A Francine.
Tu sai il perché.
6. Arriccoghniru
[Cancer no Death Mask]
Le mani
sono tutto quello che hai, a Brancaccio.
E da picciriddu le
mani avevi imparato a usarle: per menare e per arrubari a focaccia. O il tabacco da rollare. Avevi imparato ad armare un cane,
colle mani; e anche a farli fuori, i cani. Di quelli a due zampe.
C’erano
cose che potevi fare solo con le tue, di mani. E altre, che avresti imparare: a
romperle e a baciarle, le mani. E c’avevi fattu ‘u caddu a quella vita.
Ma tenevi
una capa dura: per questo Saro
ti ha pigliato.
Chè tu volevi pigliari lu celu cu li mani.
Un grazie di cuore a Italo per l'aiuto con la lingua e per il proverbio, fonte di ispirazione.
Nota al
titolo:
In dialetto catanese, arricugghiutu è il participio
passato del verbo arriccogniri
che significa sia raccogliere sia morire.
De verbis
Sesta drabble.
Sono passati quasi dieci anni, dall’ultima
volta che ho aggiornato questa raccolta. E sono passati molto veloci. Confesso
che è strano tornare a scrivere qualcosa che si era lasciato in sospeso a così
tanto tempo di distanza.
Sono cambiata io; è cambiato il mio stile. Il
modo che ho di scrivere e il modo che ho di voler scrivere. Forse più diretto;
forse più smaliziato.
Quello che non è cambiato, per me, è la
voglia che ho di creare gli ambienti. Di creare quel substrato culturale in cui
si muovono i personaggi. Arms
l’avevo dovuto lasciare anche per questo. Perché non riuscivo a trovare nulla
che si adattasse alla nostra italianità. Alla nostra tradizione sicula.
Poi. L’ho detto: sono cresciuta io. E forse. Forse
sono cresciute anche le mie idee. E quindi. Ecco. Ecco che è nata questa sesta drabble. Dopo una gestazione di anni. Meglio tardi che mai.
Death Mask è un personaggio complesso,
un personaggio che non si riesce a capire se sia buono o cattivo. Un personaggio
che forse è solo la faccia più squallida che la guerra si porta dietro: quella
del soldato senza illusioni, ma che fa comunque il suo dovere. Quella del
soldato che raccoglie ciò che semina: la morte. E lo fa senza raccontarsi
ideali e belle parole. Lo fa sputandoti in faccia quello che è semplicemente la
realtà.
Per questo ho scelto di dargli un backgroud di
violenza. La violenza di Brancaccio,
che è uno dei quartieri tristemente famosi di Palermo per le lotte interne mafiose
e di territorio. Siamo negli anni Settanta (sì: niente tablet,
smarphon e simili. I miei cavalieri si muovono nell’universo
cronologico che appartiene loro): l’Italia vive il terrorismo bianco e rosso e
gli anni di piombo. Non era Woodstock e nemmeno la libertà del Sessantotto, la
Palermo di piombo. Era una città violenta, dove Cosa Nostra aveva ripreso ad
avere potere. E il potere voleva dire controllo e lotta per restare a galla.
Angelo, al secolo il nome
del mio Death Mask, si muove nei rioni di questa
guerra. Si muove come un picciriddu, un
ragazzino, che vuole solo sopravvivere. Si muove rubando e sgraffignando (arrubari) quello che può e gli serve.
L’ho ricostruito sulla scia dei ragazzi di
vita di Pasolini: quei ragazzi dai sorrisi caldi, mediterranei, quasi
sfrontati, affamati di vita. Quei ragazzi che erano quattro ossa e un po’ di
pelle e tanta disperata energia.
Ecco come vorrei che fosse il mio Angelo: un
ragazzino che combatte a fare l’adulto, con le sue sigarette fumate a nove anni
e una pistola in mano. E la disillusione che, per sopravvivere, nella vita devi
uccidere (sì: il mio Angelo aveva già ucciso, prima del Santuario. Ragazzini
come lui. Ma in quell’epoca e in certi contesti o ammazzi o sei ammazzato. È l’unica
legge).
Ed era l’unica vita che poteva, che immaginava
che avrebbe fatto. Fin quando è arrivato Saro. Un metro e sessanta di nervo
e pelle bruciata dal sole, con una barba ispida di cinque giorni e una braccio
in meno.
Saro è l’uomo che cresce
Death Mask. È l’uomo che se lo trascina da Palermo a
Catania e gli insegna cosa significhi davvero usarle, le mani. Che lo trasforma
senza togliergli l’anima cresciuta in fondo ai qanat
e nelle occhiatacce di paese. Saro è l’uomo che si
accorge che Angelo vuole e può prendere
il cielo con le mani, può fare quel qualcosa di impossibile che altrimenti
sarebbe solo talento sprecato.
E perdonate: non ho resistito nel citare il baciamo le mani di padriniana
memoria.