CAPITOLO
23.
TOCCARE
LA LUNA.
Pov
Sana.
Dire
che ero terrorizzata sarebbe stato riduttivo: ero nel panico
più
assoluto. Rei ci stava portando all'orfanotrofio, nonostante avesse
più volte tentato di dissuadermi dall'idea di forzare
Akito verso qualcosa che era un mio desiderio e mio soltanto.
Mi
voltai a guardare l'espressione del biondino al mio fianco: fissava
fuori dal finestrino con aria pensierosa e avrei dato qualsiasi cosa
per sapere cosa gli stava passando per la testa. Akito invece era di
tutt'altro avviso, aveva passato tutta la mattina in religioso
silenzio e non mi aveva resa partecipe di nessuno dei suoi pensieri,
stando ben attento a non sfiorarmi nemmeno per sbaglio.
Non
volevo che il nostro rapporto mutasse ma ero ben consapevole che,
usciti da quel posto, inevitabilmente qualcosa sarebbe cambiato. In
bene, in male, quello ancora non potevo saperlo. Però ero
stanca di
sentire Akito così lontano, per cui mi avvicinai a lui,
accovacciandomi sul suo petto, cercando sollievo da tutte quelle
pesanti incertezze.
“Scusa… sono solo pensieroso.”
sussurrò Akito stringendomi forte. Quello già
servì a farmi
sentire un po' meglio.
“Lo so… ma stai tranquillo, andrà
tutto bene.” cercai di tranquillizzarlo come meglio potevo.
“Che
ironia, dovrei essere io a dirti tutte queste cose, a cercare di
calmarti… e invece eccoti qua, uno scricciolo a sostenere un
uomo
grande e grosso.”
Non l'avevo mai vista sotto quel punto di
vista, Akito mi sembrava la persona più forte del pianeta e
a volte
dimenticavo quanto potessi essergli d'appoggio, anche se come diceva
lui ero uno scricciolo.
“Vorrà dire che da domani sarò io
quella che comanda in
famiglia.” lo canzonai, posandogli poi un leggero bacio
all'angolo
della bocca.
“Hai sempre avuto tu il comando, Kurata.” rise
Akito, per poi baciarmi teneramente la fronte.
Guardai in basso
e tirai con la mano libera l'orlo della t-shirt che avevo indossato.
Ero così nervosa ma dovevo rimanere con i piedi per terra
sia per me
che per Akito.
Inspirai ed espirai profondamente, cercando di
regolarizzare il battito del mio cuore.
“Siamo arrivati.”.
La voce di Rei mi ridestò dai miei tentativi di calmarmi e
mi
riportò alla realtà.
Guardai l'edificio: oltre quella porta
poteva esserci la mia occasione di essere madre o la distruzione di
ogni mio desiderio.
Akito serrò lo sguardo e mi strinse forte,
aprendo poi la portiera dell'auto e porgendomi poi la mano per
aiutarmi a scendere vista la mia impareggiabile capacità di
cadere
ovunque.
Rei rimase in auto ma prima che uscissi dalla macchina
mi trattenne. “Sana stai attenta. E' la decisione
più importante
che abbiate mai preso. Siate saggi, e prudenti.”
Annuii senza
dire una parola, poi strinsi la mano di Akito e, dopo essere scesa,
chiusi la portiera alle mie spalle.
Io e Akito rimanemmo in
silenzio per qualche minuto prima che trovassi il coraggio di dire
qualcosa.
“Sei pronto?” gli chiesi, profondamente
spaventata da una sua risposta negativa.
“Sono nato pronto.”
scherzò lui e io lo conoscevo abbastanza bene da sapere che
ciò
accadeva solo quando stava per andare in escandescenze.
Ci
incamminammo verso l'entrata e, in un attimo, la signora Yatsuma
venne ad aprirci con il solito sorriso sulle labbra.
“Sana,
ma che bella sorpresa! Non pensavo saresti tornata così
presto. E
con tuo marito soprattutto.”
Akito le strinse la mano e io
l'abbracciai, mentre un gruppo enorme di bambini arrivò
correndo dal
giardino esterno della struttura.
“Sana!” urlarono tutti,
con i più bei sorrisi che avessi mai visto. Sorrisi che mi
facevano
morire l'anima all'idea che nessuno di loro fosse amato e voluto da
nessuno.
Tantissime piccole braccia si attaccarono alle mie
gambe e non potei trattenere una risata.
Mi piegai sulle
ginocchia per poterli guardare negli occhi. Cercavo con lo sguardo
Akane e Kanata ma non riuscivo a vederli, magari si stavano
nascondendo come al solito.
“Oggi voglio presentarvi una
persona molto speciale per me.”
Tirai il pantalone di Akito
per farlo abbassare.
“Lui è mio marito.” dissi voltandomi
a guardarlo. Quanto lo amavo… “Si chiama Akito ed
è un vero
musone.”
I bambini scoppiarono in una fragorosa risata.
“Quindi cosa ne dite di farlo sorridere un po'? Io ci provo
tutti i
giorni ma sembra che la sua faccia sia incollata.”
Feci finta
di muovere senza successo la bocca di Akito e lui stette al gioco per
non deludere tutti quegli occhi speranzosi.
“Secondo voi ce
la faremo?”
“Si!” urlarono tutti in coro, pronti a quella
nuova sfida.
Quando mi alzai di nuovo in piedi e i bambini
cominciarono a concentrarsi su Akito, li vidi.
Come la prima
volta, mano nella mano.
Come la prima volta, in disparte di
tutti.
Mi allontanai dal gruppo e incontrai immediatamente gli
occhi protettivi di Kanata che mi accolse con un enorme sorriso. Fu
tentato di lasciare la mano della sorellina ma poi rimase fermo.
“Ciao!” squittì sorridendo.
“Sei tornata!”
“Certo
che sono tornata!”
Akane rimase in silenzio, lentamente
tentai di avvicinarmi, ma il suo sguardo non si spostò dalla
mia
camicetta.
La frustrazione crebbe dentro di me come se quella
sua reazione fosse colpa mia, nonostante sapessi che non era
così.
“Ciao Akane… sai che sei proprio bella con questo
vestitino
a fiori?”. Lei si toccò nervosamente la gonna del
vestito, come se
la stessi guardando un po' troppo.
“Le è piaciuto subito, ha
detto che si sentiva una principessa.” intervenne Kanata,
tutto
contento che sua sorella avesse finalmenrte apprezzato qualcosa che
non provenisse da lui.
“Ma lei è
una principessa.” sussurrai io, immaginandola in una
cameretta
tutta sua, circondata da miliardi di abitini come quello che
indossava.
Improvvisamente Akane si avvicinò al fratello, per
bisbigliargli qualcosa all'orecchio. Parlava con una voce
così
flebile che, anche a quella ridottissima distanza, feci fatica a
sentirla.
Nel frattempo dietro di me la signora Yatsuma e
un'altra volontaria intrattenevano gli altri bambini per permettere
ad Akito di avvicinarsi a me.
Lo sentii alle mie spalle, mentre
in silenzio osservava tutta la scena, e finalmente un attimo dopo
Kanata parlò.
“Akane mi ha detto che, se vuoi, può
prestarti il suo vestito e così diventi una principessa
anche tu.”
riferì lui, facendo una smorfia disgustata, forse dalla
voglia di
sua sorella di essere una principessa.
Improvvisamente Akito fu
accanto a me, in ginocchio, proprio davanti ad Akane che, come con
tutti, lo fissava impaurita.
“Ciao Akane...” sussurrò lui,
ma lei non rispose.
Sapevo di aver avuto il massimo quel giorno
da lei, per cui tornai a rivolgermi a Kanata.
“E tu? Cosa
vorresti diventare da grande?”
Lui mi guardò pensieroso,
sbattendo quegli occhioni grandi, con quelle ciglia che quasi
facevano vento.
“Mhm… il papà!”
Quella risposta mi
lasciò esterrefatta: non avevo mai sentito nessun bambino
dire una
cosa del genere.
“E cosa fa un papà?”
Kanata ci
riflettè prima di darmi una risposta. Akito ci ascoltava in
silenzio, mentre rivolgeva delle occhiate furtive ad Akane che invece
non gli staccava gli occhi di dosso.
“Un papà ti legge le
favole, ehm… ti prepara la merenda, ti lascia l'ultimo
boccone di
sushi…”
Sorrisi insistintivamente e anche Akito fece lo
stesso. Chissà chi mi ricordava!
“Ogni tanto la signora
Yatstuma prepara il sushi ma...” Kanata si guardò
attorno
circospetto. “Non è per niente brava!”
Scoppiai a ridere
cercando di non soffermarmi sulla parte triste di ciò che mi
stava
dicendo. Anche se, a differenza di Akane, non aveva danni
visibili, anche lui aveva disperato bisogno di amore.
“Posso
abbracciarti piccolino?” gli chiesi trattenendo le lacrime,
ma lui
indicò la sua mano stretta in quella della sorella, come a
giustificarsi di non potermi abbracciare bene e quel gesto mi
intenerì ancora di più. Gli circondai la piccola
vita con il mio
braccio e poi gli stampai un fragoroso bacio sulla guancia, pregando
nel mio cuore che Akito prendesse la decisione giusta.
Pov
Akito.
Per i primi dieci minuti il mio unico desiderio
era stato girare i tacchi e fuggire. Non perché fossi
spaventato –
terrorizzato sarebbe stato il termine più adatto –
ma
semplicemente perché temevo di poter turbare quei bambini
più di
quanto non lo fossero già. Ero terrorizzato all'idea che
potessero
crearsi delle speranze che avrei potuto non colmare.
Invece,
quando poi i bambini avevano preso a stuzzicarmi sulla storiella che
Sana aveva raccontato loro, mi ero sentito più a mio agio.
Avevamo
giocato per un po' tutti insieme, anche se Sana si era allontanata
quasi subito.
L'avevo persa di vista per qualche minuto, poi
notai che era in fondo al grande salone in cui ci trovavamo. Non
l'avevo più vista perché i bambni mi avevano
circondato e non avevo
più prestato attenzione a niente che non fossero le loro
domande.
Erano così tanti… e tutti così
fottutamente meravigliosi.
“Akito puoi raggiungere Sana per adesso, i bambini staranno
un po' con Maki che li aiuterà a preparare la
merenda.” mi disse
la signora Yatsuma. Vidi una ragazza avvicinarsi ai piccoli e,
nonostante le loro lamentele, li convinsi che ci saremmo visti dopo
qualche minuto, e mi allontanai per andare da Sana.
La trovai
intenta a parlare con due bambini e capii immediatamente che si
trattava di loro.
Kanata e Akane.
Lui le stringeva la mano. Rimasi un
attimo fermo, interdetto, non sapendo se avvicinarmi o meno. Li
osservai molto: Kanata sembrava un bimbo spigliato, impegnato con la
mente alla conversazione con Sana ma con il cuore in quel contatto
impossibile da recidere, tra quelle mani strette per proteggere
l'unica cosa preziosa.
“Akane mi ha detto che, se vuoi, può
prestarti il suo vestito e così diventi una principessa
anche tu.”
Pensavo che Akane non parlasse, eppure era riuscita a dirlo al
fratellino per farlo arrivare a Sana. Era un grande passo avanti.
Inspirai profondamente e, dopo un po', con tutto il coraggio che
avevo in corpo, mi avvicinai a quella bambina, chinandomi davanti a
lei.
“Ciao Akane.” dissi piano. Lei non rispose ma non
tenne lo sguardo basso: lo alzò, fissandomi e studiandomi
probabilmente perché aveva sempre dovuto essere attenta ai
comportamenti dei suoi maledetti genitori.
Rimanemmo in
silenzio per un po', semplicemente guardandoci, mentre cercavo di
carpire le parole di Kanata che avevo sentito che amava il sushi e
che da grande voleva essere un papà. Quella risposta mi fece
sussultare il cuore.
Io e Akane continuavamo a guardarci, occhi
negli occhi come mai mi era capitato prima con un bambino. Akane
aveva gli occhi castani, con intorno delle minuscole pagliuzze dorate
e marroni che, ad uno sguardo meno attento, sarebbero potute passare
inosservate.
Non diceva nulla, non si muoveva, rimaneva
incollata sul suo posto e io non sapevo cosa dire o cosa fare per
scaldarle il cuore. Non era facile.
Poi, improvvisamente, fu
lei a muoversi, avvicinandosi a me per toccare il ciondolo a forma di
dinosauro che portavo al collo. Sentii Sana, a fianco a me, zittirsi
di colpo, e la signora Yatsuma fissare la scena incredula. Anche
Kanata era molto sorpreso.
“Ti piacciono i dinosauri?” le
chiesi, portando le mani verso il gancetto della collana per
toglierla, facendo molta attenzione a non toccarla, perché
sapevo
quanto la infastidisse.
Anche a quella domanda lei non rispose,
ma non appena le porsi la collana, nonostante qualche tentennamento,
la prese, stringendola forte in un minuscolo pugnetto.
“La
vuoi tenere tu per me?”
Dissi quelle parole convinto che non
avrei mai ricevuto una sua risposta, era stato già
straordinario il
fatto che avesse accettato il mio regalo, ma Akane fece qualcosa di
meglio che parlare.
Lasciò di scatto la mano di suo fratello
e, nel giro di un istante, mi abbracciò.
Ero incredulo. Non
riuscivo a spiegarmi come fosse possibile che avesse trovato il
coraggio di abbattere tutti i muri, o quasi, e per di più
con me.
Un rivolo di calore straripò dentro di me. Ero stato scelto
con un piccolissimo gesto, che per lei significava tutto, e quello
non poteva essere un caso.
Ricambiai prontamente l'abbraccio,
mentre attorno a me tutto si fermò. Sentivo Sana
singhiozzare ma non
la stavo veramente ascoltando e la signora Yatsuma si era portata una
mano alla bocca forse per non urlare dalla gioia.
Ero degno di
tanta fiducia? Non ne ero sicuro… ma ero già
rapito. Da lei, da
Kanata, dal modo in cui Sana li guardava e anche e soprattutto dal
modo in cui io
li
guardavo.
Akane si spostò lentamente e, quando la guardai di
nuovo in quelle iridi fuori dal comune, non ebbi dubbi.
Io li
amavo già.
Dove dovevo firmare per portarli via da quel posto?
*
Doverli lasciare
lì mi fece andare via con l'amaro in
bocca ma, dopo aver parlato con la signora Yatsuma, avevamo
concordato che avrebbe contattattato nei giorni successivi
l'assistente sociale per fissare un incontro con noi e una serie di
visite psicologiche sia per i bambini che per noi.
Nel caso in
cui tutto fosse andato per il verso giusto, avremmo potuto iniziare
con l'affidamente e, solamente dopo, se i bambini fossero stati
felici, avremmo potuto stilare le carte dell'adozione.
Io e
Sana avevamo cominciato a documentarci sul perché, ancora
oggi, ci
fossero così tanti bambini nelle maledette case
d'accoglienza. La
risposta? Il nostro paese del cavolo aveva la percentuale
più
elevata di adozioni di adulti, accolti solo per garantire
l'avanzamento della stirpe e più velocemente possibile. Si
preferiva
lasciare quei bambini senza famiglia piuttosto che alzare il culo e
battersi in prima persona.
Noi avevamo deciso che era ora che
quell'assurdità finisse: avevamo tentato, grazie alla fama
d'attrice
di Sana, di mettere insieme un buon numero di partecipanti per
iniziare un movimento, con l'intenzione di trasformarlo in seguito in
una vera e propria associazione.
Nel giro di una settimana il
movimento HelpKids
aveva
raggiunto i personaggi più famosi dello stato e la loro
solidarietà
era stata massiccia.
Ormai la nostra vita passava nell'attesa
della fatidica chiamata, ma era già passato un mese e non
avevamo
avuto alcuna notizia. Dopo le sedute con la psicologa eravamo stati
dichiarati idonei all'adozione, per cui serviva solamente l'ok del
giudice per arrivare almeno all'affidamento.
Sana era
entusiasta e dovevo ammettere che lo ero anche io, anche se dopo la
prima visita all'orfanotrofio non era stato tutto rose e fiori per
me.
"Come
fai a non vedere cosa ti ha messo tra le mani Akane? Si è
fidata di
te! E tu ancora pensi che possano esserci dubbi?"
Erano
giorni che litigavamo ormai,
Il
motivo era sempre lo stesso e io stavo cominciando a stancarmi.
“Sana
io lo so, ne sono ben consapevole... ma è troppo
difficile. Non siamo pronti!”
Lei mi
guardò con espressione
indecifrabile, forse cercando di trattenersi. Io facevo altrettanto,
perché se avessi detto davvero quello che pensavo, forse la
donna
che più amavo al mondo mi avrebbe odiato per sempre.
Quello
che avevo sentito per Akane era vero, quello che sentivo per Kanata
lo era altrettanto, mi aveva raccontato tante di quelle cose che mi
era sembrato un piccolo esemplare di Sana al maschile. Ma non potevo
far loro da padre quando io ancora mi sentivo profondamente figlio.
“Perché
con Kaori sarebbe stato diverso? Per lei saremmo
stati pronti?”
Sana
urlò ancora, mettendosi a muso duro
davanti a me. E non potevo risponderle perché aveva ragione.
Aveva
fottutamente ragione.
“Ma
cosa vuoi che ti dica? Cosa vuoi
che faccia? Che ti dia il mio consenso anche se non me la sento?
È
questo che vuoi? Io sono tuo marito! E le decisioni vanno prese
insieme!” Sbottai, sinceramente sfinito dal suo incalzare su
di me.
“Voglio
che tu mi dica perché hai tutti questi dubbi quando,
non appena siamo usciti da lì, eri sicuro al cento per cento
di
volerli qui con noi. Perché, Akito? Spiegami!”
Le sue
parole
mi colpirono come una folata di vento freddo.
"Cosa
posso
rispondere? Che non so come fare il padre? Che con Kaori sarebbe
stato diverso perché era solo una neonata, che non sarebbe
rimasta
delusa da me? Che loro possono amarmi e io posso distruggerli? Cosa
vuoi che ti dica Sana? Non sei l’unica ad avere delle paure,
qui.
Non sei l’unica a desiderare un figlio. Ma in una situazione
come
questa sei certa di poter dare un futuro migliore a quei due
bambini?”
Sana
rimase spiazzata dalla mia risposta, si portò
una mano alla bocca perché forse non aveva considerato che
anch’io
potessi provare certi sentimenti. Akito Hayama l’insensibile.
Ma
lei mi conosceva e sapeva perfettamente che non ero così.
Si
avvicinò a me lentamente, quasi non me ne accorsi
perché stavo
massaggiandomi le tempie con gli occhi socchiusi. Era davanti a me,
con le labbra leggermente umide dalle piccole lacrime che le avevano
rigato il volto e che ultimamente vedevo troppo spesso sulle sue
guance, e gli occhi piantati sui miei come due calamite.
Mi
porto le braccia al collo e mi baciò teneramente il mento,
alzandosi
in punta di piedi.
“Tu
sarai un ottimo padre, Akito. Ti
prenderai cura dei tuoi figli, li amerai, li proteggerai, saprai
insegnargli ciò che tu hai imparato da solo per tutta la tua
infanzia. Tu sarai un ottimo padre.” Ripetè e,
quando lo disse per
la milionesima volta, mi convinsi anch’io che forse poteva
essere
vero.
“E
tu un’ottima madre.”
*
Sana
era distesa sul divano con in mano il copione della serie in cui era
stata chiamata a fare un provino: volevano lei, a tutti i costi.
L'onda del film che aveva girato la stava facendo diventare una delle
attrici più richieste in Giappone.
Eppure, nonostante fossimo
abbastanza benestanti, ogni volta che io aprivo il frigo non c'era
mai nulla da mangiare dentro.
Sbuffai. "E' mai possibile
che ogni volta che io ho fame, in questa casa non ci sia mai nulla?"
chiesi prendendomi una bottiglia d'acqua. Grande cena,
effettivamente.
Sana non mi dava ascolto, presa com'era a
leggere la trama di quella serie. Mi piazzai davanti a lei e le
sventolai le mani davanti alla faccia. "Terra chiama Sana!"
"Mhm? Cosa?" chiese come se stesse arrivando davvero
da un altro pianeta.
"Il frigo è vuoto." dissi
sarcastico.
"Ho appena ordinato la pizza."
Tornai
al frigo e lo riaprii, cercando di trovare la minima briciola di cibo
che potesse riempire il mio stomaco nell'attesa. Presi un involucro,
mi sembrava formaggio.
"Quel formaggio è vecchio, Akito."
Sbuffai ancora, ma come era possibile?
"Ma io ho
fame da morire!" dissi stizzito.
Sana mi rivolse un
sorriso intenerito dalla mia reazione infantile e toccò il
posto sul
divano accanto a lei, invitandomi a raggiungerla.
"Vieni,
aspetta la pizza come un bravo bambino." disse portandosi una
penna in bocca.
"Potrei avere un'idea su come passare il
tempo, sai Kurata?".
Le mie speranze maliziose furono
subito bloccate dal suo ordine perentorio di non sfiorarla,
perchè
quelle battute doveva impararle entro il giorno successivo e non
potevo distrarla. Poteva infliggermi tortura peggiore?
Sedendomi,
mi limitai ad abbracciarla, facendole poggiare la schiena sul mio
petto, e a guardarla leggere per un po'. Mi vennero in mente miliardi
di cose, nel caso l'affidamento non fosse andato a buon fine. Quella
sarebbe stata la nostra vita per sempre, noi due insieme, da soli.
Avremmo potuto resistere?
I miei sentimenti mi urlavano
che era ovvio, che ci amavamo così tanto da poter superare
anche
quello, ma lei la pensava allo stesso modo?
Rimanemmo in
silenzio per un po', poi però non riuscii più a
trattenermi.
"Ce
la caveremo... anche se saremo solo noi due."
Sana alzò
il viso e mi sorrise. "Ti amo."
Le posai un bacio
leggero sulla guancia, sorridendo, e tornai a guardare davanti a me.
Il suono del campanello ci spostò dai nostri pensieri.
"Pizza!" squittì Sana, correndo verso la porta e
afferrando la borsa per pagare il fattorino.
"Non
cominciare a mangiarla senza di me!" la ammonii, alzandomi dal
divano e cominciando a liberare l'isola della cucina.
Quando mi
accorsi che Sana non tornava mi voltai indietro, pensando che forse
stava progettando qualche scherzo idiota, ma di lei nessuna traccia.
"Sana?" urlai, mentre mi avviavo verso il corridoio.
"Akito! Akito corri!".
Mi preoccupai
all'istante, e corsi verso la porta.
La trovai spalancata, Sana
era in piedi, immobile, e fuori c'erano i bambini con la signora
Yatsuma.
"Akito! Quelli non sono i nostri bambini?"
sussurrò Sana, probabilmente in shock.
Quando la affiancai e
vidi le espressioni di Kanata e Akane rimasi estasiato. Sembravano
sereni, non spaventati, non in ansia, semplicemente sereni e pronti
ad una nuova avventura.
Kanata mi corse incontro, e Akane entrò
immediatamente in casa, senza esitazioni. La signora Yatsuma ci
guardava estasiata.
"Ho chiesto all'assistente sociale se
potevo portarveli io. I bambini erano felici."
Sana scoppiò
a piangere e io mi avvicinai ad Akane. Nonostante la sua solita
diffidenza sentivo che il legame che si era creato tra di noi era
forte, perciò mi avvicinai a lei e la sfiorai piano,
aspettando che
fosse lei a buttarsi tra le mie braccia accanto a suo fratello.
Immediatamente afferrai Sana e la unii a quell'abbraccio.
Era
il momento più emozionante della mia vita.
E sapevo che era
tutto merito di Sana, lei mi aveva convinto, lei mi aveva portato ad
aprire il mio cuore a quella cosa meravigliosa che era l'adozione.
Non potevamo ancora cantare vittoria, ma il nostro avvocato ci
aveva detto che vista l'esperienza perfetta avuta con Kaori, il
giudice sarebbe stato abbastanza facile da convincere.
E quella
speranza, quella meravigliosa speranza che cresceva dentro di me,
bastò a riempirmi completamente.
Ed ero felice, dopo tanto
tempo, finalmente profondamente felice.
Pov
Sana.
Le settimane passarono in fretta. Dopo aver ricevuto i
documenti che ci avrebbero portato all'adozione definitiva,
aspettavamo solamente che gli psicologi del tribunale venissero a
fare una nuova ispezione in casa nostra e, successivamente, la seduta
con i bambini e l'udienza finale.
Le cose erano molto migliorate
da quando la signora Yatsuma li aveva portati a casa quel pomeriggio.
Kanata aveva continuato ad essere il bambino spigliato e
chiacchierone che era sempre stato e Akane aveva cominciato a dire
qualche parola, anche se era sempre più a suo agio quando
Akito era
presente. Forse si sentiva protetta, avvertiva sicuramente la sua
voglia di tenerla al sicuro. Nonostante mi dispiacesse non aver
instaurato lo stesso rapporto con lei, sapevo che era solo questione
di tempo, e che anche i nostri cuori sarebbero entrati in sintonia.
Il fatto che avesse già cominciato a parlare mi dava
già
tantissima forza per costruire quel rapporto. Immaginavo già
di
vederli crescere, di sentirli chiamarmi mamma,
anche se nessuno dei due aveva pronunciato la fatidica parola.
E
non mi aspettavo che lo facessero, era ancora troppo presto per loro.
Avevamo iniziato le pratiche per l'iscrizione a scuola, ma non
potevamo terminarle finchè non ci fosse stata la certezza,
nel
frattempo i bambini stavano in casa con me e passavamo tantissimo
tempo insieme, tra giochi e piccoli aneddoti che mi facevano
stringere il cuore. Anche Akito si era preso qualche giorno al museo,
e aveva chiesto a Tsuyoshi di occuparsi dell'organizzazione della
palestra per un po'. I nostri amici erano entusiasti della notizia,
ma ancora non avevamo portato i bambini a conoscerli, pensavamo fosse
uno stress temporaneamente evitabile. Non per i ragazzi,
perchè non
vedevano l'ora di incontrarli, ma non volevamo forzare le cose.
"Il
pranzo è pronto!" dissi ai bambini che stavano disegnando
nella
loro camera.
Akane corse in cucina con in mano un foglio che mi
porse non appena si piazzò davanti a me.
"E' per me?"
chiesi, prendendolo. Lei annuì.
Era un disegno meraviglioso,
un disegno che mi riempì il cuore perchè forse il
legame che tanto
invidiavo
ad Akito stava finalmente mettendo le sue radici anche tra di noi.
Aveva disegnato me, Akito, Kanata e lei, tutti mano nella mano,
con in sfondo casa nostra. Accanto a me era disegnato un piccolissimo
cuore. Eravamo tutti vestiti di blu, o comunque tutti su toni molto
freddi, e lei si era rappresentata molto piccola. Dai meandri della
mia memoria, quando avevo iniziato a frequentare
l'università –
che avrei ripreso da casa non appena le cose con i bambini si fossero
sistemate – avevo frequentato un corso di psicologia
infantile e
una delle prima cose che ci avevano insegnato era che quando i
bambini si autodisegnavano in dimensioni ridotte stava a significare
che sentivano il bisogno di sentirsi protetti.
Mi piegai sulle
ginocchia – mai parlare a un bambino dall'alto verso il basso
– e
le feci un sorriso, aprendo le mie braccia, sperando che decidesse
finalmente di abbracciarmi.
Il suo sguardo era insicuro, ma si
avvicinò a me e anche se non mi gettò le braccia
al collo come
aveva fatto con Akito, si lasciò abbracciare.
Avevamo fatto
così tanti passi avanti in così poco tempo. "Ti
voglio bene,
piccolina." sussurrai al suo orecchio e sentii che il suo viso
si allargava in un sorriso.
Ci staccammo quasi subito, perchè
Akito e Kanata fecero la loro entrata in cucina. Akito si
avvicinò a
me e mi diede un bacio sulla fronte. "Hai visto? Vuole bene
anche a te. Le serve solo più tempo."
Annuii, dividendo
il pranzo per tutti e quattro, e quasi piansi per l'emozione.
Fino
a due mesi prima ero convinta che non avrei mai avuto la famiglia che
tanto desideravo e invece avevo avuto molto di più.
*
Nonostante il periodo di
affidamento dovesse durare almeno sei
mesi, venimmo chiamati prima grazie all'insistenza dell'avvocato che
ci aveva seguito per l'affidamento di Kaori. Quella mattina dovevamo
presentarci in tribunale a presenziare all'udienza per la totale
adozione dei bambini.
La mia ansia cresceva enormemente. Come
potevo essere sicura che un estraneo avrebbe visto la connessione che
avevamo creato con i due gemellini?
Akito venne vicino a me,
mentre aspettavamo fuori che iniziasse l'udienza.
I bambini
tenevano le sue mani ed erano vestiti perfettamente, perchè
sapevo
quanto anche l'aspetto contasse in quelle cose. Anche Akito aveva
abbandonato i suoi soliti jeans e aveva indossato un completo blu
senza cravatta. Dovevano semplicemente guardare Akane e Kanata e
pensare a com'erano prima dei quattro mesi trascorsi con noi.
Erano
felici? Potevo metterci la mano sul fuoco, e anche loro.
"Stai
tranquilla, Sana. Andrà tutto bene." mi rassicurò
Akito, ma la
mia ansia non poteva essere calmata da semplici parole. Sarei stata
tranquilla solo nel momento in cui fossimo usciti da lì con
i nostri
figli.
Annuii comunque, per non far preoccupare ulteriormente Akito,
che sapevo essere già molto teso, nonostante tentasse di
nasconderlo. "Signori Hayama, potete accomodarvi.".
Una signora paffuta sulla cinquantina venne a chiamarci e fu come
quando nei film utilizzano lo slow motion. Ogni mio passo mi
sembrò
pesante sul pavimento.
Quando arrivammo davanti al giudice il
cuore mi si fermò nel petto. Non sapevo più come
comportarmi,
nonostante il nostro avvocato ci avesse istruito perfettamente su
cosa fare e cosa non fare.
"Cominciamo." esordì la
donna piazzata davanti a noi su un piano rialzato. "Signora Sana
Kurata in Hayama e signor Akito Hayama. Vi dispiace alzare la mano
destra dichiarando che la vostra testimonianza sarà la
verità e
nient'altro che la verità?"
Facemmo come ci disse la
giudice che annuì subito dopo. "Desiderate adottare questi
bambini legalmente come vostri figli?"
"Si,
assolutamente." rispondemmo in coro io e Akito.
"Potrei
parlare con i bambini?"
Facemmo avanzare Akane e Kanata,
che rimasero in silenzio.
"Ho sentito che volete molto
bene a questi due signori, non è vero?"
Entrambi
annuirono, e Akane addirittura prese la mano di Akito stringendola
forte. La giudice, probabilmente informata dell'iniziale problema di
Akane, rimase molto sorpresa nel vedere quel gesto.
"Molto
bene. E vi trovate bene in casa loro? Giocate abbastanza?"
Kanata fece una faccia un po' strana e poi cominciò a
parlare,
e io sperai che non dicesse qualcosa facilmente fraintendibile
perchè
avrebbe potuto far cadere il castello di carte che stavamo
costruendo.
"Ogni tanto la mamma ci sgrida perchè le
facciamo troppo solletico, però a me fa ridere quando lei fa
quei
rumorini strani mentre glielo facciamo. Quindi io e Akane le facciamo
gli scherzetti e ci nascondiamo. E lei ci casca sempre!"
Pensai
che il cuore mi fosse uscito fuori dal petto. Mi aveva chiamato
mamma.
"Non è vero, Akane? La mamma non è troppo buffa
quando ride?"
Akane sorrise. "Anche papà." fu
tutto ciò che disse lei. Ma io e Akito eravamo completamente
sopraffatti dalle migliaia di emozioni che stavamo vivendo.
Una
lacrima mi rigò il viso e cercai di trattenermi senza
successo.
"Prima volta, eh?" disse la donna che mi guardava con
aria intenerita, capendo immediatamente per cosa ero scoppiata a
piangere.
Annuii, sorridendo.
"Voi avete fatto il
lavoro più arduo: avete scelto di amare. E io, d'altro
canto, ho il
piacere di metterlo su legge. Congratulazioni."
Io e Akito
ci guardammo increduli, con il cuore che ci scoppiava.
"Grazie!
Grazie mille!" furono le uniche cose che riuscimmo a dire.
Poi
fu tutto un turbinio di emozioni. Akane e Kanata che correvano ad
abbracciarci, noi che piangevamo, l'uscita dal tribunale, l'intera
giornata a festeggiare insieme.
Era esattamente tutto quello
che avevo sempre desiderato ed era successo così, senza
avere
certezze fino alla fine, ma l'amore che ci avevano regalato Akane e
Kanata in quel pochissimo tempo mi aveva aiutato a capire
ciò che
mia madre aveva sempre provato per me.
Era qualcosa di
viscerale, nonostante la mancanza del vincolo di sangue.
Erano
i miei figli. I nostri figli.
Akito arrivò dietro di me ad
abbracciarmi, prendendomi alla sprovvista, mentre guardavamo i
bambini correre per tutta la spiaggia con i loro aquiloni in mano.
"Sei felice?" mi chiese. E non c'era domanda più
banale
di quella.
"Come mai prima d'ora." sussurrai,
mettendo la testa nell'incavo del suo collo, mentre il tramonto ci
abbracciava con i suoi meravigliosi colori.
"Così felice
da toccare il cielo con un dito?" mi chiese stuzzicandomi.
"Molto di più. Così felice da toccare la luna."
Intanto
vi ringrazio infinitamente per le recensioni che ho ricevuto, mi avete
riempita di complimenti, siete stati carinissimi, davvero.
Purtroppo
(o per fortuna, dipende dai punti di vista) questo è il
penultimo capitolo della storia, per cui il prossimo capitolo
sarà l'ultimo e segnerà la fine della storia.
Spero
che mi riempirete di opinioni, perchè è l'unica
cosa che mi interessa!
Recensite,
fatemi sapere cosa ne pensate!
Vi
amo,
Roberta.
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