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Autore: Psyker_    27/03/2018    0 recensioni
Grazie al paradossale sacrificio del Demone, il Saar è riuscito a riemergere dopo gli anni di guerra. Una cacciatrice e i suoi preziosi compagni non hanno però dimenticato il debito nei confronti di quella entità "oscura" che li aveva salvati, e riunendo il gruppo si preparano a varcare il limite del Saar, in quei tempi di cambiamenti in cui ognuno di loro ha imparato a vivere la propria storia. Tra magia e stregoneria si pongono intanto i Cacciatori della Notte, vincolati alla loro imprescindibile Promessa.
Genere: Avventura, Fantasy, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Il mondo di Saar'
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Fratelli Urla e lamenti erano ciò che nel silenzio era possibile udire nella fetida prigione dentro cui era trattenuto Golden. In quelle profonde segrete il sole non arrivava e le lampade a olio che avrebbero dovuto garantire un minimo di illuminazione, erano logore e stavano per spegnersi. Erano dettagli di poco conto agli occhi del giovane dai capelli biondi che se ne stava in un lato della cella con le spalle poggiate alla parete rocciosa. Non alzava il capo da ore ma non dormiva, non riusciva a riposare lì dentro e con la mente non riusciva a staccarsi dall’idea che tra qualche ora avrebbe affrontato la sua “ultima prova”. Gli altri prigionieri erano per lo più ladri e stupratori, feccia della peggior specie il cui destino era fare da vittime sacrificali per chi aveva la fortuna di poter impugnare una spada e provare a vincere la propria innocenza. Golden non se ne curava ma almeno nessuno aveva il coraggio di provocare il guerriero che aveva superato quasi tutte le prove del Re. A tutti era permesso assistere agli scontri in arena, anche ai prigionieri, e tutti avevano visto l’abilità dello spadaccino nel battere orde di uomini e poi il lanciere dai capelli argentati. Molti si chiedevano da dove venisse lo “Straniero senza nome” ma per qualche ragione, non ve n’era ancora stato uno che aveva osato chiederglielo. Golden dal canto suo taceva, quantomeno non avrebbe dovuto difendersi anche fuori dall’arena. Passarono un paio di ore nel silenzio più totale: anche i lamenti che facevano da sfondo a quell’immagine d’oscurità si erano placati e proprio quando il guerriero sembrò sul punto di socchiudere gli occhi per risposarsi qualche minuto, alcuni passi rimbombarono nella sala delle prigioni e due soldati si avvicinarono alla cella di Golden.
«Straniero, hai una visita. Se a letto sei bravo la metà di come combatti, stasera passerai ore di fuoco prima del grande giorno» disse uno dei due suscitando risa generali. Dunque gli incatenarono i polsi e lo scortarono attraverso un lungo e buio corridoio. Il tanfo terribile che accompagnò il giovane per tutto il tragitto l’aveva quasi portato a reagire alle continue spinte dei carcerieri, ma in qualche modo riuscì a controllarsi, preferendo lasciare esplodere dentro di sé la rabbia e soffrirne in silenzio, piuttosto che allungare una pena che era già durata troppo. Giunti davanti a una robusta porta di ferro, una guardia infilò nella toppa una grossa chiave dello stesso materiale e spinse dentro il prigioniero.
«Se sentiremo urla ti rigetteremo nella cella. Dì alla tua sgualdrina di andarci piano» disse sghignazzando, quindi richiuse la porta e si allontanò, lasciando Golden con l’ospite che era venuto a trovarlo. Il ragazzo dagli occhi dorati fece qualche passo in avanti imprecando contro quelle due fecce che avrebbe volentieri fatto a pezzi, ma sospirò cercando di ritrovare la calma. Le due lampade sistemate sui due lati opposti della camera ne descrivevano la pessima condizione, non diversa dalle altre celle in cui venivano lasciati a marcire i prigionieri. Anche quella stanza era una prigione, solo un po’ più grande e con alcune sedute disseminate per il pavimento di pietra. Una sala visite, in qualche maniera.
Poggiata al muro di fronte a Golden vi era una figura incappucciata nell’ombra, nascosta anche dal tacito chiarore dei due fuochi vicini, ma non appena vide arrivare il giovane guerriero, alzò il capo e gli corse incontro gettandogli le braccia al collo tra le lacrime. Golden pensò per un momento di agire e contrattaccare ma per istinto, si lasciò vincere da quella presa, da quei singhiozzi e immediatamente ne percepì la familiarità.
«N-non puoi essere tu…» disse in un sibilo lo spadaccino dagli occhi d’oro.
«Golden… non posso crederci» la voce di Carian rotta dalle lacrime. Le parole le si strozzavano in gola e non riuscì a dire nulla al fratello ritrovato, preferendo rimanere semplicemente tra le sue braccia. Era ancora vivo ed era lì, erano di nuovo insieme.
«È stato terribile, ho passato dei momenti in cui ho pensato che potesse essere la fine e non immagino nemmeno che cosa abbia passato tu qui dentro. Che cosa ti è successo?» cominciò finalmente Carian d’un tratto. Golden si allontanò di un passo sospirando, poi restò a guardare il riflesso dorato delle iridi della sorella, rischiarate dal riflesso del fuoco nelle lampade.
«Io ero da solo, Carian. Da solo in un mondo che non mi apparteneva. Ho cacciato, ucciso, rubato. Passavano i giorni e non riuscivo più a capire chi fossi, dove mi trovassi. Poi ho capito di essere nel Kharas, nel Nord, nelle terre abbandonate che circondano Kaimar. Ho provato a spostarmi a Sud, attraversando foreste, sperando nei loro fiumi d’acqua dolce. Niente di tutto ciò, ho trovato una landa arida, senza acqua, senza cibo».
Al solo ricordare di quei giorni, Golden si portò una mano alla testa come se stesse riassaporando la sofferenza che aveva dovuto sopportare.
«Non mi ci volle molto per capire che questo non era il Kharas che conoscevo, ma ho continuato ad andare verso Sud, forse con la speranza di trovare l’erba di Green-Lock, la grandezza di Water-Lock» continuò tornando agli occhi della sorella.
«E non le hai trovate» disse Carian scuotendo leggermente il capo malinconica «non quelle che Kubara stava ricostruendo dopo la guerra e l’attacco di Naos Echel e Javia».
«Non le ho trovate. Un uomo e sua figlia hanno però trovato mezzo morto me nelle cupe foreste di Sunar. Ho passato con loro qualche settimana in una piccola città a Sud e il mio corpo cominciò a riprendersi, a tornare a vivere ed ero tornato a chiedermi dove mi trovassi davvero. Loro mi avevano confermato, prendendomi probabilmente per pazzo: era il Kharas e a Sud-Est avrei trovato Water-Lock. Mi hanno parlato di un Re folle, di un regno retto dalla sua tirannia, di un popolo corrotto e malato e non sapevano assolutamente nulla di una guerra tra Green-Lock e Kubara, della magia di fuoco di Naos Echel. “I maghi vivono a Spell, non si allontanano quasi mai da lì e in ogni caso non prenderebbero le parti di nessuno in una guerra tra regni. La loro guerra è quella contro il Demone Oscuro e la Strega Rossa, la guerra di tutti noi è quella contro di loro” mi disse Liania, la figlia dell’uomo che accettò di salvare la vita a un estraneo».
Carian ascoltò in silenzio fino a quel punto, quindi fece un cenno con il capo e parlò cercando di riprendersi definitivamente dal pianto che l’aveva colta.
«Siamo nell’”altro Saar”… la terra di Amel» confermò.
«È quello che ho pensato» rispose Golden ancora malinconico.
«Ma come sei finito qui? Che cosa è successo all’uomo e alla figlia che ti hanno ospitato?» chiese nervosamente la fanciulla, stringendo la sua lunga chioma cremisi. Golden si morse un labbro e indietreggiò lentamente fino a raggiungere la parete con le spalle.
«Ero con lei nella foresta e alcuni uomini ci hanno teso un’imboscata: non erano semplici banditi, il loro attacco era ragionato, studiato e non hanno rubato nulla. Hanno preso solo la sua vita… solo… la sua vita» rispose scivolando fino al suolo, cercando di ricostruire ciò che lo aveva portato a dover affrontare i giochi perversi di quel Re nell’arena della morte.
«Un omicidio? Qual era la storia di Liania? Chi era, Golden?» chiese Carian preoccupata. Il fratello scosse il capo e continuò: «ne ho respinti alcuni, poi il resto del gruppo è scappato. Quando ho portato al padre il corpo insanguinato della figlia non riuscivo a pensare. Si è messo a urlare e a incolparmi e senza neanche accorgermene mi sono ritrovato incatenato e in viaggio verso Water-Lock, scortato dalle guardie del Re, a scontare la mia pena. Liania era morta e io stavo per essere giustiziato per questo». Una lacrima gli rigò il viso e i suoi occhi dorati osservavano il buio senza vedere. Non sapeva neppure quanto tempo fosse passato, da quanto lottava per sopravvivere nella foresta di Sunar. Per quanto cercasse di ricordare, non capiva da quanto Liania fosse morta. Il tempo, in quella terra così simile e così diversa, era come distorto.
«Golden, mi dispiace ma anch’io ho passato momenti in cui avrei preferito morire lì fuori, e non hai idea di cosa ho passato per essere qui a parlarti, ma ora dobbiamo andare, dobbiamo scappare da questo posto» disse Carian con ritrovata determinazione, allungando una mano verso il fratello.
«Mi manca l’ultimo incontro e poi sarò libero, non posso scappare proprio adesso» rispose lo spadaccino ignorando il braccio della sorella.
«Golden! Svegliati! Domani potresti morire nell’arena, come potevi morire oggi. C’è anche Ruphis con me che attende un mio segnale, sono qui per farti uscire» continuò la ragazza.
«Già… lo scontro di oggi. Tu l’hai visto? Eri presente? Quell’uomo…» cominciò Golden stringendo i pugni, cercando di ricordare lo sguardo del lanciere d’argento. Carian scosse il capo con decisione, aveva intuito cosa stesse per dire il fratello: «non era lui, non poteva essere lui. Eravamo gli unici con le gemme in grado di riaprire il portale e lo sai bene».
Il ragazzo abbassò il capo ripensando a quelle iridi grigie e al riflesso argenteo dei suoi capelli al bagliore del sole. Non era lui? Come poteva non esserlo? Aveva camminato su quel suolo consapevole di avere davanti lo stregone Javia che sapeva essere suo padre, sotto gli occhi testimoni di tutti i presenti, e alla vista del Re nella sua scintillante armatura di smeraldo. Nel sorriso di quell’uomo ripugnante sembrava esserci consapevolezza, eppure non poteva conoscere la vera identità dello “Straniero senza nome” e di quel lanciere d’argento.
«E se avesse trovato un altro modo per raggiungere questo posto?»
«Allora hai posto fine alla vita di un pericoloso stregone» rispose Carian determinata, come se non avesse avuto nulla a che fare con colui che per anni aveva agognato il suo potere celeste. Golden annuì debolmente. Erano passati mesi da quando si era risvegliato in quella foresta a Nord del mondo, oltre qualsiasi mappa e conoscenza, in un luogo che non aveva stranamente mai visto. Doveva abituarsi all’idea che non si trovava rinchiuso nelle stesse terre che aveva lasciato anni prima, dove aveva combattuto la guerra al fianco di Valerian e di tutti gli altri. Solo allora realizzò le parole della sorella: Ruphis era con lei e attendeva soltanto un segnale per poter mettere in atto un qualche piano dei suoi per tirarlo fuori dalla cella. Non era la prima volta che finiva prigioniero ma insieme al Drago Nano era sempre riuscito a sfuggire al patibolo.
«Che avete in mente?» chiese cercando di tornare in sé. Carian tornò a sorridere e rispose controllando che nessuno arrivasse dal corridoio buio da cui era giunto prima il fratello.
«Darò il mio segnale a Ruphis che riempirà queste segrete di una potente nube velenosa. Le guardie saranno costrette ad aprire i cancelli per le vie sotterranee che attraversano tutta la città fino a fuori le mura. Un po’ come quando siamo scappati da Vhiria».
«Nube velenosa?» chiese Golden scettico.
«I poteri di Ruphis, in questo mondo, sono cambiati, mutati. Non hai idea di quello che è riuscito a fare da quando ci siamo incontrati» rispose la fanciulla in un sogghigno, lasciando intendere al fratello che il meglio doveva ancora arrivare. Lo spadaccino annuì a quel punto, con più decisione, e attese che Carian si mettesse in contatto con il Drago Nano, ricordando a quel punto di come lui non ne fosse più capace.
«Perché io non riesco a sentirlo?» chiese.
«Perché non è la sua abilità che sfrutteremo, ma la mia».
Carian chiuse gli occhi e la cella si colorò di un inquietante velo violetto che si rese immediatamente riconoscibile agli occhi di Golden, che afferrò la sorella per un braccio.
«Questa è stregoneria, quale energia stai usando?» sbottò il giovane, ricordando tutta la repulsione che provava verso i maghi. Sua sorella però era sempre stata diversa, lei aveva sviluppato una nuova forma di magia e il suo colore non era oscuro, violetto, ma azzurro e puro come la sua stessa anima. In quel momento però, Golden riuscì a vedere soltanto un ennesimo stregone che dava dimostrazione di come tutto poteva essere ucciso e distrutto con la forza della vita stessa, del sangue di chi era a loro vicino.
Lei non rispose, si limitò a poggiarsi alla parete rocciosa quando ebbe finito e alzando gli occhi verso il fratello, mostrò una goccia cremisi colarle lungo la guancia. Erano lacrime di sangue.
«Non avremo molto tempo e le guardie correranno qui per occuparsi di te. Non opporrai resistenza, non farai niente di stupido, finché non vedrai la luce del sole. Potrebbero volerci delle ore e la nube di Ruphis potrebbe raggiungervi. In quel caso non respirare».
«E tu che cosa farai?» chiese Golden confuso, cercando di ricordare ogni passo.
«Me la caverò. Adesso colpiscimi» disse la ragazza.
«Cosa?».
«Colpiscimi!»
Il rumore di passi infuriò nel corridoio che portava alla stanza in cui stavano parlando i due fratelli.
«Perché?!» Golden non capiva e un dolore alla testa gli annebbiò la vista.
«Colpiscimi, Golden!» esplose Carian che si vide finalmente arrivare un manrovescio poderoso dal fratello. Lei cadde al suolo gemendo e proprio in quel momento due guardie aprirono la porta di ferro, afferrando il prigioniero con forza per poi coprirgli il volto con uno scuro cappuccio scuro.
«E lei?» chiese una delle due.
«Abbiamo ordini solo sul prigioniero, lasciala morire!» rispose l’altra gettandosi nell’oscurità del lungo corridoio.
  
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