Thomas vive tra le crepe dei muri
incrostati di ogni casa abbandonata, come un incubo esiliato dalla
mente. Vive tra gli scricchiolii sinistri di lunghe gradinate di
legno o tra assi marce di un pavimento polveroso, nel gracchiare di
grossi corvi neri o tra i bisbigli del vento d’inverno che odora di
neve ed eternità.
È in quei momenti, quando il ricordo di
lui riemerge, che Edith cammina ad occhi chiusi; non osa guardare
per paura di un pugnale piantato nello zigomo spigoloso dell’uomo e
di mani insanguinate e femminili che la inseguono brandendo lame
d’ascia.
Di fantasmi non ne ha più incontrati da
allora, dai giorni trascorsi a Crimson Peak. Non le hanno più
parlato, non da quando Thomas è morto e ha trascinato con sé la sua
Lucille.
Lo sa, Edith, che le ha salvato la
vita. Ma quando la notte è sola nel proprio letto, tra coperte che
odorano di lei e di Alan, lo spettro di Thomas torna a farle visita.
Con le mani strette intorno alla
propria camicia da notte, le gambe piegate al petto e i capelli
dorati sparpagliati in una corona di grano sul cuscino, Edith
strizza gli occhi e prega perché la propria mente smetta di
ingannarla.
Non c’è nessuno insieme a lei.
Solo pioggia che dalla finestra aperta
le bagna il volto e si deposita in una carezza gentile sulla sua
guancia.
Solo lampi che schiantati in lontananza
ululano il suo nome.
Solo Thomas che seduto alla sponda del
suo letto, piange lacrime di sangue, perch’è incapace di lasciarla
andare e le manca – oh, se le manca, quanto il sole sulla pelle e
la vita dentro al petto.
Edith si lascia vincere: riapre gli
occhi. Ed ogni volta, nulla accade: gli spettri tornano a
nascondersi.
È
il silenzio, allora, a tormentarla. |