Characters: Killian
Jones - Captain Hook; Jefferson - Mad Hatter;
Pairing: Killian/Jefferson { madhook }
Warning: slash;
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I.
Jefferson tese la mano
in un ampio gesticolare del braccio, pomposo come l'invito di un
principe alla sua principessa.
Killian inarcò un
sopracciglio, guardava con scetticismo il cilindro caduto ai loro
piedi. Poteva sentire l'aria frizzante diventare elettrica nel punto
in cui sfiorava la tesa e un senso di vuoto aprirsi nello stomaco se
focalizzava lo sguardo nel centro, in quel buco nero che sembrava
allargarsi di secondo in secondo, ma rimaneva pur sempre un
cilindro.
«Mi perdonerai se non
mi fido, mate» commentò, senza risparmiarsi il sarcasmo.
«La diffidenza è la tua
migliore dote, amico mio.» Jefferson sorrise, aveva canini
pronunciati e la piacevole curva delle labbra si trasformava sempre
nel sorriso stregato dei gatti, piccole adorabili bestiole
opportuniste.
Non aveva ritratto la
mano. Killian la guardò a lungo prima di cedere e afferrarla tra le
proprie dita, in una presa decisa dell'unica mano – si stupì nel
pensare a come quella di Jefferson fosse più piccola di quanto non
apparisse.
«Ora prendi un bel
respiro e chiudi gli occhi» gli suggerì l'uomo.
«Tante moine per un
cappello.»
«Non farti pregare, mio
caro.»
Killian sospirò, le
palpebre calarono sugli occhi e il mondo si tinse brevemente di
nero.
Per i primi istanti non
accadde nulla. Sentiva lo sguardo di Jefferson su di sé: pur senza
vederlo, poteva immaginarlo spalancare gli occhi in quella sua
espressione allucinata – in quei momenti, era convinto il pirata,
vedeva ogni cosa chiaramente, vedeva il mondo per quello che era
realmente. E vedeva lui come realmente era.
Hook aggrottò la fronte
ad occhi chiusi. «È tardi per confessarti che la pazienza non è mai
stata il mio forte, darling?»
Il silenzio di
Jefferson si caricò del suo respiro.
Vicino.
Caldo.
Soffice.
Come le sue labbra
premute contro quelle del pirata e il suo braccio sollevato a
circondargli le spalle.
Hook aprì gli occhi.
Davanti a sé il volto di Jefferson era un ritratto a olio dipinto
dalla mano di un pittore innamorato: la pelle chiara era spennellata
di un leggero porpora sulle guance, i capelli – una zazzera
spettinata dal taglio asimmetrico – rigavano di castano la fronte,
le labbra avevano una bellezza femminea, di un rosa intenso e
succoso, ed infine gli occhi. Oh, i suoi occhi erano abissi
di lucida follia, oceani in cui Killian avrebbe potuto navigare per
sempre e quando vi si tuffò, non si accorse di star cadendo per
davvero.
Jefferson li aveva
spinti entrambi nel cilindro. In quel bacio, i due erano caduti,
risucchiati dalla magia del cappello.
II.
Poggiato con la schiena
contro il tronco di un albero, Jefferson sbuffò annoiato
dall'attesa.
Avere un pirata {
Capitano, my love. Capitano. } come compagno di giochi
aveva i suoi lati positivi: non c'erano morali o giudizi sulle sue
azioni, non c'erano restrizioni su ciò che avrebbe o non avrebbe
potuto fare e si respirava tra loro una piacevole brezza di libertà.
Erano vento, erano acqua, ed erano, soprattutto, imprendibili.
D'altra parte capitava spesso che i loro obbiettivi e i loro impegni
li portassero a separarsi temporaneamente e il potersi ritrovare era
sempre una scommessa. Ci sarebbe stato il giorno in cui uno dei due
l'avrebbe persa.
Jefferson si rigirò tra
le mani il cilindro, controllando un'ultima volta la strada battuta
che aveva percorso e le orme dei suoi stivali rimaste nel fango.
L'idea di andarsene – gettare il cappello e abbandonare quel mondo e
i suoi abitanti, per tornare al proprio – lo accarezzò e le dita
passarono sul nastro che incoronava il cilindro.
Dondolò con il capo da
un lato all'altro delle spalle, incurvando le labbra in una smorfia
che riempì il volto.
Temporeggiò, inventando
nuove scuse per guadagnare altri minuti e continuare ad aspettare.
Poi...
«SMEE!»
Quell'urlo.
Jefferson si staccò dal
tronco con un colpo di reni.
Lo aveva sentito forte
e chiaro provenire dagli alberi. Passi in corsa spezzavano i
ramoscelli caduti in terra e facevano scricchiolare il tappeto di
foglie secche.
In lontananza, sul
sentiero, Killian Jones correva come se avesse avuto i cani
dell'inferno alle calcagna; dietro di lui, il povero Smee lo seguiva
con passo traballante, trascinandosi una sacca gonfia e pesante.
Jefferson allargò le
braccia, fermo sulla traiettoria del Capitano. «Aspettarti è stato
un tormento, Killian, l'ora del tè è passata da un pezzo.»
L'altro continuò a
correre. Gli caracollò incontro, lo afferrò per un polso e lo
trascinò con sé nella fuga a perdifiato.
«Un impegno mi ha
trattenuto, darling.»
Jefferson si guardò
alle spalle. «I tuoi impegni hanno i forconi.»
«Aye.»
Da qualche parte
esplose un colpo e un pallettone di ferro si conficcò in uno degli
arbusti, crepandone il tronco.
«Uh, hanno anche i
fucili.»
«Aye. È il
momento giusto per usare quel tuo cappello, non credi?»
Si guardarono e Killian
sorrise. Aveva il volto madido di sudore e il colletto del giaccone
lacerato in più punti, là dove la punta di una spada aveva
incontrato il cuoio; eppure era come se risplendesse di luce
propria, di un'energia corroborante che si rifletteva nello sguardo
briccone quando ammiccò verso Jefferson.
La mano del pirata
abbandonò il suo polso per incrociare le dita con le sue; lo
trascinava con una forza che l’altro non avrebbe mai posseduto e
correvano così veloci da fargli venire le vertigini – Jefferson
aveva l'agilità di un felino, era un ladro e un bugiardo e come tale
la fuga era la sua specialità, ma Killian era ali ai piedi e vento
in poppa.
«A proposito, non
pensavo mi aspettassi.»
Jefferson scrollò le
spalle. «Quando ho sentito battere le cinque, ho pensato seriamente
di andarmene.»
«La mancanza della mia
ineguagliabile bellezza ti ha fatto cambiare idea?»
«No, è che,
riflettendoci, è sempre l'ora del te.»
Killian non tentò
nemmeno di seguirne i ragionamenti; aveva la mano di Jefferson
stretta nella propria, un bottino di tutto rispetto (sulle spalle
di Smee) e una nave pronta a solcare ogni oceano conosciuto e
non, dall'altra parte di un cilindro. Affianco a quell’uomo, perfino
la sete di vendetta di Captain Hook svaniva, perduta tra le falde di
un cappello magico.
III.
Il cilindro ruotò sul
ponte della Jolly Roger e la luna illuminò lo sguardo eccitato di
Jefferson. Batteva le mani a ritmo, impaziente di gettarsi in un
altro mondo.
Killian si inginocchiò
e allungò la mano al cappello, fermandone il ruotare – il portale si
richiuse su se stesso, ingoiato nell’interruzione di una magia che
non aveva nemmeno fatto in tempo ad essere creata.
«Non questa volta,
mate» disse, davanti allo sguardo deluso di Jefferson.
«Stanco di saltare?»
«E perdermi una nuova
avventura? Mai. Ma non mi hai ancora detto come funziona
quest'affare.» Sollevò il cappello, guardandovi all'interno. Tra le
proprie mani non era nulla più che un eccentrico cilindro, ma quando
Jefferson si tese per recuperarlo, al suo semplice tocco il velo che
separava la Foresta Incantata dagli altri mondi si mostrò seppur
sottile, aprendo una finestra in cui scorrevano immagini di paesaggi
sconosciuti: un castello di ghiaccio, una città di smeraldo, un
palazzo in bianco e nero…
«Stai pensando di
rubarmelo, Capitano? Come bottino non vale granché senza di me, non
potresti usarlo.»
«In questo caso, per
tua fortuna ho già trovato quello che cercavo nell'ultimo mondo che
abbiamo visitato.»
«Il tuo Coccodrillo?»
Killian tacque, stupito
e Jefferson unì le labbra in un broncetto fanciullesco.
«Sono pazzo, Hook, non
stupido.»
Killian scosse il capo.
Non aveva mai pensato lo fosse e forse iniziava a dubitare anche
sulla sua follia.
Si sedette sul ponte,
con le gambe divaricate e le ginocchia sollevate. Batté la mano
sulle assi, in un invito implicito che Jefferson fu felice di
accogliere, gattonandogli più vicino per prendere posto tra le sue
cosce.
«Quando i miei affari
in sospeso con quel dannato Coccodrillo saranno conclusi, ti
assicuro, se ne accorgerà l'intera Foresta Incantata. Nel
frattempo…» Infilò la mano nella tasca del giaccone, lo stesso che
ancora portava i segni sul colletto dell'ultimo mondo visitato.
Quando la estrasse, un anello d'argento, con un rubino grezzo
incastonato nel centro, riposava sul palmo. Non era raro che quel
genere di gioielli finisse nelle sue tasche e quindi a inanellare le
proprie dita – il rosso, in fondo, era il suo colore. Regalare
quell'anello a Jefferson, tuttavia, fu altrettanto naturale.
«Per me?» gli chiese
l'altro.
«Per te» confermò.
«Oh, per me!»
Killian ebbe
l'impressione di aver già assistito ad uno scambio di battute come
quello. Sorrise quando gli ritornò alla mente.
Incastrò l'uncino al
polso di Jefferson, sollevandogli la mano per infilargli
personalmente l'anello. Gli baciò il dorso, in quella sua eleganza
da gentiluomo che nemmeno una vita da pirata gli aveva potuto
togliere e, con le dita ancora strette in quelle di Jefferson, il
sussurro scivolò caldo sulla pelle.
«Buon non
compleanno, my love.»
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