Capitolo
Trentanove
Il
cielo d’un tratto si fa cupo, nuvole plumbee si frappongono
dense
fra il luminoso sole e la terra desolata. Ombre nere come inchiostro
sfrecciano sull’erba tenera e investono come una tormenta il
gruppo
di kitsune radunato su una dolce altura, sparpagliandole,
arruffandole e facendole volare all’aria, spezzando di
conseguenza
l’incanto ordito ai danni della dea della notte e del figlio.
Alcune di quelle ombre si solidificano e prendono forma, arrestandosi
a pochi passi dal gruppo di nøkken e pixies; zoccoli neri
battono
sul terreno attirando l’attenzione delle creature
dell’acqua.
Altre ombre si alzano in quota fino a sfiorare le ali dei draghi
d’argento, attorcigliandosi dispettosamente attorno ai loro
colli
squamosi e alle loro zampe artigliate, facendoli sbuffare forte e
costringendoli a scendere al suolo.
L’inattesa
figura di un alto
cavallo dal setoso manto perlaceo e dagli occhi cinerini cala al
suolo fra i lupi bianchi e le due divinità stremate,
interrompendo
momentaneamente le ostilità. In groppa al destriero un certo
spirito
oscuro fin troppo noto e ormai ampiamente dato per disperso.
Ba’al
vorrebbe dirgliene
quattro, ma non è poi così sicuro di avere il
fiato sufficiente per
farlo. Dal canto suo Mot ha già le sue belle
difficoltà a restare
ancorato a questo mondo per sprecare ulteriori energie nel notare la
ricomparsa di Pitch Black.
Pitch, a voler
puntualizzare,
non sembra particolarmente interessato a Ba’al e Mot,
né tanto
meno alle loro disavventure; invece osserva Alcor e Mizar con una
certa curiosità, peraltro perfettamente ricambiato dai due
lupi che
mostrano i denti ma non l’aperta intenzione di tornare
all’attacco.
Poi Pitch
d’un tratto
sorride. «Cercavo Liùsaidh~dorcha, in effetti.
Sapreste dirmi dove
posso trovarlo?» chiede con garbo.
Mizar ruota il capo
e lo fissa
dubbioso, Alcor decide invece di sedersi perché quella
è stata una
giornata decisamente movimentata come da molto tempo che non ne
vedevano di simili. Mizar quindi fissa il fratello e i suoi occhi
gialli sono apertamente interdetti e parecchio confusi. Alcor
riderebbe, se potesse, ma è un lupo e può
unicamente scuotere il
capo e sbatacchiare la coda a terra, divertito. I suoi occhi grigi si
soffermano in quelli del cavallo, poi in quelli dello spirito;
annuisce, si rimette in piedi e si allontana, facendo in questo modo
capire allo spirito oscuro che, se davvero desidera una risposta,
dovrà proprio seguirlo, dato che Alcor non ha un modo
migliore per
dargliela.
Pitch e il suo
cavallo (cui
Pitch ha voluto a tutti i costi dare un nome: Alioth) si scrutano un
lungo momento vicendevolmente, poi lo spirito fa spallucce e sprona
la sua cavalcatura perché tenga il passo dei due lupi.
Ba’al,
attonito per il
totale disinteresse dimostrato nei loro confronti da quel bastardo
dell’Uomo Nero, borbotta pesanti ingiurie fra i denti e
stringe la
presa dietro la schiena del fratello, trascinando entrambi in un
angolo più riparato in cui trovare un poco di ristoro e di
riposo.
*
Il prato e parte
della collina
e del lago sono ora rigidamente presidiati da numerose squadre di
neri incubi i cui occhi dorati rappresentano al momento le uniche
fonti di luce presenti sul posto, considerato che le pesanti nuvole
hanno richiamato una notte prematura che neppure Nyx sarebbe in grado
di evocare con tanta disinvoltura.
Aileliath, senza
mai perdere
di vista i draghi atterrati sull’erba e anch’essi
circondati da
incubi, avanza guardingo facendosi incontro a quelli che crede di
riconoscere come due dei suoi recenti amici e principali aiutanti
dell’Uomo Nero. A dargli ragione, infatti, poco dopo dal
gruppo
compatto si distaccano due incubi che si affrettano a raggiungerlo.
«Buon
tempismo!» esclama
gioioso, visibilmente lieto di rivederli al loro fianco. Solleva gli
occhi al cielo plumbeo e li riabbassa su Lumbar ed Epiales.
«Opera
vostra?» domanda, sinceramente incuriosito.
I due incubi
scuotono il muso,
negando, e gli trotterellano intorno, felici di averlo ritrovato sano
e salvo, proprio come desiderava il loro padrone.
«Non sono
riuscito a vedere
Pitch. Dove si trova, ora?» chiede speranzoso.
Epiales adocchia
Lumbar,
incerto, ricevendo un’identica occhiata insicura. Di nuovo
scuotono
il capo, questa volta dispiaciuti per la delusione che adombra gli
occhi di Aileliath.
«D’accordo,
in qualche modo
riusciremo a scovarlo. Adesso però sarà meglio se
diamo un’occhiata
alle condizioni degli altri» propone, guardandosi attorno con
leggera preoccupazione e invitando i suoi neri amici ad andare con
lui.
*
Insieme, non molto
più tardi,
ritrovano i cinque guardiani presi nell’occupazione di fare
una
ragionevole stima dei danni accusati in seguito allo scontro con le
fatine, mentre queste ultime sembrano tutte intente a fare smorfie e
linguacce ai pochi incubi sopraggiunti a dare un taglio alla futile
diatriba.
«Ohi,
ciao!» esclama Jack,
il primo a individuare l’appena sopraggiunto Aileliath.
Il custode sorride,
sia per
averlo ritrovato più o meno illeso e ancora piuttosto
pimpante, sia
per la capigliatura totalmente sconvolta e reduce da parecchie
bruciature, seppur superficiali.
«Come
state? Tutti ancora
interi?» chiede gentilmente.
«Ah,
figurati, solo qualche
graffio» sdrammatizza Nicholas.
«Sì,
e ghiaccio ovunque»
lamenta Aster, parecchio contrariato. «Frost a confronto
è un dolce
coniglietto» commenta.
«Io?»
dubita Jack di
rimando, strabuzzando gli occhi. «Ma non eri tu il batuffolo
soffice
e tenero?» sogghigna, prendendo agilmente quota quando Aster
punta
una spada su di lui ma senza smettere di ridersela beato.
*
Il suo passo
nervoso e
marziale rallenta sensibilmente nel giungere nei pressi del laghetto,
fino quasi a fermarsi. Ruota il capo, facendo vagare uno sguardo
costernato all’intorno, deglutisce e serra le dita facendo
scricchiolare le nocche.
«Madre»
mormora la voce di
Ouranós alle sue spalle.
«Osserva.
Non dimenticare.
Questo è ciò che accade nel momento in cui cerchi
di scaricare le
tue responsabilità su altri» replica con durezza.
Ouranós
si sofferma cogliendo
frammenti di distruzione e sospira avvertendone il peso.
«Cosa
possiamo fare?» domanda, fissando ora gli occhi sulla schiena
della madre.
«Cerchiamo
chi ancora esiste
e lo aiutiamo a raccogliere ciò che non è
più» replica asciutta,
riprendendo lentamente ad avanzare in mezzo alle macerie di quelle
che un tempo erano creature speciali
*
Alcor e Mizar si
fermano
infine al limitare di uno strapiombo scavato con pazienza da un fiume
che scorre qualche metro più sotto, serpeggiando a valle.
Sollevano
entrambi il muso puntando gli occhi al cielo e lo stesso fa Pitch,
scrutando ansioso le nubi contro le quali finalmente individua due
figure che si fronteggiano, incuranti del finimondo che fino a
qualche minuto prima metteva in subbuglio l’altrimenti pacata
tranquillità del luogo. Torna a posare gli occhi a terra con
un
sospiro e accenna un gesto di ringraziamento ai due lupi,
congedandoli silenziosamente, prima di spronare Alioth; questi, dopo
poche eleganti falcate sull’erba, si solleva agilmente in
aria,
librandosi leggero e prendendo via via velocità, diretto con
decisione verso le due figure avvolte nella densa cappa di grigie
nuvole di pioggia.
Nel farsi
più vicini Pitch
nota dettagli che da lontano gli erano sfuggiti: la figura di
Phanês
sembra aver perduto parte della luminosità che di norma la
contraddistingue; le scaglie di Liùsaidh~dorcha al contrario
brillano di riflessi dorati, quasi fossero in grado di immagazzinare
la luce e rimandarla moltiplicata; le labbra di Phanês sono
distorte
in una piega amara che poco gli si addice; negli occhi del demone,
quando è solo a poche falcate da loro, scorge qualcosa che
gli
ricorda triste malinconia. Scuote la testa, confuso ma anche deciso a
dare un significato a ciò che può vedere.
Nonostante tutto, nessuno
dei due prova paura, e Pitch ne deduce che debbano essere entrambi
degli sconsiderati e con seri problemi mentali. D'altronde vivere
così a lungo non sempre assicura la saggezza; loro,
certamente, ne
sono la dimostrazione pratica e lampante: un’esistenza
prolungata,
se gestita male, porta a squilibri mentali, e Pitch, beh, ne sa
qualcosa.
Socchiude le labbra
in una
muta espressione di sorpresa quando scorge una mano del demone
torcersi e Phanês aggrottare le sopracciglia e digrignare i
denti.
Liùsaidh~dorcha sta probabilmente mettendo in pratica
qualcuno dei
suoi giochetti ai danni della divinità. Con le ginocchia fa
pressione sui fianchi di Alioth, indicandogli di virare di modo da
scivolare dietro al demone e, nel passaggio, afferra con forza il
bordo di una delle sue ali e strattona trascinandoselo dietro per
diversi metri, prima che il demone trovi modo di reagire.
Liùsaidh~dorcha si contorce su sé stesso,
richiudendo le ali
attorno alle spalle e facendo perdere la presa allo spirito,
precipita per qualche istante al suolo poi spalanca le ali e,
piroettando in volo, riprende velocemente quota.
«Cosa
credevi di fare?»
ringhia contro lo spirito.
Pitch accenna un
sorrisino
divertito. «Distrarti?» domanda retoricamente.
Liùsaidh~dorcha
volta di
scatto la testa e vede Phanês planare dolcemente verso terra.
«Maledetto,
come osi?» sputa
adirato.
Pitch non si
scompone, invece
affila lo sguardo e lo osserva con più attenzione, scorgendo
ciò
che fino a quel momento lo aveva reso dubbioso e irrequieto.
«Tu
sei… un demone della luce?» mormora,
disinteressato alle sue
minacce ma non ai dettagli che ora può ben vedere, forse
anche
grazie al rito.
Liùsaidh~dorcha
sembra
congelarsi per un lungo momento, poi allunga le dita di una mano e
cerca palesemente di farlo secco con un deciso attacco che Pitch
scansa all’ultimo istante, sorpreso. La sua sorpresa, durata
il
tempo di un battito, è dovuta soprattutto alla conferma
indiretta
alla sua domanda: il demone lo ha attaccato condensando la propria
energia in un fascio di luce.
«Grazie
per la risposta»
replica, perfino divertito.
«Muori,
insetto!» sbraita il
demone, tornando all’attacco, evidentemente deciso a
sbarazzarsi di
lui per poi tornare a occuparsi della divinità.
«Già
fatto, spiacente»
comunica lo spirito, abbandonando momentaneamente la cavalcatura per
evitarle brutte conseguenze e scoprendo in quel modo di potersi
reggere sospeso in aria del tutto autonomamente.
«Interessante»
mormora fra sé.
Liùsaidh~dorcha,
frustrato e
adirato, segue con ostinazione i mutevoli movimenti di Pitch,
incapace di credere a come possa riuscire a scansare così a
lungo la
sua giusta punizione per tanta insopportabile sfrontatezza. Eppure,
per quanto si stia dando da fare, non è ancora stato in
grado di
colpirlo. Ringhia e si lancia all’inseguimento, intenzionato
ad
abbattere quell’indisponente creatura una volta per tutte.
«Fermati,
vigliacco!»
sbraita al suo seguito.
Pitch volta appena
il capo e
ghigna, facendo ribollire il sangue del demone.
«Se non
riesci a starmi
dietro è forse colpa mia?» insinua, ridacchiando e
godendosi il
ringhio imbestialito del demone.
Dovrebbe rispondere
all’offensiva, probabilmente; sarebbe fuor di dubbio la
scelta più
sensata e forse la miglior strategia. Il problema è che non
ne ha
voglia, si scopre invece molto più interessato a osservarlo
agitarsi
e sfoderare le sue indiscutibili abilità. Forse spera di
condurlo al
limite della pazienza e vedergli far scintille, in tutti i sensi.
Sì,
sarebbe certamente una delizia. Ridacchia, poi scuote la testa
perché
quello non è certamente un comportamento confacente al suo
carattere: imprudente, sconsiderato, dannoso, decisamente
irragionevole. Che diamine gli hanno fatto quei pazzi con
quell’insulso rito? L’aria fresca sul suo viso e
fra i suoi
capelli è molto piacevole, però. Aggrotta le
sopracciglia e di
nuovo scuote la testa, ormai persuaso di star perdendo totalmente la
ragione. Vira bruscamente per evitare un altro attacco da parte del
demone e stavolta ruota su sé stesso per poter osservare con
agio la
creatura che lo sta inseguendo con tanto accanimento, sprecando fra
le altre cose una marea di preziosa energia
nell’eventualità di
ridurlo in polvere, senza tuttavia tenere conto che sopra di loro non
c’è il brillante sole cui è tanto
legato Liùsaidh~dorcha, ma
grevi nuvole plumbee frutto dell’astuzia di Pitch.
«Non mi
dirai che sei già
stanco» strascica lo spirito con mellifluo divertimento.
Il demone emette un
urlo rauco
e imbestialito, di nuovo cerca di colpirlo e di nuovo manca il
bersaglio. «Io ti distruggo, insulso scarto» sbotta
frustrato.
«Sì?
Ma guarda, davvero? E
come mai sono ancora perfettamente intero? Batti la fiacca,
eh?» lo
deride Pitch, osservando le pupille del demone restringersi fin quasi
a scomparire nel viola e le zanne schioccare di rabbia.
Sospira,
comprendendo che non
può tirarla ancora per le lunghe. Se una creatura come
quella
perdesse il controllo sarebbero guai seri per tutti. Chiude gli occhi
per un solo istante e scompare dalla visuale di
Liùsaidh~dorcha per
riapparire un momento dopo sopra di lui. Afferra saldamente entrambe
le ali e, dopo aver piantato un tallone fra le sue scapole, le blocca
con fermezza facendolo precipitare pesantemente in basso.
«Lasciami
immediatamente!»
grida Liùsaidh~dorcha, contorcendosi come una serpe nel
tentativo di
divincolarsi dalla sua presa.
«Non
credo proprio» rifiuta
fermamente Pitch, scorgendo il terreno avvicinarsi a gran
velocità.
«Sono davvero curioso di ascoltare il rumore che produce un
demone
cadendo a terra».
Qualche istante
più tardi
aumenta impercettibilmente la pressione del tallone e strattona con
forza il tessuto membranoso e candido che ancora trattiene fra le
mani, udendo un latrato di protesta da parte del demone, infine
facendo leva contro la schiena di Liùsaidh~dorcha abbandona
la presa
e balza agilmente lontano nel momento stesso in cui il demone va a
schiantarsi pesantemente lungo il greto del fiume.
«Niente
male» mormora
soddisfatto, alludendo al sordo boato prodotto dall’impatto e
alla
nube di detriti sollevata in aria dall’urto.
Leggero, Pitch
ricade
morbidamente poco distante, posandosi con garbo sugli scogli scampati
alla recente distruzione, in attesa che Liùsaidh~dorcha si
scrolli
di dosso l’intontimento e torni a ringhiargli contro le sue
amabili
minacce. Non è tuttavia quello che si aspettava
ciò che accade di
lì a poco.
«Dovevo
immaginarlo»
borbotta infatti la voce del demone in tono stizzito ma del tutto
ragionevole.
Pitch reclina il
capo,
incuriosito. «Di cosa parli?».
Liùsaidh~dorcha
solleva il
volto appena graffiato e punta su di lui i suoi occhi indagatori.
«Ti
hanno usato per arrivare a me, esattamente come io ho fatto per
riprendermi la libertà». Scuote la testa con aria
seccata e un po’
afflitta. «Avrei fatto meglio a trovare il modo per
costringerti in
quel luogo».
Lo spirito
socchiude gli occhi
e stira le labbra, contrariato. «Dovrai perdonarmi se non mi
dolgo
del fatto che tu non ci abbia pensato prima» rimbrotta
sarcastico.
Ed ecco un altro
fatto che non
si aspettava: il demone accenna un sorriso alle sue parole, uno che
non è affatto un ghigno.
«Mi
costringi a rimpiangere
che non sia stato tu a trovare quello specchio. Giurerei che avrei
potuto guadagnare qualche anno in più di vera
luce» ipotizza
stranamente pacato, perfino sereno.
Pitch lo osserva e
non
capisce. Qualcosa è cambiato, ma quando? Perché?
«Cos’è
che non so?»
pensa, rendendosi conto solo in un secondo momento di aver espresso
la domanda ad alta voce.
«Ah,
scommetterei fin troppi
dettagli, giovane spirito» offre Liùsaidh~dorcha
in tono
palesemente divertito.
«Ho
più di duemila anni»
protesta Pitch, sforzandosi di non mettere il broncio.
«Certo»
sorride nuovamente
il demone, guardandolo con un brillio negli occhi, «e io ne
ho circa
diecimila in più rispetto a te».
Notizia che
ammutolisce Pitch
per lunghi istanti che paiono infiniti.
«Un’eternità» commenta
in un soffio costernato.
«Non
proprio, ma quasi, sì»
concorda Liùsaidh~dorcha, ripulendosi lentamente dalla
polvere
sollevata.
«Perché
eri lì dentro?»
decide quindi di chiedere lo spirito.
Il demone continua
a
osservarlo mentre si accomoda sull’acciottolato e ascolta il
mormorio del fiume. «Ch’io sia un demone non
è forse motivo
sufficiente?» propone di buon grado.
Ma lo spirito
scuote la testa,
facendo pochi passi che lo conducono a sfiorare l’acqua.
«Non se
parliamo di Phanês. Non credo a lui possa realmente
interessare la
natura di una creatura, ne convieni?» chiede attento,
notandolo
irrigidirsi impercettibilmente alla menzione della divinità.
«A
quell’essere non
interessa di niente e di nessuno, neppure di chi dovrebbe
rappresentare la sua famiglia, condividendone il sangue»
sibila
Liùsaidh~dorcha.
Pitch annuisce
concorde.
«Giusto. Dunque perché? Tu, evidentemente, gli
interessavi».
«Sì»
ammette
Liùsaidh~dorcha, «è così. E
lui interessava a me, mio malgrado».
A quelle parole gli
occhi di
Pitch si sgranano appena, si fa più attento e in silenzio
rimane in
attesa di un seguito.
Liùsaidh~dorcha
si sofferma
ancora una volta a osservarlo, poi ghigna, facendo rabbrividire lo
spirito.
«Desidero
fare un patto»
propone improvvisamente.
«Con
me?» si stupisce Pitch.
«Esatto.
Io ti parlerò di
ciò che ti preme sapere e tu, in cambio, mi racconterai la
tua
storia».
Pitch schiude le
labbra e
spalanca gli occhi, deglutisce, riflette febbrilmente e, infine, per
quanto reticente, accetta il patto annuendo gravemente e guardando
con preoccupazione un nuovo ghigno fiorire sulle labbra del demone e
spalancarsi fino a trasformarsi in una risata soddisfatta.
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