Film > Le 5 Leggende
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Autore: Roiben    17/06/2018    1 recensioni
Di nuovo guai in vista per i Guardiani. Questa volta, tuttavia, non sono unicamente i bambini a fare da bersaglio.
Manny ha un’idea, ma non tutti ne sono entusiasti, in particolare l’Uomo Nero, reduce dalla recente e ancora molto sentita disfatta.
Genere: Avventura, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: I Cinque Guardiani, Nightmares, Nuovo personaggio, Pitch
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo Trentotto


Può avvertirne la presenza, ora, nonostante l’enorme distanza che li separa. Reclina appena il capo di lato, interdetto: da quanto può percepire non sembra, in effetti, che il demone abbia un’eccessiva fretta di creare scompiglio. Un’altra stranezza, cui tuttavia non sa darsi una spiegazione plausibile.


«Gli altri sono pronti per partire» mormora Aileliath, appena comparso al suo fianco sulla cupola che funge da lucernario del palazzo.


Sospira e riapre gli occhi scorgendo il cielo stellato davanti a sé. «Che partano, per quanto può interessarmi. Io attenderò» sibila seccato.


Pur non volendolo, percepisce la confusione e la curiosità del custode, ma non se ne dà troppo pensiero.


«C’è forse qualcosa di cui vorresti parlarmi?» prova dunque Aileliath.


Scuote il capo. Probabilmente dovrebbe sul serio parlarne, ma non è ancora certo di quale sia effettivamente il problema, è solo conscio che esista, e Pitch ha tutta l’intenzione di scoprire di cosa possa trattarsi, prima di fare un solo passo, sia esso verso la rovina o verso un qualche genere di vittoria.


«Non è il momento. Ora lasciami, ho bisogno di riflettere» soffia con decisione, prima di tornare a scrutare nel vuoto di fronte a sé.


*


«Che vuol dire che non verrà con noi?» ringhia Mot, scrutando con gelo Aileliath piantato come un colosso davanti a lui.


«Esattamente ciò che ho detto» commenta asciutto il leone, ghignando mentalmente nel notare la maschera di impassibilità del dio sgretolarsi e venire meno.


«È assurdo. A che scopo avremmo attuato il rito, se lui se ne resta qui a fissare il cielo stellato come fosse un maledetto oracolo imbottito di allucinogeni?!» sbotta alterato Mot, provocando il divertimento non solo del leone, ma perfino del suo stesso fratello.


«Beh, in fondo ha accettato di prestarsi al rito, non di accompagnarci al massacro» gli fa ironicamente notare Aster, godendosi in modo più che palese la rabbia impressa nel volto sbattuto del custode dell’oltretomba.


Mentre Aster e Mot si sfidano a un duello all’ultimo sangue fatto di sguardi incendiari e battutine sarcastiche, Nyx solleva gli occhi bui e preoccupati in quelli limpidi e brucianti di Aileliath nell’evidente ricerca di una qualche spiegazione. Il leone si lascia docilmente sondare ma non accenna a un solo passo nella sua direzione, fatto che indispettisce ulteriormente la dea della notte.


Al contrario Jack si accosta alle sue spalle e soffia un alito di brina sulla sua criniera, attirandone discretamente l’attenzione.


«Sei preoccupato anche tu, piccolo spirito?» chiede gentilmente.


Jack lo osserva un momento e si mordicchia pensosamente un labbro, prima di dare una risposta. «Sono confuso» ammette.


Aileliath annuisce comprensivo. «Lo è anche lui, ora».


«Uhm… Per questo non è qui assieme a noi, adesso?».


Il custode si limita ad annuire e sorridere al giovane guardiano, il quale non può fare a meno di ricambiare con un pizzico di speranza in più.


*


Le sue dita stanno ancora pigramente scorrendo sulla folta pelliccia bianca di Alcor, nel momento in cui percepisce il primo cambiamento: un odore nell’aria che un momento prima non c’era. Le sue orecchie vibrano, interessate ed eccitate, smaniose di udire qualcosa che confermi la novità. Il pelo sul collo del lupo accucciato al suo fianco si gonfia e un sordo brontolio lascia la gola di Alcor in una dolce, risonante melodia di attesa e anticipazione.


«Sono vicini» mormora Liùsaidh~dorcha, mostrando le zanne in uno sbilenco sorriso soddisfatto. «Va’, chiama tuo fratello e avverti gli altri» comanda, lasciando la via libera al lupo e disponendosi a un’attesa che spera sarà breve. Assottiglia gli occhi osservando l’orizzonte ancora vuoto. «Il nostro sole sta arrivando» soffia, storcendo le labbra in un amaro sorriso. «Presto anche la sua luce sarà spenta».


*


Il luogo in cui giungono infine non ricorda affatto l’eventuale teatro di un prossimo scontro tra forze divergenti. Tutto ciò che può scorgere Aileliath è una morbida collina ricoperta di erba verde e profumata, un laghetto blu appena increspato dalla brezza gentile su di un lato, il cielo turchese sopra le loro teste, punteggiato da candide nuvole e sullo sfondo un picco innevato; nessun demone in vista, né altre creature magiche fatta eccezione per loro stessi. Eppure tutti loro sono consapevoli che quello è il posto giusto, devono solo attendere. Ma che cosa, esattamente? E per quanto tempo?


«Il tuo demone non conosce le buone maniere» ghigna Nyx, rivolta al padre. «Non lo sa che gli ospiti si accolgono con un sorriso e un inchino, offrendo loro qualcosa da bere?».


E, oh, è davvero esilarante osservare l’irritazione crescere sul volto di Phanês. Se solo potesse gli scatterebbe una foto e la conserverebbe per Pitch. Dubita tuttavia che un congegno umano sarebbe in grado di cogliere e salvare un tale, estatico momento.


Una risata morbida e divertita la ripesca dalle sue estemporanee riflessioni riportandola bruscamente al presente.


«Mia bella signora, io sono un impeccabile padrone di casa. Tuttavia non vedo ospiti degni d’essere accolti» replica a tono Liùsaidh~dorcha. Dolcemente atterra sul prato di fronte al gruppo di spiriti e divinità, facendo spaziare lo sguardo su tutti i presenti con un misto di curiosità e soddisfazione. «Mi duole ammettere che non vi aspettavo così presto. Speravo, in effetti, di avere il tempo per godermi un po’ di buona luce, prima di spargere sangue» lamenta con un piccolo broncio e uno sbuffo appena seccato. «Ovviamente, avrei dovuto immaginare che saresti venuto il prima possibile, non fosse altro che per il mero gusto di arrecarmi disturbo in un momento di stupenda tranquillità» sbotta ora, rivolgendosi direttamente a Phanês.


Il dio incrocia le braccia al petto e solleva scettico un sottile sopracciglio. «E ci sono riuscito?» si informa asciutto.


Le pupille del demone si restringono fissandosi nello sguardo freddo di Phanês. «Per tua sfortuna sì, e ti prometto che pagherai anche per questo» sibila minaccioso.


Assorto, Aileliath osserva le due creature fronteggiarsi e riflette, e mentre riflette gli sovviene lo sguardo pensoso di Pitch, apparentemente rivolto al nulla che aveva di fronte. Qualcosa gli sfugge, esattamente come doveva essere accaduto allo spirito oscuro, e Aileliath è intenzionato a trovare la risposta, la giusta chiave di lettura. Non ha però il tempo di esaminare con la giusta attenzione la faccenda per giungere a una qualche conclusione poiché, di lì a poco, sull’innocua collina placida e verdeggiante compaiono altre creature: dal laghetto fuoriescono un gruppo di nøkken in forma di alti cavalli, lucidi e di un grigio perlaceo; dalla radura di giovani alberi poco oltre la curva della collina sbucano alcune kitsune dal manto chiaro e dalle molteplici code; dal cielo terso planano stormi compatti di fate del fuoco e dei ghiacci; poco dopo, al loro seguito e muovendo grandi masse d’aria a colpi d’ala, si avvicinano anche una manciata di enormi draghi dalle scaglie argentee; a fianco del demone, infine, balenano due forti luci cristalline che assumono presto forma di grossi lupi bianchi.


«Direi che possiamo anche smetterla di fingere cortesia, ora» conclude Liùsaidh~dorcha. «È ormai giunto il tempo» è il suo ultimo commento, prima che la collina smetta di essere un tranquillo luogo di comunione con la natura e diventi invece il campo di battaglia che ogni presente si era aspettato di trovare fin dall’inizio.


*


La prima mossa, contrariamente alle previsioni di molti, è dei lupi che, di punto in bianco, si separano dal demone per scagliarsi su Ba’al e Mot. Alcor e Mizar non raggiungono però il loro obbiettivo poiché Ba’al solleva prontamente una solida barriera di elettricità che non solo impedisce ai lupi di arrivare a loro, ma li rigetta indietro fra pelo bruciacchiato e uggiolii sommessi.


Nel frattempo i nøkken approfittano della distrazione generale per bloccare le ali delle pixies fra rami e alghe e i folletti si vedono così costretti ad accorrere in loro aiuto per impedire che vengano trascinate in fondo al laghetto.


I cinque draghi d’argento scendono rapidi scegliendo come preda il grosso leone che spicca fra tutti, mentre Nyx e Ouranós vengono presto circondati da una moltitudine di volpi dagli occhi rosseggianti che creano attorno a loro un vuoto in grado di isolarli da chiunque altro sia presente.


A tale vista i guardiani vorrebbero intervenire, ma scoprono fin troppo in fretta di avere problemi ben maggiori da fronteggiare, per esempio un’intera squadriglia di fate di ogni foggia e dimensione che devono trovare il modo di tenere a bada ma senza esagerare, considerando che Toothiana ha fatto loro un esasperante predicozzo sulla sorellanza e la lealtà e l’unione e tutta una serie di gran belle cose simili, salvo dimenticare che al momento quelle simpaticissime creature stanno dalla parte del demone e, contrariamente a loro, sono ben poco fraterne e più che disposte a levarli di mezzo in via pressoché definitiva. Così Jack svolazza a zig zag per il cielo, affannato, sforzandosi di schivare i minuscoli globi di fuoco che instancabili le piccole fatine gli gettano contro, e Toothiana fa quel che può ribattendo gli attacchi con le sciabole come si trovasse a giocare una partita di baseball, e una volta ha perfino colpito (per sbaglio, evidentemente) una delle fate del fuoco che è precipitata al suolo fumante, facendo venire una mezza sincope a Toothiana che, maledizione, non aveva calcolato la traiettoria con sufficiente precisione. Ovviamente a Nicholas, Aster e Sanderson sono capitate le fate dei ghiacci, e Nicholas, che pensava di essere ampiamente vaccinato contro le bufere di neve, scopre nel momento meno opportuno di aver fatto male i suoi conti, per non menzionare le orecchie surgelate di Aster e la sabbia cristallizzata di Sanderson.


Phanês si guarda intorno, scorgendo battaglie più o meno cruente ovunque diriga lo sguardo, e scuote la testa contrariato, occhieggiando Liùsaidh~dorcha con astio e un certo nervosismo, aspettandosi da lui una mossa che non sembra voglia giungere.


«Riesci ad apprezzare quello che vedi, per una volta?» lo sbeffeggia il demone, sorridendo al suo indirizzo.


«È qualcosa di molto stupido» replica Phanês, visibilmente deluso. «Mi meraviglio che tu non lo comprenda. Cosa, per l’esattezza, conti di ottenere con questa farsa?».


Il debole sorriso svanisce dalle labbra di Liùsaidh~dorcha, sostituito da una smorfia amareggiata. «Mi aspettavo ciò che probabilmente non potrà mai accadere» ammette serio. «Pensare che ho perseverato nel cullare la speranza per tutto questo tempo, ecco qual è la parte peggiore, la più patetica. Sei una creatura così vuota e meschina, e neppure te ne rendi conto. Ma adesso basta, è tempo di andare oltre» mormora, con gli occhi fissi in quelli impassibili della divinità.


*


Le kitsune hanno creato attorno a madre e figlio una solida illusione, tanto che per quanto facciano non sembrano in grado di trovare una via d’uscita. Nyx grida di frustrazione in seguito all’ennesimo, fallito tentativo di liberarsi dall’effimera prigione di quelle ingannevoli canaglie pelose, e Ouranós è tentato di strapparsi i ricci a manciate, non sapendo in che modo uscire da quel pasticcio né tantomeno come placare l’ira funesta della madre.


«Se le prendo, ah, parola mia che strappo loro quelle maledette code e le riduco a dei barboncini!» sbotta infuriata, spostandosi freneticamente alla ricerca di una falla che le permetta di liberarsi e portare a compimento la sua minaccia.


*


«Gah! Quelle piccole pesti intriganti! Mi hanno congelato la coda!» si lamenta a gran voce Aster.


Jack, non lontano, nonostante sia ancora impegnato a evitare di prendere fuoco, trova persino il tempo di sghignazzare per le recenti disgrazie del guardiano della speranza, attirandosi fra le altre cose un’occhiataccia dal diretto interessato e un borbottante ammonimento da North.


«Ouch!» strilla, ritrovandosi con i capelli strinati dal fuoco dopo essersi imprudentemente distratto nell’ammirare l’ottimo lavoro delle fatine dei ghiacci. «Ehi, dico, fate un po’ di attenzione!» protesta, agitando il bastone e congelando in un colpo solo un intero stormo di fatine del fuoco.


«Jack!» tuona Toothiana, indignata.


«Cosa? Mi sono solo difeso. Mi hanno bruciato i capelli, quelle» prova a difendersi lo spirito dell’inverno, indicandosi febbrilmente la chioma affumicata.


«Avresti dovuto prestare più attenzione» lo rimprovera.


Jack gonfia le guance, indispettito. «Beh, e loro allora avrebbero potuto evitare di far comunella col nemico» rilancia offeso.


A quell’uscita, chissà perché, tutti i colleghi lo fissano in modo strano, perfino Sanderson. Così a Jack non rimane che fare spallucce, agitare nuovamente il bastone e surgelare un’altra generosa manciata di fatine; questa volta è toccato a quelle dei ghiacci.


*


Aveva creduto non avrebbe avuto noie eccessive nel fronteggiare qualche drago, nonostante le dimensioni più che ragguardevoli. Evidentemente si è ingannato: questi draghi d’argento non sputano fuoco come ogni drago che si rispetti (o di cui ha sentito parlare dal giovane spirito dell’inverno, comunque), certo che no; loro producono venti gelidi con le grandi ali e, non contenti, sputano fastidiosissimi getti di brina, ghiaccio e quant’altro, cose che neppure sulle piste da sci si sono mai viste. Non che Aileliath possa temere più di tanto qualche spruzzata di neve, si intende, ma resta comunque irritante, e la nebbiolina ghiacciata ha lo sgradevole effetto di ostacolare la sua vista, così che nel momento in cui uno o più di quei grossi pipistrelli cala in picchiata su di lui, può solo affidarsi all’udito per scansarsi in tempo ed evitare di essere travolto e fatto a brandelli. Sì, decisamente seccante.


*


È impegnato a tenere d’occhio gli spostamenti di Mizar e a mantenere le distanze di sicurezza per evitare che quest’ultimo colga l’opportunità di prendersi qualche brano del suo corpo, quando scorge con la coda dell’occhio Alcor strappare fra le zanne la nera barriera di Mot e puntare direttamente al collo del fratello. Allora, suo malgrado, distoglie lo sguardo da Mizar e indirizza un fulmine contro Alcor, conscio di non poterlo mettere fuori gioco ma con la speranza di riuscire almeno a frenare se non arrestare il suo attacco. Il fulmine passa accanto alle orecchie piegate del lupo costringendolo a mutare la sua direzione e a incespicare di lato; nel tempo che impiega per scrollarsi di dosso il fastidio, Mot lo ha già inglobato in una bolla dimensionale e respinto lontano. Non trova tuttavia modo di felicitarsene poiché la sua attenzione è catturata da un rauco grido del fratello. Velocemente si volta e sgrana gli occhi nello scorgere Ba’al e Mizar avvinghiati e impegnati a terra a strapparsi brani di pelo, vestiti e pelle nel tentativo di sopraffare il proprio avversario. Ringhia, frustrato, dà una rapida occhiata alla posizione di Alcor, ancora lontano e alle prese con il suo incantesimo, infine decide di correre in soccorso di Ba’al, che sembra averne decisamente bisogno, considerato che si sta malamente rotolando nella polvere sovrastato dal grosso lupo. Si concentra e raccoglie le proprie energie per convogliare il poco buio presente fra i suoi palmi, lo espande mentalmente e infine lo scaglia contro Mizar, arrestando i suoi movimenti e allontanandolo faticosamente dal fratello fino a sollevarlo da terra. Il lupo, ben scontento di quell’idea, gonfia i muscoli ed emette sordi brontolii, ma pare non avere la forza necessaria a infrangere l’oscurità che lo tiene saldamente ancorato a mezz’aria.


«Allontanati» soffia Mot, tremando e ansimando senza osare allentare l’attenzione sul buio e sulla sua preda.


Ba’al, malconcio e piuttosto scosso, distoglie lo sguardo da Mizar e lo indirizza al fratello, poi deglutisce spaventato, rendendosi conto del fatto che non è certo in condizioni migliori delle sue. Digrignando i denti si riscuote dalla sorpresa e striscia via, barcollando un poco per rimettersi in piedi, poi un po’ zoppicando e un po’ oscillando instabile sulle gambe, segue l’ordine di Mot e si allontana dal lupo, raggiungendo il fratello.


«Che cosa fai?» mormora quando gli è accanto.


Mot storce le labbra violacee in una smorfia derisoria. «Cerco il modo per liberarci di loro, dato che non possiamo batterli» rantola a stento, mentre la sua pelle perde progressivamente colore e definizione.


Ba’al lo fissa allucinato e poggia una mano sul suo petto. «Non dire fesserie. L’unico risultato che otterresti sarebbe quello di consumare inutilmente le energie fino a dissolverti» sbotta allarmato.


«E non è forse ciò che desideri?» sospira il fratello, gli occhi che schiariscono fino alla trasparenza.


«No» ringhia Ba’al, strattonandolo per la blusa e costringendolo a dargli retta. «Guardami. Smettila di… di fare qualunque cosa tu stia facendo, stupido» ordina, anche se la sua somiglia molto più a una preghiera.


Sussulta quando Mot si volta finalmente per guardarlo, scorgendo i suoi occhi così vuoti.


«Cercavo di impedire che quella bestia ti divorasse» alita, barcollando e finendo per poggiare inerte contro Ba’al.


Incerto, poggia le mani sulle sue spalle (ridicolmente piccole se paragonate alle proprie), poi lo circonda con le braccia e sospira, deglutendo amarezza e paura.


«Lo fai nel modo sbagliato, fratello» protesta debolmente al suo orecchio, passando piano le dita di una mano nei suoi capelli e trovandovi ciocche grigie.


«Lo faccio nell’unico modo che mi è consentito, fratello» replica, accasciandosi infine esanime fra le braccia di Ba’al.


*


Ha commesso un tremendo errore. Avrebbe dovuto saperlo si trattasse di una pessima idea condurre il suo popolo in quella battaglia. Non è forse suo il compito di proteggere e preservare la sua gente dai pericoli di un mondo che non è mai maturato? Ha giurato di portare avanti quel compito, ma a conti fatti le prove l’accusano esattamente del contrario: la sua famiglia, quella stessa che mai l’ha abbandonata, ora si trova in pericolo e, per quanti sforzi faccia, non sembra essere in grado di mantenere la parola data a sé stessa. Urla di rabbia, mentre colpisce l’ennesimo nøkken al muso con una fronda, arma di fortuna raccolta da terra nella disperazione del momento, frulla le delicate ali per ruotare su sé stessa e ne allontana un altro con un calcio sul naso. Stringe i denti e graffia, stringe i denti e inghiotte un singulto, stringe i denti e ricaccia indietro le lacrime; ci sarà tempo più tardi per piangere una parte della sua famiglia andata perduta fra le limpide acque del laghetto. Più tardi, se Eresseie ancora sarà viva, avrà forse l’opportunità di ascoltare il silenzio opprimente e desolante di un cuore infranto.



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L’Angolino Buio e Polveroso dell’Uomo Nero (e dell’autrice a cui piace maltrattarlo)




Un po’ di aria fritta a proposito di Alcor e Mizar, a questo punto.

Ho fatto un mélange, una sorta di ibrido fra mondi diversi ma che, secondo la mia personale visione, si accostano discretamente bene.

Mizar è una stella doppia bianco/blu facente parte della costellazione dell’Orsa Maggiore, che assieme ad Alcor forma una stella doppia. Ora, a voler proprio essere fiscali, Mizar e Alcor (la sorella sfigata, perché Mizar è più luminosa e anche meno distante) sono due delle stelle di un sistema stellare composto da sei stelle totali (ma quante volte ho scritto “stelle”? bah!).

Dall’altro lato abbiamo la mitologia norrena, con i suoi lupi. Per qualche motivo i vichinghi tendevano ad associare la figura del lupo a caos e distruzione, tant’è che i più famigerati lupi mitologici sono: Mánagarmr, il divoratore del globo lunare; Skǫll e Hati, fratelli, che corrono nella volta celeste all’inseguimento rispettivamente di Sól (il sole) e Máni (la luna) allo scopo di mangiarseli; Geri (avido) e Freki (divoratore), che affiancano Óðinn e mangiano carne al posto suo; e poi ovviamente Fenrir, il mio lupo preferito (e figlio di Loki, il mio dio preferito) che ha staccato una mano a Týr (il dio della guerra), è stato legato dagli Æsir che lo temevano, fino al sopraggiungere del Ragnarök (il crepuscolo degli dèi) quando finalmente si è liberato, unendosi al resto di coloro che portavano distruzione e poi uccidendo Óðinn.

Ora, bene, io ho preso due stelle: Alcor e Mizar; due lupi: Skǫll e Hati, e ho mescolato il tutto. Quindi abbiamo due lupi bianchi ultraterreni a cui non piacciono né la luna né il sole. Siccome qui la luna è Manny e il sole Phanês… beh, giungete alle vostre conclusioni.


Roiben


  
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