Si
sentiva come un condannato a morte, quella mattina, mentre si
dirigeva verso Trenwith. Ad ogni passo del cavallo era come se un
nodo alla gola gli impedisse sempre più di respirare e
l'ansia era
sempre più opprimente nel suo stomaco.
Demelza
aveva ragione, doveva andare! Lo doveva ad Elizabeth, gli doveva
delle spiegazioni e delle scuse. Gli doveva dire cosa lo aveva spinto
ad agire come un folle quella notte, cosa provasse e cosa volesse.
La
verità però, era che nemmeno lui sapeva cosa si
stesse agitando nel
suo animo in tumulto. Elizabeth era sempre stata il suo sogno,
incarnava la donna ideale da amare e ammirare e rappresentava tutto
ciò che per lui era giovinezza e spensieratezza. Poi era
arrivata
Demelza, sposata per ripiego ma che poi aveva saputo dargli
serenità,
felicità e un nuovo amore che avrebbe dovuto soppiantare i
vecchi
fantasmi del suo passato. Era felice con lei, lo aveva reso uomo e
padre eppure quell'ombra di Elizabeth, quell'ombra di qualcosa a
lungo sognato e mai avuto, era lì, pronta a riespodergli
nella mente
e nel cuore.
Dopo
la morte di Francis si era preso cura di Elizabeth perché
certo, era
suo dovere come capo della famiglia Poldark ma Ross, in cuor suo,
sapeva anche che era stata la sua antica passione per lei a spingerlo
sempre più spesso a Trenwith a discapito della sua famiglia,
cammuffando il suo comportamento egoista per un atto di
generosità
disinteressato. Aveva abbandonato a loro stessi, per lunghi mesi,
Demelza e Jeremy, adducendo mille scuse. Era stato un pessimo marito
e padre per loro perché era sempre impegnato con Elizabeth e
Jeoffrey Charles a giocare al marito e padre della sua famiglia dei
sogni.
Era
quello che voleva? Era Trenwith? Era Elizabeth? Non aveva pensato in
quei mesi, lui stesso e vergognandosene un pò, che se
Demelza,
Jeremy e il nuovo bambino in arrivo non fossero esistiti, lui avrebbe
potuto finalmente avere la donna da sempre amata?
Eppure
era scappato, dopo averla finalmente avuta! Era andato via, mancando
di rispetto a lei, oltre che alla sua famiglia.
Cosa
voleva allora?
Che
razza di uomo era diventato?
Aveva
fatto del male a lungo alla sua famiglia, aveva disonorato, per poi
sparire senza prendersi alcuna resposabilità, una giovane
vedova, e
ora si sentiva come un ragazzino incapace di far fronte alle
conseguenze generate dai suoi atti sconsiderati.
Si
vergognava di se stesso, tanto... Talmente tanto da chiudersi a
riccio con chiunque, in silenzio, aspettando che per magia passasse
la burrasca e tutto tornasse come prima.
Demelza
aveva ragione anche su un'altra cosa, la miniera in cui passava tante
ore da quando quella notte maledetta aveva distrutto le vite di
tutti, era diventato il suo rifugio. Come i topi, si nascondeva sotto
terra per evitare di vedersi riflesso nella luce del sole e vedere
quanto in basso fosse caduto.
Faceva
male constatare che lui, che spesso aveva giudicato severamente
l'operato di altri, era diventato a sua volta quel tipo d'uomo che
aveva a lungo detestato. Non voleva essere così, voleva
essere un
bravo marito, un buon padre, costruire una famiglia serena accanto
alla donna che aveva sposato e reso padre e invece...
E
invece la sua mente vagava fra Trenwith e Nampara, fra due donne che
si contendevano il suo cuore: una era sua, per legge. L'altra era un
suo antico desiderio e Ross non capiva se ora, dopo averla avuta,
fosse ancora tale oppure se si fosse trasformata nella fine di
un'illusione...
Quando
arrivò ai cancelli di Trenwith, il piccolo Jeoffrey Charles
che
stava giocando nei giardini, gli corse incontro contento. "Zio
Ross, mamma e zia Agatha mi hanno detto che oggi saresti venuto!".
Ross
si sforzò di sorridere, guardandolo, ricordando quante
attenzioni
gli avesse riservato in quei mesi e quanto invece avesse ignorato suo
figlio Jeremy. "Sì, devo parlare con lei di qualcosa di
importante".
"Ti
accompagno!" - si propose il piccolo.
Ma
Ross declinò l'offerta. Avere accanto il bambino poteva
essere una
buona scusa per non affrontare certi argomenti, ma quegli argomenti
andavano affrontati ed era arrivato fin lì per quello. Non
poteva
più scappare. "Dobbiamo parlare di cose da grandi, cose
molto
noiose. Credo che ti divertirai di più quì fuori
a giocare".
"Va
bene! Sono contento che sei venuto, zio Ross! Era tanto che non mi
venivi a trovare, prima era sempre quì da noi".
Ross
deglutì. "Mi spiace, ma ho avuto molto da fare in miniera".
"Alla
Wheal Grace? Mamma dice che avete trovato un grande giacimento e che
ora potrai guadagnare molti soldi".
Ross
sorrise amaramente pensando a quanto avesse inseguito quel sogno con
Demelza e a come ora tutto apparisse lontano, senza importanza o
gioia. "Speriamo..." - rispose, vagamente. "Dov'è la
mamma?".
"A
letto, in questi giorni non sta molto bene".
Ross
si allarmò. "E' malata?".
Jeoffrey
Charles alzò le spalle. "Non proprio, ha solo la nausea.
L'ha
spesso, da inizio settimana".
Sospirò
rinfrancato, non doveva essere nulla di grave, solo una banale
influenza. "Vado da lei, grazie per la chiacchierata".
Il
bambino alzò la manina per salutarlo, mentre si allontanava.
"Grazie
a te per essere venuto a trovarci!".
Ross
annuì, prima di entrare in casa. La servitù lo
guardò con aria
torva, ma ignorò i loro sguardi. Sapeva che loro sapevano,
quella
notte aveva buttato giù a calci la porta di Trenwith, aveva
gridato
come un pazzo e difficilmente quanto successo con Elizabeth e il
fatto che aveva dormito lì, erano passati inosservati.
Era
stato sulla lingua di quelle persone e oggetto dei loro pettegolezzi
per tutti quei due mesi, poteva scommetterci la sua miniera.
Cercò
di passare velocemente dal salone principale per evitare zia Agatha
che, seduta al suo tavolino, giocava a carte, ma fallì
miseramente.
"Nipote,
era da tempo che non venivi da queste parti. Troppo, viste le
circostanze...".
Ross
abbassò lo sguardo. "Buongiorno zia Agatha. Sono
quì perché
devo vedere Elizabeth" – sussurrò, chinandosi a
baciarle la
mano rugosa.
L'anziana
donna girò una carta dei tarocchi, la osservò, la
mise sul tavolo e
annuì seria. "Vedere Elizabeth, sì... Certe cose
vanno fatte.
Hanno la priorità, nipote. E tu hai aspettato anche troppo".
Ross
la guardò senza capire se si riferisse a qualcosa di astruso
visto
nelle carte o se stesse parlando di quanto successo fra lui ed
Elizabeth. Fantastico, pure lei sapeva e di certo non se ne
stupiva...
Imbarazzato,
farfugliò un saluto. E poi salì a grandi falcate
le scale.
Quando
fu davanti alla stanza di Elizabeth prese un profondo respiro,
ricordando con vergogna, passo passo quanto successo fra quelle mura
solo due mesi prima, la sua furia, le urla, la litigata e quella
passione furiosa che ben poco aveva di amorevole, scoppiata fra loro.
C'era
tanto da ricostruire nella sua vita e Ross sapeva che doveva
ripartire da quì per farlo. Bussò e quando lo
voce di Elizabeth lo
invitò ad entrare, si fece coraggio e andò da lei.
Elizabeth
era a letto, con i capelli raccolti in una lunga treccia, poggiata
con la schiena contro il cuscino e aveva indosso una camicia da notte
di seta rosa decorata sul petto. Era bella, bella come quei quadri
che si ammirano nei musei...
Eppure
ora la vedeva in maniera diversa, aveva smesso di essere un sogno
utopistico, l'aveva toccata, fatta sua e aveva spezzato quell'alone
di magia che da sempre aveva ai suoi occhi e ora... ora non sapeva
ancora cosa provava per lei ma era qualcosa di diverso rispetto a
prima.
Elizabeth
rimase per un attimo silenziosa quando lui entrò e si
avvicinò al
letto. Il suo sguardo era muto ed immobile e le sue labbra erano
contorte in una smorfia nervosa. "Cominciavo a temere che fossi
ripartito per la guerra, come allora..." - disse, in tono
sarcastico.
Ross
abbassò lo sguardo. "Scusa se sono sparito ma è
stato tutto
molto difficile per me e sapevo che tu avevi tutto quello di cui
avevi bisogno".
"Ti
sbagli!" - disse lei, freddamente. "Mi mancava la cosa più
importante, mi mancava la tua parola e il suo compimento. Sei venuto
quì, hai preso con la forza ciò che volevi e poi
sei scappato e se
io non ti avessi scritto, oggi non ti saresti ripresentato in questa
casa".
Ross
non aveva nulla da obiettare, lei aveva ragione su tutto e lui era un
pessimo uomo. "Scusa" – ripeté di nuovo
– "Devo
ringraziarti per avermi scritto oppure non mi sarei mai smosso da
dove mi ero rifugiato".
"Non
avrei voluto scriverti, Ross! Avrei voluto fare la superiore, avrei
voluto odiarti, far finta che nulla fosse successo e sposare George.
Ma ho dovuto... E tu ora ti assumerai le tue responsabilità".
Ross
sospirò, sedendosi sul letto accanto a lei. C'era tenerezza
e
gentilezza nei suoi gesti, ora, non era come in quella notte
maledetta e tutto quello che desiderava era fare ammenda e magari
tornare ad essere amici come prima, perdonandosi a vicenda per
l'accaduto. "Elizabeth, credi che potremmo mai superare questa
cosa, in qualche modo?".
"No".
"Elizabeth,
ti prego!".
Lei
gli piantò gli occhi addosso ed in essi ora, assieme alla
rabbia, si
scorgeva tanta disperazione. "Avrei potuto sposare George,
vivere bene, tranquilla, con a disposizione tutto ciò che mi
serviva
per garantire un futuro a mio figlio. Eppure per te avrei rinunciato
a tutto questo se fossi rimasto, se fossi tornato come avevi
promesso, se avessi portato a termine quanto iniziato quella notte
fra noi. O, in fondo, quanto iniziato prima che tu partissi per la
guerra, tanti anni fa".
A
quelle parole, ricordando quanta fretta aveva avuto di scappare dopo
quella notte maledetta, Ross pensò a Demelza, a Jeremy e al
bambino
in arrivo. Era tornato da loro, non sapeva cosa lo avesse spinto ad
agire così con Elizabeth né cosa lo avesse spinto
a tornare a
Nampara dopo averla avuta ma il suo istinto e il suo cuore lo avevano
ricondotto a casa e immaginava che fosse quello che desiderava, che
voleva davvero. Elizabeth era stata una dolce illusione giovanile,
Demelza e la famiglia che avevano formato insieme invece erano il suo
presente, la sua realtà, la sua vita. E a quella sua vita
che amava
ma che spesso aveva bistrattato e data per scontata, carico di
sentimenti di colpa, era tornato. "Sono sposato, ho una moglie,
un figlio e un altro in arrivo. Ho sbagliato a fare quello che ho
fatto, ho sbagliato tanto con te quanto con Demelza e ora vorrei solo
trovare un modo per superare tutto questo".
Elizabeth
lo aveva ascoltato in silenzio, non togliendogli gli occhi di dosso.
La sua espressione era seria e contrita e non c'era traccia alcuna in
lei, della spensierata ragazza di sedici anni che era stata. "Aspetti
un figlio, vero! Anzi, due...".
Quelle
poche parole, quella variabile del destino a cui MAI avrebbe pensato,
ebbero l'effetto di un terremoto su di lui. Sentì la terra
sprofondargli sotto i piedi, la vista annebbiarsi e il baratro
aprirsi davanti ai suoi occhi. Le parole di Elizabeth, tanto
sibilline quanto schiette, non lasciavano spazio a troppe
interpretazioni. No, NOOO!!! Non poteva essere, non poteva
dannazione! Se quello era un incubo, sperava di svegliarsi presto.
"Cosa stai dicendo?".
Lei
gli piantò gli occhi addosso, furibonda. "Sono incinta Ross
e
Francis è morto da otto mesi! Sono incinta e questo esclude
ogni
possibilità di matrimonio con George o chiunque altro. Sono
incinta,
hai distrutto la mia vita e la mia reputazione, hai distrutto
l'immagine di me che ho costruito in tutti questi anni! Sono incinta,
aspetto TUO figlio e quando George lo saprà, mi
toglierà Trenwith
per vendetta, usando la scusa di recuperare i debiti di Francis e io
mi ritroverò sola, con due figli, in mezzo alla strada e
allo
scandalo. Ed è tutta colpa tua...".
Sentì
le gambe cedergli. E ora? Ora cosa poteva fare? Elizabeth aveva
ragione, aveva distrutto la sua vita e adesso lo sapeva, anche quella
di Demelza e dei suoi figli. Come avrebbe potuto guardare ancora in
viso quelle due donne? O i suoi figli? O chiunque incontrasse per
strada? Era il peggiore degli uomini e ora non trovava strade
d'uscita per sistemare il disastro che aveva combinato. Non ne
trovava perché non ce n'erano "Io..." - balbettò,
shoccato.
Lei
sorrise freddamente. "Tu ti prenderai le tue responsabilità!
Hai capito? E' colpa tua, è colpa tua se la vita di mio
figlio sarà
un incubo!".
"Cosa
vuoi che faccia?" - chiese, rimettendosi completamente nelle sue
mani.
"Il
padre, il marito, il capo famiglia. Davanti a me, Dio e tutta la
nostra comunità".
Ross
spalancò gli occhi. Che stava dicendo? "Io sono sposato, ho
un
figlio e Demelza ne aspetta un altro".
"E
nonostante questo, sei venuto a letto con me" –
ribatté lei.
"Quindi ora, da uomo, farai quello che va fatto".
"Cosa
dovrei fare? Ho due bambini, non c'è solo questo che aspetti
tu, a
cui pensare...".
"Che
Demelza sia incinta, non è certo motivo di scandalo, al
momento
siete ufficialmente sposati. Ma quando la mia gravidanza
sarà
evidente, allora per me sarà diverso, sarà un
inferno e la mia vita
sarà distrutta. Sarò additata come una
sgualdrina, come la peggiore
delle donne".
"Non
lo permetterei mai". Ross le prese la mano, la strinse fra le
sue e la guardò con disperazione. "E io farò di
tutto per
aiutarti, tutto quello che mi chiederai. Ma sono e resto il marito di
Demelza".
Lei
lo guardò freddamente. "Non legalmente".
"Cosa?".
Elizabeth
soppesò i suoi pensieri, prima di parlare. "Una volta, hai
detto a me e Francis di aver ingannato il Reverendo Halse per poter
sposare subito Demelza. Lei non era ancora maggiorenne e tu hai
mentito, sostenendo che aveva diciotto anni quando in realtà
ne
aveva appena compiuti solo diciassette. Questo, se ne farai
richiesta, renderà il vostro matrimonio nullo! E una volta
fatto,
potrai sposare me e legittimare la mia posizione e quella di nostro
figlio. Non è quello che abbiamo sempre desiderato, in
fondo, dentro
di noi?".
Ross
la guardò, era incredulo. Ciò che gli aveva
appena proposto era
crudele, insensibile, completamente folle e lei ne parlava come si
parla di un pettegolezzo di mercato. Era sempre stata così?
Tanto
fredda, tanto algida, tanto impermeabile ai sentimenti e alla
pietà... Oppure era la disperazione della sua condizione a
farla
parlare così? "Elizabeth, che diavolo stai dicendo?".
"Annulla
il matrimonio con Demelza, è l'unica cosa che puoi fare per
sistemare questo disastro! Io ti avevo detto NO!".
Ross
scosse la testa, questo non era completamente vero. "Tu mi hai
detto no ma volevi dire sì! Tu mi hai scritto quella
lettera, tu hai
voluto che io venissi quì e che fossi fuori di me".
"Tu
volevi ME!" - urlò lei, contro la sua faccia – "Mi
volevi da tanto, io lo so e lo sai anche tu. Mi volevi ed è
per
questo che sei venuto quì ed è successo
ciò che è successo!".
Ross
abbassò lo sguardo, nuovamente preda di sensi di colpa. Era
vero,
era stato un pessimo marito e spesso si era fermato a pensare a come
sarebbe stata la sua vita con Elizabeth. Spesso, l'aveva desiderata,
con la bramosìa con cui si desidera un frutto proibito. E
l'idea che
Francis l'aveva avuta e che persino George l'avrebbe fatta sua mentre
lui aveva avuto solo languidi sguardi e ammiccamenti da lontano, lo
aveva mandato in bestia. In quella notte maledetta avevano smesso di
esistere il Ross di Nampara, il Ross della Wheal Grace, il Ross che
lottava per gli amici più deboli, il Ross che si ribellava
alle
ingiustizie, il Ross marito di Demelza e il Ross padre di Julia,
Jeremy e di un altro piccolo in arrivo...
In
quella notte era diventato un uomo che mai avrebbe perdonato! Mai si
sarebbe perdonato! Aveva infranto ogni suo ideale, tutti i suoi
proponimenti, era andato contro la logica dei sentimenti e della
ragione. Aveva spezzato il cuore della donna che gli era accanto e
che lo amava e ora avrebbe dovuto infliggerle un nuovo dolore...
Si
chiese se mai, a Nampara, sarebbe tornato il sorriso...
"Elizabeth,
quello che mi chiedi è pura follia. Come posso fare questo a
Demelza? E i miei figli? Cosa ne sarebbe dei miei figli?".
Lei
distolse lo sguardo. "I tuoi figli sono nati all'interno di un
matrimonio nullo. Non meritano nemmeno di portare il tuo cognome".
Ross
si morse il labbro. Era preoccupato e si sentiva in colpa ma allo
stesso tempo i modi di fare di Elizabeth lo irritavano. Stava
parlando dei SUOI bambini, dannazione! Non di oggetti di scarso
valore, dei SUOI FIGLI! "Avrò mentito a Padre Halse, allora!
Ma in questi anni lei è diventata ufficialmente mia moglie,
ora è
una donna adulta e maggiorenne e abbiamo dei figli! Il nostro, il mio
e di Demelza, è un matrimonio! Forse traballante, forse
problematico
ma io sono suo marito e lei mia moglie e questa è una
realtà
incontrovertibile".
Elizabeth
parve andare fuori dai gangheri. Lo prese per il bavero, strinse
forte e lo attirò a se. Era una leonessa in quel momento,
una
leonessa che stava lottando per la sopravvivenza sua e dei suoi
figli. "Me lo devi, tu farai quello che ti ho detto di fare!
Demelza sarà la povera vittima, cosa credi? Di farle del
male? Tutta
la comunità coccolerà la povera figlia di un
minatore ripudiata dal
marito... Lei se la saprà cavare, è abituata a
lavorare! Verso i
bambini non avrai obblighi, dopo l'annullamento del matrimonio non
avranno più diritto al tuo cognome e non saranno un tuo
problema. Io
sono stata danneggiata dal tuo comportamento, io e Jeoffrey Charles
finiremo in mezzo a una strada a causa tua, se non mi sposerai! La
gente ti considererà un bastardo, ma a me non importa e in
fondo
nemmeno a te è mai interessata l'opinione altrui. Ne
parleranno e
poi si stancheranno di farlo e le acque torneranno calme e placide,
dopo un pò!".
"Non
posso farlo" – disse lui, con un filo di voce. Non poteva,
non
per le voci o lo scandalo che ne sarebbero conseguiti, non poteva
perché l'idea di fare una cosa simile a Demelza e ai suoi
bambini lo
annientava...
Si
alzò dal letto, si allontanò da lei arretrando
verso la porta e
guardandola come se fosse la sua peggiore nemica. "Non posso..."
- balbettò di nuovo. E poi uscì, correndo verso
le scale, sentendo
nelle orecchie le grida di Elizabeth che gli urlavano ancora e ancora
che glielo doveva!
Quando
giunse nel salone, per poco non si scontrò con zia Agatha
che
sembrava aspettarlo davanti alle scale.
La
donna lo guardò con severità e poi scosse la
testa sentendo le
grida di Elizabeth. Lo fissò come lo fissava da piccolo
quando aveva
combinato qualche guaio e poi, con la sua voce gracchiante, lo
affrontò. "Certe cose hanno la priorità. Sei un
Poldark e
quello che è in arrivo è un Poldark. Mi spiace
per la tua piccola
sguattera e per i suoi bambini ma il tuo posto non è con
lei".
Ross
non rispose, tutto era sempre più cupo e minaccioso. Tutto
era
sempre più assurdo...
Come
potevano quelle persone che tanto amava e di cui tanto si fidava,
parlare a quel modo di Demelza?
Senza
rispondere, si allontanò da lei. E una volta in giardino,
senza
salutare nemmeno Jeoffrey Charles, saltò sul cavallo e
fuggì via.
Di nuovo...
Ma
stavolta lo sapeva, né la miniera né il suo
cavallo avrebbero
potuto condurlo in un nuovo nascondiglio dove nascondersi come un
topo.
Sarebbe
stata una fuga breve, prima di ripiombare all'inferno...
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