Capitolo
Trentatré
La
luce è ormai chiara all’esterno. Aileliath ha
offerto a Pitch di
condurlo fino al portale che collega le due dimensioni permettendogli
di accomodarsi sul suo dorso. Accomodarsi, evidentemente, di fatto
è
un’allegoria: quando, seppur titubante, Pitch ha accettato,
non
aveva idea che sarebbe stata un’impresa quasi disperata
rimanere
saldo al suo posto su una scheggia impazzita e a malapena visibile a
occhio nudo; ma ha stretto i denti, facendo buon viso a cattivo
gioco, aggrappandosi con tenacia alla folta criniera del leone e
tenendo gli occhi fissi davanti a sé, deciso a non farsi
sbalzare
via nella folle corsa verso il mondo reale.
Ma poi qualcosa
cambia, una
sensazione strana e quasi incomprensibile invade i suoi sensi e le
sue dita strattonano i lunghi crini di Aileliath, nel disperato
tentativo di attirarne l’attenzione.
«Aspetta.
Fermati un momento,
ti prego» soffia, a corto d’aria e confuso.
Inaspettatamente
Aileliath lo
sente davvero e rallenta gradualmente fino ad arrestarsi su un alto
sperone da cui possono spaziare per le infinite pianure rocciose e le
vaste foreste di pietra.
«Qualcosa
non va?» chiede
impensierito, scrutandolo negli occhi.
Pitch scuote
lentamente il
capo, un po’ intontito e un po’ perplesso.
«Non… Credo di aver
sentito qualcosa» tenta invano di spiegare.
Il leone lo osserva
ora
incuriosito e attende paziente che lo spirito trovi la via per
spiegarsi.
Ma Pitch non ha
idea di quale
sia la via giusta. Si guarda attorno, smarrito, massaggiandosi le
tempie che pulsano, e non riesce ancora a spiegarsi da dove provenga
quella sensazione avvertita poco prima. Distrattamente accarezza fra
le dita il pelo caldo di Aileliath, e mentre i suoi polpastrelli si
muovono scivolando morbidamente, nella sua testa al pelo azzurro si
sostituisce il ricordo di fine sabbia nera e lucente. Allora spalanca
gli occhi e può sentirli con chiarezza.
«Sono
qui, da qualche parte»
mormora sorpreso.
Aileliath aggrotta
la fronte e
lo fissa interdetto. «Di chi stai parlando?» indaga.
Ed è
Pitch questa volta a
sorridere. «Di qualcuno che chiamerei volentieri
amico» commenta
sibillino. Solleva lo sguardo sull’orizzonte apparentemente
infinito e si concentra. «Da quella parte» indica
alla loro
sinistra, allungando un braccio. «Possiamo raggiungerli, non
sembrano troppo lontani» soppesa quietamente.
Aileliath si limita
ad annuire
e ad avvertire Pitch con un sintetico «Reggiti»
prima di scattare
in avanti e riprendere l’andatura suicida di poco prima.
*
Il cupo ringhio del
leone
sotto di lui lo avverte del problema prima che lo facciano i suoi
stessi occhi. Di nuovo quelle strane creature alate, un vero e
proprio stormo stavolta, raggruppate in un punto preciso che sembra
coincidere con la destinazione a cui puntava Pitch.
«Arpie»
sibila Aileliath
adirato, riuscendo perfino ad aumentare l’andatura.
Ed è
proprio nel momento in
cui il leone balza incontro alla nuvola di piume che Pitch scorge due
nere figure, riconoscendole entrambe. Allora lascia la presa sulla
criniera, ritrovandosi prevedibilmente proiettato nell’aria,
manovra agilmente per ritrovare l’assetto giusto, richiama
ancora
una volta fra le proprie mani la spada e fa a fette le arpie che si
sono miracolosamente salvate dall’ira di Aileliath,
muovendosi fra
un corpo straziato e l’altro con movimenti leggeri e
controllati e
poggiando infine i piedi al suolo proprio accanto al suo incubo.
Epiales lo sta
fissando con
occhi grandi che scintillano dell’oro del sole e trema con
violenza, le sottili zampe lo reggono a stento. Ma quando Pitch si
accosta lentamente accetta con gratitudine l’inatteso calore
di una
mano conosciuta. “Shh, tranquillo. Va tutto bene”
sembra dire
quel semplice gesto, ed Epiales non desidera altro, perché
è un
incubo ed è nato per portare brutti sogni ai bambini, non
morte ai
mostri alati che cercano di distruggere gli spiriti per bene.
«Pitch,
qui c’è anche una
donna. È amica tua?» interviene una voce fredda ma
stranamente
gentile.
Così
l’Uomo Nero abbandona
con lieve titubanza il fianco dell’incubo e raggiunge la voce
di
poco prima. Ma Epiales non ci sta a essere lasciato indietro e
trotterella appresso alle spalle del padrone senza mai perderlo di
vista, nemmeno quando si accorge che la voce buona proveniva da una
montagna di pelo azzurro che lo fa incespicare per la sorpresa e
tremare di sgomento.
«È
tutto a posto. Lui è un
amico» lo rassicura l’Uomo Nero, che sembra sapere
sempre di cosa
hanno bisogno i suoi piccoli incubi.
“Un
amico” riflette
Epiales. “Mai avuti amici tanto grandi”. E
accidenti se questo lo
è: enorme, molto più di quattro grossi purosangue
uniti. Scuote il
capo, stordito dalla notizia e da ciò che vede. Ma la
montagna
azzurra ha per lui un sorriso benevolo ed Epiales decide che non
importa quanto sia alto e grosso, quanto possa sembrare spaventoso,
se riesce a offrirgli doni così rari.
*
Quando Pitch si
inginocchia al
suo fianco, attorniato da un incubo traumatizzato e da un custode
dimensionale a forma di leone, lei non sembra avvedersene e seguita
imperterrita a rimanere ancorata alla sua beata incoscienza. Pitch
è
molto invidioso, al momento: quanto vorrebbe anche per sé un
po’
di sano buio in cui riposare, sprofondato in un accogliente e
dolcissimo nulla. Scuote il capo e sfiora i suoi lunghi capelli con
la punta delle dita. Infine si decide a tornare nel mondo degli
esseri senzienti, raccoglie fra le braccia la dea della notte ancora
nel dolce limbo dei sogni e si volta, scoprendosi morbosamente
osservato sia da Epiales che da Aileliath, ed entrambi sembrano
sconvenientemente intenti a sogghignare saputi, al punto che Pitch
inarca un sopracciglio e arriccia il naso, stizzito.
«Ebbene,
che vi prende ora?»
sbotta, spazientito per quel teatrino messo in piedi dai due.
Aileliath
ridacchia, spandendo
un suono metallico per la piana deserta. «Sei molto buffo
quando sei
in imbarazzo, perfino tenero».
L’Uomo
Nero spalanca la
bocca, impallidisce e poi snuda i denti affilati in un sordo ringhio.
«Ritira immediatamente quello che hai detto!»
sibila alterato.
«Nemmeno
per sogno. È quello
che penso» insiste il leone, inchiodandolo sul posto con il
suo
sguardo di fuoco.
Prima che Pitch
possa
esplodere definitivamente, Epiales lo distrae con un discreto
colpetto del muso sulla spalla, ricordandogli che ha un obbiettivo e
anche dei doveri verso l’incubo e la donna che sorregge fra
le
braccia. Sbuffa, contrariato, ma comunque decide sia il caso di
lasciar correre per questa volta.
«Dobbiamo
arrivare al
portale» ricorda, più a sé stesso che
agli altri a quel punto.
Ma Aileliath
annuisce comunque
in risposta e attende che Pitch sia montato in sella al suo incubo
prima di riprendere la marcia verso il passaggio che li
condurrà
sulla Terra.
*
«Come ci
liberiamo del
demone?» domanda di punto in bianco Ba’al, e non
è per nulla
sicuro a chi si stia rivolgendo, se al fratello ormai in fase di
depressione acuta oppure al padre squilibrato della pazza furiosa. Ma
a quel punto, tutto sommato, poco importa; gli basterebbe ottenere
una risposta, da chiunque sia disposto a offrirgliene una,
perché
forse è vero che il mondo non crede più in loro,
ma loro hanno
ancora bisogno del mondo per continuare a esistere.
Phanês lo
scruta con
inaspettata attenzione, una mano sempre poggiata alla cornice dello
specchio per tenere aperto il portale, l’altra impegnata a
sfarfallare nell’aria pesante e a creare piccole lucciole
che accendono l’oscurità, contrariando non poco
Mot.
«Sembrate
certi che non sia
possibile tornare a sigillarlo in un’altra
dimensione» soppesa
tranquillo.
«È
già uscito, indenne, da
una di quelle dimensioni» gli ricorda Ba’al.
«Cosa ti fa pensare
che la prossima potrebbe trattenerlo?» insinua.
Phanês
abbozza un sorriso
enigmatico. «Esiste una sola via d’entrata e
d’uscita per ogni
dimensione. Sarebbe sufficiente trovare un luogo sufficientemente
protetto e nascosto in cui custodirla» propone.
«Mio
fratello l’ha trovata,
per sbaglio, in una grotta come tante ce ne sono. Forse nessuno si
è
impegnato nel cercare un luogo adatto, non lo escludo. Ma allora mi
chiedo: quanto affidabili siete, voi che vi arrogate il compito di
liberare questa Terra dalle insidie di creature mortali e nemmeno vi
premurate di sorvegliare affinché nessuno ci finisca addosso
per
puro caso?» sbotta allucinato.
«Per puro
caso, dici?»
soffia dolcemente Phanês. «Esiste forse il caso?
Puoi realmente
affermare che, invece, tuo fratello non fosse destinato a imbattersi
in questo specchio?».
Negli occhi di
Ba’al brilla
un sentimento crudo che innervosisce Mot.
«Io non
credo nel fato»
ringhia, e senza riflettere gli scaglia contro un fulmine che
tuttavia il destinatario scansa con un piccolo gesto annoiato della
mano libera, lasciando basito Ba’al.
«Neppure
io, in verità. Sono
assolutamente favorevole al libero arbitrio, checché se ne
dica in
giro» commenta con leggerezza.
Mot, che ha seguito
l’avanzare
della discussione in un silenzio di tomba, scuote il capo desolato e
lo volta infine a osservare il paesaggio oltre il portale,
riflettendo però con serietà sulla domanda
iniziale del fratello e
cercando alacremente una risposta valida, una risposta che finora non
ha udito.
È
così, tenendo gli occhi
fissi sullo specchio e la mente occupata in pensieri complessi, che
per primo scorge un cambiamento nel paesaggio altrimenti sempre
uguale dall’altro lato della liscia superficie trasparente.
Socchiude le labbra senza poter trattenere la sorpresa e titubante si
avvicina al varco, attirando con i suoi movimenti
l’attenzione di
Ba’al e Phanês che, a loro volta, scrutano lo
specchio.
«Che mi
venga un colpo! Sono
loro, tornano sul serio» sbotta Ba’al, esternando
inconsapevolmente la medesima incredulità che coglie i
compagni.
Dall’altro
lato del varco,
ancora lontani ma in rapido avvicinamento, tutti ora possono scorgere
l’incubo nero che porta con sé lo spirito oscuro e
la dea della
notte. Ciò che tuttavia turba le tre divinità
è una quarta figura,
più imponente e minacciosa, nonché di un colore
assolutamente fuori
luogo.
«Quello
che accidente è?»
si prodiga ancora una volta di chiedere Ba’al, dando voce ai
dubbi
collettivi.
Mot scuote il capo,
confuso.
«Non ne ho idea» ammette con un filo di voce,
nervoso per quella
nuova sorpresa.
«Dovrebbe
trattarsi del
custode» immagina Phanês, aggrottando le
sopracciglia, suo malgrado
impressionato da tale imprevisto.
«Avrei
preferito non avere il
piacere di conoscerlo» conclude Ba’al,
assicurandosi le simpatie
del fratello.
*
Pitch si volta un
poco alle
sue spalle e ghigna leggermente all’indirizzo di Aileliath.
«Hai
visto: persino il comitato di benvenuto».
Il leone scuote il
capo ma
ridacchia, non mancando di sorprendere ancora una volta
l’incubo.
«Forse
dovresti essere più
gentile. In fondo ci hanno tenuta aperta la porta».
L’Uomo
Nero fa scattare in
alto entrambe le sopracciglia e solleva un angolo della bocca,
piacevolmente sorpreso.
«Credo
proprio tu sia
sprecato in questo posto. Uno con il tuo senso dell’umorismo
meriterebbe un vero pubblico, degno del tuo talento» scherza,
stranamente leggero in un momento in cui al contrario la
preoccupazione per le sorti di tutti dovrebbe annichilirlo.
«Avresti
un ottimo futuro».
«Me lo
auguro» borbotta
Aileliath, rispondendo alle parole di Pitch ma pensando ad altre
situazioni.
Epiales rallenta
l’andatura
e Pitch riporta l’attenzione sul varco e sulle tre
divinità che li
attendono poco oltre. Quello che brilla
nell’oscurità come una
supernova dev’essere il padre di Nyx, Phanês. Gli
altri due sono
più discosti e ne intuisce il disagio persino a distanza.
Rafforza
la presa di un braccio sulla vita della dea della notte e stringe le
dita della mano libera alla criniera dell’incubo.
«Piano,
ora» mormora,
guardingo, per nulla certo di come verrà accolto il loro
ritorno.
Phanês
accosta il viso al
varco e lo studia con interesse. Non sembra particolarmente in
pensiero per la figlia, mentre appare decisamente interessato al
leone e in parte anche allo spirito oscuro.
«Così,
tu sei la creatura
che ha preso il posto del demone» commenta nel momento in cui
Pitch
e il suo seguito giungono alle soglie dello specchio.
«Sono
Pitch» conferma,
reclinando leggermente il capo e provando a comprenderne le
intenzioni. «E tu sei Phanês, dico bene?»
si arrende infine, di
fronte all’evidenza di quanto oscure possano essere le
intenzioni
di uno spirito della luce.
Phanês
mostra ancora una
volta il suo sorriso enigmatico. «Proprio così. Ma
venite,
coraggio» invita, scostandosi in modo da lasciare spazio a
sufficienza perché l’incubo superi il portale con
Pitch e Nyx.
Aileliath,
titubante, osserva
i suoi nuovi amici passare oltre e tornare nel loro mondo, e per la
prima volta avverte il vuoto profondo della solitudine ammantare il
suo petto. Ma è solo un breve momento; quando Pitch si volta
i suoi
occhi dorati lo scrutano e sa di non essere stato dimenticato. Pitch
smonta da cavallo, lancia un’occhiata arcigna ai due
fratelli,
scarica Nyx ancora priva di sensi fra le braccia di Phanês e
allunga
una mano oltre la barriera, distendendo le dita e mostrando il palmo
aperto in un palese invito. Aileliath annuisce, poi le fiamme nei
suoi occhi inghiottono la sua intera figura che implode fino a
raggiungere le dimensioni di una grossa mela di fuoco azzurro. Con
leggerezza si posa sulla mano dello spirito che richiude le dita e
ritira il braccio fino a portare con sé il piccolo globo
fiammeggiante.
«Benvenuto
sulla Terra»
mormora, osservando con soddisfazione il fuoco azzurro continuare a
bruciare anche al di fuori del luogo cui è sempre
appartenuto.
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