ReggaeFamily
Mess
Of Meat
Un
ragazzo minuto e terribilmente magro imbracciò la sua chitarra
elettrica e fece il suo ingresso nell'aula magna.
Non
sapevo cosa aspettarmi da quella band. Tutti parlavano del concerto
di fine anno come un grande evento, facendo sì che mi
incuriosissi parecchio e mi presentassi all'ultima assemblea del mio
primo anno di liceo.
«Jas,
quello è Daron Malakian» mi sussurrò la mia amica
Patricia.
«Non
mangia?» commentai perplessa, osservando le braccia e le gambe
più sottili delle mie.
«Mangia
eccome, l'ho visto io in mensa!» affermò Patricia, poi
sospirò. «Vorrei essere come lui e potermi abbuffare
senza prendere neanche un grammo!»
Le
lanciai una breve occhiata. «Anche tu sei così» le
feci notare.
«No!
Stamattina mi sono pesata e rispetto a ieri ho preso trecento grammi,
è una tragedia! Non avrei dovuto mangiare quella fetta di
torta ieri a cena...»
«Tricia,
ti sei pesata prima o dopo essere andata al bagno?» le chiesi.
Lei
mi osservò stralunata, sgranando i grandi occhi azzurri. «Ma
cosa...» Poi comprese la mia battuta e sospirò. «Ma
che stronza!» esclamò.
Fummo
interrotte da Daron Malakian che faceva un breve check con il suo
strumento. Il ragazzo frequentava il quarto anno di liceo e io non lo
conoscevo molto bene; lo avevo visto in mensa o nei corridoi, ma non
avevo neanche idea che suonasse la chitarra.
Poco
dopo, qualche altro musicista lo raggiunse sul palco dell'aula
magna e lo seguì nel soundcheck.
«Invece
quello è Matthew Harper, quello che mi piace» cinguettò
Patricia.
«Ti
piace quello?» bofonchiai, scrutando il tizio che suonava il
basso; era il classico ragazzo palestrato, non tanto alto e con i
capelli cortissimi. Aveva un viso non molto bello, però
probabilmente la mia amica lo trovava affascinante o era attirata dai
suoi muscoli.
«Sì,
ormai ho dimenticato Tristan» ammise in tono risoluto.
Daron
Malakian si accostò al microfono e cominciò a parlare.
«Salve a tutti! Noi siamo i Bastard Crows e oggi vi suoneremo
un paio di pezzi composti da noi. Be', composti da
me» chiarì
infine.
«Che presuntuoso»
buttai lì.
«Per avere successo
bisogna esserlo, Jas» spiegò Patricia sicura di sé.
«Se lo dici tu...»
Stare
sul palco mi rendeva libero. Mi faceva sentire
a casa, mi aiutava a sfogarmi e a mostrare a tutti la mia creatività.
Forse non ero un chitarrista famoso e non avevo mai preso una sola
lezione di canto, ma non mi importava.
Amavo comporre musica e
suonarla dal vivo, il resto non contava poi tanto.
Brian Collins, il batterista
della band, staccò il tempo con quattro colpi di bacchette e
poi tutti noi cominciammo a suonare.
Mi rendevo conto che la
nostra musica era ancora acerba e probabilmente dal sound terribile,
ma non importava. Era ciò che avevo composto e volevo
suonarlo.
Il testo era stupidissimo,
in confronto le canzoni per bambini avevano più senso. Il
brano era un misto tra punk e thrash metal, un genere che non sapevo
se esistesse.
Cominciai a cantare con voce
stridula, senza mettere troppo impegno nell'intonazione.
Drugs are beautiful
Butterflies eat
successful
My bitch wants money
My skin feels like honey
Eyes kill life
You kill your wife
Avevo pensato soltanto alle
rime, non a dare un senso compiuto alle frasi che avevo buttato giù.
Tutto era assonante, una figata, ero veramente soddisfatto.
Del
resto, un sacco di persone avevano fatto successo con canzoni senza
testo o con un testo ripetitivo e insensato. Basti pensare a Fly,
Robin, Fly delle Silver
Convention.
Suonai e cantai quasi del
tutto a caso, e verso la fine del pezzo cominciai a gridare tentando
di fare scream. Sapevo perfettamente di essere una schiappa, ma il
fatto che fossi certo di ciò che stavo eseguendo mi dava la
forza per andare avanti a testa alta.
Infatti non mi sorprese lo
scroscio di applausi che riempì l'aula magna del liceo, così
come i fischi di disapprovazione che si mischiarono a esso.
La prima canzone era andata,
ora il cammino sarebbe stato in discesa.
«Vedi, Jas, lui è
convinto di ciò che fa, ma non credere che non sappia quanto
fa schifo. È questo il segreto» disse Patricia, quando
la prima canzone dei Bastard Crows giunse alla fine.
«Mmh... però
fanno davvero pietà» commentai, chiedendomi come potesse
Daron Malakian non vergognarsi di aver condiviso con il mondo un tale
scempio.
Lo fissavo e pensavo che, in
ogni caso, ci sapeva proprio fare. Era un ragazzo spigliato, non gli
importava del parere degli altri e mostrava con orgoglio l'orrore dei
suoi brani e dei suoi capelli lunghi e tinti di azzurro. Aveva
carattere, aveva stile e forse aveva anche talento.
Doveva soltanto
perfezionarsi.
Il concerto aveva
tendenzialmente fatto schifo, ma era andato alla grande. Mi asciugai
il sudore in un angolo dell'aula magna, un punto che si trovava poco
distante dalla porta. Tutti gli studenti se ne stavano andando, visto
che il mio era stato l'ultimo gruppo a esibirsi. Mi sfilavano accanto
e molti di loro mi lanciavano occhiate stranite, alcuni mi salutavano
con amichevoli pacche sulle spalle e la schiena. La fortuna era che
la maggior parte di loro mi ignorò deliberatamente e la cosa
mi andava più che bene.
Due ragazze si fermarono a
poca distanza da me. Si trattava di Patricia Andersen e della sua
amica che conoscevo solo di vista. Sapevo il nome della prima perché
il mio bassista le aveva messo gli occhi addosso da un po', e non
faceva che ripetere che voleva farle ogni tipo di porcheria. Non che
avesse tutti i torti: Patricia era bella, bionda, occhi azzurri,
vestita alla moda e molto aperta e socievole.
«Ciao, Daron!
Complimenti per il concerto, siete stati bravissimi!» esordì
la bionda, facendo un passo avanti. «Senti, sai dov'è
finito Matt?» mi chiese poi, arrivando dritta al punto.
«Ciao Tricia. Matt è
andato al bar a prendere qualcosa da bere» risposi,
sorridendole con fare amichevole. «Se lo raggiungi, gli farà
sicuramente piacere» aggiunsi.
«Oh, perfetto. Jas,
vieni con me?»
L'amica di Patricia scosse
il capo. «No, vai pure, non voglio disturbarti in un momento
così importante» scherzò.
La guardai meglio. Era alta
quanto me, formosa e mora. Portava un paio di occhiali da vista dalla
montatura trasparente e i capelli le ricadevano mossi sulle spalle.
«Okay! Ci vediamo
dopo? Aspettami all'uscita!» squittì Patricia, poi
scomparve in fretta oltre la porta dell'aula magna.
Io rimasi faccia a faccia
con l'altra ragazza.
«Tu come ti chiami?»
le domandai, tanto per fare un po' di conversazione.
Mi accorsi solo in quel
momento che mi stava fissando in maniera strana. Allora gettai
un'occhiata al mio corpo e mi resi conto che ero ancora senza
maglietta.
«Io mi chiamo Janis,
ma ti consiglio di vestirti» replicò sarcastica.
«Oh, scusa. Non hai
mai visto un ragazzo a petto nudo?» la punzecchiai, afferrando
una maglia nera pulita e infilandola in fretta.
«Sì, ma tu fai
paura. Non mangi abbastanza?»
Rimasi spiazzato. Quella
tipa non aveva peli sulla lingua, parlava come se non provasse alcun
imbarazzo, il che non poteva definirsi tipico di tutto le
adolescenti. La maggior parte delle ragazze che conoscevo erano
complessate e timide, arrossivano per ogni sciocchezza e balbettavano
come cretine.
Janis non era così e
la cosa mi sorprese non poco.
«Forse mangio poco»
ribattei, facendo un passo verso di lei. «Non è che ti
va di sfamarmi?» buttai lì, con il chiaro intento di
metterla in difficoltà e capire fino a che punto sarebbe
riuscita a stare calma e impassibile.
Lei mi guardò negli
occhi senza alcun timore. «Se ti va, sì. Sono un'ottima
cuoca. Ieri ho provato a cucinare un pasticcio di carne che è
venuto fuori buonissimo.»
Scoppiai a ridere e le
battei sulla spalla. «Sei forte, Janis. Mi piaci.»
«Tieni le mani a
posto, eh?» borbottò.
«Comunque, accetto.
Sono curioso di assaggiare quel pasticcio di carne.»
«Va bene! Quando vuoi
tu.»
Sorrisi. «Anche
subito.»
Non avrei mai pensato che io
e quell'idiota di Daron saremmo diventati amici.
Ripensavo a quel giorno in
cui ci eravamo conosciuti in aula magna dopo il suo riprovevole
concerto con la sua riprovevole band di sfigati, e non riuscivo a
capacitarmene.
Erano trascorsi venticinque
anni da quando io e lui avevamo cominciato a frequentarci, e da
allora non ci eravamo mai persi di vista. Avevo imparato a conoscere
Daron, a capirlo e ad apprezzarlo.
Era
il mio migliore amico da quando ero in prima liceo,
ed ero stata fortunata a trovarlo. Da quando aveva assaggiato il mio
pasticcio di carne non mi aveva più abbandonato, e ogni tanto
mi chiedeva di preparargliene un po' in nome dei vecchi tempi.
Ci avevo visto giusto: il
mio amico aveva talento e questa sua dote era stata notata. Ero stata
partecipe di tutta la sua carriera musicale, gli ero stata accanto
quando aveva creato il progetto Soil, quando poi questo si era
trasformato in una band di successo planetario come i System Of A
Down.
Quando faceva qualche tour
negli States mi capitava di accompagnarlo e mi ritenevo molto
fortunata. Ero stata al suo fianco durante le sue disastrose
relazioni amorose, lo avevo messo in guardia da Jessica Miller e
avevo gioito quando mi aveva presentato Gayané.
E lui era stato con me
durante le mie relazioni amorose più che complicate, fino a
fare da testimone alle mie nozze con Evelyn.
Daron aveva sempre capito
che non ero interessata ai ragazzi ma alle ragazze, e forse questo ci
aveva aiutato a rimanere sempre e soltanto amici. L'amicizia tra uomo
e donna era difficile proprio perché spesso si intrometteva
l'attrazione a rovinare tutto.
Mentre
ripensavo a Daron e a quanto fosse importante per me, cucinavo e
canticchiavo uno degli ultimi singoli degli Scars On Broadway, Lives.
In
realtà conoscevo quelle canzoni da quando Daron
le aveva registrate sei anni prima, anzi, anche da prima. Mi rendeva
sempre partecipe delle sue composizioni e io gli dicevo sinceramente
cosa ne pensavo.
Evelyn entrò in
cucina e si fiondò ad aprire il frigorifero. «Ehi, chef,
che combini?» mi chiese, recuperando una bottiglia di birra
ghiacciata.
«Ciao bellezza. Cucino
il pasticcio di carne.»
Evelyn si batté una
mano sulla fronte. «Oggi è il compleanno di Daron, quasi
me ne dimenticavo!» esclamò.
La
guardai storto. «Non devi mai dimenticarti
del suo compleanno» puntualizzai.
«Ah, piantala! 18
luglio 2018... quanti anni ha compiuto?» mi chiese mia moglie,
stappando la bottiglia con un cavatappi a forma di gatto.
«Quarantatré.»
Evelyn sgranò gli
occhi verdi, rendendoli ancora più grandi del solito. «Di
già? Eppure non si direbbe...»
Ridacchiai, assaggiando un
pezzetto di carne per assicurarmi che fosse cotta al punto giusto.
«In effetti è sempre un bambino» osservai in tono
condiscendente. Poi aggiunsi: «Sbrigati, andiamo a fargli una
sorpresa. Gayané mi ha assicurato che per il momento è
in casa».
Evelyn gettò
un'occhiata all'orologio da parete mentre sorseggiava il liquido
ambrato direttamente dalla bottiglia. «Sono quasi le undici e
mezza. Dobbiamo autoinvitarci a pranzo a casa sua?»
Annuii. «Hai capito.»
«La tua poesia è
pronta?» chiese poi, sistemandosi i capelli corti e rossi
dietro le orecchie.
«Certo!» saltai
su. «E anche il pasticcio di carne lo è.»
Spensi il fornello e mi
accostai a Evelyn, rubandole la bottiglia di birra. Ne sorseggiai un
po' e la trovai ristoratrice, viste le temperature elevate che
stavano facendo impazzire tutta Los Angeles.
«Ladruncola!»
gracchiò mia moglie, allungandosi per farmi il solletico su un
fianco.
Per poco non lasciai cadere
il contenitore di vetro che tenevo in mano. Mi piegai in avanti,
cominciando a ridere senza ritegno.
Evelyn mi sfilò la
bottiglia di mano e la appoggiò sulla penisola in marmo alla
sua destra, poi mi attirò a sé e mi baciò con
decisione.
Un bacio che sapeva di birra
e di amore.
«Corriamo a
prepararci, altrimenti non rispondo di me stessa» grugnii, per
poi spingerla via e avviarmi in bagno.
Il campanello suonò e
io lanciai un'occhiata a Gayané.
Mia madre, seduta a
sonnecchiare su una poltrona, sobbalzò e si guardò
attorno spaesata.
«Zepur,
stai tranquilla, è solo il campanello» disse mio padre,
per poi farmi cenno di andare ad aprire.
Mentre raggiungevo la porta
d'ingresso, mi chiesi se fosse stata una buona idea quella di
organizzare quel pranzo in famiglia per il mio stupido compleanno.
Gayané aveva
insistito, facendomi capire che non potevo sempre comportarmi da
idiota. «I tuoi genitori ci tengono a queste cose, non
deluderli, è solo un pranzo» mi aveva detto.
Il punto è che mi ero
dovuto mettere ai fornelli, e il risultato era stato parecchio
disastroso. Un esperimento di pollo con patate sfrigolava in forno da
mezzora e io non avevo assolutamente idea di cosa fosse venuto fuori.
Quando spalancai la porta,
quasi strillai per la sorpresa. Due donne a me molto familiari
stazionavano sulla soglia: una era mora con i capelli mossi legati
in una coda di cavallo, gli occhiali dalla montatura rossa, il corpo
formoso e il viso rotondetto. L'altra era alta, magra e slanciata,
portava i capelli rossi a caschetto, indossava abiti sportivi e mi
fissava con due intensi occhi verdi.
«E voi che ci fate
qui?» gracchiai.
Janis stringeva in mano un
fagotto sospetto, ma non appena mi vide lo abbandonò tra le
mani di Evelyn e mi si fiondò addosso, abbracciandomi con
forza. «Auguri, amico mio! Hai compiuto quarantatré
anni, te ne rendi conto? Non sei contento?»
Ricambiai
la stretta e la baciai sulla fronte. «Eh insomma...
sto invecchiando» borbottai. «Dai, venite dentro! Che
bella sorpresa!» aggiunsi.
Janis mi lasciò
andare, permettendo così a Evelyn di salutarmi. Mi batté
una mano sulla spalla e sorrise. «Ciao, mascalzone. Buon
compleanno.»
«Grazie, ragazza
cattiva» risposi, scompigliandole i capelli.
Raggiungemmo il salotto e
Gayané salutò le nuove arrivate come se sapesse già
del loro arrivo. Le lanciai un'occhiata truce e lei mi fece
l'occhiolino.
I miei genitori riconobbero
subito Janis e la accolsero con calore. Quella ragazza per me era
sempre stata come una sorella, aveva perfino dormito a casa mia, nel
letto con me. Tra noi non c'era mai stata malizia, eravamo sempre
stati grandi amici e c'eravamo stati sempre l'uno per l'altra.
«Daron, ti ho portato
un regalo speciale» disse Janis, ficcandomi in mano il fagotto
sospetto che aveva con sé quando era arrivata.
Lo appoggiai sul tavolo del
soggiorno e lasciai cadere il panno che lo avvolgeva, scoprendo che
si trattava di una grande pentola stracolma di cibo.
Mi voltai a guardarla e
sgranai gli occhi. «Il pasticcio di carne?» feci
perplesso.
«Esattamente. Come
potevo evitarlo?» rispose, raggiungendomi. Mi avvolse le spalle
con un braccio e mi baciò sulla guancia. «Tanti auguri.
Spero sia venuto buono come al solito.»
Quel suo gesto quasi mi
commosse. Janis sapeva essere dolce e affettuosa, anche se molte
volte mancava di tatto quando doveva dire la verità a
qualcuno.
«Ti ho preparato anche
qualcos'altro» aggiunse qualche istante dopo, porgendomi un
foglio arrotolato e legato con un elastico per capelli nero.
Mi rigirai l'oggetto tra le
mani e udii attorno a me le risatine dei presenti. «Che roba
è?»
«Aprilo e lo
scoprirai» mi suggerì Evelyn, accostandosi a sua volta a
me.
Srotolai il foglio e rimasi
a fissarlo con perplessità. Si trattava di un componimento in
versi, scritto a mano da Janis.
«Oh no, una di quelle
dannate poesie di compleanno...» farfugliai, lasciandomi
sfuggire un sospiro.
«Quest'anno ti tocca»
affermò Janis, per poi voltarsi in direzione dei miei
genitori. «Vartan, Zepur, dovete sapere che da quando ho
sperimentato la prima poesia in rima per il compleanno di Eve, non mi
sono più fermata. E stavolta ne ho scritto una per il vostro
bambino» spiegò loro, strizzando l'occhio.
Tutti risero e Gayané
si avvicinò per sbirciare sul foglio. «Leggila a voce
alta» mi esortò in tono divertito.
«Cosa?»
«Gaya ha ragione!
Leggi!» strepitò Janis, battendo le mani per attirare
l'attenzione di tutti.
«Uhm... va bene...»
Mi schiarii la gola e
cominciai a leggere.
Caro Daron, amico mio adorato,
sei un uomo ormai maturo e
navigato! (?)
La nostra amicizia cominciò
a quell'assemblea
in cui tu suonasti di fronte a
una grande platea!
I tuoi testi facevano pena,
cantavi con voce strozzata,
ma fin da subito di te mi sono
innamorata! (?)
Eri presuntuoso e magro come
uno stecchino
e avevi ancora i lineamenti da
bambino!
Adesso le cose non sono
cambiate, sai?
Lo so che tu non crescerai mai!
Il mio pasticcio di carne ti ha
conquistato,
e da allora non mi hai più
mollato:
abbiamo dormito insieme e ci
siamo confidati,
abbiamo combinato un sacco di
malefatti!
Siamo andati in tour insieme,
come amici, come fratelli,
i momenti con te sono sempre
incredibilmente belli!
Ti voglio bene, starei a
parlare con te per ore,
sarai sempre parte integrante
del mio cuore! ♥
Con le lacrime agli occhi,
lasciai cadere il foglio sul tavolo e mi voltai verso Janis.
Ridevo e piangevo, non
sapevo neanche io quale delle due reazioni prevalesse sull'altra.
«Ti è
piaciuta?» mormorò, guardandomi negli occhi.
Senza dire una parola, la
attirai a me e la strinsi forte in un abbraccio, scoppiando a
piangere come un bambino. Non riuscivo a trattenere né
nascondere quelle lacrime di commozione: nessuno aveva mai scritto
una poesia per me, e quella di Janis era ancora più preziosa
perché era talmente divertente e dolce da lasciarmi senza
parole.
«Grazie»
sussurrai. «Anche io ti voglio bene.»
Evelyn batté le mani.
«Ora basta con tutto questo miele! Ho una fame da lupi, che ne
dite di mangiare?» ruppe l'idillio.
Io e Janis sciogliemmo
l'abbraccio e scoppiammo a ridere.
«Cosa dicevano i testi
delle canzoni di mio figlio quando suonava al liceo?» volle
sapere mamma.
Janis cominciò a
recitare alcune delle frasi più insensate delle mie
composizioni giovanili, e tutti ridemmo e scherzammo per un bel po'
su quell'argomento.
Fu il compleanno più
bello della mia vita, e ne fui certo anche quando rilessi più
e più volte la poesia di Janis, quella sera prima di andare a
dormire.
♥
♥ ♥ ♥ ♥ ♥ ♥ ♥ ♥
♥ ♥ ♥ ♥ ♥ ♥ ♥ ♥
♥
Carissimi lettori,
eheheheh ^^”
Ho scritto per John
tre giorni fa, come potevo non farlo per Daron?
Il nostro caro
chitarrista oggi compie quarantatré anni, e così ho
pensato a questa bellissima storia di amicizia per festeggiare al
meglio quest'importante ricorrenza!
Volevo solo fare
alcune precisazioni: sia il testo insensato di Daron quando suonava
con i Bastard Crows (mia invenzione XD) che la poesia che Janis gli
ha scritto, sono delle mie creazioni. Le ho composte durante la
stesura della storia, spero vi siano piaciuti ;)
Vi lascio anche il
link del brano delle Silver Convention a cui Daron fa riferimento
quando fa l'esempio di canzoni con testi ripetitivi e insensati, ecco
a voi Fly, Robin, Fly:
https://www.youtube.com/watch?v=oUPdG4DA42g
Infine, il titolo
della storia – Mess Of Meat – significa pasticcio
di carne, uno dei motivi che hanno avvicinato Daron e Janis, per
poi non farli mai più allontanare! X'D
Attendo i vostri
commenti e ne approfitto per augurare ancora buon compleanno a quel
pazzo di Daron Vartan Malakian ♥
Alla prossima e
grazie a chiunque leggerà, recensirà, preferirà
e ricorderà questa piccola storia :3
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