Capitolo
Trentadue
«Per
quale motivo, dunque, ti trovi qui?» torna a chiedere la
fiera,
questa volta usando un tono pacato che lo lascia stupito e
interdetto.
Non che gli siano
rimaste
molte scelte, giunto a quel punto, ma è pur costretto ad
ammettere
che al momento il suo interlocutore non pare intenzionato né
a farlo
a brandelli (come invece è appena accaduto alle sfortunate
arpie)
né, curiosamente, a intimidirlo.
«Vi sono
stato trascinato
contro il mio parere, a dire il vero, proprio da colui che ha
abbandonato questo mondo» ammette.
Il leone lo scruta
attentamente, visibilmente pensieroso; i suoi occhi bruciano e in
qualche modo sembrano impedirgli di sottrarsi a quello sguardo.
«È
andato, dunque, come
sospettavo» riflette gravemente. «Tua è
pertanto la
responsabilità?» vuol capire.
Pitch sussulta,
preso in
contropiede. «Mia? Come può essere mia, se a
nessuno è venuto in
mente di chiedere un mio parere, se altri hanno stabilito di usarmi a
loro piacimento per scopi di cui non ero stato opportunamente messo
al corrente?» sbotta, dimenticando momentaneamente di curarsi
della
suscettibilità dell’altro. Lo ricorda bene,
invece, quando nota le
zanne candide fare bella mostra di sé in quello che, poco
dopo,
interpreta come un feroce ghigno.
«Sono
stato ingannato. E da
quel che vedo non sono il solo» commenta.
Pitch non riesce a
trattenere
un broncio scontento, e il leone, alimentando la sua costernazione,
ridacchia con un suono agghiacciante e metallico.
«Tu…
conosci il modo per
uscire da questo mondo?» chiede invece, speranzoso.
«Non
è un mondo, spirito»
lo contraddice il leone. «E no, non ho idea di come
permetterti di
tornare al luogo cui appartieni» mormora, in qualche modo
dispiaciuto.
L’Uomo
Nero sospira e scuote
il capo. «Quello nessuno lo saprebbe fare, allo stato attuale
dei
fatti. Mi accontenterei di fare ritorno alla Terra, ora come
ora»
replica, e il leone lo osserva interdetto e confuso da parole che non
riesce a interpretare né può realmente
comprendere. «Forse però
sapresti trovare la via che conduce al varco fra le due dimensioni.
Con un po’ di fortuna, dall’altra parte potrebbe
esserci qualcuno
di mia conoscenza con il quale trattare per la mia
liberazione»
ipotizza, mentre la speranza si riaccende.
Strano come si
senta più
forte e meno oppresso da quando ha incontrato quella creatura
formidabile. Si sofferma a osservarlo per pochi istanti, chiedendosi
di cosa possa realmente trattarsi: un essere magico, forse? Di certo
non un semplice animale.
«In
questo sì, posso esserti
di aiuto. Ci sono stato spesso, sulle tracce del demone»
rivela,
risollevando un altro poco il morale di Pitch che, inaspettatamente,
si permette un lieve sorriso. «Non ora, però. Il
buio, qui, non è
il momento adatto per muoversi. Finiremmo certamente col perderci, in
tutti i sensi» rivela criptico.
Pitch tuttavia
decide di non
indagare oltre, affatto certo di voler davvero comprendere e
preferendo invece fidarsi della parole del suo momentaneo compagno di
disavventure. Su espresso invito del leone, cercano e trovano un
degno riparo, per quella che Pitch definisce notte per pura
abitudine, in un profondo anfratto fra le rocce.
«Vieni
qui, accanto a me»
mormora il leone, dopo essersi raggomitolato contro la parete. Poi
sfodera un altro di quei ghigni che fanno rabbrividire, aggiungendo
«Prometto di non assaggiarti» che non invoglia
esattamente ad
accettare il suo invito.
Eppure Pitch decide
altrimenti, inspiegabilmente attratto dalla vicinanza
dell’imponente
figura che perfino accucciata lo supera abbondantemente in altezza,
lui che basso non lo è più stato da quando ha
superato
l’adolescenza. Il manto, di un improbabile azzurro,
è bollente
sotto la sua mano quando la allunga prudentemente per sfiorarne il
fianco, ma avverte anche altro oltre all’intenso calore,
qualcosa
che lo fa sospirare di inatteso piacere.
«Che cosa
sei?» soffia
confuso, replicando involontariamente la prima domanda postagli dalla
fiera.
Ora il leone sembra
quasi
sorridere, ma non risponde e invece socchiude le fauci e afferra
lievemente un lembo della veste di Pitch, traendolo a sé e
obbligandolo a sedersi al suo fianco.
«Dormi,
se puoi, o almeno
cerca di riposare» mormora, posando finalmente il capo a
terra e
chiudendo gli occhi.
Pitch invece fissa
il nulla a
occhi spalancati, rigido come una statua, chiedendosi il motivo di
tutto quello che sta capitando. Ma poco per volta il manto caldo del
leone allontana le sue preoccupazioni e scioglie i suoi pensieri,
trascinandolo al buio, un buio caldo e piacevole nel quale è
dolce
lasciarsi trasportare.
*
Un brusco sussulto
e si desta
con ancora impressa in mente l’ultima immagine di un sogno, o
forse
era un ricordo.
«Hai
avuto un incubo?»
sospira una voce fonda ma lieve sopra di lui.
«No,
un… sogno, credo»
incespica Pitch, confuso. «Eppure…»
tenta incerto.
«Cosa ti
turba?».
Scrolla le spalle e
sospira.
«Ho l’impressione di aver già fatto
questo sogno. Oppure di
averlo… vissuto» tenta.
«Memorie?»
propone,
abbassando il capo fino a sfiorare i neri capelli con il muso.
«Se
lo desideri, potrei aiutarti» offre tranquillo.
Pitch solleva gli
occhi e li
fissa in quelli fiammeggianti del leone. Reclina il capo, incerto.
«Come?».
Inaspettatamente e
con sua
enorme costernazione il leone sporge la lingua e gli dà una
discreta
lappata in viso, sghignazzando alla vista dell’espressione
indignata dello spirito.
«Questo
era… assolutamente,
ignobilmente disgustoso» sbotta alterato.
Se un felino
può sorridere,
ebbene quel
felino in particolare lo sta certamente facendo, contribuendo forse
involontariamente a irritare lo spirito.
«Oh,
suvvia, non te la
prendere a quel modo. Sembravi triste, intendevo semplicemente
distrarti un po’. In fondo ha funzionato, no?»
insinua
ridacchiando.
Pitch assottiglia
gli occhi e
lo fissa truce, fa schioccare la lingua sul palato e soffia un
rumoroso sbuffo decisamente contrariato.
«Non so
veramente come
ringraziarti» bercia sarcastico, passandosi nervosamente una
manica
sul viso per ripulirsi alla bell’e meglio.
«Figurati»
mormora il leone,
osservandolo con soddisfazione.
Superato lo
sconcerto iniziale
e soffermatosi a osservare con più attenzione le proprie
condizioni,
Pitch aggrotta la fronte, un po’ sorpreso.
«Sei tu,
non è vero?»
chiede, provando a ricercare una spiegazione a ciò che vede
e sente.
«Io
cosa?» ribatte il leone,
non seguendo la direzione dei pensieri dello spirito.
«Lo avevo
già notato in
precedenza, ma ora è più evidente. Dal momento in
cui ti ho
incontrato non avverto più la spossatezza che grava su
questo posto.
Come ci riesci? È una sorta di scudo protettivo?»
indaga
incuriosito.
Per lunghi istanti
il leone lo
scruta indeciso, poi torna a offrire quel suo strano sorriso.
«Qualcosa del genere, in effetti, ma non esattamente. Io sono
collegato al nucleo di questa dimensione; attraverso di me scorrono
energie che mantengono in piedi questo luogo. Normalmente i flussi
che mi attraversano sono dannosi; lo sono, per lo meno, per le
creature che risiedono qui. Tu sei… un’anomalia,
una bizzarra
eccezione».
Pitch storce il
naso,
disgustato. «Un’anomalia, eh? Ma che
fortuna» strascica velenoso.
«È
una buona cosa, perché
te la prendi?» chiede il leone, incerto sui motivi che
spingono lo
spirito a reagire in quel modo.
Sospira e scuote la
testa.
«Non è importante. E hai ragione tu: in questo
caso è certamente
un fatto positivo» ammette suo malgrado.
«Dimmi… Parlami
piuttosto di lui, Fuinur. Lo hai mai incontrato? Lo conosci?»
cambia
repentinamente argomento.
Il leone
però lo fissa
interdetto, senza comprendere. «Di chi parliamo?».
Allora Pitch si
rende conto
che deve trattarsi davvero di una sorta di soprannome che non gli
appartiene realmente, così prova a chiarire. «Il
demone, quello che
è fuggito a mie spese».
«Oh»
soffia seccamente. «Il
demone di cui parli possiede un nome, uno che di certo io non
dimentico così facilmente, dovessero trascorrere altri
diecimila
anni. Si chiama Liùsaidh~dorcha, era sulla vostra Terra
quando
l’uomo non era che un buffo esperimento e ora è
tornato per il suo
piacere. Mi diletterebbe avere fra le zampe l’impiastro che
ha
permesso tutto ciò».
«A chi lo
dici» conviene
Pitch, asciutto. Poi si riscuote e un’idea imprevista gli
balena in
mente. «Tu… Anche tu avrai certamente un nome,
immagino»
incespica, un po’ imbarazzato.
«Come
tutti, piccolo spirito»
commenta il leone, divertito.
Pitch arriccia il
naso,
indispettito. «Si vede che non hai mai incontrato il
Sandman»
borbotta. «Comunque sia, puoi dirmi il tuo nome?»
insiste.
«Certo
che posso, ma lo farò
unicamente dopo che tu mi avrai detto il tuo» tratta il leone.
Solo a quel punto
l’Uomo
Nero si rende improvvisamente conto di aver trascorso ore a
discorrere con una creatura magica e indiscutibilmente potente senza
mai pensare di fare le dovute e civili presentazioni del caso.
«Giusto,
hai ragione, le mie
scuse. Il mio nome è Pitch Black, con chi ho il piacere di
parlare?»
chiede cortesemente.
«Aileliath,
custode di questa
dimensione».
*
Pitch osserva lo
spiraglio di
cielo che riesce a intravedere oltre le scure pareti rocciose
schiarire lentamente. È pensieroso; le ultime rivelazioni
gli hanno
inoculato tutta una serie di nuovi e in parte spiacevoli
interrogativi cui da solo non sembra in grado di dare risposte
soddisfacenti.
«Altri
pensieri, Pitch
Black?» mormora con gentilezza Aileliath.
«Pitch.
Solo Pitch andrà più
che bene» soffia lo spirito, un po’ a disagio. Il
leone annuisce
piano e rimane a osservarlo intento a soppesare le parole.
«Riflettevo sulle implicazioni di ciò che mi hai
detto, su ciò che
rappresenti per questo luogo. Se tu… se lo lasciassi,
continuerebbe
a esistere?» prova, incerto.
Aileliath si prende
il suo
tempo per trovare una risposta che risolva i dubbi di Pitch.
«Non ne
ho la certezza,
purtroppo. Non ho creato io questa dimensione e, pur comprendendone
in gran parte la natura, il funzionamento e i limiti, non sono in
grado di coglierne completamente l’essenza, né di
sapere se
rimarrebbe intatta priva della mia presenza». Ridacchia,
apparentemente senza un motivo. «Non suona come qualcosa di
tremendamente arrogante da parte mia?» chiede divertito.
«Forse,
ma immagino che pochi
abbiano il diritto di esserlo in una situazione paragonabile a quella
attuale» ammette Pitch. Poi solleva gli occhi e scruta in
quelli di
Aileliath. «Potrebbe essere necessaria la tua presenza sulla
Terra,
ora che il demone…. Liùsaidh~dorcha non si trova
più imprigionato
qui dentro» si decide infine a chiarire.
Aileliath posa il
capo a terra
e chiude gli occhi. Pitch accetta di buon grado la necessità
di
dover rispettare i suoi tempi e torna a guardare l’alba ormai
evidente, ricordando un cielo d’indaco e azzurri che desidera
poter
rivedere al più presto.
«Vorrei
venire sulla Terra,
poter finalmente concentrare le mie energie in qualcosa di
concreto»
riprende finalmente la parola il leone.
«Ma?»
dubita lo spirito,
avvertendo insicurezza nelle parole dell’altro.
«Chi ci
assicura che una
volta lontano dalla dimensione cui appartengo io resti ciò
che sono?
Se c’è la possibilità che questo luogo
si annulli in mia assenza,
potrebbe essere vero anche il contrario, non credi?» soppesa
Aileliath.
«Potrebbe»
concede Pitch,
attendendo un seguito.
Ora è
Aileliath a fissare gli
occhi di Pitch. «Pensi ci sia posto, per me, in quel
mondo?»
mormora appena.
Pitch sgrana gli
occhi e trema
leggermente, poiché non è certamente il
più indicato per dare quel
tipo di rassicurazioni, perché per lui non
c’è mai stato davvero
un posto, in nessuno dei mondi in cui si è ritrovato.
Aileliath annuisce
e sforza un
debole e tremolante sorriso. «Verrò con te sulla
Terra. Ciò che
accadrà in seguito non sta a noi stabilirlo».
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