FF ENJOLRAS 1 DEF
Saint-Michel
a
a
a
a
***
a
a
Le
ruote della carrozza correvano rapide sul selciato nel centro di
Parigi.
"Andrete
al ballo questa sera, Èmile?''
A
parlare era stata una giovane donna dai capelli corvini e la pelle
color dell'avorio che si sposava alla perfezione con l'abito color
perla che indossava.
''Certo
che sì, ma chérie, non potrei
mai perdermi un evento del
genere. Voci di quartiere affermano che saranno presenti un gran
numero di famiglie aristocratiche del Regno di Sardegna.''
''Ho
sentito le stesse voci, fratello. La belle Italie!
Una terra
davvero magnifica, se solo non fosse per le voci di rivoluzione che
iniziano ad essere nell'aria anche laggiù.''
Oltre
a lei, nella carrozza sedevano due giovani dall'aria elegante, che
discutevano fra loro. Nonostante il cielo di Parigi fosse velato, i
loro capelli biondi sembravano risplendere. Erano, innegabilmente, di
bell'aspetto; il padre, anch'egli seduto nella stessa carrozza, aveva
insistito affinché indossassero i loro abiti migliori per
ricevere
la cugina, che rientrava a Parigi dopo un lungo periodo passato
presso dei facoltosi parenti a Londra.
''Mia
cara Anaëlle,
i miei figli rischiano di importunarti con discorsi sulla politica
estera che, a te, di certo, non interessano. Tuttavia questa sera si
recheranno entrambi al ballo, e tu potrai essere loro gradita ospite.
Sono certa che potresti incontrare persone che non vedi da tempo."
''Certamente,
zio. La mia permanenza fuori città è durata a
lungo e ho sofferto
la mancanza di eventi francesi. A Londra è tutto
così differente!''
''Non
rimarrete delusa, cugina, statene certa'' intervenne il maggiore dei
due ragazzi.
Tuttavia,
Anaëlle non ascoltò la sua risposta,
poiché udì, fuori dalla
carrozza, un vociare in crescita.
Anche
i tre uomini l'avevano sentito.
''Di
nuovo'', commentò il più anziano, lisciandosi con
cura il tessuto
pregiato dei pantaloni.
''Davvero
non comprendono che tutte queste insurrezioni non fanno altro che
peggiorare la loro situazione?"
I
due fratelli si scambiarono uno sguardo che, per la ragazza, fu
impossibile decifrare.
Era
sul punto di chiedere spiegazioni, quando il vociare si fece via via
più distinto e sembrò avvolgere la carrozza come
le acque di un
fiume in piena, finché questa non fu costretta a fermarsi.
Le
urla suonavano disperate e incutevano terrore nella giovane donna
che, quando aveva lasciato la città, non si sarebbe certo
immaginata
di tornare e trovarvi una tale situazione.
"In
basso! Vènez,
guardate in basso. Guardateci. Noi. I mendicanti, gli scarti di
Parigi! Siamo uomini anche noi. Pietà! Mostrate
pietà!"
Prostitute,
straccioni, locandieri,
ladri, assassini, diseredati.
Le
voci si accavallavano, si mescolavano, diventavano un urlo
indistinguibile, che parve però non scuotere i tre uomini,
che
rimasero impassibili. Solo le labbra strette mostravano il loro
disappunto.
Anaëlle,
invece, si sporse verso il finestrino, soltanto per trovarsi faccia a
faccia con un bambino sporco e vestito di stracci, che con un gesto
di stizza sollevò il vetro che li separava e sorrise
all'interno
della carrozza.
Nonostante
non potesse avere più di dieci anni, l'espressione del
bambino la
fece rabbrividire e arretrare di scatto.
''Bonjour,
comment-fais tu?"
Il
tono della sua voce ricalcò con sarcasmo la parlata della
nobiltà
parigina, ma il disprezzo era palpabile.
Il
più giovane dei fratelli mosse la mano per allontanarlo,
come
avrebbe fatto con una mosca impertinente nelle sere estive che
passavano nella residenza in campagna, ma il bambino, di scatto, si
sporse all'interno e fece per morderla.
Poi
rise di nuovo, con le mani magre strette sui bordi della finestra.
"Signori
miei, il mio nome è Gavroche. Questa è la mia
gente! La mia scuola!
La mia alta società!" urlò verso l'interno della
carrozza,
per poi allargare il braccio indicando la folla in tumulto.
''Nulla
di elegante, no, solo scarti troverete qui, nei bassifondi di
Saint-Michel."
Con
noncuranza, allungò una mano aperta a coppa verso
Èmile.
''Viviamo
grazie a briciole di pietà, noi. Ci vogliono denti forti,
eh, ma chi
se ne fotte!"
Stringendo
la mano, prima tesa al pietrificato e indignato aristocratico, lo
straccione saltò giù dalla ruota su cui era
appollaiato e scosse la
testa, puntando il dito verso la finestra della carrozza.
''Questa
è la terra che ha combattuto per la libertà. Liberté!
E ora
combattiamo per il pane. In fondo, da morti non ci saranno
differenze. La morte fa paura a voi, ma attrae noi, proprio
perché
ci renderà uguali. Tutti uguali!"
Con
quella macabra affermazione, che scosse la ragazza e generò
una
smorfia di disgusto sui volti dei tre compagni, il bambino si
allontanò, con lui un folto gruppo di monelli vestiti di
stracci.
I
piedi nudi, i denti sporchi, la strada era la loro casa.
Erano
moltissimi, a quei tempi, i bambini che abitavano i bassifondi
parigini. Abbandonati alla nascita, ripudiati dai genitori, o
semplicemente senza un posto migliore in cui andare. Se erano
fortunati a sufficienza, trovavano un gruppetto di altri compari con
cui rubacchiare e scorrazzare per la città alla ricerca di
lavoretti
grazie a cui campare, altrimenti, la loro sorte era spesso segnata.
Conoscevano
le strade a menadito, tutti i possibili nascondigli in cui
rifugiarsi, come topi, nel caso in cui la guardia cittadina
dell'ispettore Javert si fosse fatta insistente o pericolosa.
Invisibili agli occhi di tutti, si muovevano per le strade
accontentandosi di quello che una vita di stenti poteva offrire loro.
Anaëlle
a volte si chiedeva come fosse vivere così, miseramente.
Tuttavia,
da quel che poteva vedere, quei monelli si erano uniti ai tumulti che
agitavano le strade e,
anche se i
tre uomini parevano non curarsi di quei piccoli straccioni, lei aveva
compreso che cosa
li rendesse così pericolosi,
loro
e tutti i miserabili: non
avevano nulla da perdere.
La
carrozza poté a quel punto muoversi di nuovo, a fatica.
Tuttavia,
prima che chiunque dei quattro potesse proferire una parola, si
arrestò di nuovo, perché la folla di luridi
straccioni, come li
aveva definiti con disprezzo lo zio di Anaëlle, si era
raccolta di
fronte alla casa dell'ormai morente generale Lamarque.
In
piedi sui gradini dell'ingresso due ragazzi incitavano la folla.
All'interno
della carrozza continuava a regnare il silenzio, ma la tensione era
notevolmente aumentata rispetto a pochi istanti prima. Gli occhi dei
tre uomini, che pure rimanevano composti nella postura, erano fissi
fuori dal finestrino. Seguendo i loro sguardi, la giovane
poté
osservare attentamente le figure dei due rivoluzionari. Parevano
splendere, emanavano un'aura di potere dettata da un sentimento tanto
forte che Anaëlle dubitava di riuscire a riconoscerlo. Amore
per la
patria, forse. Per la libertà. Per i diritti e l'uguaglianza.
Pur
essendo la carrozza lontana da loro, ad Anaëlle parve di
riconoscere
i riccioli biondi di uno dei due. Un pensiero, tanto assurdo quanto
spaventoso, la sfiorò per un istante, ma lo
scacciò subito: era
impossibile. La loro voce possente arrivò fino a lei:
parlavano del
governo, del giorno del giudizio, e poi di barricate e di ribellione.
Parole colme di ideali così lontani dal suo mondo,
così
incomprensibili alle sue orecchie.
''Presto
abbatteremo quei luridi grassoni!" urlò uno dei due, quello
con
quei riccioli tanto famigliari. L'affermazione parve rimanere sospesa
in aria, parve schiacciare i quattro borghesi seduti tra i cuscini.
Era chiaro che il ragazzo si stava riferendo alla componente ricca
della società parigina.
''Come
si permette" commentò con freddezza l'uomo, senza smettere
di
fissare l'esterno.
"Come
si permette di sputare così nel piatto da cui si
è nutrito prima di
farsi riempire la testa di quelle fandonie!"
Fu
in quell'istante che Anaëlle comprese di aver avuto ragione.
Quel
giovane rivoluzionario biondo, con i pugni stretti,
il portamento da studente carico
di ideali
e una giacca color porpora che gli stringeva leggermente sulle spalle
era il più giovane dei cugini, quello la cui assenza in
carrozza era
stata taciuta fino a quel momento. Era
sempre
stato
davvero angelicamente bello, come lo aveva sentito definire da
parenti e amici fin dalla più tenera età, e il
suo
viso da fanciullo, con la fronte alta ora aggrottata nel parlare di
Libertà, le
lunghe ciglia bionde, gli occhi celesti e le guance rosate, lo
facevano
sembrare, nonostante lo sguardo, che di solito era allegro, spesso si
facesse pensieroso, ancora
un adolescente, e non l'uomo di ventidue anni che era. Pareva un Dio,
e allo stesso tempo un vendicatore.
Quei
tratti, a lei così comuni, avendo passato insieme al giovane
buona
parte dell'infanzia e dell'adolescenza, erano, anche in quel momento,
presenti con
prepotenza nella sua figura lontana.
Tuttavia, l'Enjolras
che aveva
davanti era cambiato rispetto a quello che lei
ricordava, a
quel borghese che
si era inchinato di fronte a lei e l'aveva invitata a ballare
nell'enorme sala dei ricevimenti del palazzo paterno, la sera prima
che lei partisse, un anno e mezzo prima. Avevano volteggiato con
eleganza, circondati dalla luce di migliaia di candele e dal fruscio
di balze, pizzi e volant. Ricordava bene quanto il cugino brillasse
di luce propria quella sera, nel suo completo blu dai bottoni dorati,
i capelli biondi che parevano fatti di filamenti d'oro puro.
Ricordava gli sguardi d'ammirazione e d'invidia delle fanciulle
mentre danzavano, e i commenti degli uomini su quell'avvenente
ragazzo che sembrava oscurare i fratelli maggiori. Il loro momento
idillico aveva avuto breve durata, poiché erano stati
prontamente
fermati
dal padre del ragazzo, che, come suo solito, li aveva interrotti con
durezza, con negli occhi uno sguardo che non ammetteva repliche e
prometteva conseguenze in caso di disobbedienza. Quella sera, come in
altri casi, Anaëlle aveva trovato quello sguardo esagerato, ma
sapeva quanto il cugino lo temesse.
"Non
sta bene, giovanotto."
Quella
sera Enjolras aveva contratto le labbra, ma si era inchinato al padre
prima e a sua cugina poi, cedendo il posto a un altro dei giovani
aristocratici parigini che animavano il ricevimento. Chissà
se
quella sera il ragazzo, appena ventenne, già stava covando
qualcuno
di quei sentimenti che l'avrebbero portato a diventare uno dei leader
della rivoluzione in corso in quella piazza.
Era
probabile.
Ora,
la
luce che emanava
Enjolras brillava mille volte più viva di quanto non avesse
mai
fatto nella
residenza
paterna.
Splendeva, e lo faceva sembrare veramente... libero.
La
ragazza rinvenne dalle sue riflessioni quando sentì la mando
di
Èmile posarsi sul suo ginocchio.
"Distogliete
lo sguardo, cugina. Quel traditore non merita la vostra attenzione."
Anaëlle lo guardò con i lineamenti sconvolti,
così diversi da
quelli impassibili del giovane.
"Vostro
fratello. Enjolras_" la voce le si ruppe prima che potesse
concludere la frase.
Proprio
Enjolras, con cui aveva giocato fin da bambina, con cui aveva letto e
studiato, condiviso pomeriggi in campagna e serate mondane. Proprio
quel cugino con cui, complice la simile età e l'irruenza di
carattere di lui, aveva maggiormente legato.
Avrebbe
voluto dire molto altro, ma non poté continuare. Che cosa
avrebbe
potuto affermare, dopotutto? Ogni parola sembrava vuota, priva di
significato di fronte a quanto aveva appena compreso.
Ma
a lasciarla ancora più sconvolta fu la risposta di
Émile.
La
voce del maggiore dei fratelli Montboissier1
suonò
gelida,
fredda come
il ghiaccio.
"Quello
non è mio fratello."
Suonava
come una condanna.
Una
condanna all'oblio.
a
a
a
a
a
a
***
a
NdA:
Salve
a tutti!
Ho visto il film/musical (quello del 2012 per intenderci) poco tempo
fa, me ne sono completamente innamorata e ho sentito il bisogno di
scriverci qualcosa! Quini, questo è quanto ho prodotto,
grazie anche alla ''spinta'' datami dal contest ''Raccontami una
storia- fanfiction edition'' di Milla4 sul forum di EFP.
Non credo ci sia bisono di grandi spiegazioni o annotazioni (e se lo
dico io, che di solito tiro le NdA per le lunghe!). Alcune parti sono
rielaborazioni di canzoni del musical, in altre parti ho ripreso il
libro- che, mea culpa, non ho letto- andandomi a cercare le parti che
potevano essermi utili, ma buona parte della storia- a partire dal
personaggio di Anaëlle, è inventata. Ovviamente, ho
cercato di mantenermi il più corretta possibile storicamente
parlando, e di ricostruire il contesto all'interno del testo.
La storia è nata come una long- di tre capitoli,
per come l'ho pensata: stay tuned, i prossimi arriveranno, ho
già i canovacci!
Ultimo, ma non per importanza, grazie di cuore ai due volenterosi che
mi hanno betato la storia: non scrivo i vostri nomi per questioni di
privacy, ma grazie davvero!
Ultimissimo, ma, di nuovo, non per importanza:, se la storia vi
è (o non vi è) piaciuta, se avete
domande/consigli/qualsiasi cosa, lasciatemi una recensione,
è davvero importante per me avere u riscontro.
Grazie a tutti, e a presto, 99!
1:
si tratta del cognome- non presente nel film di riferimento- che ho
voluto assegnare alla famiglia di Enjolras
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