Phoenix - The Secret Tzar's Daughter The dragon

di queenjane
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Il ragazzo stava ora  sperimentando  solitudini indicibili, dentro di lui era come un  freddo che  gelava le ossa, le foreste fitte, il fango  che entrava in ogni pertugio, la tensione, l’essere feriti, l’attesa di combattere. E ricordava, anche se non voleva, non ne parlava come sua sorella, due testimoni dell’orrore sopravissuti. Lei lo guardava, azzurro su azzurro, il colore delle loro iridi, una sfumatura rara e inusitata, innocente al pari di loro, lui ricambiava, poi distoglieva gli occhi.
 Perché ? Quella parola gli rotolava dentro come un rombo di guerra, la ragazza, espletate le attività quotidiane dormiva, o fingeva, giaceva a occhi chiusi, il buio delle palpebre come un conforto. E  lui si fissava le  mani e .. smontava e rimontava le armi, in quello era bravo, gli era piaciuto, nella vita di prima, come il tempo passato con LEI e con LUI. Soprattutto con lei.
Gli piaceva anche ora, stare con LEI. E si sentiva protetto e al sicuro. Che paradosso,  dopo che era successo lo avevo avvolto tra le braccia, serrato addosso facendo attenzione alla sua gamba lesa, incurante del sangue, dello sporco e del sudore, forse voleva  trasmettergli  tutta la sua voglia di vivere, la  rabbia, lo aveva stretto come a non volerlo più lasciare.
Un privilegio.
E la rabbia. In primo luogo ce la aveva con LORO, ma soprattutto con se stesso.
Per quanto storpio, invalido, debole,  era sopravissuto.
Che sarcasmo atroce.
 
 
… Quando mi aveva riconosciuto, aveva cercato di mettersi in piedi,a fatica,  ero volata da loro, ci eravamo stretti, tutti e tre, senza parole, così forte da farci male. Dopo, lui mi aveva buttato le braccia sul busto, la testa sul petto, sentendo le mie spalle che sussultavano mi aveva baciato una guancia, asciugato le lacrime con le mani, già non era il momento per quello... Io altrettanto, dovevamo calmarci e andare via.
Una radura, eravamo in quella maledetta parte di foresta, e il buio e la disperazione mi stavano sommergendo.
E sentivo Olga a un battito, vicina, anche se sapevo che era morta, solo quello, che mi era vicina, che sarebbe rimasta sempre, nei ricordi e nella memoria. E ancora non era il momento, avrei pianto dopo, per loro e mio padre, come per Alessandra, vite spezzate in nome di nulla
..  
Olga e il suo sorriso.
Tatiana, il lampo grigio del suo sguardo che raccontava quello che non diceva... e mille e mille cose, petali e frammenti, ricordi e risate, una vita da vivere anche per loro. E la speranza era il bagliore di quei grandi occhi, ora come allora, una delicata sfumatura di azzurro come quando sorge l'alba, era un miracolo che fossero scampati all'eccidio, altro prodigio che avessimo lasciato Ekaterimburg  senza farci ammazzare. 
Ma che inventare, se non mi parlavi .. Anzi, non parlavi con nessuno, siamo giusti, ci intendevamo a gesti, ti facevi  accudire solo da me, di pura malavoglia,  e tanto eri furioso. Con la vita, la tua debolezza apparente, con me e tutto il mondo. Tralasciando che se mi assentavo un’ora, mi cercavi con gli occhi, “Non te ne andare” e appena ricomparivo mi serravi il polso, possessivo. E il sollievo ti si  dipingeva sul viso, guai a me se volevo cambiare aria, ubriacarmi o che.. Eri una mia responsabilità, era amore al principio, come ora, tranne che ero ghiaccio, neve e brina, la mia freddezza era solo apparente ..  fino a quando non ne combinasti una delle tue, a stretto giro, dopo le mie solitarie isterie del lutto.
Mi hai tirato addosso tazze, asciugamani, e via così, la rabbia di una vicenda terribile.. E comunque, avevi reagito, tranne che ti avrei appeso per le orecchie.
Oddio. Mi facevi ammattire, come quando eri piccolo, sempre.  Dicevo, mi allontanavo e .. non volevi, mi lanciavi certe occhiate da incenerire, e tanto non mi avresti mai implorato di rimanere, o portarti con me, la notte mi volevi stare vicino .. appena facevo un movimento mi eri subito addosso, le dita sul mio braccio, mi allungavo per metterti comodo, ci disponevamo in posizione di arrocco, difesa e scongiuro, tesoro, che dovevo fare con te se ero la prima a non sapere cosa fare con me stessa. Mi mancavi, Alessio, mi mancavi tanto, anche se eri vicino, mi mancava la tua voce, i tuoi sorrisi, la tua vivacità. E tanti che dovevo pretendere, eri scampato alla morte per un soffio, il trauma quando si sarebbe risolto.. Forse mai.
Mi sfogavo con Andres, il sesso era il mio sfogo, in quelle settimane ci allontanavamo pochi minuti e .. Era la voracità di vita, un gesto di sfida e guerra, da puttana e sopravissuta, lui taceva, mi desiderava fino a stare male, da quando stavamo insieme ne avevamo passate troppe insieme, la realtà superava la fantasie.
I particolari, immagini e frammenti, vivevamo sdoppiati, una specie di doloroso trance.




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