Capitolo
11 – Montmartre
Esattamente
mezzora più tardi lo vide entrare nella boulangerie.
Nel frattempo aveva finito
sia la baguette con quel delizioso burro salato che il café
au lait – sarebbe stato un delitto farli freddare
– ma era più
che felice di condividere qualcos’altro con lui per
festeggiare il suo nuovo
incarico. Sapeva quanto potesse essere frustrante aspettare che il
telefono
squilli per annunciare una nuova opportunità di lavoro: nel
loro ambiente, i
tempi morti potevano protrarsi a lungo. Le era capitato
all’inizio della
carriera, ma tutto considerato dovette riconoscere di essere stata
molto
fortunata. Subito dopo Castle, in cui aveva recitato per otto anni, le
era
stata offerta la parte di Emily in Absentia, praticamente senza alcuna
pausa. A
questo proposito, le sue vacanze ormai erano agli sgoccioli e presto
sarebbe
dovuta ritornare in Bulgaria e indossare di nuovo i panni, molto
impegnativi,
del suo ultimo personaggio. Cosa sarebbe stato di loro due? Ma poi, era
davvero
sicura che ci fosse un “loro due”?
Sospirò e si concentrò sul suo commensale,
che nel frattempo l’aveva raggiunta al tavolo.
Gli
occhi di Nathan indugiarono compiaciuti su di lei:
indossava una camicetta avorio e un pullover con uno scollo a V color
miele che
metteva in risalto quei due fari verdi-castani che adorava. E gli
sorrideva,
con quel sorriso che lo faceva sciogliere come neve al sole e che ogni
volta lo
fulminava con una saetta in mezzo al petto.
Non
sapendo come salutarla, visto che erano in un locale
pubblico e visto quello che era successo la sera precedente, le
sfiorò
delicatamente un braccio e prese posto davanti a lei.
“Ehy,
dov’è la baguette?” la
apostrofò scherzando, ma la
sua voce tradì una nota di malinconia.
Stana
si prese un po’ di tempo per osservarlo bene e ciò
che vide le fece aggrottare la fronte. Non aveva l’aspetto
entusiasta di uno a cui
è stato appena affidato un ruolo da protagonista in una
nuova serie sulla ABC.
Due profonde occhiaie tradivano un pessimo rapporto con il sonno. Un
morso allo
stomaco le ricordò che potevano essere dovute a una notte
sfrenata in dolce
compagnia. Le vecchie abitudini sono dure a morire. Però
volle scacciare quel
pensiero e concentrarsi sul fatto inequivocabile che la aveva cercata
più volte
e persino aspettata in albergo per poter condividere con lei la bella
notizia
meno di 24 ore prima, quindi non ci poteva essere un’altra
donna. Allora qual
era il problema?
“Nate,
tutto bene?” gli chiese, sinceramente preoccupata.
“Ehm…
sì, più o meno… piuttosto, sono
digiuno da ieri, ti
dispiace se ordiniamo qualcosa da mangiare?” propose e, senza
aspettare alcuna
risposta, aprì il menù e si concentrò
su quello. L’offerta gastronomica del
locale rifletteva le origini bretoni del proprietario, con un tripudio
di
crepes e galettes, baguette
accompagnate da burro salato e naturalmente il kouign-amann.
L’uomo optò per una tipica galette
di grano saraceno e si limitò ad un caffè,
decidendo che il
sidro, seppure tradizionale, non fosse la scelta più adatta
a quell’ora.
Trascorsero
i successivi quindici minuti a parlare di
argomenti banali, con grande frustrazione di Stana che non riusciva a
comprendere cosa diavolo gli fosse preso. Appena ebbe terminato il suo
pasto,
la donna propose una passeggiata nel quartiere ed uscirono.
Il
sole stava tramontando e ciò regalava all’ambiente
un’atmosfera fiabesca. Si ritrovarono davanti al Moulin de la
Galette,
immortalato in tanti quadri impressionisti, da Renoir a
Toulouse-Lautrec, ma
anche da Van Gogh e persino da Pablo Picasso. Anche se ormai era stato
trasformato in un ristorante, era comunque strano vedere un mulino nel
cuore di
una metropoli. Ma Montmartre rappresentava un’oasi surreale
in sé: c’era
persino un vigneto che produceva un vino le cui bottiglie venivano
invecchiate
nelle cantine del municipio e dipinte da artisti famosi. Non era certo
usuale
trovare una collina coperta da viti al centro di una grande
città. Non stupiva
che tanti artisti, più o meno famosi, avessero soggiornato
in quella zona e la
frequentassero tuttora.
“Adoro
questo posto!” dichiarò Stana.
“E’ tutto un
pulsare di curiosità e un fremere di vita. Si respira arte
ad ogni passo, non
credi?” gli chiese, tentando di coinvolgerlo nella
conversazione e di
strapparlo al rimuginare nel quale sembrava sprofondato. Anche quella
manovra
però non ebbe successo.
Stufa
dei suoi monosillabi e dello sguardo spento, gli si
piazzò davanti, gli mise le mani sugli avambracci e gli
disse: “OK, sputa il
rospo. Cosa c’è che non va?”
Nathan
si arrese, prese un respiro profondo e le disse:
“Ho capito perché mi hanno dato quella
parte”
“E
quindi?” lo incitò lei.
“Sono
vecchio” dichiarò, abbassando la testa e
incurvando
le spalle. Stana trattenne a stento un sorriso: uomini...
Però lui sembrava
profondamente angosciato e lei ne ebbe pietà. Nathan riprese
la parola e le
raccontò in breve quale sarebbe stato il suo ruolo.
“La maggior parte degli
altri attori ha la metà dei miei anni e il doppio della mia
massa muscolare!”
concluse affranto. La donna lo ascoltò con attenzione, poi
girò la testa e vide
una cosa che sicuramente gli avrebbe tirato su il morale. O almeno
così
sperava.
Il
tramonto aveva lasciato spazio all’oscurità e un
gioco
di luci aveva trasformato la vetrata dell’edificio alle loro
spalle in uno
specchio. L’attrice lo prese per un braccio e lo fece
voltare, così che
entrambi scoprirono le proprie immagini riflesse in quello specchio
improvvisato.
“Dimmi
cosa vedi” gli ordinò con un sorriso
incoraggiante.
“Vedo
una ragazza bellissima e giovane accanto a un uomo
imbolsito” rispose con un tono di voce triste.
“Sai
invece cosa vedo io?” gli chiese. Lui scosse la
testa. “Vedo una donna fortunata perché
è al fianco di un signore molto
affascinante. Anzi, direi irresistibile”
Le
prese la mano, gliela strinse e se la portò alle
labbra, senza distogliere lo sguardo dall’immagine di loro
due sulla finestra e
senza dire una parola. Poi, continuando a tenerla per mano, si
voltò verso di
lei e finalmente le sorrise, non solo con la bocca ma anche con gli
occhi, per
la prima volta da quando l’aveva raggiunta nella boulangerie quel pomeriggio.
“Posso invitare questa donna fortunata
a fare un giro sul bateau mouche?
Lo
so che è schifosamente turistico, ma è
un’esperienza che non ho ancora fatto da
quando sono a Parigi e non me ne voglio andare senza averla
provata!”
Stana
annuì, mentre la piacevole sensazione delle loro
dita intrecciate frantumò in mille pezzi il macigno che
aveva sul petto,
sbriciolandolo completamente. Non era più arrabbiata con
lui. Anzi, stare con
lui era come andare in bicicletta: anche se cadi, appena ritrovi il
coraggio di
riprovarci diventa tutto naturale.
Saliti
sul battello, si sedettero all’esterno sul pontile
più alto. Spirava una brezza pungente, ma il paesaggio che
scorreva ai loro
occhi meritava quel piccolo sacrificio. Senza considerare che nessuno
dei due
si lamentò dell’opportunità di stare
appiccicati l’uno all’altra per ripararsi
dal vento freddo. Il bateau mouche
oltrepassò Place de la Concorde e svelò
l’imponenza del Louvre, per poi
dirigersi verso le guglie della cattedrale di Notre Dame. Non si
persero il
museo d’Orsay con la sua architettura inconfondibile
né, naturalmente, la Tour
Eiffel sfavillante di luci. Da quel nuovo punto di vista, la Ville
Lumière
mostrò un’ulteriore sfaccettatura del suo fascino
ai due attori, che ne
assaporarono ogni goccia, immersi nella loro bolla. Entrambi sapevano
che
quella vacanza aveva i giorni contati e che poi sarebbero dovuti
tornare alla
vita normale, che li vedeva in due continenti diversi. Ma decisero di
godersi
solo il presente e ciò che di bello e inatteso aveva da
offrire.
Nel
frattempo, in un grazioso appartamento non lontano
dalla Sorbonne il professor Shermann stava rientrando a casa dopo aver
concluso
la conferenza su Shakespeare. Varcò la soglia e le sue
narici vennero invase
dal profumo invitante del coq au vin
che sua moglie Rosalie stava finendo di cucinare per loro. Si tolse la
giacca,
la appese all’attaccapanni nell’ingresso e
rilasciò un sospirò di sollievo.
Adorava il suo lavoro e non mai una volta si era pentito di averlo
scelto a
scapito del fiorente studio legale di famiglia in America, ma
l’ultima
settimana era stata particolarmente faticosa e l’adrenalina
che lo aveva
accompagnato fino a quel momento stava scemando per lasciare il posto a
una
stanchezza dolorosa, che si manifestava nelle spalle contratte e in un
principio di mal di testa. La sua deliziosa consorte adorava ascoltare
la
musica mentre si dilettava in cucina e anche quella sera un CD che
raccoglieva
vecchi brani cantati da Charles Aznavour diffondeva un piacevole
sottofondo in
tutta la casa. In quel momento, in particolare, “Tous les
visages de l’amour”,
la versione in francese della celeberrima “She”,
inondava di note ogni stanza.
Il
bel professore si avvicinò alla moglie e la
abbracciò
da dietro, posandole un delicato bacio sul collo e assaporandone il
tepore
profumato. Rosalie sorrise e un brivido le percorse la spina dorsale:
il
contatto fisico con suo marito era ancora elettrico, come il primo
giorno.
“Com’è andata la conferenza?”
gli chiese.
“Bene,
l’audience era attenta e i relatori sono stati
molto disponibili anche al termine dei loro interventi. Hanno risposto
alle
domande e si sono fermati a parlare con gli
studenti…yawn…” rispose, non
riuscendo a trattenere uno sbadiglio. Rosalie dette un’ultima
mescolata al sugo
affinché tutti gli aromi si fondessero insieme, poi
abbassò il gas sotto il
recipiente nel quale si stava cuocendo il pollo e si voltò
nell’abbraccio del
marito. Lo baciò a fior di labbra e stettero qualche secondo
fronte contro
fronte, a occhi chiusi. Robert era davvero esausto, ma sua moglie gli
era
mancata molto negli ultimi giorni: l’organizzazione della
conferenza aveva
assorbito ogni sua energia, praticamente giorno e notte. Non aveva
nemmeno
avuto il tempo per mandare un messaggio al suo nuovo amico americano.
Chissà
cosa stava combinando…
“Tesoro,
che ne dici se invitiamo una mia amica a cena
domani sera?” propose Rosalie appena il marito
aprì gli occhi.
“In
realtà anch’io avevo promesso a un amico di
invitarlo
a cena appena finita la conferenza…” aggiunse lui.
Poi un lampo furbo gli
balenò nello sguardo. Rosalie comprese al volo. Avevano
parlato a lungo dei due
attori che il destino gli aveva fatto incontrare in modo
così rocambolesco. E
anche se a Robert il ruolo di paraninfo non piaceva, per
solidarietà maschile
aveva deciso di stare dalla parte di Nathan e sostenerlo nel suo
tentativo di
riconquistare la bella Stana. Rosalie invece era combattuta: da una
parte, il
suo animo romantico avrebbe voluto un happy end per loro due,
dall’altra le
sembrava di tradire le confidenze della sua nuova amica, che aveva
sofferto
molto a causa di quell’uomo, ma a cui era profondamente
legata, anche se forse
non sapeva di esserlo.
“L’amour gagne
toujours” dichiarò Rosalie e prese il
cellulare per mandare un messaggio a Stana,
mentre suo marito faceva altrettanto, destinandolo però a
Nathan. Omisero
entrambi il piccolo, insignificante, trascurabile dettaglio che nessuno
dei due
sarebbe stato l’unico ospite a cena.
La
gita sul bateau
mouche era stata perfetta: le bellezze di Parigi di notte
avevano catturato
l’attenzione di entrambi, tanto che avevano scambiato solo
poche parole,
inebriandosi del fascino della Ville Lumière e della
vicinanza l’uno
dell’altra.
Anche
se volevano evitare di pensarci, tutti e due erano
dolorosamente consapevoli che la loro vacanza stava quasi per finire.
L’agente
di Nathan gli aveva intimato di rientrare a Los Angeles seduta stante,
così da
finalizzare i dettagli del suo nuovo impegno lavorativo e iniziare a
calarsi
nel personaggio. L’attore non aveva ancora perso la speranza
di riuscire a strappargli
il permesso di fermarsi a Parigi per altri due giorni, così
da poter
festeggiare il suo compleanno proprio nella capitale francese, e
possibilmente
in compagnia di Stana. A lei non lo aveva ancora chiesto e non osava
nemmeno
sperare che se lo ricordasse: negli ultimi anni, l’evento era
passato in
secondo piano o comunque lei non aveva partecipato alle uscite
organizzate con
gli altri colleghi per brindare alla sua salute. Confidava
però nell’atmosfera
speciale della capitale francese, unica nel suo genere,
affinché quest’anno le
cose potessero andare diversamente.
Scesero
dal battello e si incamminarono verso l’albergo
di Stana. Lei lo prese a braccetto e durante il tragitto
chiacchierarono fitto
fitto di tutto quello che avevano visto scorrere lungo la Senna, della
cucina
bretone, degli impressionisti e di tanti altri argomenti, senza mai
affrontare
la questione del bacio, né tantomeno cosa avrebbero fatto al
termine della loro
parentesi francese. Nathan non trovava il coraggio per dirle che da
lì a poco
più di 48 ore si sarebbe potuto trovare su un volo
intercontinentale con
destinazione Stati Uniti.
Giunti
all’Hotel du
Marronier, si fermarono l’uno di fronte
all’altra. Lo sguardo di Nathan
scese dagli occhi di Stana verso la sua bocca, indugiandovi forse
più del
dovuto, per poi salire di nuovo e incatenarsi alle sue iridi. A sua
volta, la
donna non poté fare a meno di inumidirsi le labbra con la
lingua, gesto che non
passò certo inosservato all’uomo, il quale
alzò un sopracciglio e le fece un
sorrisino, come a volerle chiedere il permesso di baciarla. Lei
chinò
leggermente la testa da un lato e rispose al sorriso di lui,
avvicinandosi di
qualche centimetro. Nathan sollevò una mano e le
accarezzò delicatamente una
guancia, per poi delineare con il pollice il contorno della bocca e
attirarla
verso di sé. Fu un bacio diverso da quello a stampo della
sera precedente,
sicuramente più passionale ma non ancora da fuochi
d’artificio. Nathan aveva
paura che, se non si fosse trattenuto, l’avrebbe presa
lì, in mezzo alla
strada, noncurante di eventuali spettatori. E lei non se lo meritava.
In
realtà, anche la nuova versione di sé che
l’uomo stava costruendo non si
meritava un epilogo simile. Da parte sua, Stana non era ancora pronta
del tutto
a imbarcarsi in una nuova storia. Ma il bacio le piacque, e anche
molto. Si
staccò da lui con difficoltà e quando entrambi
aprirono gli occhi, lessero nel
luccichio dello sguardo dell’altro il nascere di un
sentimento nuovo.
“Buonanotte,
splendore” le disse Nathan con voce
sensuale, prima di deporle un bacio sulla fronte.
“Ciao,
uomo affascinante” gli rispose. Poi gli voltò le
spalle ed entrò nell’albergo. Monsieur
Dupont, che anche quella sera era alla reception, non poté
non notare
l’espressione raggiante della bella signora americana.
Nota
dell’autrice
Abbiamo
fatto anche un salto in Bretagna, almeno dal punto di vista
gastronomico ;-)
Il
riavvicinamento fra i protagonisti prosegue e anche i loro amici si
impegnano
per raggiungere l’obiettivo!
Grazie
mille per avermi regalato il vostro tempo leggendo anche questo
capitolo.
Al
prossimo,
Deb
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