Le prime luci
dell’alba trovarono Londra coperta di neve. Tutto sembrava
più lento e silenzioso. Il cinguettio degli uccellini
infreddoliti. Le ruote delle poche auto che si avventuravano per le
strade, ripulite durante la notte, ma costeggiate da basse colline di
neve sporca, che le rendeva più strette. Il sole fece
timidamente capolino fra le bianche nuvole, che promettevano nuove
nevicate.
Sherlock non prestava attenzione all’ovattato silenzio che
avvolgeva la città. Ogni suo senso era concentrato
sull’uomo dormiente, che stringeva fra le braccia. Ascoltava il
suo respiro. Il battito del suo cuore. Lo strano piccolo rumore emesso
dalle labbra semiaperte.
Quando aveva capito che John si era profondamente addormentato,
Sherlock aveva osato circondarlo con le braccia e stringerlo
delicatamente a sé. John non si era svegliato. Non aveva tentato
di liberarsi dall’abbraccio. Aveva continuato a dormire,
tranquillo e rilassato. Sherlock lo aveva presto seguito nel mondo dei
sogni e si era svegliato alle prime luci dell’alba.
Nessuno dei due si era mosso.
Sherlock aveva sorriso. Era la prima volta in vita sua che si sentiva a
proprio agio in prossimità di un altro essere umano.
Generalmente non amava essere toccato o abbracciato da qualcuno
né toccare o abbracciare le persone, salvo che questo non fosse
indispensabile per risolvere un caso. Sherlock Holmes poteva fare e
sopportare qualsiasi cosa per il Lavoro.
John, però, non rientrava nella generica categoria “persone”.
Era così giusto e naturale toccarlo e abbracciarlo, che Sherlock
sarebbe rimasto in quella posizione per ore, senza annoiarsi. Anzi. Era
stato costretto ad allontanare il pensiero di come si sarebbe sentito
quando John avesse lasciato Baker Street per andare a parlare con
Moran. Strinse John leggermente più forte a sé. Provava
un leggero senso di possessività verso John. Era la
sua
anima gemella. Nessuno doveva osare separarli. Ora capiva perché
alcune persone arrivassero a uccidere per amore di qualcuno. Ora lo
avrebbe fatto lui stesso.
Uccidere per John.
Morire per John.
E la cosa non lo spaventava. Sentiva che entrambe le cose sarebbero
state giuste. Per questo le labbra di Sherlock Holmes erano
piegate in un sorriso dolce e pieno di affetto.
Parole stonate
La signora Hudson salì le scale che portavano al 221B con
attenzione. Sul vassoio aveva due tazze, una teiera, zucchero, latte,
limone e biscotti. Era il suo servizio migliore. Si era alzata presto
per preparare i biscotti. Il giovane John era un ragazzo ben educato,
che avrebbe sicuramente influenzato positivamente Sherlock, smussando i
lati spigolosi del suo carattere. La signora Hudson era molto
affezionata a Sherlock, ma ne vedeva tutti i difetti, proprio come una
buona madre. Se John aveva deciso di trascorrere la notte a Baker
Street, senza opporre troppa resistenza al suo invito, non si era certo
fatto né spaventare né scoraggiare dai modi di Sherlock.
L’ipotesi che il suo inquilino si fosse comportato in modo
più civile ed educato, per non fare scappare, John era da
scartare. Sherlock era Sherlock, sempre e comunque. Quindi, sicuramente
era stato John a vedere il cuore di Sherlock, andando oltre i suoi modi
bruschi e scortesi. D’altra parte, salvo essere un santo, John
poteva spazientirsi e decidere di non tornare più a Baker
Street. Non doveva succedere. Lei avrebbe fatto la propria parte per
trattenerlo. Tutti sapevano che per arrivare al cuore di un uomo
bisognava passare per il suo stomaco. Anche se la signora Hudson
ripeteva di essere la padrona di casa e non la governante di Sherlock,
poteva fare il piccolo sacrificio di preparare la colazione, se questo
significava che John sarebbe rimasto in quella casa. Inoltre, anche se
non lo avrebbe mai ammesso con Sherlock per evitare che ne
approfittasse, lei adorava prendersi cura del proprio inquilino e
sarebbe stata felicissima di viziare anche John.
Arrivata in cima alle scale, appoggiò l’orecchio alla
porta. Dall’altra parte c’era silenzio. Bussò
leggermente all’uscio e lo aprì: “Yoohoo!
C’è qualcuno che ha fame?” Domandò
allegramente.
“Ssshh! John sta ancora dormendo!” Sibilò Sherlock, sottovoce.
John si scosse e aprì gli occhi. Sbatté le palpebre un
paio di volte, non riconoscendo il luogo in cui si trovava. La
sensazione più strana, però, era sentirsi stretto a
qualcuno. L’odore dell’altro era piacevole. Un misto di
muschio, tea e nicotina. John non ricordava di essersi mai destato
sentendosi così piacevolmente al sicuro. Sbuffò, quando
gli tornò in mente che, in realtà, non aveva molti
termini di paragone, dato che i suoi ricordi risalivano alla settimana
precedente. Le braccia si allontanarono di scatto, insieme al corpo che
gli aveva fatto da cuscino. Con un tonfo sordo, Sherlock si
trovò seduto sul pavimento. John provò un certo
disappunto, come se fosse stato abbandonato:
“Perché sei andato via?” Brontolò, guardando Sherlock in quegli occhi di un azzurro così chiaro da essere quasi trasparenti.
“Non volevo infastidirti,” rispose Sherlock, dispiaciuto.
“Non mi stavi infastidendo. Anzi. Era piacevole averti vicino.”
“Davvero?” Sorrise Sherlock, incoraggiato dalla frase di John.
“Davvero,” confermò John, con un sorriso sincero.
“Siete anime gemelle!” Esplose la signora Hudson, di cui i
due uomini si erano dimenticati la presenza. Entrambi si irrigidirono,
ma la signora continuò, in tono ciarliero: “Non negate,
ragazzi. Riconosco lo sguardo di due persone che comunicano
telepaticamente, quando lo vedo.”
Sherlock sospirò, rassegnato: “Signora Hudson, dovrebbe
tenere la cosa per sé. La situazione è un po’
complicata e vorremmo aspettare, prima di rendere ufficiale e pubblico
il nostro legame.”
“Sarò muta come un pesce. Se avete bisogno di un complice,
per qualsiasi cosa, contate su di me. Sarà divertente ed
eccitante. E anche così romantico,” terminò, in
tono quasi sognante.
John si alzò dal divano e intervenne velocemente, prima che
Sherlock sbottasse sul lato romantico del loro rapporto: “Grazie
per la comprensione, signora Hudson. E per la colazione. Mi dia pure il
vassoio, penserò io a riordinare appena avremo finito.”
“Sei proprio un bravo ragazzo. Sei stato fortunato,
Sherlock,” aggiunse la donna, lanciando al giovane Holmes
un’occhiata ammonitrice che voleva dire:
“Guai a te se lo fai scappare!”
Sherlock emise uno sbuffo quasi disgustato, ma la signora Hudson salutò sorridente e lasciò soli i due uomini.
“Vieni a fare colazione. Questi biscotti hanno un aspetto delizioso,” sorrise John.
Sherlock si alzò da terra e raggiunse John in cucina. Il tea era nelle tazze.
“Vengo con te da Moran,” esordì Sherlock, come se non ci fossero possibilità di replica.
“No. Tu resterai qui,” ribatté John, con pazienza.
“Perché?” Ringhiò Sherlock, a denti stretti.
“Perché la tua presenza potrebbe complicare le cose. Da
solo avrò più possibilità di far ragionare
Moran,” insisté John.
Sherlock incrociò le braccia sul petto, pronto a puntare i piedi
pur di ottenere quello che voleva. John riuscì a trattenere il
sorriso che voleva increspargli le labbra: “Quello di oggi
potrebbe essere solo il primo round con Moran. Se lo irritiamo,
potrebbe intestardirsi a ostacolarci anche solo per una questione di
principio. Abbi fiducia in me. Andrà tutto bene.”
“E sia. Facciamo quello che vuoi tu,” si arrese Sherlock, in tono lamentoso.
“Mangia,” ordinò John, mettendo un biscotto in bocca
a Sherlock. Il consulente investigativo ne morse un piccolo angolo, con
un sorriso irriverente: “Vedi che ho ragione io? Potrai anche non
ricordarti chi tu sia, ma sai dare gli ordini come solo un capitano
può fare!”
John lo fissò negli occhi per qualche secondo e scoppiarono a ridere insieme.
Era ancora quella risata che John aveva nelle orecchie e nella mente,
mentre il taxi si fermava davanti alla villa in cui viveva Sebastian
Moran. Scese e pagò il taxista, fermandosi davanti al grande
cancello in ferro battuto, chiuso. John si chiese vagamente
perché Sherlock si fosse arreso così facilmente. Era
sicuro che avrebbe dovuto insistere di più affinché non
andasse da lui con Moran. Probabilmente, aveva deciso di rimanere a
casa per cercare informazioni sul suo futuro marito, in modo da trovare
qualcosa che lo costringesse a lasciarlo andare. John respirò
profondamente, si strinse nelle spalle e irrigidì la schiena.
Era pronto per la battaglia.
Il maggiordomo lo aspettava, tenendo aperta la porta:
“Buongiorno, signor Rowling. Lord Moran è ancora a
letto.”
“Sono alzato, Jervis. Preparaci un caffè,”
ordinò una voce seccata, dalla cima delle scale. John
alzò gli occhi e vide Moran scendere le scale, mentre si
allacciava la cintura della vestaglia di seta marrone: “John, che
cosa fai qui a un’ora così indecente?”
“Veramente, sono più delle dieci, Sebastian. Oggi è
un giorno lavorativo,” ribatté John, seccamente.
“Per la gente comune può anche andare bene, ma io sono
stato impegnato in un incontro d’affari fino alle cinque del
mattino. Per me è l’alba. Sarà meglio che ti abitui
subito ai miei orari non proprio usuali, così eviterai di
seccarmi, quando saremo sposati.”
John strinse le labbra per non rispondere a Moran per le rime. Doveva
mantenere il controllo e non litigare con lui o non avrebbe mai
ottenuto quello che voleva: “Me lo ricorderò. Vorrei
parlarti proprio del matrimonio.”
Moran aveva raggiunto John nell’ingresso e alzò un sopracciglio: “Ci sono problemi?”
“Non proprio, ma…”
“Dove hai trascorso la notte?” Domandò una voce furiosa alle spalle di John.
Il giovane uomo biondo si voltò e si trovò davanti la
madre e il patrigno. Trent era furioso, mentre la madre sembrava
preoccupata, ma evitava lo sguardo del figlio. Il cuore di John
saltò un colpo. Parlare con Moran davanti a loro sarebbe stato
molto più complicato: “Ero fuori, quando le linee della
metropolitana si sono bloccate. Ho trovato ospitalità presso un
conoscente,” rispose evasivamente. In fin dei conti era la pura
verità.
“Sei stato da quel tossico, vero? Hai trascorso la notte da Sherlock Holmes.”
“Sherlock non è un tossico,” sbottò John, arrabbiato.
“Lo è. Il giovane Sherlock è la pecora nera della
famiglia Holmes. Il fratello maggiore ha faticato molto per rimetterlo
in carreggiata. Ora dicono che sia pulito da diverso tempo, visto che
collabora con Scotland Yard, ma con Mycroft Holmes non si sa mai.
Sarebbe capace di insabbiare tutto, pur di salvare le apparenze e il
suo buon nome,” intervenne Moran.
John non poteva credere alle proprie orecchie. Non avrebbe mai sospettato che Sherlock fosse un ex drogato.
Ex,
comunque, era la parte importante della cosa. Sherlock non era
più un drogato e John avrebbe impedito che ricadesse in
quell’inferno: “Non vedo che cosa c’entri Sherlock in
tutto questo. Stavo parlando con Sebastian e vorrei farlo privatamente,
se non vi dispiace.”
“Stavate discutendo del matrimonio e questo riguarda anche noi,” ribatté Trent.
John era con le spalle al muro. Si voltò verso Sebastian,
cercando di ignorare la presenza dei Davemport: “Vorrei che
rinviassimo il matrimonio. Anche solo di una settimana,” disse,
risoluto.
“Perché?” Moran aggrottò la fronte, più curioso che arrabbiato.
John sospirò: “Quando ho avuto l’incidente,
c’era un altro uomo con me. Un mio carissimo amico. I testimoni
dicono che ci assomigliavamo moltissimo, tanto da sembrare quasi
gemelli. Potremmo essere stati scambiati. Io potrei chiamarmi John
Watson e non John Rowling.”
Allyson soffocò un grido, portandosi una mano alla bocca, ma fu
Davemport a intervenire, ringhiando furioso: “Stai insinuando che
una madre non sappia riconoscere il proprio figlio?”
“Da quello che mi ha raccontato… Allyson… non ci
siamo visti per anni. Potrebbe essersi confusa per non dovere ammettere
di avere perso anche il suo primogenito,” spiegò John.
“E io? Credi che io non possa riconoscerti?” Protestò Trent.
“Già. La signora Davemport potrebbe essersi sbagliata, ma
Trent che motivo poteva avere per non correggere il suo errore?”
Domandò Moran.
“Stai pensando ai soldi, vero? Eccolo qui, il piccolo bastardo
ingrato. Uno gli dà tutto. Lo alleva come se fosse suo figlio.
Non gli fa mancare nulla, ma lui continua a pensare che tu non sia
all’altezza del padre naturale. Beh, sappi che tuo padre non era
un santo. Lui ha tradito tua madre, la sua anima gemella, con diverse
donne…”
“TRENT!” Esplose Allyson.
“NO! È giunto il momento che il tuo caro e spocchioso
figliolo sappia tutta la verità sul suo papà perfetto.
È abbastanza grande per sapere che se la faceva con qualsiasi
gonnella che respirasse…”
“SMETTILA! Non dire un’altra parola. Qualsiasi cosa sia
accaduto, appartiene al passato. John non ricorda nemmeno suo padre e
tu non hai il diritto di infangare la sua memoria, sparlando di
lui.”
“Forse non hai capito una cosa, Ally. Il caro John sta cercando
di mandarci sul lastrico. Lui si è trovato un pollo da spennare
senza che a noi tocchi nemmeno un centesimo. Se annulla il matrimonio
con Sebastian, noi perderemo tutto!”
“Io non sto cercando di annullare il matrimonio! Voglio solo
essere sicuro di chi io sia, prima di sposarmi! Voglio sottopormi a un
test del DNA per accertare la mia identità. È
nell’interesse di tutti. Se io fossi John Watson e me lo
ricordassi a matrimonio avvenuto, questo sarebbe comunque nullo e voi
perdereste ugualmente tutto. Non è meglio saperlo prima di
commettere un errore?” Disse John, in tono ragionevole.
“Per chi mi hai preso? Mi credi veramente così stupido?
Pur di fare felice il suo caro fratellino, Mycroft Holmes sarebbe
capace di fare carte false. Per quell’uomo sarebbe anche troppo
semplice falsificare un test del DNA per farti passare per John Watson
e regalare un compagno di avventure a quello squinternato di suo
fratello,” ribatté Trent, in tono sarcastico.
John si voltò verso Sebastian, in cerca di appoggio: “E se
Sherlock avesse ragione? Se io fossi veramente John Watson, che cosa ne
sarebbe del tuo prestigio personale?”
“Pensi veramente che questa donna mi stia imbrogliando?” Chiese Moran, con un sorriso enigmatico sulle labbra.
John trattenne il respiro: “NO! Non sto dicendo…”
“Sì, che lo stai facendo. – si intromise Trent
– Stai affermando che tua madre sia una imbrogliona, una
truffatrice. Vuoi davvero sostenere una cosa così davanti a un
giudice? Perché questo sarebbe il solo modo che avresti per
rimangiarti la parola che hai dato il giorno in cui hai firmato il
contratto prematrimoniale, accettandone tutte le clausole. Davanti a
noi. A me e a tua madre. Quando siamo venuti a trovarti
nell’ospedale in cui eri ricoverato, dopo essere stato ferito in
missione,” concluse, in tono basso e minaccioso.
John non sapeva più che cosa dire. Trent Davemport stava
evidenziando la parte debole della sua tesi, mentre Allyson non
riusciva nemmeno a guardarlo negli occhi. John riportò la
propria attenzione su Moran, sperando ancora in un suo aiuto. L'uomo,
però, lo fissava con uno sguardo gelido e duro: “Non vi
sarà nessun rinvio. Se credi che il giovane Holmes abbia
ragione, annullerò le nozze e manderò in galera i
Davemport. Li rovinerò. I loro figli finiranno in qualche
orfanotrofio e mi assicurerò personalmente che rimangano dei
pezzenti, come i loro cari genitori. Non avrò nessuna
pietà. Già mi sono abbassato a sottostare a questa
ridicola usanza di sposare un fratello della propria anima gemella per
adeguarmi alle idee di vecchi parrucconi, che mi taglierebbero fuori
dai loro affari, se non lo facessi. Inoltre, voglio onorare la memoria
di mia moglie. Ho amato molto Kathy, ma ho sempre pensato che la sua
famiglia la sfruttasse e approfittasse del suo buon cuore. È
meglio che tu sia sicuro di quello che vuoi fare, John. Non ti
darò tempo per fare il test del DNA. C'è stata la festa.
Ti ho presentato a tutti come John Rowling, il mio futuro sposo, la mia
seconda anima gemella. Se ora io mettessi in dubbio la tua
identità, sarei coperto di ridicolo. Tutta la nobiltà
inglese, i miei soci e i miei avversari mi riderebbero dietro. Non
voglio, però, che mi consideri insensibile. Ti concedo una unica
possibilità, poi non ne parleremo mai più. Annulliamo il
matrimonio e io rovinerò i Davemport. Se hai ragione, loro
avranno quello che si meritano, ma se hai torto spedirai in galera tua
madre e suo marito, rendendo la vita dei tuoi fratellastri un inferno.
Sposami e io rispetterò tutte le clausole previste dal nostro
contratto prematrimoniale. La scelta è tua, John. ORA,” lo
sollecitò Sebastian, con voce dura e secca.
John sentiva la rabbia e la delusione di Sherlock, attraverso il loro
legame, perché il consulente investigativo sapeva che cosa
avrebbe deciso di fare John. Non aveva altra scelta. Nel dubbio, senza
una prova certa dello scambio di identità da mostrare in quel
preciso istante, John doveva proteggere quella che poteva essere la
propria famiglia. Moran non gli lasciava alternative: “Io…
accetto… mi sposerò con te… rispetterò il
contratto prematrimoniale…” mormorò, in tono appena
udibile.
Trent sorrise trionfante a Moran: “I patti vanno rispettati, Sebastian.”
“Lo farò. Come sempre. Non parleremo mai più di
questa storia. Non costringermi a comportarmi come il cattivo della
fiaba, John. Non ti piacerei.”
John non ascoltò il resto della conversazione fra i due uomini.
Sentiva solo la disperazione di Sherlock e il suo desiderio di
sopprimere il dolore che stava provando, in qualsiasi modo. Spaventato
da quello che Sherlock poteva fare, John uscì velocemente dalla
villa. Doveva raggiungere Sherlock e impedirgli di fare qualcosa di
stupido. Doveva fargli capire che non tutto era ancora perduto, per
loro. E che lui non avrebbe rinunciato facilmente a un futuro insieme.
Angolo dell’autrice
Non siate troppo cattivi con il povero John. Purtroppo, Sebastian e
Trent lo hanno messo con le spalle al muro, uno per salvare la faccia,
l’altro per il proprio tornaconto personale. Non disperate,
però. Ricordate che l’Universo (e l’autrice di
questa storia, ammorbidita del romanticismo delle Soulmate e dalle
vacanze) non permetterà mai che due anime gemelle rimangano
separate.
Aspetto i vostri commenti, se avete voglia di lasciarne.
Grazie per avere letto fino a qui. Grazie a 1234ok, a meiousetsuma e CreepyDoll per il commento allo scorso capitolo.
A domani.
Ciao!