Fratelli
Urla e
lamenti erano ciò che nel silenzio era possibile udire nella fetida prigione
dentro cui era trattenuto Golden. In quelle profonde segrete il sole non
arrivava e le lampade a olio che avrebbero dovuto garantire un minimo di
illuminazione, erano logore e stavano per spegnersi. Erano dettagli di poco
conto agli occhi del giovane dai capelli biondi che se ne stava in un lato
della cella con le spalle poggiate alla parete rocciosa. Non alzava il capo da
ore ma non dormiva, non riusciva a riposare lì dentro e con la mente non
riusciva a staccarsi dall’idea che tra qualche ora avrebbe affrontato la sua
“ultima prova”. Gli altri prigionieri erano per lo più ladri e stupratori,
feccia della peggior specie il cui destino era fare da vittime sacrificali per
chi aveva la fortuna di poter impugnare una spada e provare a vincere la
propria innocenza. Golden non se ne curava ma almeno nessuno aveva il coraggio
di provocare il guerriero che aveva superato quasi tutte le prove del Re. A
tutti era permesso assistere agli scontri in arena, anche ai prigionieri, e
tutti avevano visto l’abilità dello spadaccino nel battere orde di uomini e poi
il lanciere dai capelli argentati. Molti si chiedevano da dove venisse lo
“Straniero senza nome” ma per qualche ragione, non ve n’era ancora stato uno
che aveva osato chiederglielo. Golden dal canto suo taceva, quantomeno non
avrebbe dovuto difendersi anche fuori dall’arena. Passarono un paio di ore nel
silenzio più totale: anche i lamenti che facevano da sfondo a quell’immagine
d’oscurità si erano placati e proprio quando il guerriero sembrò sul punto di
socchiudere gli occhi per risposarsi qualche minuto, alcuni passi rimbombarono
nella sala delle prigioni e due soldati si avvicinarono alla cella di Golden.
«Straniero, hai una visita. Se a letto sei bravo la metà di come combatti,
stasera passerai ore di fuoco prima del grande giorno» disse uno dei due
suscitando risa generali. Dunque gli incatenarono i polsi e lo scortarono
attraverso un lungo e buio corridoio. Il tanfo terribile che accompagnò il
giovane per tutto il tragitto l’aveva quasi portato a reagire alle continue
spinte dei carcerieri, ma in qualche modo riuscì a controllarsi, preferendo
lasciare esplodere dentro di sé la rabbia e soffrirne in silenzio, piuttosto
che allungare una pena che era già durata troppo. Giunti davanti a una robusta
porta di ferro, una guardia infilò nella toppa una grossa chiave dello stesso
materiale e spinse dentro il prigioniero.
«Se sentiremo urla ti rigetteremo nella cella. Dì alla tua sgualdrina di
andarci piano» disse sghignazzando, quindi richiuse la porta e si allontanò,
lasciando Golden con l’ospite che era venuto a trovarlo. Il ragazzo dagli occhi
dorati fece qualche passo in avanti imprecando contro quelle due fecce che
avrebbe volentieri fatto a pezzi, ma sospirò cercando di ritrovare la calma. Le
due lampade sistemate sui due lati opposti della camera ne descrivevano la
pessima condizione, non diversa dalle altre celle in cui venivano lasciati a
marcire i prigionieri. Anche quella stanza era una prigione, solo un po’ più
grande e con alcune sedute disseminate per il pavimento di pietra. Una sala
visite, in qualche maniera.
Poggiata al muro di fronte a Golden vi era una figura incappucciata nell’ombra,
nascosta anche dal tacito chiarore dei due fuochi vicini, ma non appena vide
arrivare il giovane guerriero, alzò il capo e gli corse incontro gettandogli le
braccia al collo tra le lacrime. Golden pensò per un momento di agire e
contrattaccare ma per istinto, si lasciò vincere da quella presa, da quei
singhiozzi e immediatamente ne percepì la familiarità.
«N-non puoi essere tu…» disse in un sibilo lo spadaccino dagli occhi d’oro.
«Golden… non posso crederci» la voce di Carian rotta dalle lacrime. Le parole
le si strozzavano in gola e non riuscì a dire nulla al fratello ritrovato,
preferendo rimanere semplicemente tra le sue braccia. Era ancora vivo ed era
lì, erano di nuovo insieme.
«È stato terribile, ho passato dei momenti in cui ho pensato che potesse essere
la fine e non immagino nemmeno che cosa abbia passato tu qui dentro. Che cosa
ti è successo?» cominciò finalmente Carian d’un tratto. Golden si allontanò di
un passo sospirando, poi restò a guardare il riflesso dorato delle iridi della
sorella, rischiarate dal riflesso del fuoco nelle lampade.
«Io ero da solo, Carian. Da solo in un mondo che non mi apparteneva. Ho
cacciato, ucciso, rubato. Passavano i giorni e non riuscivo più a capire chi
fossi, dove mi trovassi. Poi ho capito di essere nel Kharas, nel Nord, nelle
terre abbandonate che circondano Kaimar. Ho provato a spostarmi a Sud,
attraversando foreste, sperando nei loro fiumi d’acqua dolce. Niente di tutto
ciò, ho trovato una landa arida, senza acqua, senza cibo».
Al solo ricordare di quei giorni, Golden si portò una mano alla testa come se
stesse riassaporando la sofferenza che aveva dovuto sopportare.
«Non mi ci volle molto per capire che questo non era il Kharas che conoscevo,
ma ho continuato ad andare verso Sud, forse con la speranza di trovare l’erba
di Green-Lock, la grandezza di Water-Lock» continuò tornando agli occhi della
sorella.
«E non le hai trovate» disse Carian scuotendo leggermente il capo malinconica
«non quelle che Kubara stava ricostruendo dopo la guerra e l’attacco di Naos
Echel e Javia».
«Non le ho trovate. Un uomo e sua figlia hanno però trovato mezzo morto me
nelle cupe foreste di Sunar. Ho passato con loro qualche settimana in una
piccola città a Sud e il mio corpo cominciò a riprendersi, a tornare a vivere
ed ero tornato a chiedermi dove mi trovassi davvero. Loro mi avevano
confermato, prendendomi probabilmente per pazzo: era il Kharas e a Sud-Est avrei
trovato Water-Lock. Mi hanno parlato di un Re folle, di un regno retto dalla
sua tirannia, di un popolo corrotto e malato e non sapevano assolutamente nulla
di una guerra tra Green-Lock e Kubara, della magia di fuoco di Naos Echel. “I
maghi vivono a Spell, non si allontanano quasi mai da lì e in ogni caso non
prenderebbero le parti di nessuno in una guerra tra regni. La loro guerra è
quella contro il Demone Oscuro e la Strega Rossa, la guerra di tutti noi è
quella contro di loro” mi disse Liania, la figlia dell’uomo che accettò di
salvare la vita a un estraneo».
Carian ascoltò in silenzio fino a quel punto, quindi fece un cenno con il capo
e parlò cercando di riprendersi definitivamente dal pianto che l’aveva colta.
«Siamo nell’”altro Saar”… la terra di Amel» confermò.
«È quello che ho pensato» rispose Golden ancora malinconico.
«Ma come sei finito qui? Che cosa è successo all’uomo e alla figlia che ti
hanno ospitato?» chiese nervosamente la fanciulla, stringendo la sua lunga
chioma cremisi. Golden si morse un labbro e indietreggiò lentamente fino a
raggiungere la parete con le spalle.
«Ero con lei nella foresta e alcuni uomini ci hanno teso un’imboscata: non
erano semplici banditi, il loro attacco era ragionato, studiato e non hanno
rubato nulla. Hanno preso solo la sua vita… solo… la sua vita» rispose
scivolando fino al suolo, cercando di ricostruire ciò che lo aveva portato a
dover affrontare i giochi perversi di quel Re nell’arena della morte.
«Un omicidio? Qual era la storia di Liania? Chi era, Golden?» chiese Carian
preoccupata. Il fratello scosse il capo e continuò: «ne ho respinti alcuni, poi
il resto del gruppo è scappato. Quando ho portato al padre il corpo
insanguinato della figlia non riuscivo a pensare. Si è messo a urlare e a
incolparmi e senza neanche accorgermene mi sono ritrovato incatenato e in
viaggio verso Water-Lock, scortato dalle guardie del Re, a scontare la mia
pena. Liania era morta e io stavo per essere giustiziato per questo». Una
lacrima gli rigò il viso e i suoi occhi dorati osservavano il buio senza
vedere. Non sapeva neppure quanto tempo fosse passato, da quanto lottava per
sopravvivere nella foresta di Sunar. Per quanto cercasse di ricordare, non
capiva da quanto Liania fosse morta. Il tempo, in quella terra così simile e
così diversa, era come distorto.
«Golden, mi dispiace ma anch’io ho passato momenti in cui avrei preferito
morire lì fuori, e non hai idea di cosa ho passato per essere qui a parlarti,
ma ora dobbiamo andare, dobbiamo scappare da questo posto» disse Carian con ritrovata
determinazione, allungando una mano verso il fratello.
«Mi manca l’ultimo incontro e poi sarò libero, non posso scappare proprio
adesso» rispose lo spadaccino ignorando il braccio della sorella.
«Golden! Svegliati! Domani potresti morire nell’arena, come potevi morire oggi.
C’è anche Ruphis con me che attende un mio segnale, sono qui per farti uscire»
continuò la ragazza.
«Già… lo scontro di oggi. Tu l’hai visto? Eri
presente? Quell’uomo…» cominciò
Golden stringendo i pugni, cercando di ricordare lo sguardo del
lanciere
d’argento. Carian scosse il capo con decisione, aveva intuito
cosa stesse per
dire il fratello: «non era lui, non poteva essere lui. Eravamo
gli unici con le
gemme in grado di riaprire il portale e lo sai bene».
Il ragazzo abbassò il capo ripensando a quelle iridi grigie e al riflesso
argenteo dei suoi capelli al bagliore del sole. Non era lui? Come poteva non
esserlo? Aveva camminato su quel suolo consapevole di avere davanti lo stregone
Javia che sapeva essere suo padre, sotto gli occhi testimoni di tutti i
presenti, e alla vista del Re nella sua scintillante armatura di smeraldo. Nel
sorriso di quell’uomo ripugnante sembrava esserci consapevolezza, eppure non
poteva conoscere la vera identità dello “Straniero senza nome” e di quel lanciere
d’argento.
«E se avesse trovato un altro modo per raggiungere questo posto?»
«Allora hai posto fine alla vita di un pericoloso stregone» rispose Carian
determinata, come se non avesse avuto nulla a che fare con colui che per anni
aveva agognato il suo potere celeste. Golden annuì debolmente. Erano passati
mesi da quando si era risvegliato in quella foresta a Nord del mondo, oltre
qualsiasi mappa e conoscenza, in un luogo che non aveva stranamente mai visto.
Doveva abituarsi all’idea che non si trovava rinchiuso nelle stesse terre che
aveva lasciato anni prima, dove aveva combattuto la guerra al fianco di
Valerian e di tutti gli altri. Solo allora realizzò le parole della sorella:
Ruphis era con lei e attendeva soltanto un segnale per poter mettere in atto un
qualche piano dei suoi per tirarlo fuori dalla cella. Non era la prima volta
che finiva prigioniero ma insieme al Drago Nano era sempre riuscito a sfuggire
al patibolo.
«Che avete in mente?» chiese cercando di tornare in sé. Carian tornò a sorridere
e rispose controllando che nessuno arrivasse dal corridoio buio da cui era
giunto prima il fratello.
«Darò il mio segnale a Ruphis che riempirà queste segrete di una potente nube
velenosa. Le guardie saranno costrette ad aprire i cancelli per le vie sotterranee
che attraversano tutta la città fino a fuori le mura. Un po’ come quando siamo
scappati da Vhiria».
«Nube velenosa?» chiese Golden scettico.
«I poteri di Ruphis, in questo mondo, sono cambiati, mutati. Non hai idea di
quello che è riuscito a fare da quando ci siamo incontrati» rispose la
fanciulla in un sogghigno, lasciando intendere al fratello che il meglio doveva
ancora arrivare. Lo spadaccino annuì a quel punto, con più decisione, e attese
che Carian si mettesse in contatto con il Drago Nano, ricordando a quel punto
di come lui non ne fosse più capace.
«Perché io non riesco a sentirlo?» chiese.
«Perché non è la sua abilità che sfrutteremo, ma la mia».
Carian chiuse gli occhi e la cella si colorò di un inquietante velo violetto
che si rese immediatamente riconoscibile agli occhi di Golden, che afferrò la
sorella per un braccio.
«Questa è stregoneria, quale energia stai usando?» sbottò il giovane,
ricordando tutta la repulsione che provava verso i maghi. Sua sorella però era
sempre stata diversa, lei aveva sviluppato una nuova forma di magia e il suo
colore non era oscuro, violetto, ma azzurro e puro come la sua stessa anima. In
quel momento però, Golden riuscì a vedere soltanto un ennesimo stregone che
dava dimostrazione di come tutto poteva essere ucciso e distrutto con la forza
della vita stessa, del sangue di chi era a loro vicino.
Lei non rispose, si limitò a poggiarsi alla parete rocciosa quando ebbe finito
e alzando gli occhi verso il fratello, mostrò una goccia cremisi colarle lungo
la guancia. Erano lacrime di sangue.
«Non avremo molto tempo e le guardie correranno qui per occuparsi di te. Non
opporrai resistenza, non farai niente di stupido, finché non vedrai la luce del
sole. Potrebbero volerci delle ore e la nube di Ruphis potrebbe raggiungervi.
In quel caso non respirare».
«E tu che cosa farai?» chiese Golden confuso, cercando di ricordare ogni passo.
«Me la caverò. Adesso colpiscimi» disse la ragazza.
«Cosa?».
«Colpiscimi!»
Il rumore di passi infuriò nel corridoio che portava alla stanza in cui stavano
parlando i due fratelli.
«Perché?!» Golden non capiva e un dolore alla testa gli annebbiò la vista.
«Colpiscimi, Golden!» esplose Carian che si vide finalmente arrivare un
manrovescio poderoso dal fratello. Lei cadde al suolo gemendo e proprio in quel
momento due guardie aprirono la porta di ferro, afferrando il prigioniero con
forza per poi coprirgli il volto con uno scuro cappuccio scuro.
«E lei?» chiese una delle due.
«Abbiamo ordini solo sul prigioniero, lasciala morire!» rispose l’altra
gettandosi nell’oscurità del lungo corridoio.
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