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Autore: Kim WinterNight    18/07/2018    4 recensioni
Tra canzoni insensate, chiacchiere e versi in rima, si snoda la storia di Daron e Janis.
E a fare da cornice al loro rapporto c'è un singolare e delizioso pasticcio di carne.
[Una piccola OS per augurare a Daron un felice quarantatreesimo compleanno ♥]
Genere: Comico, Fluff, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Slash, FemSlash | Personaggi: Daron Malakian, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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ReggaeFamily

Mess Of Meat





Un ragazzo minuto e terribilmente magro imbracciò la sua chitarra elettrica e fece il suo ingresso nell'aula magna.

Non sapevo cosa aspettarmi da quella band. Tutti parlavano del concerto di fine anno come un grande evento, facendo sì che mi incuriosissi parecchio e mi presentassi all'ultima assemblea del mio primo anno di liceo.

«Jas, quello è Daron Malakian» mi sussurrò la mia amica Patricia.

«Non mangia?» commentai perplessa, osservando le braccia e le gambe più sottili delle mie.

«Mangia eccome, l'ho visto io in mensa!» affermò Patricia, poi sospirò. «Vorrei essere come lui e potermi abbuffare senza prendere neanche un grammo!»

Le lanciai una breve occhiata. «Anche tu sei così» le feci notare.

«No! Stamattina mi sono pesata e rispetto a ieri ho preso trecento grammi, è una tragedia! Non avrei dovuto mangiare quella fetta di torta ieri a cena...»

«Tricia, ti sei pesata prima o dopo essere andata al bagno?» le chiesi.

Lei mi osservò stralunata, sgranando i grandi occhi azzurri. «Ma cosa...» Poi comprese la mia battuta e sospirò. «Ma che stronza!» esclamò.

Fummo interrotte da Daron Malakian che faceva un breve check con il suo strumento. Il ragazzo frequentava il quarto anno di liceo e io non lo conoscevo molto bene; lo avevo visto in mensa o nei corridoi, ma non avevo neanche idea che suonasse la chitarra.

Poco dopo, qualche altro musicista lo raggiunse sul palco dell'aula magna e lo seguì nel soundcheck.

«Invece quello è Matthew Harper, quello che mi piace» cinguettò Patricia.

«Ti piace quello?» bofonchiai, scrutando il tizio che suonava il basso; era il classico ragazzo palestrato, non tanto alto e con i capelli cortissimi. Aveva un viso non molto bello, però probabilmente la mia amica lo trovava affascinante o era attirata dai suoi muscoli.

«Sì, ormai ho dimenticato Tristan» ammise in tono risoluto.

Daron Malakian si accostò al microfono e cominciò a parlare. «Salve a tutti! Noi siamo i Bastard Crows e oggi vi suoneremo un paio di pezzi composti da noi. Be', composti da me» chiarì infine.

«Che presuntuoso» buttai lì.

«Per avere successo bisogna esserlo, Jas» spiegò Patricia sicura di sé.

«Se lo dici tu...»



Stare sul palco mi rendeva libero. Mi faceva sentire a casa, mi aiutava a sfogarmi e a mostrare a tutti la mia creatività. Forse non ero un chitarrista famoso e non avevo mai preso una sola lezione di canto, ma non mi importava.

Amavo comporre musica e suonarla dal vivo, il resto non contava poi tanto.

Brian Collins, il batterista della band, staccò il tempo con quattro colpi di bacchette e poi tutti noi cominciammo a suonare.

Mi rendevo conto che la nostra musica era ancora acerba e probabilmente dal sound terribile, ma non importava. Era ciò che avevo composto e volevo suonarlo.

Il testo era stupidissimo, in confronto le canzoni per bambini avevano più senso. Il brano era un misto tra punk e thrash metal, un genere che non sapevo se esistesse.

Cominciai a cantare con voce stridula, senza mettere troppo impegno nell'intonazione.


Drugs are beautiful

Butterflies eat successful

My bitch wants money

My skin feels like honey

Eyes kill life

You kill your wife


Avevo pensato soltanto alle rime, non a dare un senso compiuto alle frasi che avevo buttato giù. Tutto era assonante, una figata, ero veramente soddisfatto.

Del resto, un sacco di persone avevano fatto successo con canzoni senza testo o con un testo ripetitivo e insensato. Basti pensare a Fly, Robin, Fly delle Silver Convention.

Suonai e cantai quasi del tutto a caso, e verso la fine del pezzo cominciai a gridare tentando di fare scream. Sapevo perfettamente di essere una schiappa, ma il fatto che fossi certo di ciò che stavo eseguendo mi dava la forza per andare avanti a testa alta.

Infatti non mi sorprese lo scroscio di applausi che riempì l'aula magna del liceo, così come i fischi di disapprovazione che si mischiarono a esso.

La prima canzone era andata, ora il cammino sarebbe stato in discesa.



«Vedi, Jas, lui è convinto di ciò che fa, ma non credere che non sappia quanto fa schifo. È questo il segreto» disse Patricia, quando la prima canzone dei Bastard Crows giunse alla fine.

«Mmh... però fanno davvero pietà» commentai, chiedendomi come potesse Daron Malakian non vergognarsi di aver condiviso con il mondo un tale scempio.

Lo fissavo e pensavo che, in ogni caso, ci sapeva proprio fare. Era un ragazzo spigliato, non gli importava del parere degli altri e mostrava con orgoglio l'orrore dei suoi brani e dei suoi capelli lunghi e tinti di azzurro. Aveva carattere, aveva stile e forse aveva anche talento.

Doveva soltanto perfezionarsi.



Il concerto aveva tendenzialmente fatto schifo, ma era andato alla grande. Mi asciugai il sudore in un angolo dell'aula magna, un punto che si trovava poco distante dalla porta. Tutti gli studenti se ne stavano andando, visto che il mio era stato l'ultimo gruppo a esibirsi. Mi sfilavano accanto e molti di loro mi lanciavano occhiate stranite, alcuni mi salutavano con amichevoli pacche sulle spalle e la schiena. La fortuna era che la maggior parte di loro mi ignorò deliberatamente e la cosa mi andava più che bene.

Due ragazze si fermarono a poca distanza da me. Si trattava di Patricia Andersen e della sua amica che conoscevo solo di vista. Sapevo il nome della prima perché il mio bassista le aveva messo gli occhi addosso da un po', e non faceva che ripetere che voleva farle ogni tipo di porcheria. Non che avesse tutti i torti: Patricia era bella, bionda, occhi azzurri, vestita alla moda e molto aperta e socievole.

«Ciao, Daron! Complimenti per il concerto, siete stati bravissimi!» esordì la bionda, facendo un passo avanti. «Senti, sai dov'è finito Matt?» mi chiese poi, arrivando dritta al punto.

«Ciao Tricia. Matt è andato al bar a prendere qualcosa da bere» risposi, sorridendole con fare amichevole. «Se lo raggiungi, gli farà sicuramente piacere» aggiunsi.

«Oh, perfetto. Jas, vieni con me?»

L'amica di Patricia scosse il capo. «No, vai pure, non voglio disturbarti in un momento così importante» scherzò.

La guardai meglio. Era alta quanto me, formosa e mora. Portava un paio di occhiali da vista dalla montatura trasparente e i capelli le ricadevano mossi sulle spalle.

«Okay! Ci vediamo dopo? Aspettami all'uscita!» squittì Patricia, poi scomparve in fretta oltre la porta dell'aula magna.

Io rimasi faccia a faccia con l'altra ragazza.

«Tu come ti chiami?» le domandai, tanto per fare un po' di conversazione.

Mi accorsi solo in quel momento che mi stava fissando in maniera strana. Allora gettai un'occhiata al mio corpo e mi resi conto che ero ancora senza maglietta.

«Io mi chiamo Janis, ma ti consiglio di vestirti» replicò sarcastica.

«Oh, scusa. Non hai mai visto un ragazzo a petto nudo?» la punzecchiai, afferrando una maglia nera pulita e infilandola in fretta.

«Sì, ma tu fai paura. Non mangi abbastanza?»

Rimasi spiazzato. Quella tipa non aveva peli sulla lingua, parlava come se non provasse alcun imbarazzo, il che non poteva definirsi tipico di tutto le adolescenti. La maggior parte delle ragazze che conoscevo erano complessate e timide, arrossivano per ogni sciocchezza e balbettavano come cretine.

Janis non era così e la cosa mi sorprese non poco.

«Forse mangio poco» ribattei, facendo un passo verso di lei. «Non è che ti va di sfamarmi?» buttai lì, con il chiaro intento di metterla in difficoltà e capire fino a che punto sarebbe riuscita a stare calma e impassibile.

Lei mi guardò negli occhi senza alcun timore. «Se ti va, sì. Sono un'ottima cuoca. Ieri ho provato a cucinare un pasticcio di carne che è venuto fuori buonissimo.»

Scoppiai a ridere e le battei sulla spalla. «Sei forte, Janis. Mi piaci.»

«Tieni le mani a posto, eh?» borbottò.

«Comunque, accetto. Sono curioso di assaggiare quel pasticcio di carne.»

«Va bene! Quando vuoi tu.»

Sorrisi. «Anche subito.»



Non avrei mai pensato che io e quell'idiota di Daron saremmo diventati amici.

Ripensavo a quel giorno in cui ci eravamo conosciuti in aula magna dopo il suo riprovevole concerto con la sua riprovevole band di sfigati, e non riuscivo a capacitarmene.

Erano trascorsi venticinque anni da quando io e lui avevamo cominciato a frequentarci, e da allora non ci eravamo mai persi di vista. Avevo imparato a conoscere Daron, a capirlo e ad apprezzarlo.

Era il mio migliore amico da quando ero in prima liceo, ed ero stata fortunata a trovarlo. Da quando aveva assaggiato il mio pasticcio di carne non mi aveva più abbandonato, e ogni tanto mi chiedeva di preparargliene un po' in nome dei vecchi tempi.

Ci avevo visto giusto: il mio amico aveva talento e questa sua dote era stata notata. Ero stata partecipe di tutta la sua carriera musicale, gli ero stata accanto quando aveva creato il progetto Soil, quando poi questo si era trasformato in una band di successo planetario come i System Of A Down.

Quando faceva qualche tour negli States mi capitava di accompagnarlo e mi ritenevo molto fortunata. Ero stata al suo fianco durante le sue disastrose relazioni amorose, lo avevo messo in guardia da Jessica Miller e avevo gioito quando mi aveva presentato Gayané.

E lui era stato con me durante le mie relazioni amorose più che complicate, fino a fare da testimone alle mie nozze con Evelyn.

Daron aveva sempre capito che non ero interessata ai ragazzi ma alle ragazze, e forse questo ci aveva aiutato a rimanere sempre e soltanto amici. L'amicizia tra uomo e donna era difficile proprio perché spesso si intrometteva l'attrazione a rovinare tutto.

Mentre ripensavo a Daron e a quanto fosse importante per me, cucinavo e canticchiavo uno degli ultimi singoli degli Scars On Broadway, Lives.

In realtà conoscevo quelle canzoni da quando Daron le aveva registrate sei anni prima, anzi, anche da prima. Mi rendeva sempre partecipe delle sue composizioni e io gli dicevo sinceramente cosa ne pensavo.

Evelyn entrò in cucina e si fiondò ad aprire il frigorifero. «Ehi, chef, che combini?» mi chiese, recuperando una bottiglia di birra ghiacciata.

«Ciao bellezza. Cucino il pasticcio di carne.»

Evelyn si batté una mano sulla fronte. «Oggi è il compleanno di Daron, quasi me ne dimenticavo!» esclamò.

La guardai storto. «Non devi mai dimenticarti del suo compleanno» puntualizzai.

«Ah, piantala! 18 luglio 2018... quanti anni ha compiuto?» mi chiese mia moglie, stappando la bottiglia con un cavatappi a forma di gatto.

«Quarantatré.»

Evelyn sgranò gli occhi verdi, rendendoli ancora più grandi del solito. «Di già? Eppure non si direbbe...»

Ridacchiai, assaggiando un pezzetto di carne per assicurarmi che fosse cotta al punto giusto. «In effetti è sempre un bambino» osservai in tono condiscendente. Poi aggiunsi: «Sbrigati, andiamo a fargli una sorpresa. Gayané mi ha assicurato che per il momento è in casa».

Evelyn gettò un'occhiata all'orologio da parete mentre sorseggiava il liquido ambrato direttamente dalla bottiglia. «Sono quasi le undici e mezza. Dobbiamo autoinvitarci a pranzo a casa sua?»

Annuii. «Hai capito.»

«La tua poesia è pronta?» chiese poi, sistemandosi i capelli corti e rossi dietro le orecchie.

«Certo!» saltai su. «E anche il pasticcio di carne lo è.»

Spensi il fornello e mi accostai a Evelyn, rubandole la bottiglia di birra. Ne sorseggiai un po' e la trovai ristoratrice, viste le temperature elevate che stavano facendo impazzire tutta Los Angeles.

«Ladruncola!» gracchiò mia moglie, allungandosi per farmi il solletico su un fianco.

Per poco non lasciai cadere il contenitore di vetro che tenevo in mano. Mi piegai in avanti, cominciando a ridere senza ritegno.

Evelyn mi sfilò la bottiglia di mano e la appoggiò sulla penisola in marmo alla sua destra, poi mi attirò a sé e mi baciò con decisione.

Un bacio che sapeva di birra e di amore.

«Corriamo a prepararci, altrimenti non rispondo di me stessa» grugnii, per poi spingerla via e avviarmi in bagno.



Il campanello suonò e io lanciai un'occhiata a Gayané.

Mia madre, seduta a sonnecchiare su una poltrona, sobbalzò e si guardò attorno spaesata.

«Zepur, stai tranquilla, è solo il campanello» disse mio padre, per poi farmi cenno di andare ad aprire.

Mentre raggiungevo la porta d'ingresso, mi chiesi se fosse stata una buona idea quella di organizzare quel pranzo in famiglia per il mio stupido compleanno.

Gayané aveva insistito, facendomi capire che non potevo sempre comportarmi da idiota. «I tuoi genitori ci tengono a queste cose, non deluderli, è solo un pranzo» mi aveva detto.

Il punto è che mi ero dovuto mettere ai fornelli, e il risultato era stato parecchio disastroso. Un esperimento di pollo con patate sfrigolava in forno da mezzora e io non avevo assolutamente idea di cosa fosse venuto fuori.

Quando spalancai la porta, quasi strillai per la sorpresa. Due donne a me molto familiari stazionavano sulla soglia: una era mora con i capelli mossi legati in una coda di cavallo, gli occhiali dalla montatura rossa, il corpo formoso e il viso rotondetto. L'altra era alta, magra e slanciata, portava i capelli rossi a caschetto, indossava abiti sportivi e mi fissava con due intensi occhi verdi.

«E voi che ci fate qui?» gracchiai.

Janis stringeva in mano un fagotto sospetto, ma non appena mi vide lo abbandonò tra le mani di Evelyn e mi si fiondò addosso, abbracciandomi con forza. «Auguri, amico mio! Hai compiuto quarantatré anni, te ne rendi conto? Non sei contento?»

Ricambiai la stretta e la baciai sulla fronte. «Eh insomma... sto invecchiando» borbottai. «Dai, venite dentro! Che bella sorpresa!» aggiunsi.

Janis mi lasciò andare, permettendo così a Evelyn di salutarmi. Mi batté una mano sulla spalla e sorrise. «Ciao, mascalzone. Buon compleanno.»

«Grazie, ragazza cattiva» risposi, scompigliandole i capelli.

Raggiungemmo il salotto e Gayané salutò le nuove arrivate come se sapesse già del loro arrivo. Le lanciai un'occhiata truce e lei mi fece l'occhiolino.

I miei genitori riconobbero subito Janis e la accolsero con calore. Quella ragazza per me era sempre stata come una sorella, aveva perfino dormito a casa mia, nel letto con me. Tra noi non c'era mai stata malizia, eravamo sempre stati grandi amici e c'eravamo stati sempre l'uno per l'altra.

«Daron, ti ho portato un regalo speciale» disse Janis, ficcandomi in mano il fagotto sospetto che aveva con sé quando era arrivata.

Lo appoggiai sul tavolo del soggiorno e lasciai cadere il panno che lo avvolgeva, scoprendo che si trattava di una grande pentola stracolma di cibo.

Mi voltai a guardarla e sgranai gli occhi. «Il pasticcio di carne?» feci perplesso.

«Esattamente. Come potevo evitarlo?» rispose, raggiungendomi. Mi avvolse le spalle con un braccio e mi baciò sulla guancia. «Tanti auguri. Spero sia venuto buono come al solito.»

Quel suo gesto quasi mi commosse. Janis sapeva essere dolce e affettuosa, anche se molte volte mancava di tatto quando doveva dire la verità a qualcuno.

«Ti ho preparato anche qualcos'altro» aggiunse qualche istante dopo, porgendomi un foglio arrotolato e legato con un elastico per capelli nero.

Mi rigirai l'oggetto tra le mani e udii attorno a me le risatine dei presenti. «Che roba è?»

«Aprilo e lo scoprirai» mi suggerì Evelyn, accostandosi a sua volta a me.

Srotolai il foglio e rimasi a fissarlo con perplessità. Si trattava di un componimento in versi, scritto a mano da Janis.

«Oh no, una di quelle dannate poesie di compleanno...» farfugliai, lasciandomi sfuggire un sospiro.

«Quest'anno ti tocca» affermò Janis, per poi voltarsi in direzione dei miei genitori. «Vartan, Zepur, dovete sapere che da quando ho sperimentato la prima poesia in rima per il compleanno di Eve, non mi sono più fermata. E stavolta ne ho scritto una per il vostro bambino» spiegò loro, strizzando l'occhio.

Tutti risero e Gayané si avvicinò per sbirciare sul foglio. «Leggila a voce alta» mi esortò in tono divertito.

«Cosa?»

«Gaya ha ragione! Leggi!» strepitò Janis, battendo le mani per attirare l'attenzione di tutti.

«Uhm... va bene...»

Mi schiarii la gola e cominciai a leggere.



Caro Daron, amico mio adorato,

sei un uomo ormai maturo e navigato! (?)

La nostra amicizia cominciò a quell'assemblea

in cui tu suonasti di fronte a una grande platea!

I tuoi testi facevano pena, cantavi con voce strozzata,

ma fin da subito di te mi sono innamorata! (?)

Eri presuntuoso e magro come uno stecchino

e avevi ancora i lineamenti da bambino!

Adesso le cose non sono cambiate, sai?

Lo so che tu non crescerai mai!

Il mio pasticcio di carne ti ha conquistato,

e da allora non mi hai più mollato:

abbiamo dormito insieme e ci siamo confidati,

abbiamo combinato un sacco di malefatti!

Siamo andati in tour insieme, come amici, come fratelli,

i momenti con te sono sempre incredibilmente belli!

Ti voglio bene, starei a parlare con te per ore,

sarai sempre parte integrante del mio cuore! ♥



Con le lacrime agli occhi, lasciai cadere il foglio sul tavolo e mi voltai verso Janis.

Ridevo e piangevo, non sapevo neanche io quale delle due reazioni prevalesse sull'altra.

«Ti è piaciuta?» mormorò, guardandomi negli occhi.

Senza dire una parola, la attirai a me e la strinsi forte in un abbraccio, scoppiando a piangere come un bambino. Non riuscivo a trattenere né nascondere quelle lacrime di commozione: nessuno aveva mai scritto una poesia per me, e quella di Janis era ancora più preziosa perché era talmente divertente e dolce da lasciarmi senza parole.

«Grazie» sussurrai. «Anche io ti voglio bene.»

Evelyn batté le mani. «Ora basta con tutto questo miele! Ho una fame da lupi, che ne dite di mangiare?» ruppe l'idillio.

Io e Janis sciogliemmo l'abbraccio e scoppiammo a ridere.

«Cosa dicevano i testi delle canzoni di mio figlio quando suonava al liceo?» volle sapere mamma.

Janis cominciò a recitare alcune delle frasi più insensate delle mie composizioni giovanili, e tutti ridemmo e scherzammo per un bel po' su quell'argomento.

Fu il compleanno più bello della mia vita, e ne fui certo anche quando rilessi più e più volte la poesia di Janis, quella sera prima di andare a dormire.





♥ ♥ ♥ ♥ ♥ ♥ ♥ ♥ ♥ ♥ ♥ ♥ ♥ ♥ ♥ ♥ ♥ ♥


Carissimi lettori, eheheheh ^^”

Ho scritto per John tre giorni fa, come potevo non farlo per Daron?

Il nostro caro chitarrista oggi compie quarantatré anni, e così ho pensato a questa bellissima storia di amicizia per festeggiare al meglio quest'importante ricorrenza!

Volevo solo fare alcune precisazioni: sia il testo insensato di Daron quando suonava con i Bastard Crows (mia invenzione XD) che la poesia che Janis gli ha scritto, sono delle mie creazioni. Le ho composte durante la stesura della storia, spero vi siano piaciuti ;)

Vi lascio anche il link del brano delle Silver Convention a cui Daron fa riferimento quando fa l'esempio di canzoni con testi ripetitivi e insensati, ecco a voi Fly, Robin, Fly:

https://www.youtube.com/watch?v=oUPdG4DA42g

Infine, il titolo della storia – Mess Of Meat – significa pasticcio di carne, uno dei motivi che hanno avvicinato Daron e Janis, per poi non farli mai più allontanare! X'D

Attendo i vostri commenti e ne approfitto per augurare ancora buon compleanno a quel pazzo di Daron Vartan Malakian ♥

Alla prossima e grazie a chiunque leggerà, recensirà, preferirà e ricorderà questa piccola storia :3

  
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