Capitolo
Trentotto
Può
avvertirne la presenza, ora, nonostante l’enorme distanza che
li
separa. Reclina appena il capo di lato, interdetto: da quanto
può
percepire non sembra, in effetti, che il demone abbia
un’eccessiva
fretta di creare scompiglio. Un’altra stranezza, cui tuttavia
non
sa darsi una spiegazione plausibile.
«Gli
altri sono pronti per
partire» mormora Aileliath, appena comparso al suo fianco
sulla
cupola che funge da lucernario del palazzo.
Sospira e riapre
gli occhi
scorgendo il cielo stellato davanti a sé. «Che
partano, per quanto
può interessarmi. Io attenderò» sibila
seccato.
Pur non volendolo,
percepisce
la confusione e la curiosità del custode, ma non se ne
dà troppo
pensiero.
«C’è
forse qualcosa di cui
vorresti parlarmi?» prova dunque Aileliath.
Scuote il capo.
Probabilmente
dovrebbe sul serio parlarne, ma non è ancora certo di quale
sia
effettivamente il problema, è solo conscio che esista, e
Pitch ha
tutta l’intenzione di scoprire di cosa possa trattarsi, prima
di
fare un solo passo, sia esso verso la rovina o verso un qualche
genere di vittoria.
«Non
è il momento. Ora
lasciami, ho bisogno di riflettere» soffia con decisione,
prima di
tornare a scrutare nel vuoto di fronte a sé.
*
«Che vuol
dire che non verrà
con noi?» ringhia Mot, scrutando con gelo Aileliath piantato
come un
colosso davanti a lui.
«Esattamente
ciò che ho
detto» commenta asciutto il leone, ghignando mentalmente nel
notare
la maschera di impassibilità del dio sgretolarsi e venire
meno.
«È
assurdo. A che scopo
avremmo attuato il rito, se lui se ne resta qui a fissare il cielo
stellato come fosse un maledetto oracolo imbottito di
allucinogeni?!»
sbotta alterato Mot, provocando il divertimento non solo del leone,
ma perfino del suo stesso fratello.
«Beh, in
fondo ha accettato
di prestarsi al rito, non di accompagnarci al massacro» gli
fa
ironicamente notare Aster, godendosi in modo più che palese
la
rabbia impressa nel volto sbattuto del custode
dell’oltretomba.
Mentre Aster e Mot
si sfidano
a un duello all’ultimo sangue fatto di sguardi incendiari e
battutine sarcastiche, Nyx solleva gli occhi bui e preoccupati in
quelli limpidi e brucianti di Aileliath nell’evidente ricerca
di
una qualche spiegazione. Il leone si lascia docilmente sondare ma non
accenna a un solo passo nella sua direzione, fatto che indispettisce
ulteriormente la dea della notte.
Al contrario Jack
si accosta
alle sue spalle e soffia un alito di brina sulla sua criniera,
attirandone discretamente l’attenzione.
«Sei
preoccupato anche tu,
piccolo spirito?» chiede gentilmente.
Jack lo osserva un
momento e
si mordicchia pensosamente un labbro, prima di dare una risposta.
«Sono confuso» ammette.
Aileliath annuisce
comprensivo. «Lo è anche lui, ora».
«Uhm…
Per questo non è qui
assieme a noi, adesso?».
Il custode si
limita ad
annuire e sorridere al giovane guardiano, il quale non può
fare a
meno di ricambiare con un pizzico di speranza in più.
*
Le sue dita stanno
ancora
pigramente scorrendo sulla folta pelliccia bianca di Alcor, nel
momento in cui percepisce il primo cambiamento: un odore
nell’aria
che un momento prima non c’era. Le sue orecchie vibrano,
interessate ed eccitate, smaniose di udire qualcosa che confermi la
novità. Il pelo sul collo del lupo accucciato al suo fianco
si
gonfia e un sordo brontolio lascia la gola di Alcor in una dolce,
risonante melodia di attesa e anticipazione.
«Sono
vicini» mormora
Liùsaidh~dorcha, mostrando le zanne in uno sbilenco sorriso
soddisfatto. «Va’, chiama tuo fratello e avverti
gli altri»
comanda, lasciando la via libera al lupo e disponendosi a
un’attesa
che spera sarà breve. Assottiglia gli occhi osservando
l’orizzonte
ancora vuoto. «Il nostro sole sta arrivando»
soffia, storcendo le
labbra in un amaro sorriso. «Presto anche la sua luce
sarà spenta».
*
Il luogo in cui
giungono
infine non ricorda affatto l’eventuale teatro di un prossimo
scontro tra forze divergenti. Tutto ciò che può
scorgere Aileliath
è una morbida collina ricoperta di erba verde e profumata,
un
laghetto blu appena increspato dalla brezza gentile su di un lato, il
cielo turchese sopra le loro teste, punteggiato da candide nuvole e
sullo sfondo un picco innevato; nessun demone in vista, né
altre
creature magiche fatta eccezione per loro stessi. Eppure tutti loro
sono consapevoli che quello è il posto giusto, devono solo
attendere. Ma che cosa, esattamente? E per quanto tempo?
«Il tuo
demone non conosce le buone maniere» ghigna Nyx, rivolta al
padre.
«Non lo sa che gli ospiti si accolgono con un sorriso e un
inchino,
offrendo loro qualcosa da bere?».
E, oh, è
davvero esilarante
osservare l’irritazione crescere sul volto di
Phanês. Se solo
potesse gli scatterebbe una foto e la conserverebbe per Pitch. Dubita
tuttavia che un congegno umano sarebbe in grado di cogliere e salvare
un tale, estatico momento.
Una risata morbida
e divertita
la ripesca dalle sue estemporanee riflessioni riportandola
bruscamente al presente.
«Mia
bella signora, io sono
un impeccabile padrone di casa. Tuttavia non vedo ospiti degni
d’essere accolti» replica a tono
Liùsaidh~dorcha. Dolcemente
atterra sul prato di fronte al gruppo di spiriti e divinità,
facendo
spaziare lo sguardo su tutti i presenti con un misto di
curiosità e
soddisfazione. «Mi duole ammettere che non vi aspettavo
così
presto. Speravo, in effetti, di avere il tempo per godermi un
po’
di buona luce, prima di spargere sangue» lamenta con un
piccolo
broncio e uno sbuffo appena seccato. «Ovviamente, avrei
dovuto
immaginare che saresti venuto il prima possibile, non fosse altro che
per il mero gusto di arrecarmi disturbo in un momento di stupenda
tranquillità» sbotta ora, rivolgendosi
direttamente a Phanês.
Il dio incrocia le
braccia al
petto e solleva scettico un sottile sopracciglio. «E ci sono
riuscito?» si informa asciutto.
Le pupille del
demone si
restringono fissandosi nello sguardo freddo di Phanês.
«Per tua
sfortuna sì, e ti prometto che pagherai anche per
questo» sibila
minaccioso.
Assorto, Aileliath
osserva le
due creature fronteggiarsi e riflette, e mentre riflette gli sovviene
lo sguardo pensoso di Pitch, apparentemente rivolto al nulla che
aveva di fronte. Qualcosa gli sfugge, esattamente come doveva essere
accaduto allo spirito oscuro, e Aileliath è intenzionato a
trovare
la risposta, la giusta chiave di lettura. Non ha però il
tempo di
esaminare con la giusta attenzione la faccenda per giungere a una
qualche conclusione poiché, di lì a poco,
sull’innocua collina
placida e verdeggiante compaiono altre creature: dal laghetto
fuoriescono un gruppo di nøkken in forma di alti cavalli,
lucidi e
di un grigio perlaceo; dalla radura di giovani alberi poco oltre la
curva della collina sbucano alcune kitsune dal manto chiaro e dalle
molteplici code; dal cielo terso planano stormi compatti di fate del
fuoco e dei ghiacci; poco dopo, al loro seguito e muovendo grandi
masse d’aria a colpi d’ala, si avvicinano anche una
manciata di
enormi draghi dalle scaglie argentee; a fianco del demone, infine,
balenano due forti luci cristalline che assumono presto forma di
grossi lupi bianchi.
«Direi
che possiamo anche
smetterla di fingere cortesia, ora» conclude
Liùsaidh~dorcha. «È
ormai giunto il tempo» è il suo ultimo commento,
prima che la
collina smetta di essere un tranquillo luogo di comunione con la
natura e diventi invece il campo di battaglia che ogni presente si
era aspettato di trovare fin dall’inizio.
*
La prima mossa,
contrariamente
alle previsioni di molti, è dei lupi che, di punto in
bianco, si
separano dal demone per scagliarsi su Ba’al e Mot. Alcor e
Mizar
non raggiungono però il loro obbiettivo poiché
Ba’al solleva
prontamente una solida barriera di elettricità che non solo
impedisce ai lupi di arrivare a loro, ma li rigetta indietro fra
pelo bruciacchiato e uggiolii sommessi.
Nel frattempo i
nøkken
approfittano della distrazione generale per bloccare le ali delle
pixies fra rami e alghe e i folletti si vedono così
costretti ad
accorrere in loro aiuto per impedire che vengano trascinate in fondo
al laghetto.
I cinque draghi
d’argento
scendono rapidi scegliendo come preda il grosso leone che spicca fra
tutti, mentre Nyx e Ouranós vengono presto circondati da una
moltitudine di volpi dagli occhi rosseggianti che creano attorno a
loro un vuoto in grado di isolarli da chiunque altro sia presente.
A tale vista i
guardiani
vorrebbero intervenire, ma scoprono fin troppo in fretta di avere
problemi ben maggiori da fronteggiare, per esempio un’intera
squadriglia di fate di ogni foggia e dimensione che devono trovare il
modo di tenere a bada ma senza esagerare, considerando che Toothiana
ha fatto loro un esasperante predicozzo sulla sorellanza e la
lealtà
e l’unione e tutta una serie di gran
belle cose simili,
salvo dimenticare che al momento quelle simpaticissime creature
stanno dalla parte del demone e, contrariamente a loro, sono ben poco
fraterne e più che disposte a levarli di mezzo in via
pressoché
definitiva. Così Jack svolazza a zig zag per il cielo,
affannato,
sforzandosi di schivare i minuscoli globi di fuoco che instancabili
le piccole fatine gli gettano contro, e Toothiana fa quel che
può
ribattendo gli attacchi con le sciabole come si trovasse a giocare
una partita di baseball, e una volta ha perfino colpito (per sbaglio,
evidentemente) una delle fate del fuoco che è precipitata al
suolo
fumante, facendo venire una mezza sincope a Toothiana che,
maledizione, non aveva calcolato la traiettoria con sufficiente
precisione. Ovviamente a Nicholas, Aster e Sanderson sono capitate le
fate dei ghiacci, e Nicholas, che pensava di essere ampiamente
vaccinato contro le bufere di neve, scopre nel momento meno opportuno
di aver fatto male i suoi conti, per non menzionare le orecchie
surgelate di Aster e la sabbia cristallizzata di Sanderson.
Phanês si
guarda intorno,
scorgendo battaglie più o meno cruente ovunque diriga lo
sguardo, e
scuote la testa contrariato, occhieggiando Liùsaidh~dorcha
con astio
e un certo nervosismo, aspettandosi da lui una mossa che non sembra
voglia giungere.
«Riesci
ad apprezzare quello
che vedi, per una volta?» lo sbeffeggia il demone, sorridendo
al suo
indirizzo.
«È
qualcosa di molto
stupido» replica Phanês, visibilmente deluso.
«Mi meraviglio che
tu non lo comprenda. Cosa, per l’esattezza, conti di ottenere
con
questa farsa?».
Il debole sorriso
svanisce
dalle labbra di Liùsaidh~dorcha, sostituito da una smorfia
amareggiata. «Mi aspettavo ciò che probabilmente
non potrà mai
accadere» ammette serio. «Pensare che ho
perseverato nel cullare la
speranza per tutto questo tempo, ecco qual è la parte
peggiore, la
più patetica. Sei una creatura così vuota e
meschina, e neppure te
ne rendi conto. Ma adesso basta, è tempo di andare
oltre» mormora,
con gli occhi fissi in quelli impassibili della divinità.
*
Le kitsune hanno
creato
attorno a madre e figlio una solida illusione, tanto che per quanto
facciano non sembrano in grado di trovare una via d’uscita.
Nyx
grida di frustrazione in seguito all’ennesimo, fallito
tentativo di
liberarsi dall’effimera prigione di quelle ingannevoli
canaglie
pelose, e Ouranós è tentato di strapparsi i ricci
a manciate, non
sapendo in che modo uscire da quel pasticcio né tantomeno
come
placare l’ira funesta della madre.
«Se le
prendo, ah, parola mia
che strappo loro quelle maledette code e le riduco a dei
barboncini!»
sbotta infuriata, spostandosi freneticamente alla ricerca di una
falla che le permetta di liberarsi e portare a compimento la sua
minaccia.
*
«Gah!
Quelle piccole pesti
intriganti! Mi hanno congelato la coda!» si lamenta a gran
voce
Aster.
Jack, non lontano,
nonostante
sia ancora impegnato a evitare di prendere fuoco, trova persino il
tempo di sghignazzare per le recenti disgrazie del guardiano della
speranza, attirandosi fra le altre cose un’occhiataccia dal
diretto
interessato e un borbottante ammonimento da North.
«Ouch!»
strilla,
ritrovandosi con i capelli strinati dal fuoco dopo essersi
imprudentemente distratto nell’ammirare l’ottimo
lavoro delle
fatine dei ghiacci. «Ehi, dico, fate un po’ di
attenzione!»
protesta, agitando il bastone e congelando in un colpo solo un intero
stormo di fatine del fuoco.
«Jack!»
tuona Toothiana,
indignata.
«Cosa? Mi
sono solo difeso.
Mi hanno bruciato i capelli, quelle» prova a difendersi lo
spirito
dell’inverno, indicandosi febbrilmente la chioma affumicata.
«Avresti
dovuto prestare più
attenzione» lo rimprovera.
Jack gonfia le
guance,
indispettito. «Beh, e loro allora avrebbero potuto evitare di
far
comunella col nemico» rilancia offeso.
A
quell’uscita, chissà
perché, tutti i colleghi lo fissano in modo strano, perfino
Sanderson. Così a Jack non rimane che fare spallucce,
agitare
nuovamente il bastone e surgelare un’altra generosa manciata
di
fatine; questa volta è toccato a quelle dei ghiacci.
*
Aveva creduto non
avrebbe
avuto noie eccessive nel fronteggiare qualche drago, nonostante le
dimensioni più che ragguardevoli. Evidentemente si
è ingannato:
questi draghi d’argento non sputano fuoco come ogni drago che
si
rispetti (o di cui ha sentito parlare dal giovane spirito
dell’inverno, comunque), certo che no; loro producono venti
gelidi
con le grandi ali e, non contenti, sputano fastidiosissimi getti di
brina, ghiaccio e quant’altro, cose che neppure sulle piste
da sci
si sono mai viste. Non che Aileliath possa temere più di
tanto
qualche spruzzata di neve, si intende, ma resta comunque irritante, e
la nebbiolina ghiacciata ha lo sgradevole effetto di ostacolare la
sua vista, così che nel momento in cui uno o più
di quei grossi
pipistrelli cala in picchiata su di lui, può solo affidarsi
all’udito per scansarsi in tempo ed evitare di essere
travolto e
fatto a brandelli. Sì, decisamente seccante.
*
È
impegnato a tenere d’occhio
gli spostamenti di Mizar e a mantenere le distanze di sicurezza per
evitare che quest’ultimo colga
l’opportunità di prendersi
qualche brano del suo corpo, quando scorge con la coda
dell’occhio
Alcor strappare fra le zanne la nera barriera di Mot e puntare
direttamente al collo del fratello. Allora, suo malgrado, distoglie
lo sguardo da Mizar e indirizza un fulmine contro Alcor, conscio di
non poterlo mettere fuori gioco ma con la speranza di riuscire almeno
a frenare se non arrestare il suo attacco. Il fulmine passa accanto
alle orecchie piegate del lupo costringendolo a mutare la sua
direzione e a incespicare di lato; nel tempo che impiega per
scrollarsi di dosso il fastidio, Mot lo ha già inglobato in
una
bolla dimensionale e respinto lontano. Non trova tuttavia modo di
felicitarsene poiché la sua attenzione è
catturata da un rauco
grido del fratello. Velocemente si volta e sgrana gli occhi nello
scorgere Ba’al e Mizar avvinghiati e impegnati a terra a
strapparsi
brani di pelo, vestiti e pelle nel tentativo di sopraffare il proprio
avversario. Ringhia, frustrato, dà una rapida occhiata alla
posizione di Alcor, ancora lontano e alle prese con il suo
incantesimo, infine decide di correre in soccorso di Ba’al,
che
sembra averne decisamente bisogno, considerato che si sta malamente
rotolando nella polvere sovrastato dal grosso lupo. Si concentra e
raccoglie le proprie energie per convogliare il poco buio presente
fra i suoi palmi, lo espande mentalmente e infine lo scaglia contro
Mizar, arrestando i suoi movimenti e allontanandolo faticosamente dal
fratello fino a sollevarlo da terra. Il lupo, ben scontento di
quell’idea, gonfia i muscoli ed emette sordi brontolii, ma
pare non
avere la forza necessaria a infrangere l’oscurità
che lo tiene
saldamente ancorato a mezz’aria.
«Allontanati»
soffia Mot,
tremando e ansimando senza osare allentare l’attenzione sul
buio e
sulla sua preda.
Ba’al,
malconcio e piuttosto
scosso, distoglie lo sguardo da Mizar e lo indirizza al fratello, poi
deglutisce spaventato, rendendosi conto del fatto che non è
certo in
condizioni migliori delle sue. Digrignando i denti si riscuote dalla
sorpresa e striscia via, barcollando un poco per rimettersi in piedi,
poi un po’ zoppicando e un po’ oscillando instabile
sulle gambe,
segue l’ordine di Mot e si allontana dal lupo, raggiungendo
il
fratello.
«Che cosa
fai?» mormora
quando gli è accanto.
Mot storce le
labbra violacee
in una smorfia derisoria. «Cerco il modo per liberarci di
loro, dato
che non possiamo batterli» rantola a stento, mentre la sua
pelle
perde progressivamente colore e definizione.
Ba’al lo
fissa allucinato e
poggia una mano sul suo petto. «Non dire fesserie.
L’unico
risultato che otterresti sarebbe quello di consumare inutilmente le
energie fino a dissolverti» sbotta allarmato.
«E non
è forse ciò che
desideri?» sospira il fratello, gli occhi che schiariscono
fino alla
trasparenza.
«No»
ringhia Ba’al,
strattonandolo per la blusa e costringendolo a dargli retta.
«Guardami. Smettila di… di fare qualunque cosa tu
stia facendo,
stupido» ordina, anche se la sua somiglia molto
più a una
preghiera.
Sussulta quando Mot
si volta
finalmente per guardarlo, scorgendo i suoi occhi così vuoti.
«Cercavo
di impedire che
quella bestia ti divorasse» alita, barcollando e finendo per
poggiare inerte contro Ba’al.
Incerto, poggia le
mani sulle
sue spalle (ridicolmente piccole se paragonate alle proprie), poi lo
circonda con le braccia e sospira, deglutendo amarezza e paura.
«Lo fai
nel modo sbagliato,
fratello» protesta debolmente al suo orecchio, passando piano
le
dita di una mano nei suoi capelli e trovandovi ciocche grigie.
«Lo
faccio nell’unico modo
che mi è consentito, fratello»
replica, accasciandosi infine esanime fra le braccia di Ba’al.
*
Ha commesso un
tremendo
errore. Avrebbe dovuto saperlo si trattasse di una pessima idea
condurre il suo popolo in quella battaglia. Non è forse suo
il
compito di proteggere e preservare la sua gente dai pericoli di un
mondo che non è mai maturato? Ha giurato di portare avanti
quel
compito, ma a conti fatti le prove l’accusano esattamente del
contrario: la sua famiglia, quella stessa che mai l’ha
abbandonata,
ora si trova in pericolo e, per quanti sforzi faccia, non sembra
essere in grado di mantenere la parola data a sé stessa.
Urla di
rabbia, mentre colpisce l’ennesimo nøkken al muso
con una fronda,
arma di fortuna raccolta da terra nella disperazione del momento,
frulla le delicate ali per ruotare su sé stessa e ne
allontana un
altro con un calcio sul naso. Stringe i denti e graffia, stringe i
denti e inghiotte un singulto, stringe i denti e ricaccia indietro le
lacrime; ci sarà tempo più tardi per piangere una
parte della sua
famiglia andata perduta fra le limpide acque del laghetto.
Più
tardi, se Eresseie ancora sarà viva, avrà forse
l’opportunità di
ascoltare il silenzio opprimente e desolante di un cuore infranto.
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L’Angolino
Buio e Polveroso dell’Uomo Nero (e dell’autrice a
cui piace
maltrattarlo)
Un
po’ di aria fritta a proposito di Alcor e Mizar, a questo
punto.
Ho
fatto un mélange, una sorta di ibrido fra mondi
diversi ma che, secondo la mia personale visione, si accostano
discretamente bene.
Mizar
è una stella doppia bianco/blu facente parte della
costellazione
dell’Orsa Maggiore, che assieme ad Alcor forma una stella
doppia.
Ora, a voler proprio essere fiscali, Mizar e Alcor (la sorella
sfigata, perché Mizar è più luminosa e
anche meno distante) sono
due delle stelle di un sistema stellare composto da sei stelle totali
(ma quante volte ho scritto “stelle”? bah!).
Dall’altro
lato abbiamo la mitologia norrena, con i suoi lupi. Per qualche
motivo i vichinghi tendevano ad associare la figura del lupo a caos e
distruzione, tant’è che i più
famigerati lupi mitologici sono:
Mánagarmr, il divoratore del globo lunare; Skǫll
e Hati, fratelli, che corrono nella volta celeste
all’inseguimento
rispettivamente di Sól (il sole) e Máni (la luna)
allo scopo di
mangiarseli; Geri (avido) e Freki (divoratore), che affiancano
Óðinn
e mangiano carne al posto suo; e poi ovviamente Fenrir, il mio lupo
preferito (e figlio di Loki, il mio dio preferito) che ha staccato
una mano a Týr (il dio della guerra), è stato
legato dagli Æsir
che lo temevano, fino al sopraggiungere del Ragnarök (il
crepuscolo
degli dèi) quando finalmente si è liberato,
unendosi al resto di
coloro che portavano distruzione e poi uccidendo
Óðinn.
Ora,
bene, io ho preso due stelle: Alcor e Mizar; due lupi: Skǫll
e Hati, e ho mescolato il tutto. Quindi abbiamo due lupi bianchi
ultraterreni a cui non piacciono né la luna né il
sole. Siccome qui
la luna è Manny e il sole Phanês… beh,
giungete alle vostre
conclusioni.
Roiben
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