiedi il permesso per fare qualcosa?".
A
dispetto di tutto quello che si agitava in lui, gli sorrise. "Hai
ragione, devo essere completamente impazzito". Le sfiorò le
labbra con le dita della mano e Elke lo lasciò fare. Poco
prima il
loro bacio era stato istinto, passione. Ora era diverso, ora era
qualcosa di più dolce, tenero. Avvicinò le labbra
alle sue,
tentennò finché lei non gli sfiorò la
guancia con una carezza, per
incoraggiarlo. E alla fine chiuse gli occhi e cedette a un lungo
bacio, più profondo, meno incerto e pieno di desiderio.
Aveva
chiesto ad Elke di fidarsi di lui e lei, nonostante tutto, l'aveva
fatto, aveva scelto coraggiosamente di non chiudere il mondo fuori da
quella bolla di sapone che la imprigionava da quando era nata e gli
aveva aperto uno spiraglio.
Scivolarono
sul letto, senza riuscire più ad allontanare le loro labbra.
L'aveva
desiderata con tutto se stesso per tre anni e forse anche per lei era
stato lo stesso. Nessuno di loro fece più resistenza, era
finito il
tempo in cui lui era il suo maestro e lei la sua assistente, erano
cresciuti ed erano stati temprati entrambi da tre anni di nostalgia e
solitudine e ora lo sapeva, Elke era l'unica donna che desiderasse
avere vicino. Le sue labbra, il suo corpo sotto di lui lo inebriavano
e non credeva sarebbe mai stato possibile con nessuna donna. Per un
attimo si chiese se fosse giusto correre così, forzare i
tempi, se
Elke fosse davvero pronta e soprattutto se fosse pronto lui. Era
davvero arrivato il momento di spingersi così in
là, di dare una
svolta così repentina alla sua vita, di amare senza riserve?
Elke
sembrava tranquilla, Elke era SEMPRE tranquilla quando erano insieme,
ma lui... Si odiò perché anche in quel momento
razionalità e
ragione rischiavano di rovinare quel momento che non aveva fatto
altro che desiderare per tre anni. Perché non era capace di
lasciarsi andare in maniera spontanea come lei?
Di
colpo mille dubbi lo assalirono e si bloccò, allontanando le
labbra
da quelle della ragazza. "Per favore, se non mi fermi adesso,
dopo non sarò più in grado di farlo" –
sussurrò, col fiato
corto. "Forse non dovremmo...".
Elke
parve spaesata davanti a quelle parole ed allungò una mano
ad
accarezzargli la guancia, tentando di rassicurarlo. "Va tutto
bene, sta tranquillo".
Di
tutta risposta, Mattheus si mise a sedere. Scosse la testa. "Elke
io... io non so garantirti di esserne capace, di essere un compagno
perfetto e un amante degno di te. Io sono una persona egoista,
egocentrica e senza alcuna esperienza significativa con una donna.
Non è giusto che ti spinga a...".
"Non
mi stai spingendo a fare niente, l'ho scelto io di farti avvicinare.
E non è stato facile, te lo assicuro. Mi hai chiesto
fiducia, io te
l'ho data di nuovo ma ora devi essere tu a fidarti di te stesso. Cosa
c'è che non va?".
Sospirò,
guardandola negli occhi. "Non hai paura?".
Elke
sorrise in un modo dolce, avvicinandosi a lui e poggiando la testa
contro la sua spalla. "Avevo paura di mio padre da bambina e ho
paura di suor Faustine qui. Ma non di te e non di questo".
"E'
che..." - arrossì davanti a quell'ammissione così
intima –
"E' che mi è difficile esprimere davvero cosa provo, i miei
sentimenti, mettermi a nudo e mostrare lati del mio carattere che di
solito tengo ben nascosti. Tutti conoscono Pfeifer Huisele lo
stregone ma nessuno, a parte te e Jutta, conosce davvero Mattheus
Hansele. E io non conosco me stesso nel ruolo di innamorato e amante
di una donna, non so se ne sono capace e non posso garantirti che non
ti deluderei". Parlò come un fiume in piena, stupendosi di
quanto gli risultasse semplice, nonostante tutto, fare quelle
ammissioni a lei.
Elke
per un attimo rimase in silenzio davanti a quelle parole ed ebbe
paura di averla delusa e che pensasse che fosse un codardo. Cosa che
in realtà era, probabilmente! Poi, con un gesto lento si
portò la
mano ai capelli, sciogliendo la coda di cavallo che li teneva legati.
Quei capelli, candidi e morbidi, una volta liberi presero come vita,
formando morbidi boccoli che le ricaddero sulle spalle e sulla
schiena.
Spalancò
gli occhi, sorpreso da quel gesto. Sapeva quanto le costasse farlo,
cosa rappresentassero per lei quei capelli e quanti guai aveva
passato a causa loro. E ricordava la sua ritrosia a tenerli slegati e
senza nastri e perline che ne celassero un pò il colore. Non
l'aveva
mai vista coi capelli sciolti. "Cosa fai?".
Elke
sorrise, vagamente intimorita dal suo stesso gesto. "Così
siamo
pari!Se io riesco a fare questo, puoi riuscirci anche tu".
Le
accarezzò i capelli che ora, sciolti, sembravano ancora
più morbidi
e lucidi. Scivolavano fra le sue dita come fossero seta e si
trovò a
pensare di nuovo a quanto la desiderasse. "Sei davvero bella".
Già, e lui la adorava! Il suo coraggio, la sua dolcezza e
l'intesa
che sembravano trovare ogni volta che si trovavano insieme avevano
vinto tre anni di lontananza, silenzi e dolore. Non aveva motivo di
avere paura del loro rapporto, non era più tempo di scappare
e Elke
aveva ragione, se riusciva ad essere coraggiosa e positiva lei, di
certo poteva sforzarsi di esserlo altrettanto. Non avrebbe potuto
resistergli ulteriormente, non dopo quel gesto. Sapeva che l'aveva
fatto per lui e che solo a lui avrebbe dato l'onore di vederla
così.
"Vieni quì" – le sussurrò, attirandola
a se. Coprì le
mani con cui si teneva addosso la coperta con le sue, forzandole a
lasciare la presa. "Sei sicura che non te ne pentirai?".
"No,
se non te ne pentirai tu".
"Dubito
che succederà" – disse, prima di baciarla ancora.
Elke
allentò la presa sulla coperta, lasciò che
cadesse alle sue spalle
e lo avvolse a sua volta in un abbraccio. Crollarono sul materasso,
su quella coperta rosso fuoco, gustandosi quei primi momenti tanto
intimi insieme.
Mattheus
le sfiorò i fianchi e poi, con un pizzico di timore, i seni,
non
particolarmente grossi ma assolutamente perfetti per lui. Era snella,
aveva la pelle liscia e il corpo minuto, lo inebriava.
La
baciò a lungo sulle labbra e poi sul collo, sul petto,
guidato da un
istinto che non sapeva di avere. I pensieri, i timori avuti fino a
poco prima parvero scomparire come per magia e sapeva che era solo
grazie a lei che si sentiva così. Era felice,
incredibilmente
felice. Stava bene e anche Elke era tranquilla, poteva percepirne lo
stato d'animo da come rispondeva alle sue carezze e ai suoi baci, in
modo naturale e senza timori, quasi fossero una cosa sola, quasi che
non avessero mai fatto altro che quello, nella loro vita.
Il
suono delle campane che annunciavano la mezzanotte li fece
momentaneamente fermare. Si guardarono negli occhi ed Elke lo
baciò
sulle labbra, sorridendogli. "Sai Mattheus, tu riesci sempre a
rendere belli i miei Natali".
"Anche
tu".
"Buon
Natale, stregone".
"Buon
Natale, ragazzina".
Mattheus
le prese le mani, guidandole fino al primo bottone della sua camicia.
Non aveva mai odiato avere addosso degli abiti come in quel momento.
Elke posò brevemente lo sguardo sul suo viso,
deglutì e sapeva che
era indecisa sul da farsi, che si sentiva imbarazzata e impacciata.
Guidò le sue dita fino al primo bottone e poi le
lasciò la mano,
aspettando che facesse da sola.
La
ragazza giocò un po' con la stoffa, poi la sua espressione
si fece
più decisa. Sbottonò il primo bottone, poi il
secondo e il terzo. E
infine gli tirò su la camicia, sfilandogliela dalla testa.
Lo guardò
per un lungo istante, in silenzio. Lo baciò sulle labbra,
facendo
scorrere le mani sul suo petto nudo e poi più su, fino alle
scapole
e alle spalle. Lo avvolse in un caldo abbraccio e poi crollarono di
nuovo insieme sul materasso. “Mattheus...” -
sussurrò,
sfiorandogli il collo e la base della nuca, mentre sentivano entrambi
il contatto fra la pelle nuda dei loro corpi quasi fusi.
Calò
il silenzio, le loro carezze divennero più audaci e
profonde, gli
ultimi abiti addosso allo stregone scivolarono sotto al letto e
fecero l'amore mentre il mondo, fuori dalla stanza, si apprestava a
festeggiare la nascita di Gesù Bambino in una
città avvolta dalla
neve. Lo chiusero fuori quel mondo, forse magico ma che per una notte
era di troppo per loro.
Non
esistevano né la magia, né le montagne,
né tutte le persone e i
fatti che li avevano allontanati. Per quella notte, in quella stanza,
non esisteva nulla tranne loro.
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