Un’imponente aquila fece ricadere la propria ombra sulla
desolata pianura che aveva preso il nome di Terra degli Eroi. I suoi
artigli si distesero, permettendo al peso che si stava trasportando
dietro di toccare il suolo.
Noir cadde pesantemente, costringendo la melassa nera che si agitava
dentro di lui a fuoriuscire dai suoi pori per proteggere i palmi e le
ginocchia dal terreno sconnesso.
- Cosa vuoi da me? – chiese terrorizzato il trentenne,
alzandosi in piedi e sollevando il capo per guardare l’enorme
rapace che stava scendendo di quota.
- Devi firmare un contratto e aprire una gabbia, null’altro.
Poi ti porterò dove vorrai, ovunque. –
- Davvero? –
- Lo giuro su… - una serie di lunghi fischi acuti ruppe la
quiete, attirando l’attenzione dell’aquila.
Un gruppo di guardie comparve da dietro le poche macerie che erano
rimaste ad ingombrare quel suolo, muovendosi veloci in direzione dei
nuovi arrivati nelle loro armature leggere.
Magia?
No, non intendo il fatto
che non li avessi visti prima, dopotutto non mi ero nemmeno sforzato di
dare uno sguardo per verificare se qualcuno ci stesse aspettando.
No… hanno con
loro qualcosa di magico.
Ho un brutto
presentimento.
Loro quanto sono
riusciti a salvare del periodo della Guerra degli Elementi?
- Fai attenzione. – disse ancora l’aquila, prima di
assumere le fattezze del pallido elfo dalla guancia tatuata.
Non devo ancora rivelare
le mie carte.
Ho due armi divine, con
me, ma non posso già mostrale.
Le terrò ben
nascoste dentro questo corpo, per ora, tanto sono solo mortali,
basteranno le lame che sono in grado di produrre.
Nella mano destra dell’elfo comparve un lungo pugnale
argenteo, tanto grande da poter essere scambiato per una corta spada.
- Hai un’arma anche per me? – chiese il trentenne
incerto, facendo saettare il suo sguardo tra le guardie che
continuavano ad avvicinarsi e crescere in numero.
- Non credo ti servirà, visto quello che sei capace di fare.
Comunque, questo vuol dire che mi aiuterai? –
- Voglio sopravvivere, intanto. E, poi, io non posso controllare la mia
maledizione. –
- Immagino che se ti lanciassi in mezzo a loro avresti dei buoni
risultati. –
Noir sospirò avvilito, guardandosi i palmi delle mani
sporchi.
- Sono comunque in troppi, la mia maledizione non può
proteggermi completamente… -
- Non ti toccheranno neppure, ci penserò io a quelli che ti
si avvicineranno troppo. –
- Rimarresti ferito se ti avvicinassi! –
Gli occhi scuri dell’elfo si fecero improvvisamente duri.
– Ascoltami, io ho combattuto e sconfitto l’essere
da cui è nata la tua maledizione. Non mi spaventa quella sua
brutta copia che ti porti dentro. Ora, a meno che non vuoi aspettare
che arrivino loro da noi, sarebbe il caso che cominci a corrergli
incontro. –
Sopravvivrà
di sicuro.
Perché,
però, l’essenza di Follia che ha ereditato non
può proteggerlo interamente?
Non è
abbastanza. Non ne ha abbastanza.
Probabilmente di
generazione in generazione la quantità di quella roba
è andata diminuendo. Almeno so che, tempo un secolo, anche
quest’ultima traccia sarà sparita.
Noir caricò a testa bassa i soldati, chiudendo gli
occhi per non vedere la folla contro cui si stava scaraventando.
Il sangue nelle sue vene cominciò a pulsare sempre
più rapidamente, incapace di adattarsi al battito del suo
cuore.
Profondi strappi si aprirono nella pelle del trentenne, da questi la
melassa nera che risiedeva nel suo corpo fuoriuscì,
unendosi, fondendosi e dividendosi per formare sette aculei che
trapassarono, impalandoli, altrettanti uomini.
Ok, va bene…
Mi hai preso un po’ troppo alla lettera, non intendevo con
“corrergli incontro” caricarli a testa bassa come
un ariete, ma me lo farò andar bene.
Forse è il
caso che mi muova anch’io, se la mia analisi è un
minimo corretta, quasi la completa quantità
dell’essenza di Follia contenuta nel suo corpo ora sta
formando quegli spuntoni, quindi non gliene rimane molta ancora a
disposizione per proteggersi da eventuali attacchi.
L’elfo si mosse rapido sul terreno brullo, con il braccio
teso al suo fianco e la sua arma ben salda tra le dita. La ciocca di
capelli bianchi sobbalzava appena sulla chioma nero pece al ritmo dei
suoi passi.
Una frusta cercò di ferire il braccio sinistro di Noir, ma
le sue spire si avvinghiarono attorno a un sottile guscio nero.
Una frusta?
Davvero?
Davvero davvero?
Avanti, che arma
è la frusta?
Le volute dell’arma si incendiarono improvvisamente,
costringendo il trentenne ad allontanare l’arto dal corpo per
non permettere alle fiamme di attecchire sugli abiti cenciosi che
portava addosso.
Una frusta di fuoco,
magari, è da tenere un pochino più sotto
controllo.
Era esattamente di
questo che avevo paura. Cimeli dell’Era della Magia,
dannazione, perché hanno creato della roba del genere dopo
la caduta di Reis? Di cosa avrebbero mai dovuto aver paura?
E poi, tra
l’altro, sono tutte cianfrusaglie che saranno state
dimenticate in qualche armeria nascosta dopo la caduta
dell’Ordine.
E io che speravo di
essermi tolto per sempre il problema della magia… adesso mi
ritrovo con un tizio che si illumina, con il pro pro pro e qualcosa
nipote di un demone semidivino, armi incantate, una spada forgiata
dalla stessa essenza del demone semidivino sopracitato e un maledetto
contratto che non sono in grado di spezzare da solo.
Dannazione.
…
Non importa, quanti sono
loro?
…
Ventiquattro.
Ho visto molto di peggio.
Veloce, preciso, mortale
e aggraziato.
Una lama sgozzò l’uomo che brandiva la frusta
infuocata, che subito si spense non appena la mano del suo possessore
lasciò la presa.
Ventitré.
Sette corpi caddero pesantemente a terra, irrorando il suolo con il
loro sangue, mentre gli aculei si ritraevano, andando a rimodellare le
placche che proteggevano il corpo del loro ospite.
Una spada provò a farsi strada nel polpaccio di Noir, ma non
poté andare oltre la corazza nera che l’aveva
ricoperta. Rimase però contro di questa, senza ritrarsi. La
sua lama fu percorsa da scintille elettriche che, creando luminosi
archi voltaici nell’aria si scaricarono nel corpo del
trentenne, gettandolo a terra boccheggiante.
Elettricità?
Io speravo di non
vederla più per almeno qualche centinaio d’anni
dal Cambiamento.
Posso capire come la
possa produrre, come funziona la magia non è un segreto,
all’interno di quella spada si andranno a formare le stesse
condizioni di un temporale facendo fuoriuscire dalla lama i fulmini,
essendo quella un conduttore, ma dove trova l’energia per far
ciò? Non credo che quel soldato di bassa lega abbia una
riserva di mana tale da produrre più di qualche scintilla.
Spero non
l’abbiano progettata per…
La punta della spada venne puntata contro il trentenne a terra. Lungo
tutta la sua superficie scoppiettarono scintille e piccole saette che
si disperdevano nell’aria.
Un lungo arco voltaico nacque dalla punta metallica, puntando in
direzione di Noir utilizzando come appoggio per quel viaggio il corpo
di una delle guardie che non si era spostata abbastanza dalla sua
traiettoria.
Un lungo pugnale si frappose fra l’attacco e il corpo
dell’uomo protetto in buona parte dalla melassa nera.
La scarica deviò il suo corso, convogliandosi prima nella
lama dell’arma, poi nel corpo del suo possessore per poi
scaricarsi a terra passando attraverso una lunga barra metallica che
dalla vita dell’elfo si andava a piantare nel suolo.
Conosco ancora
abbastanza bene le leggi imposte da Natura da non farmi fregare da
trucchetti così prevedibili.
Il corpo dell’uomo che impugnava la spada cadde a terra
fumante.
Dannazione se ho capito
il trucco.
Queste armi, se non
trovano una riserva di mana o la finiscono passano ad attingere
all’energia vitale del proprietario, senza farsi fermare dal
suo rubinetto di emergenza.
Ricordate il discorso
sul rubinetto d’emergenza del mana che vi avrò
fatto un’ottantina di anni fa? Il fatto che gli umani sono
animali con un rubinetto mal funzionante e rischiano di crepare se
lanciano incantesimi al di là delle loro
possibilità e tutto il resto?
In ogni caso, ventuno,
grazie al suo assist.
Nove fini aghi fecero ondeggiare al loro passaggio i lembi cadenti
degli abiti strappati di Noir, impalando altrettante guardie e facendo
cadere rumorosamente a terra le armi che queste brandivano.
Dodici.
Perché mi
stavo preoccupando di non riuscire ad arrivare alla sua prigione?
Potrei mettermi seduto
in un angolo e comunque mi verrebbe spianato un passaggio per quella
scalinata maledetta.
Dai, forza Commedia, fai
finta di essere utile.
L’elfo scattò in avanti a lunghe falcate, muovendo
la lama della sua arma nell’aria, facendola scivolare negli
anfratti delle armature e lasciando profondi solchi al suo passaggio.
Tre voci distinte alzarono al cielo le loro urla di dolore, prima di
affievolirsi lentamente.
È davvero
troppo facile, però, così.
Nove.
Potevano almeno
addestrarli ad usare queste armi.
- Viandante, fermati! È un ordine di un firmatario, questo!
–
Davvero credono che,
dopo quello che mi hanno fatto, mi atterrò ancora a quel
patto?
Ho solo bisogno di avere
quel maledetto rotolo di pergamena per dare a qualcun altro il potere
di aprire quella gabbia.
Una figura si fece avanti coperta da una spessa corazza metallica.
Sulla superficie lucida, lunghe e sinuose spirali di glifi si
rincorrevano rapidi.
Come l’hanno
ottenuta, quella?
Maledizione!
Aria, ora vieni qui e
risolvi questo casino.
Dannazione!
Perché
è ancora sul Creato quella roba?
Era troppo difficile
riprendersela ottant’anni fa, a guerra finita? O, per lo
meno, vent’anni fa, visto che Fuoco si era ricordato di
averla scaricata in questo posto?
“Trado, il
dominatore dei venti, il cavaliere degli uragani, il serpente piumato
della Signora dell'Aria.”
Hanno solo riesumato
l’armatura che la stessa Aria ha forgiato e ha donato al suo
tempio nel Creato, cosa vuoi che sia?
Come si può
anche solo pensare di lasciare un simile artefatto in mano ai mortali?
Ed ora come la butto
giù, quella?
Non voglio tirare ancora
fuori le armi divine in mio possesso. E, poi, lo stiletto di
papà Fato sarebbe inutile contro quella montagna di metallo
incantato, mentre non ho la forza, senza un’adeguata
accelerazione, per sfondare le sue difese con la Spada degli Abissi.
Mai una volta che le
cose mi possano andare bene.
- Come siete entrati in possesso di quell’armatura, signora
Dan Rei? Non era l’egemonia sui trasporti nelle Terre
l’unica sua competenza? –
Uno spuntone di roccia scura eruttò dal terreno, lanciando
in aria Noir, accovacciato in posizione fetale e quasi interamente
coperto, all’esterno del suo corpo, da uno spesso guscio nero.
Una delle guardie sopravvissute cadde a terra, esanime.
- Non potevamo lasciare oggetti così meravigliosi a marcire
tra le mura cadenti dei palazzi che qui sorgevano. I nostri
predecessori, prima di instaurare la Setta degli Assassini, hanno
provveduto a recuperare tutto ciò che potesse essere
utile. –
Un largo scudo a torre interamente fatto di legno venne issato in
difesa della donna bardata.
Non farti prendere
dall’agitazione, cerca di essere metodico e logico.
Analizza.
Otto persone, di cui una
è Sarah Dan Rei, firmataria.
Come sono armati?
Armatura di Trado,
divina, al di sopra delle mie attuali possibilità.
Scudo…
annulla magia? Qualcosa del genere, in teoria deve convertire le
particelle di mana espulse durante l’incantesimo in aria.
Due spade, una in grado
di aumentare il proprio peso, l’altra capace di generare
fiamme. Poca fantasia, peccato.
Un arco non incantato,
ho paura che quelle frecce abbiamo delle brutte sorprese.
Uno stocco in grado di
ridurre la dimensione dell’utilizzatore. Spero per lui che
non gli abbiano rivelato il suo reale utilizzo, altrimenti è
un’incosciente a essere venuto a combattere.
Una picca che richiama a
sé tanta terra quanta è l’energia che
viene incanalata in essa. Ponendo che non siano in grado di dosare le
forze impiegate, è probabile che, la prima volta che la
proverà ad utilizzare, richiamerà a sé
un paio di massi e morirà lì, probabilmente prima
per mancanza di energia vitale e poi per l’impatto.
Un’ascia che
devia gli incantesimi. Pericolosa, ma solo se usata con consapevolezza
di cosa si sta facendo.
Nel peggiore dei casi
quelle frecce sono avvelenate, devo proteggermi.
Cosa ho io, dalla mia?
Noir e il potere di
Follia, le armi divine, le mie armi e… basta.
No, non basta. Ho ancora
la spada di Nirghe. Come ho fatto a dimenticarmi di averla?
Dovrei fare un
po’ di ordine tra le cose contenute nel mio corpo,
avrò ancora dei documenti delle missioni che mi sono state
affidate nei decenni passati, da qualche parte.
Serve un piano di
battaglia.
Prima di tutto devo
avvicinarmi a quell’ascia senza usare la magia.
Poi ci sarà
quello scudo che renderebbe ogni attacco elementare inutile.
Non posso batterli,
posso però ridurre ancor più le loro fila.
Se è salita
solo Sarah Dan Rei, vuol dire che gli altri membri non sono presenti,
per il momento.
Non devo per forza
ucciderli tutti.
Un paio di imponenti ali si generarono dalla giacca scura
dell’elfo per distendersi, prima, e poi muoversi con possenti
colpi verso il terreno.
L’elfo si mosse rapido in aria, con gli occhi fissi
sull’arco di legno venoso che, freneticamente, stava venendo
incoccato.
Una freccia sibilò nell’aria, seguita da una sua
gemella poco dopo.
Le piume che componevano le code vibravano nella loro corsa
all’inseguimento delle punte scintillanti.
Le dita dell’elfo strinsero qualcosa.
Le frecce interruppero violentemente il loro viaggio, per poi ricadere
a terra.
Ottimo.
La melassa nera si ritirò nuovamente nel corpo di Noir,
tenuto in aria solamente dalla forza dell’elfo che lo reggeva.
- Sai maneggiare una spada? –
Un’altra freccia sibilò nell’aria, per
poi schiantarsi nella nuova protezione nera di Noir senza essere
nemmeno riuscita a scalfirla.
- Perché? – la voce del trentenne era rotta,
perfettamente abbinata al suo corpo coperto di cenci che a malapena
bastavano per coprire gli strappi che gli si aprivano nella pelle.
- L’energumeno con l’ascia. Uccidiamo quello ed
entriamo. Allora, la sai maneggiare? –
- Più o meno. –
- Me lo farò bastare. –
Il braccio sinistro dell’elfo si tese, irrigidendosi e
perdendo la presa sul corpo dell’uomo che gli faceva da scudo
contro i dardi, per aprirsi lungo tutta la sua lunghezza come la
copertina di un libro. Dai tessuti aperti fuoriuscì
lentamente il fodero lindo di una spada.
Noir lo afferrò timoroso, sfoderando la lama che dentro a
questo riposava e guardando schifato i muscoli di quel braccio tornare
a saldarsi per chiudere lo squarcio che si era aperto.
- Io ti porto là, tu lo ammazzi, va bene? –
Noir non ebbe il tempo di rispondere. Le imponenti ali cambiarono
angolazione, spingendo i due corpi verso il gruppo di uomini che li
guardavano avvicinarsi con le armi strette in pugno.
Lunghe penne nere caddero dolcemente al suolo, incapaci di rimanere
attaccate alla struttura alare che doveva ospitarle.
Lunghi aghi si aprirono come i petali di un fiore rinsecchito dal petto
del trentenne, cercando di allargarsi tra i sopravvissuti alla
carneficina a cui quello spiazzo brullo aveva assistito, ma furono
calamitati da una forza superiore alla loro volontà che li
attirò sullo scudo di legno ancora levato. Lì si
arrestarono, senza riuscire a trapassarlo.
Avrei dovuto perderci
qualche secondo in più nella creazione di queste ali.
Se avessi fatto un
lavoro anche leggermente più sommario probabilmente saremmo
precipitati al suolo appena avessi afferrato Noir.
Sarà per la
prossima.
Manca poco.
Per fortuna lo scudo si
è attivato prima dell’ascia.
Ho corso un rischio
enorme.
La spada fendette l’aria, scontrandosi duramente contro
l’ascia che si era sollevata per frapporsi al suo passaggio.
Un pezzo d’acciaio dal filo tagliente e segnato da numerose
tacche seghettate, tintinnando, cadde sul terreno.
La restante parte della lama spezzata della spada continuò
la sua mezzaluna di morte, trascinandosi dietro lunghi schizzi di
sangue arterioso dopo il suo passaggio all’interno della
guardia verso la quale era stata direzionata.
- Bel lavoro. Ora preparati all’impatto. –
- Cosa? – Noir non ebbe il tempo di chiudere gli occhi.
L’elfo continuò il suo volo in linea retta, senza
accennare a fermarsi.
Solo quando la porta della casupola fu a pochi palmi dal viso
impallidito del trentenne le ali scure andarono a posarsi lungo i
fianchi dell’essere dalla ciocca di capelli bianchi, tornando
ad essere solamente una lunga giacca.
La porta in legno si ruppe nello scontro con uno spesso strato di
melassa nera, rallentando appena la corsa dei corpi che gli si erano
scagliati contro, nemmeno sufficientemente da impedirgli di raggiungere
le scale che poco più avanti li aspettavano.
Noir rotolò più volte su sé stesso,
con la melassa scura che continuava incessantemente ad entrare e
fuoriuscire dai suoi pori per impedire agli scalini in pietra di
colpire il suo corpo.
Una foschia grigia lo seguiva rapida, serpeggiando tra le strette
pareti della scalinata.
Una mano salda fece arrestare la caduta rovinosa di Noir,
costringendolo a fermarsi di fronte a un pianerottolo su cui si apriva
una porta.
- Dobbiamo prendere una cosa. – disse secco l’elfo,
quando i suoi piedi appena risolidificati toccarono il pavimento liscio.
L’essere aprì la porta che gli ostruiva la via
violentemente, facendola sbattere sul muro interno sul quale andava ad
aprirsi. Si mosse poi rapido, puntando prima allo scranno centrale per
poi aggirarlo, in cerca di qualcosa dietro di esso.
Ne trasse uno scrigno di legno fittamente scritto.
- Aprilo. – disse ancora, porgendolo al trentenne.
Noir raccolse con mani tremanti il contenitore. Le sue dita si
spostarono sul coperchio non protetto da nessun lucchetto.
L’oggetto, nonostante non ci fosse nulla a bloccarlo, non
parve aver intenzione di aprirsi.
- Non ci riesco… - disse il trentenne a bassa voce,
remissivo e rammaricato.
Gli occhi dell’elfo si accesero di una fiamma nuova, strinse
la scatola con le dita della sua mano destra, per poi scaraventarla per
terra.
Maledizione!
Maledizione!
Dannazione!
Perché?
Perché?
Lui è per
almeno cinque sesti mortale. Non basta questo?
Dannazione!
Ora cosa faccio? Come la
libero?
Il rumore delle suole rigide sui gradini rimbombò tra le
pareti.
Stanno
arrivando…
Devo… devo
fare qualcosa.
La scatola, devo tenerla
con me.
Due guardie occuparono interamente lo spazio tra i due montanti della
porta, per poi entrare all’interno della sala con lo scudo e
la spada sollevati. Alle loro spalle le sagome di altri due si
presentarono a bloccare la via d’uscita.
- Cosa pensi di fare, ora, Viandante? Dammi quello scrigno e torna a
leccarci i piedi. – disse da dentro la sua armatura la
proprietaria del Treno Nube, facendosi largo tra i bruti armati per
poter vedere in viso l’elfo dal volto tatuato.
- Io… -
Non posso
consegnarglielo.
È
l’unico modo che ho per liberarla.
- Io non … –
Il grido di dolore di una delle guardie rimaste nella retrovia
interruppe il discorso attirando l’attenzione dei presenti.
Un lampo azzurro illuminò a giorno le pareti e il soffitto
della scalinata, accecando la prima fila di guardie che lì
si trovavano.
Un rumore metallico vibrò nell’aria, limpido.
Questo era lo stocco.
Sei rimasti in vita, tra
cui Sarah Dan Rei.
E quella luce io
l’ho già vista.
Devo intervenire, posso
ancora liberarla.
- Fermatelo! – Urlò la firmataria
dall’interno della sua armatura.
- Sarah Dan Rei! – tuonò l’elfo con voce
cavernosa – Perché sei venuta solo tu a fermarmi?
Gli altri firmatari hanno troppa paura per fronteggiarmi senza quella
protezione? –
- Tu taci! –
Cosa fare?
Prendi lo scrigno.
Hai bisogno di una
distrazione.
Devi salvare Razer, lui
ti serve vivo.
La spada di Nirghe si
è spezzata.
Cosa fare?
L’ordine,
l’ordine è importante.
- Scusami ragazzo. – disse solamente l’elfo prima
di afferrare il tronco di Noir e, con una forza che non si sarebbe
potuta attribuire a quel corpo snello, scaraventarlo contro le due
guardie che avevano fatto da apripista.
Una rosa di aculei si aprì, per poi convergere verso il
centro dello scudo di legno.
L’elfo si mosse rapido, chinandosi per raccogliere da terra
la scatola di legno e poi scattando verso la porta.
La sua mano sinistra afferrò senza troppo riguardo il
braccio di Noir, trascinandolo con sé. L’incavo
del braccio destro, la cui mano era occupata per tenere il contenitore
incantato, andò ad incastrarsi sotto il mento dell'uomo che
era giunto sul pianerottolo per ultimo e che ancora stringeva il
pugnale con cui aveva ferito a morte la guardia che gli stava di fronte.
Devo rallentarli.
Un terzo braccio nacque all’altezza del gomito sinistro,
afferrando la sottile corazza del primo uomo che incontrò
per gettarlo a terra, davanti ai piedi dei suoi compagni che parevano
non sapere su chi concentrarsi.
I piedi dell’elfo si muovevano rapidi sugli scalini,
saltandone molti per la foga.
- Voglio un’altra maschera da te… - disse con voce
strozzata Razer, non potendo far altro che guardare alle spalle
dell’essere che lo stava trascinando nella sua folle corsa
verso le viscere di quella montagna.
- Ne riparleremo. Devi fare una cosa per me. –
Sto arrivando e, adesso,
ti tirerò fuori da lì.
Hanno fatto incazzare la
Musa sbagliata, Commedia o Viandante che fosse.
Le tre figure si arrestarono in una larga sala scura, al cui
centro una gabbia di diamante scintillava alla poca luce che le torce
della scalinata riuscivano a far penetrare in quel luogo.
- Razer. – ruggì l’elfo lasciando cadere
a terra il discendente di Reis sconvolto per potersi concentrare sul
mortale che aveva di fronte – Apri questo scrigno.
Ora! –
Le mani del draghicida persero per un momento la loro
sicurezza, apprestandosi tremanti a sollevare il coperchio del
contenitore di legno.
All’interno, una pila di fogli fece disperdere
nell’aria numerose particelle di polvere. Su tutti questi, un
rotolo di pergamena ingiallita lottava contro il tempo per non
deteriorarsi.
- Dammi la mano. – continuò l’elfo.
- Cosa? – provò a ribattere l’uomo,
cercando di sottrarsi alla presa dell’essere che aveva
davanti.
Dalla mano dell’essere comparve uno spuntone metallico, che
si insinuò tra la carne del palmo della mano che aveva
catturato fino a farne sgorgare tre gocce di sangue vermiglio, che
caddero sul contenuto dello scrigno, macchiando la carta su cui si
ammassavano centinaia di firme diverse tracciate con i più
disparati inchiostri.
- Ora vai ad aprire quella prigione. – l’essere
fece voltare a forza Razer, spingendolo contro la parete di diamante.
- Cosa dovrei fare, esattamente? –
Le mani del draghicida si appoggiarono sulla superficie perfetta della
gabbia, in cerca di quella che potesse essere una porta.
A quel contatto, una riga sottile si aprì sulla parete
trasparente, allargandosi fino a formare uno squarcio in quel materiale
impenetrabile.
L’elfo si fece avanti, incerto, con le gambe che a stento lo
reggevano. La fanciulla dai corti capelli neri cadde in avanti, non
più sorretta dalla forza che sembrava aver riempito quella
prigione fino a poco prima.
I tubi cavi che si insinuavano nella sua pelle si strapparono uno dopo
l’altro sotto il peso di quel corpo, riversando sul pavimento
scintillante il proprio contenuto.
Il corpo esile si afflosciò tra le braccia
dell’elfo dai capelli neri. I suoi occhi vennero trapassati
da un lieve fremito.
- Finalmente ti ho tirata fuori da lì … - disse
con un filo di voce la creatura dalla lunga giacca nera, sotto lo
sguardo perplesso dei due uomini che si era trascinata dietro.
Fiamme rilucenti nacquero dall’interno dello scrigno,
illuminando le palpebre della fanciulla che, lentamente, cercavano di
aprirsi.
Due iridi dorate luccicarono a quella luce tremolante.
- Stai bene? – riuscì a chiedere l’elfo
con sguardo preoccupato.
La fanciulla provò a rispondere, ma un conato di vomito le
spezzò il fiato, facendole rimettere una sostanza dal colore
indefinito sugli abiti eleganti dell’essere che gli stava di
fronte.
- Non mi aspettavo una riunione così… profonda.
– commentò l’elfo disgustato, cercando
di scalciare via dai suoi pantaloni la sostanza, senza però
lasciare cadere la figura che teneva tra le braccia.
- Ora dobbiamo solo uscire da questo posto. – disse poi
rivolto ai due uomini.
- Che cosa è lei? – chiese Noir, facendo un passo
indietro, spaventato.
- L’unico essere nel Creato che, al momento, è in
grado di aiutarci ad andarcene vivi. -
Angolo dell'Autore:
Ebbene, come anticipato eccomi qui.
Per un capitolo lungo ci vuole un'altrettanto importante angolo a
concluderlo, per non sfigurare, ovviamente.
Andiamo per punti, però. Non vorrei mai dimenticare qualcosa
per strada.
Il capitolo, per cominciare.
Questo capitolo chiude una parte di questa storia. Ma facciamo un passo
indietro.
Nella mia progettazione avevo diviso questo racconto in tre parti.
"Presentazione", in cui, ovviamente, vi avrei presentato i nuovi
personaggi in maniera molto più graduale rispetto al passato.
"Roba che succede", questa parte centrale, in cui c'è
un'evoluzione dei personaggi, vi presento il passato delle Muse(*) e,
oggi, l'entrata in scena dell'altra Musa.
"La Grande Fuga", l'uscita da questa prigione e la fine di questa
storia.
Siamo quindi appena entrati nella fase tre.
Perchè il (*)?
Perchè non doveva essere qui il passato sulle Muse, volevo
scriverlo, ma farlo come un extra, come una storiella a sè
stante fuori da queste pagine. Poi una buona dose di recensioni mi
hanno fatto riflettere e decidere per questa soluzione.
Le Muse, quindi.
Ho già perso fin troppo tempo in passato a raccontarvi di
come non esistesse all'inizio la figura del Viandante, men che meno
Commedia in quanto Musa con tutta la sua storia alle spalle.
Mi piace, però, come da quel barlume di idea che ho avuto
sia nata un'intera "side-story".
Rimpianti?
Maybe.
Forse, con il senno di poi, avrei gestito diversamente tutte le Muse,
le loro morti e le loro caratterizzazioni, dando più spazio
se non a tutte, ad almeno alcune di loro.
Già, la gestione.
Mi sono posto un paletto mentre scrivevo. Cosa rara a ben pensarci.
VOLEVO che l'ultimo capitolo delle Muse, quello che si doveva
concludere con la cattura di Epica, fosse immediatamente precedente a
quello della sua liberazione. Volevo che fossero l'uno la continuazione
dell'altro nonostante i secoli di narrazione che intercorrono tra di
loro.
Ho preso leggermente male le misure, finendo per non poter tagliare
questo capitolo a metà, ma mi piace come è uscito
e, soprattutto, mi fa piacere aver rispettato quel paletto.
Epica, tra l'altro, non è mai stata nominata nei capitoli al
"presente", prima di ora.
Commedia stesso, in passato, ha ripreso acidamente il Fato intimandogli
di non pronunciare il suo nome, almeno finchè non fosse
stata liberata.
E, a proposito di nominare, voglio mostrarvi qualcosa.
Provate a seguirmi, voglio portarvi a percorrere un tortuoso sentiero
di un mio ragionamento narrativo.
Ho creato la figura eterea della Trama del Reale. Più o meno
tutti voi vi sarete disegnati in mente una sua concezione, la mia
è che sia un intreccio di frasi, come se ogni persona si
lasciasse alle spalle una coda di parole che raccontano quello che ha
fatto e che ogni filo si vada ad intrecciare con gli altri fino a
formare, appunto, la trama su un'immenso orditoio.
Torniamo un po' più concreti, sapendo questo.
Ho voluto intendere la narrazione fisica, le frasi che voi leggete,
come appunto fosse parte della Trama.
Le Muse hanno ricevuto il dono di essere completamente slegate
dall'intreccio, al punto che, prima che questo venisse sigillato, ci
vivevano all'interno, ed è per questo che la Trama, la
narrazione, se vogliamo rompere il parallelismo, non può
riferirsi a loro chiamandole per nome. Un po' come un passante che deve
descrivere un evento che gli è accaduto davanti. Se non
conosce qualcuno, non potrà riferirsi a lui con un nome ma
dovrà ricorrere a delle descrizioni.
"L'elfo dai capelli neri"
"L'essere"
"La creatura"
"La nube"
Non ho mai utilizzato un nome, qualunque esso fosse, durante la
narrazione. L'unico momento in cui li avete letti è stato
durante i dialoghi oppure durante le riflessioni di Commedia.
Un minuto di pausa. Potete riprendere fiato e rimettere assieme il
cervello.
Siamo entrati nell'ultimo terzo della storia, ho detto.
Non che non sia corretto, ma... non lo è.
Io non ho scritto tre "libri", tre racconti per meglio dire.
Ne ho scritto solo uno.
I personaggi hanno bisogno di una storia con un inizio per presentarsi,
uno svolgimento per agire e una conclusione in cui i nodi vengono al
pettine.
- La Guerra degli Elementi: Conoscente il Viandante, lo scoprite pian
piano, lo ascoltate nei suoi deliri fino a scoprire che cosa
effettivamente è e, nell'ultimo capitolo, venite a
conoscenza di Lei.
- L'ombra del Passato: Commedia comincia ad agire, si fa carico di
alcuni compiti fino ad arrivare al culmine in cui combatte contro
Follia e lo sconfigge. Ma arriva qui profondamente cambiato rispetto
all'inizio del viaggio.
- Figli della Trama: Follia è sconfitto, Lei è
stata liberata, Commedia non è più asservito, si
è scoperto chi sono Loro. Si va per una conclusione
definitiva.
Potremmo dire, a questo punto, che le Leggende del Fato, quali che siano i
sottotitoli, non siano altro che i capitoli, gli Atti teatrali, della
storia di Commedia.
Resistete, manca poco.
Manca poco, in realtà, anche alla fine di questa storia.
Non ho idea di quanti capitoli manchino, ma non penso che saranno
ancora tanti.
Quando poi avrò messo la parola fine a questo progetto,
poi... prenderò una pausa, per lo meno da lavori di questa
portata.
Mi piacerebbe provare a scrivere degli esercizi di stile, in cui
portare all'esasperazione le descrizioni per creare dei capitoli "da
leggere a occhi chiusi" per arrivare a rendervi nitido quello che io ho
immaginato.
Magari, se avrò voglia e ispirazione, sarebbe interessante
partecipare a qualche contest, per mettermi alla prova con tematiche
che non mi appartengono.
Vedremo.
Per il momento, alla prossima.
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