Capitolo
Ventinove
«Ahi,
ahi! Fermati, mi fai male, donna» si lagna Mot, strattonato
qua e là
da Nyx e seguito a ruota dal fratello che però è
troppo occupato a
sghignazzare per trovare anche il tempo di accorrere in suo aiuto.
«Tu
chiamami donna
in quel modo ancora una volta e ti prometto che do fuoco a te e ai
tuoi capelli» replica Nyx, con pochissima pazienza ma una
massiccia
dose di irritazione.
Epiales
è in coda alla
ristretta comitiva e di tanto in tanto non può fare a meno
di
scuotere il capo, desolato di trovarsi in mezzo a gente che non
sembra in grado di convivere civilmente nemmeno mezzo minuto senza
saltarsi alla gola. Si chiede se ci sia realmente qualche concreta
possibilità di ritrovare il loro padrone e, se
così fosse, in che
condizioni. Soffia una grigia e triste nuvoletta e trotterella
incontro alle tre divinità svitate, sperando che almeno una
delle
tre abbia idea di dove stiano andando.
«Non puoi
avere accesso al
mio mondo, a meno che tu non sia accompagnata o invitata»
tiene a
precisare Mot.
«Oppure
che tu abbia almeno
una parte di sangue in comune» aggiunge Ba’al per
dovere di
cronaca, guadagnandosi un’occhiata furente dal fratello ma
rispondendo con un’alzata di spalle poco partecipativa.
«Ottimo.
Quindi posso
staccarti la testa e usarla come lasciapassare» esclama
allegramente
Nyx, gustandosi la sfumatura verdognola assunta da Mot.
«Preferirei
aprire i cancelli
con le mie mani, se per te è lo stesso» gracchia
in risposta.
«A me
basta raggiungere
quello stupido specchio» replica acida. «Di quello
che vorrai fare
della tua vita gretta e miserevole in seguito sono unicamente affari
tuoi. L’importante è che eviti di starmi fra i
piedi» conclude
cupamente.
«Senz’altro»
assicura,
annuendo più che convinto. D’un tratto si blocca,
sibilando a
causa delle dita di Nyx ancora saldamente aggrappate ai suoi capelli
con caparbia ostinazione, afferra il fratello per un polso e osserva
brevemente l’incubo piantare di nuovo i denti nel braccio
libero di
Ba’al. Scuote appena la testa, crea attorno a loro una bolla
scura
e trasferisce tutti all’interno del suo dominio.
«Benvenuti»
borbotta seccato, strattonando il capo per liberarsi finalmente dalla
stretta di Nyx. «Fate pure come foste a casa
vostra» strascica
svogliatamente, facendo un passo indietro e ruotando prudentemente il
collo per sgranchirsi un po’.
Lì, a
poca distanza dalla
coda di Epiales, si mostra finalmente il portale, nella sua consueta
forma di antico specchio.
*
Una stilettata
infuocata, che
sembra conficcarglisi in un fianco, lo ridesta bruscamente facendolo
annaspare. Si scansa rapido e si guarda attorno, scoprendo in questo
modo che la sensazione di doloroso bruciore non era semplice
impressione, ma evidente realtà (se di realtà si
può parlare,
considerato che quel luogo
non dovrebbe neppure esistere).
Una piccola
creatura tutta
aculei e fiamme si appressa con imprevista rapidità e Pitch
si
riscuote da torpore e sconcerto, indietreggiando e affibbiando un
calcio deciso al tipetto poco rassicurante, spedendolo a ruzzolare
fra gli arbusti pietrificati poco lontani. Celere si rimette in
piedi, si attarda in una breve ispezione del luogo affatto ameno e
decide presto di arrampicarsi su di un’altura a breve
distanza
nella speranza di farsi un’idea più precisa sulle
condizioni di
quel nuovo ambiente.
È
arrivato in cima da qualche
minuto, ormai, ed è intento a osservare ciò che
gli mostrano gli
occhi spaziando sul paesaggio che si estende ai suoi piedi: pietra e
rocce, per lo più. Non tutte grigie, a voler essere sinceri,
molte
sono invece quarzi colorati o qualcosa di simile, ma nessuna vera
presenza di acqua, né ovviamente di piante. Quelle che lo
sembravano
sono al contrario elaborate sculture di roccia. A destra, sul suo
orizzonte, può intravvedere del fumo uscire dalla cima di
un’altra
altura: vulcani, quindi.
«Grandioso:
pietre, lava,
animaletti pungenti, ancora rocce… Un posticino adatto a un
bel
pic-nic» bercia disgustato ma anche piuttosto impensierito.
Il cielo sopra la
sua testa
ora è quasi bianco, nessuna nuvola in vista, ma in alto,
quasi allo
zenit, due sfere luminose emanano un bagliore lattiginoso e un
discreto tepore. Le sue labbra si storcono in una smorfia
amareggiata. Il posto non è certo dei più
ospitali e la voglia di
esplorare caverne per sottrarsi alla luce eccessiva non è
poi molta;
quante probabilità ci sono che incappi in qualche altra
simpatica
creatura, felice dell’opportunità di staccargli
una gamba (o
entrambe) a morsi? E chissà se qualcuna di loro è
in grado di
provare un qualsiasi genere di sentimento, oltre al basilare impulso
di mera sopravvivenza. Invero si augura che così sia, o
finirà con
il languire in quel postaccio disgraziato, privo di una qualunque
fonte di sostentamento. Sospira, pensando che dopo tutto la Terra era
mille volte più accogliente e che, tutto sommato, avrebbe
davvero
desiderio di farvi ritorno; buffo, considerato che sarebbe stato
più
che pronto a levare le tende solo qualche settimana prima, avendone
l’opportunità.
Un fruscio fuori
posto lo
distrae dai suoi malinconici pensieri: volta le spalle, incerto, e
scarta bruscamente di lato per evitare di essere investito da
un’altra di quelle assurde creature. “Questa qui
vola” pondera
sconcertato. Brutta, bruttissima notizia: dovrà
necessariamente
tenere gli occhi ben aperti per il futuro.
«Questa
me la paghi»
ringhia, annotandosi l’ennesima disgrazia per il giorno in
cui Mot
ricapiterà sulla sua strada.
*
Al momento Mot
è ben deciso a
mantenere una buona distanza dalla dea della notte che da qualche
minuto è intenta a maledire lo specchio che le si trova di
fronte,
reo di non concedere nemmeno un briciolo di collaborazione alle tre
divinità lì radunate.
«Perché
non mi mostra altro
che noi e il tuo orribile mondo?» sbotta Nyx, frustrata.
Mot si morde la
lingua per
evitarsi di risponderle per le rime. È incredibilmente
stanco di
ascoltare le parole denigratorie di chiunque capiti nella sua
dimensione e si senta in dovere di criticare il posto a cui
appartiene. Quella è casa sua e nessuno è stato
invitato per il suo
piacere; per quale ragione, dunque, devono costantemente offendere la
sua creazione?
«Non ne
ho idea» ribatte
succinto.
Nyx gli lancia
un’occhiata
inceneritrice, digrigna i denti e torna a voltarsi verso lo specchio
che, imperterrito, seguita a riportarle il suo riflesso. Le ha
provate tutte per convincerlo a mostrarle quell’altra
dimensione,
ma ogni suo sforzo è stato vano e del mondo in cui
è racchiuso
Pitch non ha potuto scorgere neppure un misero frammento. Sospira,
esausta, e si siede a terra continuando a osservare il portale e a
ponderare sulla maniera per aggirarlo. Deve riuscirci in qualche
modo, non può lasciarlo lì dentro. Non
è neppure in grado di avere
la certezza che lui esista ancora, ma se ci fosse anche solo una
possibilità che sia così, allora dovrà
trovare la chiave per farlo
uscire. Già, ma come?
«Credo
che tuo padre potrebbe
essere in grado di farlo funzionare» suggerisce a un certo
punto
Mot, notando che la donna sembra essere a corto di idee e speranze.
Nyx sbuffa senza
però
metterci troppo astio. «Non è qui per
ragguagliarci, al momento»
borbotta indispettita.
«Potresti
provare a
richiamarlo, allora. Lo ha creato lui, dopo tutto, e saprà
di certo
come riaprirlo» insiste Mot.
Nyx volta il capo,
lo fissa
seccata e si imbroncia leggermente. «Non mi darebbe retta.
Non l’ha
mai fatto» sibila cupamente.
Mot sospira e si
agita un po’
nervoso. «Evidentemente non prestava ascolto. Ma questa
è una
situazione un po’ più problematica. Forse se
insistessi
riusciresti a infastidirlo a sufficienza da attirare finalmente la
sua attenzione».
Il ghigno
sarcastico che
compare sulle labbra della donna non promette bene. «Vuoi
dire che
dovrei trasformarmi in un petulante e capriccioso moccioso bisognoso
di attenzioni?».
Il custode
dell’oltretomba
si lascia sfuggire un sorrisetto impertinente. «Se servisse
allo
scopo, non vedo perché no. In fondo, come usano dire i
mortali: a
mali estremi, estremi rimedi».
Nyx sbuffa ma,
questa volta, è
più divertimento che contrarietà.
«Molto bene» decide. Con tutta
calma si rimette in piedi, chiude per un lungo momento le palpebre,
raccoglie un profondo respiro e… inizia a strillare e
pestare i
piedi a terra, costringendo Mot e Ba’al a tapparsi le
orecchie per
scongiurare la sordità perenne. Perfino la lucida superficie
del
portale si increspa come l’acqua di uno stagno in un giorno
ventoso, quasi in protesta di tanto fracasso.
Ba’al
adocchia Mot con
disagio, Mot si lascia sfuggire un lieve sorrisetto e
un’alzata di
spalle. Entrambi rimangono fermi in attesa di scoprire chi si
stuferà
prima: Nyx senza più fiato nei polmoni, oppure
Phanês con i timpani
danneggiati.
Il responso finale
giunge nel
momento in cui l’oscurità attorno a loro va
letteralmente in
pezzi, spazzata via da una luce violenta che porta con sé un
vago
tepore e una nuova creatura. Mot è stato costretto a serrare
gli
occhi delicati e schermarli dietro le mani, ma ha visto a sufficienza
da sapere che questa scommessa è stata appena vinta da Nyx.
«Per
tutti gli dèi, si può
sapere che cosa ti è preso, figlia degenere?»
sbotta il nuovo
venuto con sguardo allucinato.
|