Ogni volta che Yuki posava gli occhi sulla figura
di Momo, sorridente
alla sua destra ad ogni concerto, divertito nel parlare del
più o del meno
con Okarin o addirittura accettare,
dalle mani di uno dei suoi (loro?) tanti fans un peluche, un mazzo di
fiori o
la più semplice lettera scritta a mano, tutto quello che
riusciva a percepire
era un profumo. Il profumo dell'erba appena tagliata, l'odore della
pelle
accarezzata dal sole e dalla salsedine, l'aroma della lavanda agitata
dal
vento.
E in quei momenti era come se il mondo intero si
bloccasse, le lancette
di un orologio grande come il mondo pronte a rallentare la loro corsa
solo per
permettere a Yuki di assaporare ancora quel profumo di buono, di casa,
di
qualsiasi cosa fosse anche solo lontanamente famigliare. Ed era fin
troppo
facile dipingersi, nella mente, la figura di Momo coi suoi capelli
sparati per
aria, in quegli scenari vorticosi. Un barlume di pelle chiara bagnata
dal mare,
la mano sinistra posata appena sui piccoli petali della lavanda, un
sorriso
delicato accarezzato dalla luce del tramonto sotto al portico di una
piccola
casa e-
«Yuki?»
Il trillare di campanelli d'argento
strappò il filo dei suoi pensieri,
riportandolo così bruscamente alla realtà tanto
da rapirgli il fiato nei
polmoni, le labbra un poco separate, gli occhi fissi su quelli
impossibili,
grandi, sempre giovani, di quel moderno Apollo. In lontananza -o,
almeno, così
sembrava alle orecchie di Yuki ancora piene di altri suoni, di altre
sensazioni, irreali quanto tangibili- poteva udire le grida dei fans,
"Encore!" gridavano, da chissà quanto tempo? Per quanto si
era perso?
«Ti sei bloccato in mezzo al palco,
abbiamo dovuto portarti qui... ti
senti male? Momo-chan ha un po' di zucchero in tasca!!» Vide
Momo tendersi,
pronto già ad allontanarsi per prendere la bottiglietta
dell'acqua, e non
riuscì a pensare ad altro che fermarlo, stringendo le dita
lunghe e sottili
attorno al braccio del più giovane.
«Non... non sto male Momo.»
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Ogni volta che Momo posava gli occhi sulla figura
di Yuki, mentre beveva
l'acqua deglutendo a grandi sorsate, silenzioso eppure presente alla
fine di
ogni concerto nel salutare i fans senza controllo, coi capelli
sollevati con l'aiuto
di un mollettone blu scuro mentre preparava la cena per entrambi, tutto
quello
che riusciva a percepire era un suono. Per molti inudibile, come il
respiro di
un dormiente nelle ore che precedono l'alba, o il vento che fa agitare
le
foglie, rumoreggiare l'erba, come un eterno e confortante sottofondo o
ancora
il ticchettio della pioggia sui vetri in un pomeriggio pigro, costante
e mai
diseguale.
E in quei momenti a nulla valevano le grida
attorno a lui, inutili le
note che ancora ondeggiavano nell'aria gremita di respiri dello stadio,
poiché
le orecchie di Momo erano piene di quei suoni a cui seguivano immagini,
immagini di vita vissuta quotidianamente. Una figura longilinea distesa
sui
cuscini accanto a lui, bagnata dalla luce del sole appena nato, i
capelli
sciolti come acqua di Yuki portati via dalla brezza durante la notte,
il
sorriso appena accennato tra i vapori di un the caldo, immerso sotto le
coperte
e con-
L'occhio catturò casualmente
l'immobilità di Yuki, ma ancora più
velocemente le sue mani catturarono le braccia immobili dell'uomo,
minimizzando, salutando, nascondendo. Lo chiamava ad ogni passo, le
sopracciglia aggrottate nello scrutare il viso delicato del
più grande e fu con
un sospiro di sollievo che vide gli occhi grigi su di sé.
Perché si era bloccato? Dove era andato
Yuki, per non vedere cosa stava
succedendo? Altre parole lasciarono automaticamente le labbra di Momo,
incapace
di tenerle a freno, troppo abituato a dover nascondere sotto una patina
di
naturalezza la preoccupazione o, addirittura, la curiosità,
quando venne
fermato. Una presa, una frase flebile.
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Quando vide Momo inginocchiarsi, dipinto sulle
labbra un sorriso
irreale, Yuki non riuscì a muovere muscolo. Venne
semplicemente avvolto da quel
profumo di buono, di panni appena lavati, di neve fresca, mentre il
respiro
dell'altro accarezzava i capelli morenti sui propri zigomi. La
pressione delle
mani sulla sua nuca era quasi impercettibile.
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Il respiro accelerato di Yuki, il rumore lieve dei
capelli tra le
proprie dita, era così forte da respingere qualsiasi suono
al di fuori di
quella bolla, intoccabile, indistruttibile.
«Sai Yuki, ti è mai capitato
di... avere dei suoni sempre presenti? Così
forti che riescono sempre a soffocare qualsiasi altro rumore?»
Ti è mai capitato Yuki?
Perché a me sempre, sempre. Ad ogni
concerto, ad ogni ora del giorno. Riesco a
sentire solo te.
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«...»
Il collo di Yuki si allungò, il naso
freddo trovò posto tra l'orecchio e
il collo di Momo, come se vi appartenesse da sempre. Lì, non
nascosto ma pieno
nella sua vera gloria, il profumo lo colpì come una carica
di soldati. Più
potente di qualsiasi melodia, più forte di qualsiasi nota.
«Mi capita... di sentire odori. Profumi.
Come ora.»
Lo stesso profumo che sento su di
te Momo, ogni mattina, ogni sera, un
profumo che non mi lascia mai. Riesco a sentire solo te.
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