Quando ci siamo conosciuti, non avrei mai pensato
che lui sarebbe stato il prossimo a cui l’avrei detto. Quando
ci siamo scambiati il nostro primo bacio, sono stata tentata di farlo,
ma poi mi sono detta che era poco probabile che la situazione si
evolvesse in questa direzione perciò ho continuato a star
zitta. Da quando siamo entrati in camera stasera, invece, ho sentito il
bisogno di trovare il momento giusto per dirgli tutto. Spogliandomi, ho
capito che non potevo più rimandare, ma ancora non riuscivo
a dir nulla. Più andavamo avanti, più fingevo di
essere sicura di quello che stavo facendo. Mi fingevo
un’esperta, cercavo di fare ciò che ho sempre
pensato si dovesse fare, solo per ingannare me stessa e convincermi che
avrei potuto non dirgli nulla, ma gli scenari, più o meno
probabili, che mi si prospettavano in nessun caso avevano un esito
positivo. In un primo scenario, non dicevo nulla, continuavo
così come stavo facendo, ma Tommaso capiva da solo la mia
situazione. A quel punto avrebbe potuto arrabbiarsi perché
non ero stata sincera con lui, oppure avrebbe potuto farsi
un’idea sbagliata di me, povera sfigata verginella che
l’aveva data via alla prima occasione perché la
data di scadenza era passata da un pezzo. In un secondo scenario,
continuavo in silenzio, fin quando un suono, un profumo o un movimento
non mi avessero riportato dentro quella maledetta auto insieme a Dario
Simoni. Allora avrei avuto uno dei miei attacchi di panico seguito da
una crisi catatonica o isterica. In entrambi i casi, Tommaso andava via
convinto di essere di fronte a una psicopatica e non lo rivedevo mai
più. Non potevo permettere che niente di tutto
ciò accadesse, non mi restava che affrontare la paura della
sua reazione, anche se i dubbi non mancavano di certo. Mi avrebbe
creduto? Avrebbe riso? Si sarebbe arrabbiato? Sarebbe stato felice?
Avrebbe voluto continuare? Se ne sarebbe andato?
Tommaso, più semplicisticamente di
quanto da me immaginato, si è limitato a non reagire. Quelle
tre paroline sembrano essere state una doccia fredda e improvvisa, di
sicuro inaspettata. Siamo entrambi imbambolati a fissarci. Una strana
associazione di idee mi riporta a quando da piccola incrociavo gli
occhi nel fare le linguacce a mio padre e lui mi rispondeva di stare
attenta, che se passava l’angioletto mi avrebbe fatto un
incantesimo e sarei rimasta bloccata in quel modo per sempre. Ecco,
sembra essere arrivato a frizzarci in questa posizione.
Sono io la prima a sbloccarsi.
D’improvviso, essere quasi nuda davanti a lui, cosa che fino
a qualche istante fa per la prima volta in vita mia sembrava essere la
sensazione più normale del mondo, mi imbarazza. Raccolgo in
fretta la canotta e la infilo velocemente. Questo sembra attivare la
sequenza di sblocco anche su Tommaso.
«Scusa, Ram. Oddio, ti prego
scusami.» continua a ripetere in tono mortificato.
«Di cosa dovresti scusarti?»
gli chiedo con un pizzico di acidità di troppo.
«Sono un coglione. Sono rimasto
lì immobile come se mi avessi raccontato di aver strangolato
il gatto da piccola.»
«Tranquillo, è una delle
reazioni più accettabili che ho visto. Non hai idea di cosa
sia pronta a fare o dire la gente quando si prendono certi argomenti. E
parlano anche di tollerabilità e mente aperta! Ma io sono
quella strana, lo so e l’ho accettato. Questo non significa
che debba accettarlo anche tu.»
«Ram, frena.» Mi prende le
mani per fermarle, mentre sto infilando di nuovo la felpa. Le allontano
dalle mie. «Non ho reagito bene e ti chiedo scusa, ma non
credi di stare correndo un po’ troppo?»
«Io starei correndo?» Lui non
ride e capisco di essere l’unica ad aver afferrato
l’ironia della sua frase in questo contesto.
«Mi sono bloccato, ma solo
perché quello che hai detto mi ha spiazzato. Non me
l’aspettavo e non credo tu possa biasimarmi per questo. Ma
non c’è dietro nessun altro strano ragionamento,
nessuna critica al riguardo. Solo un po’ di
stupore.»
Per quanto poco lo conosca, credo che i suoi occhi
non sappiano mentire.
«E dovresti considerare anche
l’attenuante del caso: buona parte del mio volume sanguigno
si trova ben lontano dal cervello, quindi le mie connessioni nervose
sono rimaste a lungo senza ossigeno. Non ci si può aspettare
da me una reazione immediata.»
Cerca di farmi ridere. Il fatto che ci riesca, in
una situazione che ha dell’assurdo come questa, non
può che stupirmi.
«Ram, è una cosa rara.
Pensavo che tu fossi speciale, ma adesso che...»
«Frena Tommaso. Questo non cambia nulla
di me. Non è una dote o una speciale qualità. Non
fa di me un supereroe né una donna diversa dalle altre. Non
dire né pensare niente del genere.»
«Non sarà un super potere ma
non può non essere considerato.»
«“Una cosa del
genere”. Non riesci neanche a dirlo.»
«Ram, non prendere ogni parola per un
giudizio avverso nei tuoi confronti. Non lo è. Il fatto che
tu sia vergine - ecco, vedi, l’ho detto, posso dirlo senza
problemi, sei vergine - non toglie qualcosa all’idea che ho
avuto finora di te, anzi ti valorizza.»
«Tom, io non sono vergine per un ideale
morale o religioso. Quello che c’è dietro non
è niente di poetico, niente che debba valorizzare una
persona. Credo che non si possa neanche definire una mia scelta al
100%.»
«Cosa vuoi dire?» è
visibilmente confuso.
Il momento di parlare è arrivato, senza
girovagare per la stanza e senza cercare parole infiocchettate. Adesso
ci vuole solo la verità.
«Il ragazzo che hai visto oggi, quello
che mi ha quasi aggredito...»
«Togli il “quasi”.
Ti ha aggredito, punto. Non ho idea di come si faccia a essere
così stronzi. Come fa a sentirsi uomo gente del
genere?» afferra il mio sguardo innervosito. «Ok,
continua, scusa l’interruzione.»
«Dicevo, il ragazzo che hai visto oggi,
si chiama Dario Simoni. L’ho conosciuto quando avevo dodici
anni. Mese più, mese meno.»
«Hai detto dodici anni?»
«Sì, te l’ho detto
che era una storia lunga, no?»
Ram si è addormentata, mentre io non
riesco neanche ad immaginare di poter dormire stanotte. Non dopo quello
che mi ha raccontato.
Credevo di essere io quello incasinato dei due.
Non avevo capito un cazzo di lei! L’avevo immaginata come una
ragazza al limite della perfezione, a scuola sempre voti alti,
benvoluta da tutti ovunque andasse, una sana dose di cazzate ma senza
esagerare, circondata da ragazzi che facevano a gara per guadagnarsi la
sua attenzione. Beh, a quanto mi ha detto almeno sulla sua media
scolastica ci avevo preso, bella consolazione. Dopo la laurea, un buon
lavoro e una realizzazione professionale, ma con in mente
l’obiettivo di poter comunque creare una famiglia. La mia
versione di Ram aveva avuto come apice del dolore subito aver preso un
paio di chili che non la facevano entrare più in un abito
appena comprato, oppure un litigio con la migliore amica. Almeno fin
quando non ha avuto la sfortuna di incontrare quel pazzo che la
stalkerava. Non avrei mai creduto che fosse una ragazza con dei
fantasmi così osceni nel suo passato. Non avrei mai osato
pensare che avesse subito così tanto, che avesse sofferto
così eccessivamente.
L’ho vista piangere in modo disperato,
il cuore si strappava ad ogni sua lacrima. Quella sottospecie di uomo
le ha rubato non solo l’affetto e l’amore delle
persone più care al mondo, non solo il lavoro e la
reputazione. Come se tutto ciò non fosse abbastanza, le ha
portato via la serenità, la possibilità di vivere
le sue scelte senza il timore di avere una crisi da un momento
all’altro. E proprio quando lei è riuscita a
riprendere in mano la sua vita, a ricominciare, ad andare avanti, a
fare a meno della Dottoressa De Simone, fa la sua ricomparsa.
A mettere su tutto ciò una bella
ciliegina ci sono io che, anche se inconsapevolmente, l’ho
portata alle strette, a dover decidere di raccontarmi tutto
ciò. Io che stanotte avrei solo voluto far l’amore
con lei e farlo al meglio per riuscire a farla stare bene.
Le bacio i capelli, Ram fa una smorfia dolcissima
muovendo il naso. Il suo viso è tornato quello della piccola
secchiona con tanti amici che mi ero creato fino a qualche ora fa, ma
adesso so cosa si nasconde dietro quegli enormi occhi castani e posso
solo immaginare quanta forza le sia servita per ritornare a splendere
così come io la vedo adesso.
Osservo fuori dalla finestra, la notte farsi
più chiara. Ormai non piove più. Della fuggevole
tempesta restano solo le gocce sui vetri e qualche nuvola
più scura che ancora campeggia in cielo che è
tornato prevalentemente sereno. Il sole deve essere alle porte,
perché il blu scuro ha lasciato il suo posto a una sfumatura
di azzurro polvere che all’orizzonte diventa ormai
più simile al bianco. Tra poco quel chiarore
verrà ad essere colorato di un lieve tono di ocra chiaro che
col passare dei minuti si trasformerà in un giallo intenso e
poi virerà all’arancione fuoco finché
il sole non farà la sua entrata trionfale nella volta.
Sempre che le nubi non decidano di accalcarsi nuovamente, impedendone
lo spettacolo.
Prendo il mio telefono da sopra il comodino. Una
piccola luce bianca lampeggiante mi ricorda che devo controllare quante
volte mio fratello e gli altri mi abbiano stramaledetto per non averli
avvisati che non sarei rientrato. Controllo le chiamate perse, un
totale di dodici, di cui tre sono di mia madre. Non ho dato la
buonanotte a Rose, cacchio. Su Whatsapp, i messaggi rientrano a stento
nelle due cifre e l’appellativo più gentile che mi
riserva mio fratello è “testa di cazzo”.
Ridacchio, cercando di non far tremare troppo la testa di Ram. Gli
rispondo in maniera sbrigativa. “Sono vivo. Ci vediamo a
pranzo.”. Prima di posare di nuovo il telefono, guardo
finalmente l’orologio. Sono quasi le sei. Poggio di nuovo la
testa sul cuscino e chiudo gli occhi, anche se so che non
servirà a dormire.
Devo essermi addormentata mentre mi accarezzava i
capelli. La guancia sinistra è calda a contatto con la sua
pelle che è rimasta nuda. Ho la gola secca per il mio solito
e poco femminile dormire con la bocca aperta. Sento l’angolo
sinistro delle labbra troppo umido e temo già di avergli
sbavato sul petto. Un tocco di classe, non c’è che
dire! Poco male, certo, sentito come sta russando a causa della
posizione scomoda della testa. Fa ridere.
Fuori dalla finestra i primi raggi del sole
iniziano a intravedersi e il mio primo pensiero razionale da un bel
po’ di ore a questa parte si fa vivo: come farò a
reggere l’evento di oggi dopo la notte appena trascorsa? E
Dario si presenterà? Mark e Nico sono arrivati ieri sera. Se
vedessero un uomo uscire dalla mia stanza, o peggio se ci avessero
incrociato ieri mentre rientravamo, per me sarebbe la fine. Di nuovo.
Mi sporgo per cercare di vedere che ore sono dalla
piccola sveglia poggiata sul comodino, mezza coperta dalla maglia nera
che portava Tommaso. I miei movimenti devono spezzare il suo sonno.
Apre gli occhi di colpo come spaventato, li
richiude in una fessura appena percettibile. Con la mano che non
è bloccata dal mio corpo, si stropiccia il viso e copre un
vistoso sbadiglio. Gli sorrido.
«Buongiorno bimba.» arriccia
anche lui le guance in un sorriso.
Senza un vero motivo, mi torna in mente mio padre,
quando avevo circa otto anni e mamma aveva già provato a
buttarmi giù dal letto per troppe volte, allora mandava lui
in camera, che mi svegliava con il solletico canticchiando la prima
frasi di “Buongiorno bambina” di Ramazzotti. Uno
dei primi veri ricordi che ho di lui, uno dei più dolci, di
quando ancora ero, come qualsiasi figlia è stata almeno per
un po’, una piccola principessa follemente innamorata di mio
padre.
«Dovresti andare.» gli dico,
poggiando di nuovo il mento sul suo petto.
«Lo so.» sposta un ricciolo
dalla mia fronte, accompagnandolo dietro la nuca. Lascia la mano
poggiata tra le mie scapole, sopra la felpa.
«Credo di doverti ringraziare, per la
centesima volta da quando ci conosciamo.»
«Vuoi forse battere un
record?» ride.
A quel sorriso, il più bello mai
incontrato in vita mia, l’idea di lasciarlo andare sembra
solo pura follia.
«Cosa faremo adesso?» non
riesco a guardarlo mentre lo chiedo, mi volto di nuovo verso la
finestra.
«Io non ho impegni.»
«Non era una domanda a breve
termine.»
«Lo so.»
«E allora che senso ha la tua
risposta?» lo guardo di nuovo negli occhi.
«Significa che non ho nessuna
fretta.»
«Continuo a non capirti.»
Mi metto a sedere, incrocio le gambe e sposto i
capelli sulla spalla destra in modo che possa vederlo senza
difficoltà. Lui si raddrizza, dispiegando finalmente il
collo. Appoggia la schiena alla testiera del letto.
«Sei stata sincera con me, voglio
esserlo anche io. Non credevo di essere pronto a provare di nuovo
qualcosa per qualcuno. Giuro che l’ultimo pensiero che mi
passava per la testa era quello di innamorarmi di nuovo.»
Il suono di quella parola mi dà una
scossa, sorrido cercando di camuffare il brivido che mi attraversa.
«Io volevo solo trovare un lavoro,
suonare con la mia band e riuscire a crescere mia figlia non facendole
mancare nulla. Quello era il mio unico obiettivo. Poi sei comparsa tu,
una sconosciuta carina in un bar, con cui ho fatto la figura dello
psicopatico. Ma ci siamo incontrati di nuovo e poi ancora, e ogni volta
che ti guardavo o che parlavamo sembrava come se non avessi aspettato
altro per tutta la vita. Entrambi abbiamo avuto i nostri problemi.
Cacchio, la tua storia è da romanzo! Credo che potresti
scriverci davvero un libro e faresti milioni.»
Qualcosa in questo discorso mi disturba, stavolta
il brivido è poco piacevole, perciò lo interrompo.
«Tom, davvero, non sto capendo dove vuoi
arrivare.»
«Voglio solo dire che potremmo provare a
dare un finale felice al romanzo. Non facciamo le cose di fretta, ma
non perdiamoci di vista. Dio...» copre il viso con le mani.
«Credo di non saper ancora parlare. I miei neuroni sono in
coma.» Lascia di nuovo il viso libero. «Quello che
sto cercando di dire è che vorrei conoscerti, conoscerti
davvero. Non sapere la tua storia, ma capire chi sei, chi è
Ramona. E farti conoscere chi è Tommaso.»
Sorrido. Mi tuffo a baciarlo sulle labbra,
fregandomene se abbiamo entrambi la bocca impastata dalla nottata in
bianco.
«Direi di iniziare dandomi il tuo
numero.» aggiunge mentre gli sto ancora appiccicata alle
labbra. «Così la prossima volta non
dovrò aspettare che sia la fortuna a farci
incontrare.»
Afferro il suo telefono, lo sblocco facilmente
perché non ha impostato nessuna protezione particolare.
Registro il mio numero, mentre gli faccio la linguaccia. Poi guardo
l’orario.
«Cacchio!»
«Che succede?»
«Sono quasi le sette. Rebecca mi
aspetta, già pronta per andare via, a colazione tra meno di
un’ora. Ci saranno anche altri due nostri colleghi arrivati
ieri per l’evento. E devo fare la doccia. Dopo ieri sera mi
sento ancora puzza di anni ‘80 addosso!»
«Ho capito, devo scappare di
già. Chiamo subito un taxi.» compone il numero
mentre gli chiedo scusa, baciandolo ancora.
Inutile dire, che non smetterei mai di farlo.
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