CAPITOLO
22.
REGALI
DI NATALE.
Pov
Akito.
Guardai
Sana uscire dal camerino del negozietto in cui ci trovavamo, e vedere
il suo sguardo felice riempì anche me di una
felicità che ormai, da
quando lei era nella mia vita, non potevo più definire
insolita come
facevo prima.
Sana mi
aveva dato la sicurezza di una vita
appagante, accanto alla persona che amavo, ed era l'unica cosa che mi
importava.
“Allora?
Cosa ne dici?” disse accarezzando
l'abito rosa che indossava.
“Dico
che ti sta benissimo, come
gli ultimi sedici vestiti che hai provato.”
Sana mi
sorrise,
in fondo lo sapeva anche lei che tutto quel tempo passato ad entrare
ed uscire da quel camerino era solo un modo per farmi impazzire. Ci
divertivamo a stuzzicarci, e la cosa mi andava più che bene,
lo
avevamo sempre fatto.
“Siamo
tornati un po' stressati dal
viaggio di nozze o è una mia impressione?”. La
guardai di
sfuggita, ripensando al meraviglioso viaggio in Italia che Rei ci
aveva organizzato con cura, e forse si, un po' stressato lo ero, ma
non per via del ritorno dal viaggio.
“Ti
prego non ricordarmi
che siamo a casa, mi viene voglia di fare le valigie e partire di
nuovo.” Mi alzai in fretta per avvicinarmi a lei,
abbracciandola in
mezzo al negozio.
“Prendiamo
questo, o mia moglie mi farà
impazzire.” dissi velocemente alla commessa che attendeva una
risposta per l'abito, poi tornai a guardare Sana.
“Andiamo
a
casa, ho proprio un'idea di come farti impazzire davvero.”
Sana mi
rivolse uno sguardo ammiccante e per tutto il tragitto verso casa le
sue parole risuonarono nella mia mente, come una promessa che mi
sarei impegnato a farle mantenere.
Quella
era la nostra vita da
due mesi, dopo il matrimonio Sana aveva disdetto tutti i suoi impegni
per il nostro viaggio e, non appena eravamo tornati, avevamo ripreso
il controllo delle nostre vite. Lei era tornata a lavoro e io avevo
fatto lo stesso, cominciando a lavorare per il museo che mi aveva
ingaggiato. Ero ormai in procinto di presentare la tesi di laurea e
in quel preciso momento la mia vita poteva essere definita perfetta.
Fu
ancora più perfetta quando, arrivati a casa, Sana non mi
diede neanche il tempo di dire una parola che si fiondò
sulle mie
labbra e mi trascinò in camera da letto. Cosa avrei potuto
desiderare di meglio?
Pov
Sana.
Il
mio ginecologo mi aveva riempito di telefonate quella settimana e,
prevedibilmente, non avevo risposto a nessuna di esse. Akito non
sapeva nulla, altrimenti mi avrebbe costretto a richiamarlo e quella
era proprio l'ultima cosa che desideravo. Tornare con Akito era stato
il massimo, mi sentivo finalmente felice, ma una parte di me era
ancora devastata da quella sedntenza che i medici mi avevano buttato
sulle spalle. Non ero propriamente sterile, il concepimento poteva
ancora avvenire, ma la mia patologia mi avrebbe condannata a subire
aborti per il resto della mia vita, e una volta era stata sufficiente
a distruggermi, non osavo immaginare cosa avrei potuto provare
andando avanti.
Il
medico mi avrebbe sicuramente introdotta in
qualche progetto di sperimentazione ma davvero valeva la pena
torturarmi mentalmente e fisicamente per qualcosa che alla fine non
sarebbe successo ugualmente?
Per
questo non ne avevo parlato
con Akito, per evitargli il nutrimento di una speranza assolutamente
inutile.
Ero
andata a trovare mia madre che mi aveva aperto la
porta ancora in pigiama alle tre di pomeriggio.
“Mamma…
come mai non sei ancora vestita?” chiesi entrando e
togliendomi le
scarpe.
“Oggi
mi sento un'anziana Bridget Jones, voglio
rimanere in pigiama e cantare a squarciagola mangiando
gelato.”
La
guardai sconvolta e la rincorsi per il corridoio, toccandole la
fronte.
“Ma
ti senti bene? Sei stata rapita dagli alieni e
sono davanti ad un tuo replicante?”
Mia
madre scoppiò a
ridere e mi spiegò che aveva solo bisogno di riposo
perché erano
settimane che andava a letto tardi per la consegna imminente del
nuovo libro. Parlammo un po' della pubblicazione, mi
raccontò di
quanto fosse emozionata per quei personaggi tutti nuovi.
“I
due protagonisti sono ispirati a te e Akito.”
Il
tè mi andò
di traverso. “Cosa? Mamma dimmi che non hai raccontato la
storia
mia e di Akito, ti prego.”
“Ma
cosa dici, tesoro? Ho detto
che sono ispirati, non che il libro parla di voi.”
Non
c'era
da fidarsi di mia madre quando si trattava di un suo libro,
perciò
presi le sue parole con le pinze, perché sapevo che mi
avrebbe
riservato qualche sorpresina.
Cercai
di estorcerle qualche
informazione in più, ma mia madre era una tomba e io non
avevo più
tempo da dedicarle perché Rei mi era venuto a prendere per
andare
all'orfanotrofio che mi aveva fatto conoscere Naozumi.
Era
quasi Natale e sentivo il bisogno di canalizzare il mio amore verso
qualcuno che non fosse Akito. Chi meglio di quei bambini che non
avevano nessuno al mondo?
Salutai
mia madre e corsi verso la
macchina di Rei mentre fuori diluviava.
“Hai
preso i
giocattoli che ti avevo chiesto?”
Rei
annuì e indicò i
sedili posteriori, stracolmi di pacchetti di ogni genere.
“Sei
sicura di volerci andare?”
“Devi
smetterla di preoccuparti
per me, Rei. Sto bene, dovrò vedere qualche bambino prima o
poi, non
pensi? Il mondo non smette di girare per me.”
Dissi
quelle
parole più per convincere me che lui, e il resto del
tragitto lo
passai in silenzio. La mia mente aveva pianificato attentamente
quella giornata, sarei andata lì, avrei giocato un po' con i
bambini, gli avrei dato i miei regali e sarei tornata a casa felice
di aver passato la giornata con loro.
Magari
avrebbero cantato
qualche canzoncina di Natale, o avremmo potuto giocare a nascondino,
comunque sarei tornata a casa serena e senza pesi sul cuore.
Quando
arrivai davanti al cancello che conoscevo fin troppo bene il respiro
mi mancò per un attimo. Un paio di bambini mi guardavano
dalle
finestre, non potendo uscire ad accogliermi a causa della pioggia,
con i sorrisi a trentadue denti ciascuno, o qualcuno in meno
sicuramente, ma a loro non importava. Le occasioni per sorridere
dovevano essere colte al volo per loro.
Entrai
con i pacchetti
in mano, con l'aiuto di Rei li avevo portati dentro, e i bambini mi
saltarono addosso non appena capirono che erano regali per loro.
“Sana!”
urlarono tutti in coro. Il mio cuore si riempì di
gioia, una gioia che non provavo da tanto tempo, diversa da quella
che provavo stando con Akito.
La
signora Yatsuma arrivò giusto
in tempo, prima che mi soffocassero d'abbracci. “Bambini,
piano! O
Sana non verrà più a trovarci.”
Alzai lo
sguardo verso
quella signora paffuta che Naozumi mi aveva presentato anni prima.
“Ma no, signora Yatsuma, mi fa piacere che siano
così affettuosi.”
ribattei sorridendole e avvicinandomi per abbracciarla. Lei
ricambiò
e poi mi tolse dalle mani l'ultimo pacchetto. “Questo
veramente era
per lei.”
I suoi
occhi dolci mi guardarono sgomenta,
sorridendomi. “Sei davvero una ragazza d'oro, piccola
Sana.”
La
lasciai aprire il suo regalo in pace e mi chinai di nuovo all'altezza
dei bambini. “Allora, tutti questi regali sono per
voi...”
“Ma
sono tantissimi!” mi risposero un paio d'occhi scuri, con
delle
ciglia foltissime che gli invidiavo assolutamente. Quel bambino si
avvicinò, scansando tutti gli altri, poteva avere si e no
tre anni.
“Ma
sono tutti, proprio tutti per noi?” domandò di
nuovo.
Annuii,
sorridendogli. “Tutti, proprio tutti.” ripetei le
sue esatte parole per accentuare la cosa.
La sua
bocca si
spalancò in una smorfia di stupore che comprendevo
benissimo. Forse,
a parte me e Naozumi, nessuno andava lì a portargli dei
regali.
Cominciai
a distribuirli con attenzione, cercando di
accontentare tutti. Avevo portato anche vestiti, sia maschili che
femminili, e avevo lasciato alla signora Yatsuma piena
libertà di
cambiarli nel caso le misure fossero state sbagliate o non
incontrassero i gusti dei bambini.
Quando
tutti ebbero ricevuto
il loro regalo, cominciai a giocare con loro, cercando di
coinvolgerli tutti, chiamandoli ad avvicinarsi quando si
allontanavano, sorridendogli e stringendogli le manine quando mi
accorgevo che erano solo troppo timidi per parlare con qualcuno che
non conoscevano.
Alla
fine tutti erano venuti a giocare. Tutti
tranne due bambini che non avevano fatto altro che starsene in fondo
alla sala dove eravamo riuniti e avevano a mala pena accettato i
regali.
Erano un
maschio e una femmina, di una bellezza che mi
faceva venire le lacrime agli occhi. Tutti quei bambini erano belli,
ma quei due… i loro sguardi mi facevano tremare i polsi.
Mi
alzai da terra, lasciando gli altri bambini a giocare tra di loro, e
mi avvicinai a quei due che non facevano altro che fissarmi mentre
avanzavo verso di loro.
Sgranarono
gli occhi non appena mi
abbassai per stare alla loro altezza.
“Ciao..”
sussurrai.
Mi sembrava potessero fuggire da un momento all'altro per cui cercai
di essere il più delicata possibile.
Non
risposero, si
limitarono a scambiarsi uno sguardo e poi a fissare per terra, come
se si vergognassero.
“Come
vi chiamate?” chiesi sfoderando
il mio miglior sorriso.
Provai a
sfiorare la manina della
bambina, ma lei si ritrasse bruscamente e da quel gesto capii che non
le piaceva essere toccata.
Chissà
cosa aveva passato e chissà
perché l'unico contatto che non la infastidiva era quello
del
bambino a fianco a lei.
“Lei
si chiama Akane. Io invece sono
Kanata.”
Rivolsi
immediatamente l'attenzione a lui, che la
teneva stretta. “E lei è la tua
fidanzatina?”
Mi
rivolse
uno sguardo per lo più schifato.
“Bleah!
Ma cosa dici? E'
mia sorella!”
Li
guardai bene ed effettivamente notai una
certa somiglianza.
Volevo
sapere di più su di loro. Sapere
perché Akane non amava il contatto, perché Kanata
non le lasciava
mai la mano. Volevo sapere. I bambini si allontanarono da me e io
rimasi a guardare il punto in cui erano un secondo prima.
La
mia curiosità fu subito colmata.
“Sono
gemelli.”. La
signora Yatsuma si avvicinò a me con le braccia incrociate.
“Hanno
cinque anni. Sono arrivati qui quando ne avevano tre.” Mi
alzai e
la seguii mentre camminava.
“Sono
così carini, e sembrano
anche molto uniti.”
“Devono
esserlo: sono rimasti soli al
mondo. I genitori sono finiti in prigione per possesso e spaccio di
droga e per maltrattamenti.”
L'ultima
parola spiegò tutto.
“Su Akane immagino.”
“Anche
su Kanata… ma lui non ha
sviluppato quest'avversione al contatto. Inizialmente Akane non
voleva neppure essere pettinata, o lavata… adesso va meglio,
ma non
ama i contatti bruschi. E' molto diffidente.”
Annuii,
cercando di immaginare la vita di quei due piccoli esserini che in
pochissimo tempo avevano conosciuto una quantità di dolore
che a
quell'età non avrebbero nemmeno dovuto immaginare.
“Avete
trovato qualche famiglia disposta ad adottarli?”
La
signora
Yatsuma scosse la testa. “Molti vengono, li vedono e
rimangono
estasiati. Quando poi scoprono che Akane non parla e che ha questo
problema sull'essere toccata, si tirano tutti indietro.”
Non
riuscivo a concepire l'idea che qualcuno di così innocente
potesse
soffrire così tanto.
Dopo
aver giocato ancora con tutti i
bambini e aver tentato di includere anche Akane e Kanata, li lasciai
a fare merenda e me ne andai.
Avevo
bisogno di pensare, di
schiarirmi le idee.
Forse
quella idea di passare la giornata in
orfanotrofio non era stata un granchè.
Pov
Akito.
Sana non
era ancora tornata dalla sua giornata in
orfanotrofio e io ne avevo approfittato per fare zapping e rilassarmi
un po'. Avevo passato una settimana infernale, dopo il ritorno dal
viaggio di nozze, con il lavoro al museo e la gestione della
palestra. Mi era impossibile fare tutto da solo e mi sembrava che la
mia vita fosse diventata frenetica a livelli esasperanti, i miei
unici momenti di tranquillità arrivavano alla sera quando mi
ritrovavo a letto a fianco a Sana.
Presi il
telefono e mi
accorsi che Sana mi aveva mandato un messaggio dicendomi che stava
per tornare.
Il mio
umore fece un balzo in su. Non la vedevo
dalla sera prima e mi sembrava un'eternità, per cui quando
sentii la
porta di casa aprirsi mi fiondai all'ingresso, ma Sana non era felice
quanto me.
“Ciao
amore.” mi schioccò un bacio all'angolo
della bocca, salutandomi distrattamente. Si diresse in cucina
togliendosi la giacca e io la seguii.
“Come
è andata
all'orfanotrofio?”
Mi
piazzai davanti a lei e la costrinsi a
fermarsi, mentre si agitava davanti al piano cottura fingendo di
iniziare a cucinare.
“Cosa
è successo?”
Il suo
sguardo era sconfitto, come se avesse passato una giornata d'inferno
e non volesse dirmelo.
“Ma
nulla Akito, i bambini erano un
po' irrequieti.” mi liquidò lei.
Pensava
fossi
stupido?
“Sana...”
le tolsi la pentola dalle mani e la
obbligai a fermarsi di nuovo. “Ti conosco come le mie tasche,
pensi
sia davvero così facile prendermi in giro?”
Sana
sbuffò,
sconfitta dalla mia insistenza. Finalmente poteva comprendere come mi
sentivo io ogni volta che lei mi costringeva ad esprimere i miei
sentimenti.
Si
spostò verso il tavolo e mi fece cenno di
sedermi, obbedii e cercai di capire dai suoi occhi cosa la turbasse.
Ma Sana era diventata brava a nascondersi, persino da me a volte.
“Sono
rimasta… scioccata dalla crudeltà della vita
oggi.”
Era
distante e immersa in ciò che stava provando,
così
immersa che io non riuscivo ad afferrarla.
Le
accarezzai una
guancia e lei poggiò la mano sulla mia, accennando un
sorriso. “Oggi
guardando tutti quei bambini ho pensato che la vita fosse
profondamente ingiusta. Perché il destino da un figlio a chi
non lo
desidera e lo toglie per sempre a chi lo ha desiderato con tutta
l'anima?”
La
guardai e per poco non mi scesero le lacrime,
sentivo il suo dolore, lo sentivo proprio al centro del petto ma non
potevo capire fino in fondo cosa provasse. Ero sempre stato convinto
che quel tipo di dolore fosse incomprensibile per noi uomini, e
quella sera Sana aveva confermato la mia idea. Io soffrivo con lei,
ma non come lei. Sapere che stava soffrendo in quel modo ed essere
consapevole di essere impotente mi distruggeva.
“Sana…
riusciremo ad avere un figlio nostro. Anche se dovesse volerci tutta
la nostra forza.”
Lei
scosse la testa, visibilmente
contrariata.
“No,
Aki. Non voglio alimentare speranze, non
voglio soffrire per poi rimanere comunque a mani vuote.”
“Ma...”
tentai di controbattere.
“I
medici sono stati molto chiari: è
altamente improbabile, per non dire impossibile, che io possa portare
a termine una gravidanza.”
Sana si
alzò di scatto e fece per
allontanarsi, ma io la bloccai immediatamente.
“Non
permetterò a tutto questo di allontanarci un'altra
volta.” Poggiai
la fronte sulla sua, provando a tranquillizzarla, provando a farle
capire che non era sola, che se fosse caduta avrebbe potuto
appoggiarsi a me.
“Non
ho alcuna intenzione di allontanarmi da
te, Akito. Solo… ho bisogno di aiutare quei bambini. Io
voglio un
bambino e loro… loro hanno bisogno di una madre.”
Non ero
sicuro di aver capito bene. Sana mi stava proponendo di adottare un
bambino?
“C'erano
questi due gemelli oggi… che nessuno vuole
adottare.”
La
bloccai subito. “Frena, Sana, frena! Adottare
un bambino, potremmo anche considerlo… ma adottarne due?
Abbiamo
appena ripreso in mano il nostro rapporto.”
Sana
sembrò
rinsavire per un secondo, mi sembrò che il suo sguardo
tornasse
razionale ma poi si allontanò da me e uscì dalla
cucina.
*
Restammo
in silenzio per tutta la sera, lei ferma sul suo desiderio e io fermo
sui miei dubbi. Il fatto era che, avendo sperimentato così
tante
incertezze nel nostro matrimonio, non riuscivo a pensare di dare
stabilità a qualcuno che, di base, aveva bisogno solo di
quella.
Come potevamo io e Sana, che non riuscivamo a passare dieci minuti
senza litigare, pensare di occuparci di due creature, per di
più
problematiche?
Erano
quelli i miei dubbi, e Sana si stava
comportando da egoista.
Mentre
cenavamo cercai in tutti i modi
di costringerla a parlarmi, ma lei continuava ad ignorarmi. Mi
passava accanto senza considerarmi e sentivo che quella discussione
sarebbe durata all'infinito se non avessi fatto qualcosa.
Per
cui, non appena la vidi dirigersi verso la camera da letto, la seguii
e, prontamente, chiusi la porta a chiave.
“Akito,
fammi
uscire!” urlò Sana cercando di togliermi la chiave
dalle mani.
“No!
Ascoltami...” La spinsi indietro, verso il letto, e
lei non oppose resistenza. “Non è l'idea
dell'adozione in generale
che non mi piace. Io voglio un bambino, e non mi fa paura l'idea di
adottarne, anche se devo ammettere che desidero con tutto me stesso
avere un bambino nostro, che abbia i tuoi occhi, il tuo sorriso,
ma…
non pensi che sia troppo presto, dopo tutto quello che è
successo? E
poi… due bambini. Insomma, Sana… sii
ragionevole.”
“Ma
se solo tu li conoscessi!” urlò lei esasperata.
“Sono due
bambini adorabili e hanno tanto bisogno d'amore! E io avevo tanto,
tantissimo amore da dare a nostra figlia… e so che anche tu,
nonostante lo nascondi, hai sofferto come me all'idea di non avere
figli.”
Le
parole di Sana mi calmarono. Non che la pensassi
diversamente, ma non riuscivo a litifare con lei quando sapevo che
soffriva.
Andai a
sedermi accanto a lei, in silenzio.
“Cosa
gli è successo?” chiesi, sinceramente interessato
a sapere di più.
“I
loro genitori sono in prigione: spaccio di droga e
maltrattamenti su entrambi i bambini. Kanata protegge sua sorella
come se fosse perennemente in pericolo. E lei… dovresti
vederla!
Akane non sa com'è ricevere un briciolo d'amore, Akito. Ha
paura del
mondo che la circonda. Ha così tanto bisogno di…
di tutto. Hanno
bisogno di due genitori.”
Quando
Sana si fermò la violenza
di quella storia mi investì come un treno. Come era
possibile fare
così male al sangue del tuo sangue?
Sana mi
prese la mano e se
la portò alla bocca, baciandola.
“Io
lo so che è una cosa
grande, enorme, con cui fare i conti. Ma io non ti sto chiedendo di
dire di si ad occhi chiusi. Solo… incontrali. Incontrali
e… se
non sentirai ciò che ho sentito io… almeno ci
avremo
provato.”
Cosa
potevo rispondere di fronte a quella richiesta?
Come
potevo dirle no e distruggere tutte le sue speranze?
Se
avessi detto no, mi avrebbe odiato.
Se
avessi detto si e poi
non fossi stato convinto una volta incontrati i bambini, mi avrebbe
odiato. Forse silenziosamente, ma cosa importava?
Avevo
tutto
da perdere in qualsiasi caso ed ero spaventato a morte. Per cui, pur
non amando quei tipi di discorsi, decisi che forse sarebbe stato
meglio parlare apertamente.
“Mi
prometti che, qualsiasi sia
la mia decisione, le cose tra di noi rimarranno le stesse?”
Sana
mi guardò come se quella domanda fosse assolutamente
superflua. “Non
potrebbe mai cambiare.”
La
baciai e ci abbracciammo.
Parlammo
tanto quella notte. Delle nostre paure e dei nostri
desideri.
E poi ci
addormentammo.
Non
sapevo ancora che
il giorno dopo la mia vita sarebbe stata prepotentemente sconvolta.
Mi
scuso tantissimo per il mio immenso ritardo, ma tra le feste, gli
esami, e problemi vari non ho avuto assolutamente tempo da dedicare
alla stroria.
Spero
che mi perdoniate anche per la lunghezza abbastanza ridotta di questo
nuovo capitolo, ma mi farò perdonare con il prossimo :)
Aspetto
le vostre recensioni, vi amo tutti!
Roberta.
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