A/N: E finalmente mi sono
ricordata di pubblicare il capitolo finale. Buona lettura :)
“Abbi
fede.” Si ripeté.
I pochi secondi che impiegò a girarsi, gli sembrarono secoli.
Era come se, uno spettatore curioso avesse appena schiacciato il
pulsante del rallentatore.
Lentamente, vide apparire, oltre la sua spalla destra, una porta
secondaria che prima non aveva notato. Girandosi un po’ di
più, notò anche che, oltre lui, in quella stanza
non c’era nessuno.
Tornò a fissare la sua finta carta
d’identità, con la consapevolezza che lei, Sara,
non era lì con lui. Aveva immaginato tutto.
“Riprova, Scofield.” Disse nuovamente quella voce
alla sua sinistra.
Nel sentirla di nuovo, girò di scatto la testa nel punto da
cui proveniva la voce e la vide.
I corti capelli scuri, leggermente più lunghi rispetto
all’ultima volta che l’aveva vista, erano raccolti
distrattamente in una coda che le lasciava cadere qualche ciuffo sul
viso. La facevano sembrare così timida, quasi impaurita di
trovarselo davanti. Se solo avesse potuto vedere quanto il suo stomaco
si era ristretto al solo sentire la sua voce, quanta aria aveva
trattenuto nei polmoni quando si era girato e l’aveva vista
di fronte a sé, bellissima.
I suoi occhi scuri lo fissavano, bramosi di catturare ogni minima mossa
che avrebbe fatto. Ma Michael non si sarebbe mosso tanto in fretta, non
finché la paura che tutto questo fosse un sogno svanisse. E,
se per caso, questo era davvero un sogno, allora sarebbe rimasto
lì, fermo e immobile, per sempre.
Le sue labbra, bagnate qualche secondo prima dal movimento nervoso
della sua lingua, gli sorridevano timidamente, quasi implorandolo di
dire o fare qualcosa, qualunque cosa. Dio, quelle labbra. Prima che
Lincoln gli desse la brutta notizia, ogni notte passata a Sona era meno
dura grazie al ricordo delle volte che aveva avuto
l’occasione di baciarle.
Le lunghe dita affusolate, giocavano nervose con le lunghe maniche
della camicetta in lino che indossava. Michael adorava quando Sara era
nervosa per colpa sua, perdeva la testa nel sapere che le faceva questo
effetto, anche perché a lui succedeva la stessa cosa quando
lei era nei paraggi.
Sara fece qualche passo verso di lui, notando che le sue guance erano
rigate dalle lacrime che gli continuavano a scendere, e lo strinse
forte a sé, lasciando che le sue lacrime cadessero a loro
volta.
Michael la sentì tremare, mentre rispondeva al suo abbraccio
e chiudeva le sue braccia intorno al suo corpo. Cercò di
stringerla a sé più che poteva, come impaurito
che potesse svanire come una nuvola di fumo.
“Ti prego, dimmi che non sei un sogno.” Le
sussurrò.
“No, Michael.” Gli disse, cercando di avvicinarsi
ancora di più a lui, anche se era fisicamente impossibile.
“E’ tutto vero.” Lo rassicurò.
Sara fu sorpresa nel sentire Michael allontanarsi da lei
così in fretta.
Aveva pensato che sarebbero rimasti avvinghiati al centro di quella
stanza per ore, invece lui ora la fissava a solo qualche centimetro dal
suo viso, con una strana luce negli occhi che Sara conosceva bene.
Aveva già visto quello sguardo durante i loro appuntamenti
nell’infermeria di Fox River, Michael aveva qualcosa in mente
e lei non aveva idea di cosa fosse.
Michael sapeva che, sogno o realtà che fosse,
c’era solo una cosa che voleva fare più di ogni
altra cosa.
Fece scendere delicatamente le sue mani dalle spalle di Sara fino alla
vita, per poi attirarla dolcemente a sé e catturare le sue
labbra, le stesse labbra che sembravano implorarlo di baciarle fin dal
primo secondo che l’aveva vista, in un tenero bacio.
Mentre assaporava attentamente, per la quarta volta, il dolce sapore
delle labbra di Sara, Michael ne fu consapevole, quello non era un
sogno, era tutto vero. L’averla nuovamente di fronte, gli
fece dimenticare che era lì per costituirsi.
Il sentire nuovamente il suo respiro sul collo, gli fece dimenticare
che doveva vendicarsi della Compagnia.
Le sue mani sul suo petto, gli fecero dimenticare gli ultimi giorni a
Sona.
Le sue labbra, con quel sapore di fragola… Non aveva idea
come mai, ma ogni volta che si erano baciati, aveva sempre riconosciuto
quel sapore. Nell’infermeria, nel treno, nella casetta a
Panama e ora qui, nello studio di Bruce.
Ora Michael adorava le fragole, non ne poteva più fare a
meno.
“Mi sei mancato anche tu!” Disse Sara divertita,
rompendo il bacio per il bisogno urgente di prendere aria.
Michael le sorrise, mettendole dolcemente una delle ciocche ribelli
dietro un orecchio.
Sara arrossì timidamente e, istintivamente,
rifugiò il viso imbarazzato nel petto di Michael.
“Sei bellissima.” Le sussurrò,
stringendola forte a sé. Avrebbe voluto vivere questo
momento al rallentatore, per poterne assaporare ogni millesimo di
secondo. Sentire nuovamente il suo viso aderire così
perfettamente al suo corpo, lo riportò, per un secondo, alla
tristezza di qualche istante prima, quando pensava che non avrebbe mai
potuto rivivere momenti come questo.
“Così, sarei il signor Crane ora?” Le
chiese divertito.
Sara alzò leggermente il viso, di modo che potesse
incrociare il suo sguardo con quello protettivo di Michael.
“Già. Te l’ho già detto che
suona meglio di origami?” Scherzò lei.
“L’ho sentito dire in giro.” Le rispose
prontamente, facendola sorridere. “E che piani hai per
me?” Chiese curioso.
“Beh, puoi scegliere tra l’essere un affascinante
consulente edile, o un irresistibile esperto di immersioni che gestisce
il suo negozio insieme al fratello.” Disse, presentandogli le
opzioni come una brava venditrice porta a porta.
“Diciamo che per ora sono più propenso a scegliere
l’opzione numero 1.” Rispose, ricordando che i suoi
rapporti con Lincoln, al momento, non erano dei migliori. “E
per te cos’hai preparato?”
“Beh, tecnicamente io non avrei bisogno di nascondermi, visto
che le accuse contro di me son tutte crollate.” Gli fece
notare con un sorriso. “Ma ho pensato di creare una finta
identità anche per me, sai, per non farti sentire troppo
solo.” Aggiunse, cercando di suonare il più
indifferente possibile.
“Ah si?” Le chiese, stando al suo gioco.
“E per caso, questa tua finta identità ha a che
fare con una certa signora Crane?” Le chiese malizioso.
“Dipende…” Rispose, facendo la vaga.
“Da cosa?”
“Da cosa ne pensa il signor Crane…”
“Penso sia pienamente d’accordo.” Disse
sorridendo, prima di attirarla a sé e baciarla nuovamente.
Sara si sporse leggermente e rispose molto volentieri a quel bacio.
“D’accordo, lo prenderò come un
sì.” Disse, annuendo e sorridendo, una volta
allontanatasi leggermente da lui.
“E che piani hai per la signora Crane?” Le chiese.
“Stavo riflettendo e… Potrebbe essere una
ballerina di lap dance…” Disse scherzando, notando
per la prima volta da quando lo conosceva, una punta di gelosia nel
sorriso di circostanza che le stava facendo. “Ma poi ho
pensato che essere una pediatra fosse più adatto.”
Continuò divertita, toccandogli teneramente la punta del
naso con l’indice.
“Già, lo penso anch’io!” Disse
sollevato, con un sorriso. “E dove staremo?” Le
chiese serio, accarezzandole dolcemente la schiena.
“Finché le accuse nei tuoi confronti non saranno
cadute, il più lontano possibile da Chicago.”
Rispose, buttandogli le braccia al collo. “Avevo pensato al
Messico…” Sorrise, alzando le sopracciglia e
annuendo leggermente.
“Mhm…” Michael assunse un’aria
pensierosa. “Sabbia bianca, mare cristallino, palme su cui
legare un’amaca… Penso non mi ci vorrà
molto per farci l’abitudine.” Sorrise.
“Come mai proprio il Messico?”
“Beh, per le ragioni che hai appena
detto…” Rispose vagamente, abbassando lo sguardo
di modo che non fosse costretta a guardarlo negli occhi.
“E…?” Disse, capendo che Sara aveva
volutamente lasciato la frase in sospeso.
“Beh, lì sarai al sicuro dalla giustizia Americana
e potrai finalmente realizzare il tuo sogno di aprire il negozio di
immersioni con tuo fratello…” Disse, notando
quanto l’argomento rendesse nervoso Michael.
“Sara…” Disse, buttando fuori un
po’ d’aria che si era tenuto dentro quando lei
aveva nominato suo fratello. “Lincoln ed Io…
Diciamo che in questo momento, le cose tra noi non vanno
benissimo.” Le confessò.
“Lo so, Michael.” Gli disse, notando
un’espressione sorpresa nel suo viso, al solo sentire quelle
parole uscire dalla sua bocca.
“Lo sai?” Chiese stupito.
“Sì.” Gli rispose, accarezzandogli
dolcemente la guancia destra. “Circa una settimana fa, la
Compagnia mi stava trasportando, legata e bendata, in un altro dei loro
nascondigli lì a Panama. Qualcuno deve aver teso
un’imboscata, perché il van che mi trasportava
fece una brusca frenata e uscì fuori strada. Io e gli uomini
armati che stavano dietro con me, cademmo a terra svenuti.”
Sara notò come Michael fosse attento a non perdersi nemmeno
il più piccolo dettaglio del suo racconto.
“Qualche ora più tardi mi ritrovai sdraiata su un
divano e qualche straccio umido sulla fronte. Una gentile, anziana
signora mi diede da bere e da mangiare. Lei parlava solo Spagnolo. Fu
suo figlio che mi spiegò che faceva parte di un gruppo di
soldati mercenari ingaggiati da Bruce per ritrovarmi e riportarmi a
casa sana e salva. Così, non appena sono arrivata qui, ho
chiamato un vecchio numero di cellulare che ho letto su un foglietto
trovato per caso nella tasca dei miei jeans. Non avevo idea di chi mi
avrebbe risposto, fatto sta che ho tentato. Non avevo niente da
perdere.” Gli spiegò.
“E quel numero era di Lincoln?” Le chiese, quasi
implorandola di continuare il suo racconto. Non aveva mai avuto
l’occasione di immaginarla impegnata in una ricerca del
genere.
Prima che Lincoln gli desse la brutta notizia, l’aveva sempre
pensata imbavagliata e legata ad una sedia, che cercava di
sopravvivere. Michael sapeva che Sara era una donna forte, ne era
consapevole, solo desiderava che lei non lo avesse mai dovuto
dimostrare in queste circostanze.
“Sì, fu Lincoln a rispondermi.”
Continuò, Sara. “Non avevamo molto tempo per
parlare. Mi raccontò del piano di evasione che avresti
attuato nel giro di pochi giorni e delle tue intenzioni di tornare a
Chicago.” Disse con un sorriso. “E di come avessi
deciso di costituirti.” Aggiunse triste.
“Beh, sì.” Fu l’unica cosa che
riuscì a dire. Il solo sentirle ripetere il piano che aveva
pensato qualche giorno fa, -quando non aveva più nessuna
ragione che lo spingesse a continuare a combattere- gli fece capire
quanto le cose fossero cambiate nel giro di qualche secondo.
Quel piano che prima gli sembrava così perfetto, ora
sembrava inutile e senza senso. Ora che lei era lì, di
fronte a lui, non aveva più senso consegnarsi alla polizia.
Non poteva rinunciare a starle vicino, non ora che l’aveva
ritrovata. Ma d’altro canto, Sara non meritava di vivere con
lui come una fuggiasca, non dopotutto quello che aveva subito per colpa
sua.
“Pensi ancora di costituirti?” Gli chiese, sperando
di sentirgli dire ‘no’.
“Sara…” Disse, prendendole il viso tra
le mani. “Prima di venire a Chicago, ero così
sicuro di farlo…” Abbassò lo sguardo e
respirò a fondo. “Qualche giorno prima
dell’evasione, Lincoln mi diede una brutta notizia, che mi
fece perdere tutta la fede e la speranza che avevo accumulato in tutti
questi anni…”
“La notizia della mia morte… Ti aveva depresso
così tanto?” Chiese sorpresa, abbassando lo
sguardo sulle sue scarpe, per non fargli notare le lacrime che avevano
iniziato a rigarle le guance.
“Tu… Tu lo sai…?” Le chiese
sconvolto. Le gambe gli cedettero leggermente e sentì il
bisogno di sedersi sul divano in velluto rosso alla sua sinistra.
“Lincoln…” Disse in un sussurro, dopo
essersi seduta di fianco a lui.
“Perché… Perché te
l’ha detto?” Chiese, cercando di nasconderle,
inutilmente, tutta la rabbia che provava ora per il fratello.
“Non prendertela con lui, Michael.” Lo
pregò, poggiandogli una mano sulla coscia per calmarlo. Non
aveva mai visto negli occhi di Michael, tanto odio per una persona,
come Lincoln, che lui adorava. “Quando gli chiesi cosa ti
spingeva a costituirti, lui cercò di fare il
vago.” Spiegò. “Mi ritrovai a
minacciarlo di tornare a Panama e scoprirlo da sola. Per cui non ha
avuto molta scelta. Ha preferito dirmi che mi credevi morta, piuttosto
che farmi andare fin lì e far sì che quella non
fosse solo una messinscena della Compagnia.”
Proseguì, stringendo le sue mani tra le sue. “Non
puoi incolparlo per una cosa del genere, l’ha fatto per
te!”
“Ma perché non mi ha detto la verità?
Perché mi ha nascosto che eri sana e salva a
Chicago?” Disse, facendole solo due delle mille domande che
le passavano per la mente in quel momento.
“E’ stata una mia idea, Michael.”
Confessò, sentendo un immenso senso di colpa che cresceva
sempre più, ogni volta che lui la guardava. Riusciva a
percepire il dolore che Michael provava in questo momento. Glielo
leggeva negli occhi. Si odiava per avergli causato tanta sofferenza.
Dopotutto, lei aveva agito in quel modo perché pensava fosse
la cosa migliore per lui, per loro. “Sapevo che,
una volta evaso, saresti venuto qui a Chicago. Credimi, se avessi
saputo che il tuo piano era rincorrere la Compagnia e farli tutti
fuori, avrei implorato Lincoln di farti sapere come stavano veramente
le cose, di convincerti a venire qui da me.” Cercò
di spiegargli il più razionalmente possibile, ma
chissà come mai, ora quelle parole non sembravano avere
più così tanto senso nemmeno per lei.
“Ho trattato Lincoln malissimo…” Disse,
guardando il vuoto di fronte a sé.
“Lo so, Michael. Mi dispiace tantissimo… Lincoln
capiva come ti sentivi in quel momento, sapeva che non eri in
te.” Gli disse, rassicurandolo. “Credimi, mi
dispiace tanto di aver agito in quel modo, ma pensavo fosse la cosa
migliore da fare per te…” Gli spiegò,
tenendosi il viso tra le mani. “Per
noi…” Aggiunse, piangendo.
“Lo so…” Disse, stringendola a
sé. “Probabilmente, fossi stato in te, avrei fatto
lo stesso.” Le sorrise dolcemente, baciandole delicatamente
la fronte e accarezzandole, rassicurante, la schiena.
“Non sei arrabbiato?” Gli chiese confusa.
“Come potrei sopportare il sole del Messico con te che mi
guardi con quegli occhioni tristi?” Le disse con un
dolcissimo sorriso. “In più, hai organizzato tutto
questo da sola.” Disse, indicando il raccoglitore.
“Non vorrei mai che il tuo lavoro andasse
sprecato.” Aggiunse, baciandola sulle labbra ancora salate
dalle lacrime che le continuavano a scendere.
Sara lo strinse forte a sé, contenta di saperlo felice.
“Lincoln e LJ saranno già arrivati nella baita in
riva al mare che gli ho indicato qualche giorno fa.” Disse,
asciugandosi le ultime lacrime che le cadevano dagli occhi.
“Cosa?” Chiese incuriosito da quelle parole.
Sara sorrise nel vedere quell’espressione sul viso di Michael.
Non era facile sorprendere Michael Scofield, di solito era sempre lui
quello che si occupava dei piani e della loro riuscita. “Non
appena sono arrivata qui a Chicago, Bruce mi ha fatto avere parte
dell’eredità che mio padre mi ha
lasciato.” Spiegò, con un tono di tristezza nel
ricordare il defunto padre. “Ne ho usato una piccola parte
per comprare una baita su una delle spiagge più anonime del
Messico. In altre circostanze, probabilmente avrei interamente
devoluto la somma in beneficenza, ma finché le acque non si
saranno calmate, quei soldi e il vostro negozio di immersioni, saranno
la nostra unica risorsa.” Concluse, con un sorriso nervoso
sulle labbra.
“Quelli e il tuo stipendio da pediatra.”
Le ricordò, Michael.
“Già…” Annuì
imbarazzata.
“Wow, Sara. Hai pensato veramente a tutto!” Le
disse, fiero di lei. Era impressionato da come avesse pensato ad ogni
minimo dettaglio. Spiagge anonime, baite che passavano inosservate,
finte identità, soldi che gli avrebbero aiutati a superare i
momenti difficili.
“Beh Scofield, dovrai abituarti al fatto di non essere
più l’unico genio in famiglia!” Disse
prendendolo dolcemente in giro, mentre un sorriso malizioso spuntava
sulle labbra.
“Penso di potermi abituare anche a quello.” Rispose
divertito, sigillandole le labbra con un bacio.
In quel momento, Michael non ricordava nemmeno come avesse potuto anche
solo pensare che essere ottimisti e avere fede non pagava.
Ora che lei era lì, con lui, la sua nuova, magnifica vita
era appena cominciata.
A/N: E così
finisce. :)
Come avrete tutti notato, è mooolto diversa da quello che
succede nella 4^ serie che abbiamo visto (o state vedendo, nel caso
seguiate su italia 1).
Grazie a tutti quelli che
hanno seguito la storia dall'inizio alla fine!
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