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Autore: lady lina 77    11/02/2018    1 recensioni
Elke abbassò lo sguardo sulla sua mano, sul suo polso che ancora Mattheus stringeva. Era un uomo a volte duro, a volte irriverente, il più delle volte strafottente, ma una cosa l'aveva colpita fin dal primo istante in cui lui aveva sfiorato la sua mano dieci giorni prima, fermandola quando stava per scoccare una freccia contro i sei arcieri del villaggio che l'avevano attaccata: il tocco di Mattheus era delicato, gentile, buono; non vi era traccia di possesso, forza o prepotenza ed era opposto al suo modo di fare tanto scontroso e cinico. Mani gentili, ma di una persona che per la maggior parte del tempo si faceva beffe del suo prossimo. Eppure, quando era serio, Mattheus sembrava quasi un'altra persona, saggia e, sotto un'apparente durezza, gentile. Scosse la testa, turbata, rendendosi conto forse per la prima volta che sarebbe stato difficile conoscere per davvero quello stregone. Sotto la sua scorza tanto dura, doveva nascondersi un mondo ben più complesso e sconfinato di quel che appariva. Spesso la prendeva in giro, ma anche in quegli istanti, se si stava bene a ragionare sulle sue parole, Mattheus non faceva che darle insegnamenti.
Genere: Drammatico, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Si risvegliò di colpo quando le campane suonarono le dieci. Non si era accorto di essere tanto stanco e nemmeno di essersi addormentato accanto ad Elke dopo averla curata.

Ancora mezzo stordito si stiracchiò, guardandosi attorno con aria confusa. Fuori dalla finestra poteva vedere la neve che scendeva incessantemente imbiancando la città, dandole luce e vita in quella notte di Natale.

Mancavano solo due ore alla mezzanotte e dalla strada cominciavano ad arrivare voci e schiamazzi di chi, incurante del gelo e della forte nevicata, si cominciava ad avviare verso la Chiesa per prendere parte alla Messa.

Sospirando e ricordando quanto successo poche ore prima proprio in Chiesa, abbassò lo sguardo su Elke che ancora giaceva priva di sensi sul letto, avvolta nella coperta rossa che le aveva messo addosso dopo averla curata con l'acqua del lago. Non si era mossa per niente e la sua espressione era stanca ma sembrava anche distesa, nonostante tutto. Sapeva che stava meglio, le ferite sul suo corpo erano scomparse e la sua fronte non scottava più, ma era cosciente di quanto la sua mente fosse scossa e di quanto fosse stata fuori di sé fino a poco prima. Certo, poteva essere stato a causa della febbre e del dolore, ma era anche consapevole del fatto che Jakob aveva ragione, le ferite interne, quelle della sua anima, sarebbero state più difficili da curare.

Si sedette, piegando le ginocchia sotto al mento. Con la mano, distrattamente, le sfiorò i capelli ancora richiusi in quella coda di cavallo malfatta, finché non la sentì gemere e lamentarsi. "Elke?".

La ragazza mugugnò qualcosa, poi aprì gli occhi con aria spaesata. Il suo sguardo era vago e confuso, come se faticasse a capire dove si trovasse in quel momento.

"Come ti senti?".

Elke lo fissò per alcuni istanti, poi si guardò, accorgendosi di essere senza vestiti e avvolta in una coperta. La sua espressione si fece sospettosa ed allarmata. "Che cosa...?".

Assolutamente tranquillo, Mattheus alzò le spalle. "Dovevo medicarti la schiena, con gli abiti addosso mi sarebbe stato impossibile".

Gli occhi di Elke si assottigliarono. "Non avresti dovuto farlo! Che ore sono, da quanto sono qui?".

Il tono di voce di Elke era ancora freddo ed impersonale. Deglutì. "Mancano meno di due ore alla mezzanotte".

La ragazza spalancò gli occhi, come colta da un attacco di panico. "Dannazione, dannazione! Come hai potuto tenermi qui fino a quest'ora? Devo tornare in Chiesa o...".

Fece per alzarsi, ma con una presa ferma sul suo polso la bloccò, costringendola a sedersi di nuovo. "Tu non vai da nessuna parte. Eri piuttosto malconcia fino a poco fa, avevi la febbre alta e le ferite sulla schiena si erano infettate. Ti ho curata ma ora resterai qui finché non ti sarai ripresa del tutto".

Lo sguardo di Elke si piantò su di lui con una ferocia che in qualche modo lo spaventò. Non la conosceva, non sotto quell'aspetto.

"Quello che faccio non è affar tuo, Mattheus! Per colpa tua sono nei guai, di nuovo!".

"Che cosa avrei dovuto fare, lasciarti ferita e febbricitante davanti a quella Chiesa?".

"Sì, esattamente! E' quello che io del resto avrei fatto con te se le parti fossero state invertite. Non hai nessun dovere verso di me e io voglio che tu mi lasci in pace".

Lo disse con una freddezza e una noncuranza che lo ferì. "Non ti credo" – rispose, con una nota di incertezza nel tono di voce.

"Non mi interessa! E ora dammi i miei vestiti".

"No".

Davanti alla sua fermezza, Elke si strinse nella coperta, sospirando. "Vedo che la testa dura non l'hai persa".

Mattheus annuì. "E non ho intenzione di perderla nemmeno in futuro. Per favore, resta qui al caldo e al sicuro, hai bisogno di riposo e se esci ora ti ritornerà la febbre. Eri ridotta davvero male Elke, se non ti avessi curata avresti potuto rimetterci le penne".

La ragazza si guardò le mani, quasi incredula di rivederle di nuovo sane, stringendo poi i pugni con forza. "Non ci avrei rimesso le penne, non sono così fortunata. Sarebbe stato ironico se fossi morta, sarebbe stato il primo favore di suor Faustine. E lei non mi farebbe nessun favore, te lo assicuro!".

Mattheus si oscurò a quelle parole. "Non dire mai più una cosa del genere!" - disse in tono secco ed irritato. Non le avrebbe MAI permesso di pensare e sperare in una cosa del genere!

Anche lo sguardo di Elke si fece duro. "Come puoi dirmi cosa sperare e cosa volere per me stessa? Cosa ne sai di quello che si prova ad essere me? Cosa ne sai del dolore che si sente quando con una cinghia ti lacerano la carne e colpiscono, colpiscono senza pietà anche se urli, piangi e implori di smettere? Cosa ne sai di come si sta al mondo quando tutti ti guardano come se fossi la peggior creatura degli inferi? Cosa ne sai di come vive una persona che non avrebbe dovuto nemmeno nascere e che non è mai stata accettata nemmeno dai suoi genitori? Cosa ne sai di cosa si prova quando sai che al mondo non c'è nessuno che combatterebbe per te, che tiene a te e che correrebbe in tuo aiuto quando ne hai bisogno? Quando saprai rispondere a tutte queste domande, Mattheus Hansele, allora forse ascolterò una tua paternale".

Si morse il labbro. Perché non aveva idea di cosa dire, Elke aveva ragione, lui non sapeva nulla. "E' vero, non so niente di queste cose e da stupido non ho mai cercato di capirle quando ne avevo l'occasione. Dimmelo per favore, spiegami cosa si prova ad essere te!".

"Che ti importa?".

"Mi importi tu!". Perché negarlo ancora a se stesso e soprattutto a lei? La stava perdendo per sempre e doveva lottare per riaverla, mettendosi a nudo come non era mai stato capace di fare.

Elke però non parve molto colpita da quelle parole. Scosse la testa, stringendosi nella coperta. "Mi hai sempre mentito e lo stai facendo anche adesso. Avete sempre mentito tutti! A nessuno importa di me e sicuramente tu non sei un'eccezione".

"Elke ti prego!". Alzò la mano ad accarezzarle la guancia, in un gesto istintivo. Sapeva che non si fidava di lui ed era consapevole che ne aveva mille buoni motivi, ma non poteva accettarlo. "Io non ti ho mai mentito e tu lo sai. Io, Falko, Drago e Jutta ti abbiamo sempre voluto bene. Non puoi pensare sul serio che non ci sia mai importato di te".

Al sentire quei nomi, Elke impallidì. "Ti prego Mattheus, non farmi questo, smettila di dire cose in cui nemmeno credi perché la tentazione di illudermi che siano vere è troppo forte per combatterla. Non hai mai creduto in me, lo hai detto pure tu quel giorno che non avevi alcun motivo per pensare che non fossi la figlia del diavolo, visto che tutti affermavano il contrario".

Mattheus si morse il labbro. Ricordava bene quelle parole e la sua rabbia nel pronunciarle. Era fuori di se quel giorno, aveva bisogno di sfogarsi e lo aveva fatto con la persona che meno se lo meritava, ferendola di proposito. "Elke, scusami".

La ragazza scosse la testa. "Non è necessario scusarsi, non ha importanza. E' passato tanto tempo e ormai ci sono talmente abituata che non mi importa più. E' sempre così, sarà sempre così per me e tu sei solo uno dei tanti, Mattheus. Prima volevi sapere cosa si prova ad essere me, giusto? E allora te lo dirò, visto che sembri tenerci tanto". Alzò gli occhi al soffitto, osservandolo distrattamente. "E' come vivere perennemente in una bolla di sapone, Mattheus. Il mondo sta di fuori, quelli normali e sempre nel giusto son tutti lì, vicini a me ma allo stesso tempo lontani ed irraggiungibili. Io non posso uscire da quella bolla perché non potrò mai essere come gli altri ma voi invece certe volte riuscite a raggiungermi ed arrivate a me per ferirmi, umiliarmi e poi vi voltate e riprendete a condurre le vostre vite perfette. La bolla di sapone mi isola ma non riesce a proteggermi, mai. Ecco come mi sento Mattheus, sei soddisfatto ora?".

"No". Non lo era, si sentiva uno schifo ora che aveva udito quelle parole. Era stata sincera Elke, lo sapeva, lo aveva percepito nella nota di dolore di ogni singola sua frase. Tre anni prima non aveva compreso appieno quanto l'avesse ferita, aveva preferito pensare che quella di Elke fosse stata una reazione infantile ed esagerata ad un semplice litigio, ma non era così, ora ne aveva la piena consapevolezza, ora sapeva cosa voleva dire essere una persona albina. Essere Elke significava vivere avendo come uniche compagne paura e solitudine, significava venire picchiati e frustati senza motivo e senza che nessuno muovesse un dito per aiutarti, significava desiderare di morire perché a un certo punto, superato un certo limite, tutto diventa insopportabile. "Ti sentivi così anche a Pennes, quando vivevi con me e i gemelli?".

"No, forse con voi non era così. Sai, io...". Le tremò la voce, quasi facesse violenza a se stessa per non piangere. "Io volevo solo avere una mamma che mi stesse vicino e mi insegnasse tutto quello che sapeva fare lei, volevo un papà forte che ogni tanto mi prendesse fra le braccia per proteggermi, volevo giocare con le mie sorelle, volevo crescere e magari innamorarmi di qualcuno. Avrei voluto, come tutte le donne, desiderare un figlio un giorno e non sentirmi così, con la consapevolezza che non posso permettermi di averne perché l'unico modo in cui un uomo si avvicinerebbe a me è con la violenza e perché il mio bambino potrebbe nascere albino. Non sarò e non saprò mai fare la madre, visto che nessuno mi ha mai insegnato come si fa".

Mattheus spalancò gli occhi. Era così diversa dalla ragazzina dei suoi ricordi, un po’ dolce e un po’ ingenua. Era cresciuta, era una donna che ne sapeva della vita molto più di lui. Era disincantata, aveva perso l'innocenza e l'ingenuità di una volta, aveva smesso di sognare e non aveva alcuna aspettativa per sé, era ben cosciente di cosa la circondasse e di come le cose sarebbero sempre state difficili per lei. "Vorrei poterti dire che ti sbagli, che un giorno le cose si sistemeranno, ma la verità è che sarebbe una bugia, giusto?". Le accarezzò il mento, costringendola ad alzare il viso per guardarlo in faccia. "Però posso anche dirti che non hai ragione su tutto perché non è vero che nessun uomo si avvicinerebbe a te se non con la violenza e non è nemmeno vero che sei sempre stata sola, avevi noi. Sai, dopo che te ne sei andata, una sera Falko e Drago, parlando di te, hanno detto che eri la principessina della nostra casa ed era vero. Dopo che te ne sei andata, quella casa è diventata improvvisamente vuota e priva di calore e ci sei mancata. A ME sei mancata!".

A quell'ammissione, gli occhi di Elke divennero lucidi e alla fine quelle lacrime che aveva cercato di trattenere con tutta se stessa presero a rigarle il viso. "Ma mi avete mandata via, non vi è importato nulla di me. Eravate la mia famiglia e mi avete lasciata sola anche voi" – sussurrò, con rabbia.

"Falko e Drago non c'entrano, è stata solo colpa mia". La abbracciò ed Elke non oppose resistenza. Sentiva i suoi singhiozzi, il calore delle sue lacrime sul collo e si sentì sollevato perché tutto quello di cui aveva bisogno era sfogarsi. "Vuoi sapere la verità su quel giorno e su tutto quel che mi riguarda? Tu prima, quando ti ho chiesto cosa provassi, sei stata sincera. Credi di potermi permettere di fare altrettanto?".

Elke alzò lo sguardo su di lui. "Raccontarmi la verità... su cosa?".

"Su tutto. Una volta eri così incuriosita da cosa nascondesse il lago di Valdurna e dall'origine dei miei poteri, ricordi?".

Elke annuì, asciugandosi la guancia col palmo della mano. "Non sei obbligato a raccontarmi niente".

"Ma voglio farlo. Non è una giustificazione al modo in cui mi sono comportato con te, ma quanto meno, forse, potrai capire il perché quel giorno sono ammattito all'improvviso. Non chiedo il tuo perdono perché forse nemmeno me lo merito ma io..." - strinse il lenzuolo fra le mani, nervosamente – "Io te lo avevo promesso esattamente tre anni fa. Ti avevo promesso che te l'avrei detto prima o poi e credo non ci sia momento più adatto di questo".

Elke si scostò da lui, mettendosi a sedere, con la schiena appoggiata alla spalliera del letto e stretta nella coperta. "Non hai obblighi verso di me ma... va bene, se è quello che vuoi davvero".

"E' una storia lunga" – la avvertì.

Elke non rispose e con sguardo basso annuì col capo, come ad incoraggiarlo ad iniziare. Era strano fare quel discorso, ricordare ad alta voce la sua storia, raccontarla a qualcuno e mettersi a nudo. Raccontare significava rivivere gioie e dolori che aveva tenuto celati nella sua mente per fin troppo tempo. Non aveva idea di quello che lei avrebbe pensato, di cosa avrebbe detto alla fine del racconto, di come si sarebbero messe le cose fra di loro. Ma non avrebbe omesso niente!

Prese un profondo respiro e parlò a lungo mentre le parole venivano fuori con una facilità estrema, come un fiume in piena che non aspettava altro che straripare. Gli raccontò della sua infanzia in Val Ridanna, dei suoi genitori, della volontà di suo padre di affidare la sua educazione a Jakob, di come fosse cresciuto con quell'anziano maestro diventato di fatto una figura di riferimento talmente forte da far impallidire le altre presenti nella sua vita, di come si fosse improvvisamente ritrovato orfano e di come la sua vita, da quel momento, avesse preso strade inaspettate. Gli raccontò ogni cosa di Jakob, della sua gioventù, del forte guerriero che era stato, di come, durante i suoi viaggi, avesse appreso dagli stregoni del nord del continente ogni segreto della magia bianca e della magia nera, di cosa lo avesse legato a Jutta e di come, una volta fattosi anziano e suo maestro, lo avesse introdotto alla conoscenza delle fate, degli elfi, degli gnomi e di tutte le altre creature che poi aveva fatto conoscere anche a lei. Infine le parlò di quel giorno quando Lucius, il demonio, lo aveva sfidato e Jakob, ormai anziano, per difendere lui e Jutta si era battuto fino all'ultimo sangue, morendo sconfitto. Gli raccontò delle sue ultime volontà, di venire cremato e di spargere le sue ceneri nel lago e di come, da quelle acque, continuasse a stargli vicino e ad aiutarlo. E infine quanto successo a Pennes dopo che se n'era andata, della sua battaglia con Lucius e di quello che aveva fatto Jutta per salvare lui e tutto il villaggio.

Elke non lo interruppe mai, lo ascoltò a testa bassa senza espressioni sul viso, senza apparenti emozioni, in assoluto silenzio. Solo alla fine di tutto, quando il silenzio ripiombò fra loro come un macigno, si decise a sollevare lo sguardo e a guardarlo negli occhi. "Quindi è per questo che mi avevi detto che l'acqua del lago ascolta solo te! Non è l'acqua in sé ma Jakob che, attraverso di essa, continua a starti vicino e ad aiutarti. Non è una tua magia...".

Mattheus annuì, imbarazzato di fronte a quelle parole. Se Elke l'aveva creduto infallibile ed irraggiungibile in passato, probabilmente si era ricreduta di molto circa le sue reali capacità. "Si, per questo tu o chiunque altro non potete usare quell'acqua come faccio io. Jakob è lì solo per me. Non so perché sia rimasto, perché non abbia abbracciato quella pace eterna a cui tutti ambiamo dopo la morte, non lo so davvero. Ma lui c'è ed è come se continuasse a vivere".

Elke scosse la testa. "Non glielo hai mai chiesto? Tu in fondo non hai bisogno di lui, tu sai usare la magia indipendentemente dall'acqua. Come hai fatto prima, quando hai attaccato suor Faustine. Non hai usato l'acqua del lago, ma hai creato comunque qualcosa di... potente".

"Sì, io posso essere autonomo come stregone, indipendentemente da Jakob. Mi aveva insegnato tutto quello che sapeva e studiando, negli anni, ho appreso ancora più cose. Ma il lago e quell'acqua sono l'unico legame che mi unisce ancora a lui e a quella che era la mia famiglia e non me ne riesco a staccare".

"E allora Mattheus, forse è per questo che rimane e continua ad aiutarti, perché non sei pronto a lasciarlo andare".

Mattheus sorrise amaramente. Elke aveva ragione e sicuramente aveva centrato il punto della situazione meglio di quanto avesse mai fatto lui. "Una volta ti avevo detto di crescere in fretta ma temo di essere io quello ancora immaturo. Riesci a capirmi meglio di chiunque altro al mondo".

Elke scosse la testa. "No, non è vero, io non posso capirti, non in questo. Non posso capire come ti senti perché io non ho mai avuto nessuno accanto e quindi non so cosa si provi di fronte alla perdita di una persona cara". La sua espressione si addolcì e con sua somma sorpresa alzò la mano ad accarezzargli la guancia. "Però mi dispiace per te, quello che hai vissuto è stato qualcosa di terribile, soprattutto perché eri un ragazzino".

Per un momento rimase spiazzato e non seppe cosa dire. Non si aspettava un gesto gentile da parte di Elke, ma in fondo, pensandoci bene, era così tipico della persona che lei era. Non era cambiata poi così tanto, dopo tutto. "Sai, per un attimo oggi, davanti a quella Chiesa, ho creduto di averti persa per sempre, che avessi abbracciato il male, che lo desiderassi. Ma per fortuna non è così, sei ancora capace di essere dolce e gentile".

Elke sospirò. "A dire la verità Mattheus, sono fortemente tentata dalla voglia di picchiarti".

"Puoi farlo se pensi che ti farà star bene, in fondo me lo merito".

"Non mi tentare".

Le prese la mano fra le sue, portandosela alle labbra e baciandola. "Tu non potrai mai essere diversa da quello che sei sempre stata. Puoi provarci, certo, ma sarai sempre destinata a fallire. Se c'è al mondo una persona che non è in grado di essere cattiva, quella sei tu".

La ragazza scosto lo sguardo da lui. "Lo vorrei tanto sai? Essere come la gente crede che io sia. Sarebbe tutto più semplice ma io non ne sono capace, avevi ragione tu, non so fare niente, non so nemmeno essere la figlia del diavolo".

Mattheus scosse la testa. Non era vero che non sapeva fare niente e non voleva che lo pensasse. Con la mano le sfiorò la nuca, attirandola a se e costringendola a poggiare la fronte contro la sua. "Tu sei la miglior persona che mi sia mai capitato di incontrare e ti prego, credimi, non ho mai pensato che potessi avere attinenza con demonio. Il diavolo non fa figli e se anche li facesse, non sarebbe tanto idiota da renderli riconoscibili dal colore dei loro capelli. E' subdolo, ma non stupido, ricordatelo! E dopo quello che mi è successo, ti assicuro che se avessi avuto anche il minimo sospetto di un tuo collegamento con Lucius, non ti avrei permesso nemmeno di rivolgermi la parola. No Elke, tu sei altro... Tu sei semplicemente una ragazza coi capelli chiarissimi, tutto qua, hai i pregi e difetti di ogni persona vivente e le debolezze e la forza che ognuno di noi possiede. Tu sei una persona buona e gentile, sei simpatica, ironica, intelligente e curiosa, ami e conosci la montagna e le sue leggi meglio di chiunque altro e sai rispettarla e rispettare gli esseri che vi vivono come ben pochi sanno fare. Sei quella che da bambina aveva una lupa per amica e quella che mi ha sopportato per mesi, nonostante il mio pessimo carattere. E sei stata la migliore compagna ed assistente che avrei mai potuto desiderare, una persona di cui mi sono sempre fidato ciecamente, tanto da permetterti di ficcanasare nella mia sacca da viaggio mentre dormivo. Ricordi quella sera, quando siamo rimasti bloccati in quella baita a causa della tormenta di neve, solo io e te?".

Elke sussultò, arrossendo. "Si... Me lo ricordo".

Per un attimo chiuse gli occhi, riassaporando il calore e l'intimità respirata in quella baita dispersa in mezzo alla tormenta. "Mi ero addormentato e quando mi ero risvegliato, tu eri lì a pochi passi da me a lavorare. E per la prima volta mi sono reso conto che potevo lasciarti rovistare fra le mie cose senza problemi, che non mi importava che frugassi nel mio zaino e che era bello non esserne preoccupato perché mi fidavo ciecamente di te. Sapevo che avrei potuto riaddormentarmi senza problemi e tu avresti fatto un ottimo lavoro comunque, per me. Non è vero che non sai fare nulla Elke, sei dannatamente in gamba e sei sopravvissuta all'inferno fin da quando sei venuta al mondo, cosa che io probabilmente non sarei riuscito a fare. E poi... sei stata anche il mio porta fortuna, sai?" - le disse, strizzandole l'occhio.

"Cosa?".

Alzò la mano destra, tirandosi su la manica. Sul polso aveva legato un nastrino blu che portava sempre con se da tre anni a quella parte. "Lo ricordi?".

Elke lo guardò storto. "Quello è mio!".

Mattheus scosse la testa. "Sbagliato, è mio! Me lo hai regalato".

Sul viso di Elke comparve l'ombra di uno stentato sorriso. "Già, il giorno che era nato Blue. Ed avevi borbottato per ore, se non ricordo male".

"Sì, è vero, ma come vedi l'ho tenuto!".

La ragazza allungò la mano a sfiorare il nastrino. "Davvero ti ha portato fortuna?".

"Certo!".

Elke sorrise, questa volta in modo più disteso. "Suppongo quindi che i tuoi affari a Bozen siano andati a gonfie vele!".

Quando Elke sorrideva in quel modo dolce, si sentiva attratto da lei come una calamita. La riattirò a se, abbracciandola. "La fortuna è stata rincontrare te" – le sussurrò all'orecchio. "Mi spiace di essermi comportato come un idiota l'altra notte in piazza, quando mi hai visto la prima volta. E ancor di più per come mi sono comportato tre giorni fa, quando mi hai chiesto l'acqua per curare una bambina. Sono orgoglioso e testardo lo sai, ma mi sono sinceramente odiato dopo quello che è successo. Io sapevo che eri a Bozen ben prima di quella notte in cui ci siamo rincontrati in piazza, ti avevo già vista per caso davanti al convento alcuni giorni prima. E avevo già visto anche quella suora di poco fa e una tua amica che suppongo sia la madre della bambina malata".

Elke, benché stupita da quelle parole e forse desiderosa di fare altre domande, si limitò ad appoggiare il viso contro il suo petto. "E a me dispiace di averti fatto arrabbiare. Sono stata davvero stupida ad offrirti quei soldi ma tu mi sembravi tanto intrattabile e non sapevo come...".

"Tu non hai colpe, avrei dovuto darti l'acqua e basta!" - concluse lui, mentre senso di colpa e pentimento gli strisciavano in corpo come serpenti. "Come sta quella bambina per cui ne avevi bisogno?".

Elke sorrise. "Meglio! I bambini sono molto resistenti, sai? Le ho preparato una cura a base di erbe ed ha funzionato".

Mattheus si accigliò. Tre giorni prima, quando Elke gli aveva chiesto l'acqua, stava bene. Quindi le frustate erano state successive al loro incontro e se tanto gli dava tanto, aveva passato dei guai proprio a causa di quelle erbe. "Perché ti hanno frustata?".

Elke si oscurò mentre la mano con cui gli stringeva la camicia prese a tremare. "Non voglio parlarne".

"E' a causa di quelle erbe?" - insistette lui.

La ragazza sospirò, arrendendosi. "Sei così dannatamente testardo! Dovevo trovare una cura per la piccola Anna e non avendo l'acqua ho dovuto procurarmi quelle erbe e così sono stata via tutto il giorno e non ho potuto svolgere i lavori che mi avevano assegnato al convento. Suor Faustine è sempre molto severa con me ma ultimamente ho tirato molto la corda e disubbidito un po’ troppo spesso per i suoi gusti. Tutto qui".

"Tutto qui?". Mattheus la strinse a se. "E' colpa mia... Se non avessi fatto l'idiota e ti avessi dato quella dannata acqua, avresti potuto tornare subito al convento e non sarebbe successo nulla. In fondo credo che tu debba darmelo davvero quel pugno".

Elke scosse la testa. "Non sei stato tu a frustarmi e quindi non è colpa tua. D'altronde non potevi saperlo".

Le sfiorò i capelli, baciandole la nuca. Nonostante le parole di lei, si sentiva uno schifo. "Potrai mai perdonarmi per tutto quello che ti ho fatto?".

Elke alzò lo sguardo. "La verità Mattheus, è che tu hai fatto molto per me, questo l'ho sempre saputo. Ogni volta che mi sono soffermata a leggere un libro o un'iscrizione per la strada, non potevo fare a meno di pensare che potevo farlo solo grazie a te e al tempo che hai perso per insegnarmi a farlo. E poi mi hai dato una casa, un lavoro, cibo e calore, sei stato la famiglia che non ho mai avuto. Certo, mi hai ferita tre anni fa e ho tentato in tutti i modi di odiarti ma non ci sono mai riuscita, non potevo! Ora so la verità e capisco perché fossi diventato tanto aggressivo quel giorno. Avere Lucius davanti agli occhi ti ha fatto rivivere il tuo passato e alla fine te la sei presa con chi avevi più vicino. Uno sfogo, che forse potevamo risolvere in tempi brevi se io non fossi scappata e ti avessi dato il tempo di calmarti".

Analisi perfetta quella di Elke, ma le cose non stavano proprio così. Mattheus sorrise, appoggiando nuovamente la fronte contro la sua. Se c'era un momento giusto per essere sinceri con se stessi e con lei, era indubbiamente quello. "Non ero solo turbato dalla presenza di Lucius. Io ero arrabbiato perché aveva osato toccarti, prenderti la mano e fare il cascamorto con te. Ero semplicemente geloso, non volevo ti si avvicinasse, io non volevo... non voglio... dividerti con nessuno. Non volevo che un essere del genere sfiorasse la persona che più avevo a cuore, non...".

"Mattheus...?".

Le accarezzò la guancia, attirandola ancora più vicino. "Io voglio che tu sia solo mia. Per tre lunghi anni non ho desiderato altro che riaverti accanto, sentire la tua voce, abbracciarti e tenerti vicina a me. Capisci cosa intendo?".

Elke sorrise amaramente. "Capisco... che questa è la cosa più stupida che potresti mai desiderare. Potresti avere di meglio Mattheus, lo sai anche tu".

"Sono grande abbastanza per capirlo da solo cos'è meglio per me".

A quelle parole Elke parve arrendersi e si avvicinò a lui tanto che le punte dei loro nasi si sfiorarono. "Chi sei davvero tu? Mi hai mostrato mille facce, ma non ho ancora deciso quale sia quella più vera".

"Uno che ha bisogno di te" – ammise – "perché sei l'unica che riesce a rendermi davvero felice e perché mi migliori. Solo tu riesci a farlo e non ho la minima idea di come ci sia riuscita a farmi sentire così. Hai scombinato tutti i miei piani, la mia vita, il mio modo di essere e di pensare. Volevo stare solo e invece ora non chiedo altro che di riaverti perché per me nulla avrebbe senso se non ti avessi al mio fianco. Io sono una persona che ha sempre pensato che ad amare si rischiasse di soffrire e ora sono disposto a correrlo quel rischio per te, se lo vorrai".

Elke annuì, non allontanandosi da lui. "Ad amare si rischia di soffrire, hai ragione... Ma si rischia anche di essere felici".

Lo disse a lui, ma era anche piuttosto convinto che lo dicesse anche a se stessa. Mattheus sorrise, accarezzandole la guancia. "Sei diventata incredibilmente saggia, lo sai?".

"Ho avuto un buon maestro".

Non seppe resisterle. Quegli occhi blu, lo sguardo complice che si erano appena scambiati dopo tanto tempo, dopo la lontananza e dopo che per poco non si erano davvero persi per sempre, furono come una calamita. Lasciò scivolare la mano dietro la sua nuca attirandola a se e poi, senza darle tempo di reagire o scappare, posò le labbra sulle sue in un lungo bacio. Non era nemmeno così sicuro di esserne capace ma gli venne talmente naturale che la sua mente, prima di zittirsi, se ne stupì. La sentì tremare per un attimo e poi rilassarsi fra le sue braccia. Aveva labbra sottili e morbide e un modo di rispondere al suo bacio un po’ stentato ma gentile.

Quando si separarono, per alcuni istanti rimasero in silenzio a guardarsi negli occhi. Le accarezzò la guancia e poi, senza incontrare reazioni, la strinse a se accarezzandole i capelli. "Sei autorizzata a prendermi a pugni anche per questo, ma credo che comunque non me ne pentirò mai" – le sussurrò all'orecchio. Affondò il viso nel suo collo e Elke prese ad accarezzargli i capelli, piano, sfiorando uno ad uno i suoi ricci.

"Non avresti dovuto andartene tre anni fa, mi sei mancata così tanto. Mi dispiace per tutto il male che ti ho fatto".

Elke annuì. "E' passato tanto tempo". Fece scorrere le braccia attorno alla sua vita, abbracciandolo, tornando poi ad accarezzargli i capelli. "Sono più lunghi di come li ricordavo".

"Anche i tuoi capelli sono diversi, non usi più nastrini colorati e perline!".

La presa di Elke si fece più forte. "Sono troppo grande per usarli ancora".

Non era molto d'accordo su questa cosa e non era certo che quella fosse la verità perché Elke adorava curare i suoi capelli, ma non era quello il momento per discuterne. C'erano ben altri pensieri che gli frullavano per la testa e il suo corpo pareva andare a fuoco dal desiderio. "Posso baciarti ancora?".

"Mattheus, da quando mi chiedi il permesso per fare qualcosa?".

A dispetto di tutto quello che si agitava in lui, gli sorrise. "Hai ragione, devo essere completamente impazzito". Le sfiorò le labbra con le dita della mano e Elke lo lasciò fare. Poco prima il loro bacio era stato istinto, passione. Ora era diverso, ora era qualcosa di più dolce, tenero. Avvicinò le labbra alle sue, tentennò finché lei non gli sfiorò la guancia con una carezza, per incoraggiarlo. E alla fine chiuse gli occhi e cedette a un lungo bacio, più profondo, meno incerto e pieno di desiderio.

Aveva chiesto ad Elke di fidarsi di lui e lei, nonostante tutto, l'aveva fatto, aveva scelto coraggiosamente di non chiudere il mondo fuori da quella bolla di sapone che la imprigionava da quando era nata e gli aveva aperto uno spiraglio.

Scivolarono sul letto, senza riuscire più ad allontanare le loro labbra. L'aveva desiderata con tutto se stesso per tre anni e forse anche per lei era stato lo stesso. Nessuno di loro fece più resistenza, era finito il tempo in cui lui era il suo maestro e lei la sua assistente, erano cresciuti ed erano stati temprati entrambi da tre anni di nostalgia e solitudine e ora lo sapeva, Elke era l'unica donna che desiderasse avere vicino. Le sue labbra, il suo corpo sotto di lui lo inebriavano e non credeva sarebbe mai stato possibile con nessuna donna. Per un attimo si chiese se fosse giusto correre così, forzare i tempi, se Elke fosse davvero pronta e soprattutto se fosse pronto lui. Era davvero arrivato il momento di spingersi così in là, di dare una svolta così repentina alla sua vita, di amare senza riserve? Elke sembrava tranquilla, Elke era SEMPRE tranquilla quando erano insieme, ma lui... Si odiò perché anche in quel momento razionalità e ragione rischiavano di rovinare quel momento che non aveva fatto altro che desiderare per tre anni. Perché non era capace di lasciarsi andare in maniera spontanea come lei?

Di colpo mille dubbi lo assalirono e si bloccò, allontanando le labbra da quelle della ragazza. "Per favore, se non mi fermi adesso, dopo non sarò più in grado di farlo" – sussurrò, col fiato corto. "Forse non dovremmo...".

Elke parve spaesata davanti a quelle parole ed allungò una mano ad accarezzargli la guancia, tentando di rassicurarlo. "Va tutto bene, sta tranquillo".

Di tutta risposta, Mattheus si mise a sedere. Scosse la testa. "Elke io... io non so garantirti di esserne capace, di essere un compagno perfetto e un amante degno di te. Io sono una persona egoista, egocentrica e senza alcuna esperienza significativa con una donna. Non è giusto che ti spinga a...".

"Non mi stai spingendo a fare niente, l'ho scelto io di farti avvicinare. E non è stato facile, te lo assicuro. Mi hai chiesto fiducia, io te l'ho data di nuovo ma ora devi essere tu a fidarti di te stesso. Cosa c'è che non va?".

Sospirò, guardandola negli occhi. "Non hai paura?".

Elke sorrise in un modo dolce, avvicinandosi a lui e poggiando la testa contro la sua spalla. "Avevo paura di mio padre da bambina e ho paura di suor Faustine qui. Ma non di te e non di questo".

"E' che..." - arrossì davanti a quell'ammissione così intima – "E' che mi è difficile esprimere davvero cosa provo, i miei sentimenti, mettermi a nudo e mostrare lati del mio carattere che di solito tengo ben nascosti. Tutti conoscono Pfeifer Huisele lo stregone ma nessuno, a parte te e Jutta, conosce davvero Mattheus Hansele. E io non conosco me stesso nel ruolo di innamorato e amante di una donna, non so se ne sono capace e non posso garantirti che non ti deluderei". Parlò come un fiume in piena, stupendosi di quanto gli risultasse semplice, nonostante tutto, fare quelle ammissioni a lei.

Elke per un attimo rimase in silenzio davanti a quelle parole ed ebbe paura di averla delusa e che pensasse che fosse un codardo. Cosa che in realtà era, probabilmente! Poi, con un gesto lento si portò la mano ai capelli, sciogliendo la coda di cavallo che li teneva legati. Quei capelli, candidi e morbidi, una volta liberi presero come vita, formando morbidi boccoli che le ricaddero sulle spalle e sulla schiena.

Spalancò gli occhi, sorpreso da quel gesto. Sapeva quanto le costasse farlo, cosa rappresentassero per lei quei capelli e quanti guai aveva passato a causa loro. E ricordava la sua ritrosia a tenerli slegati e senza nastri e perline che ne celassero un pò il colore. Non l'aveva mai vista coi capelli sciolti. "Cosa fai?".

Elke sorrise, vagamente intimorita dal suo stesso gesto. "Così siamo pari!Se io riesco a fare questo, puoi riuscirci anche tu".

Le accarezzò i capelli che ora, sciolti, sembravano ancora più morbidi e lucidi. Scivolavano fra le sue dita come fossero seta e si trovò a pensare di nuovo a quanto la desiderasse. "Sei davvero bella". Già, e lui la adorava! Il suo coraggio, la sua dolcezza e l'intesa che sembravano trovare ogni volta che si trovavano insieme avevano vinto tre anni di lontananza, silenzi e dolore. Non aveva motivo di avere paura del loro rapporto, non era più tempo di scappare e Elke aveva ragione, se riusciva ad essere coraggiosa e positiva lei, di certo poteva sforzarsi di esserlo altrettanto. Non avrebbe potuto resistergli ulteriormente, non dopo quel gesto. Sapeva che l'aveva fatto per lui e che solo a lui avrebbe dato l'onore di vederla così. "Vieni quì" – le sussurrò, attirandola a se. Coprì le mani con cui si teneva addosso la coperta con le sue, forzandole a lasciare la presa. "Sei sicura che non te ne pentirai?".

"No, se non te ne pentirai tu".

"Dubito che succederà" – disse, prima di baciarla ancora.

Elke allentò la presa sulla coperta, lasciò che cadesse alle sue spalle e lo avvolse a sua volta in un abbraccio. Crollarono sul materasso, su quella coperta rosso fuoco, gustandosi quei primi momenti tanto intimi insieme.

Mattheus le sfiorò i fianchi e poi, con un pizzico di timore, i seni, non particolarmente grossi ma assolutamente perfetti per lui. Era snella, aveva la pelle liscia e il corpo minuto, lo inebriava.

La baciò a lungo sulle labbra e poi sul collo, sul petto, guidato da un istinto che non sapeva di avere. I pensieri, i timori avuti fino a poco prima parvero scomparire come per magia e sapeva che era solo grazie a lei che si sentiva così. Era felice, incredibilmente felice. Stava bene e anche Elke era tranquilla, poteva percepirne lo stato d'animo da come rispondeva alle sue carezze e ai suoi baci, in modo naturale e senza timori, quasi fossero una cosa sola, quasi che non avessero mai fatto altro che quello, nella loro vita.

Il suono delle campane che annunciavano la mezzanotte li fece momentaneamente fermare. Si guardarono negli occhi ed Elke lo baciò sulle labbra, sorridendogli. "Sai Mattheus, tu riesci sempre a rendere belli i miei Natali".

"Anche tu".

"Buon Natale, stregone".

"Buon Natale, ragazzina".

Mattheus le prese le mani, guidandole fino al primo bottone della sua camicia. Non aveva mai odiato avere addosso degli abiti come in quel momento. Elke posò brevemente lo sguardo sul suo viso, deglutì e sapeva che era indecisa sul da farsi, che si sentiva imbarazzata e impacciata. Guidò le sue dita fino al primo bottone e poi le lasciò la mano, aspettando che facesse da sola.

La ragazza giocò un po' con la stoffa, poi la sua espressione si fece più decisa. Sbottonò il primo bottone, poi il secondo e il terzo. E infine gli tirò su la camicia, sfilandogliela dalla testa. Lo guardò per un lungo istante, in silenzio. Lo baciò sulle labbra, facendo scorrere le mani sul suo petto nudo e poi più su, fino alle scapole e alle spalle. Lo avvolse in un caldo abbraccio e poi crollarono di nuovo insieme sul materasso. “Mattheus...” - sussurrò, sfiorandogli il collo e la base della nuca, mentre sentivano entrambi il contatto fra la pelle nuda dei loro corpi quasi fusi.

Calò il silenzio, le loro carezze divennero più audaci e profonde, gli ultimi abiti addosso allo stregone scivolarono sotto al letto e fecero l'amore mentre il mondo, fuori dalla stanza, si apprestava a festeggiare la nascita di Gesù Bambino in una città avvolta dalla neve. Lo chiusero fuori quel mondo, forse magico ma che per una notte era di troppo per loro.

Non esistevano né la magia, né le montagne, né tutte le persone e i fatti che li avevano allontanati. Per quella notte, in quella stanza, non esisteva nulla tranne loro.













  
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