Tutto
quel parlare del
padre aveva fatto nascere in Integra nostalgia per il genitore
così
si diresse nell'ufficio di Arthur e aprì la cassaforte, per
leggere
uno dei suoi diari.
Mentre
frugava fra i
quaderni degli antenati, si imbattè in quella che aveva
soprannominato “la busta gialla”.
Era
una busta sigillata e
dalla sua voluminosità lasciava intuire fosse piena di fogli
scritti. Sopra la busta, la grafia di suo padre e una semplice
scritta “a mio fratello Richard”.
In
tutti quei mesi, ogni
volta che la busta gialla le era capitata fra le mani, Integra
l'aveva ributtata sul fondo della cassaforte con un gesto nervoso,
come se temesse di scottarsi.
Era
indirizzata a
quell'infame di suo zio e già questo era sufficiente per
instillarle
paura.
L'aveva
scritta suo padre
e non poterla leggere le causava sofferenza. Perché era
chiaro che
lei, da quella missiva, fosse esclusa: si trattava di un segreto tra
fratelli.
Non
sapeva quando suo
padre avesse compilato quel plico, se giacesse in cassaforte da mesi
o da anni, se fosse stata una scelta di Arthur non consegnarla al
fratello o se era stata la morte a non dargliene il tempo. A Integra
era sembrato giusto rispettare la volontà del genitore: se
era
indirizzata allo zio, lei non aveva diritto di aprirla anche se
ciò
le causava rabbia e mortificazione, ben sapendo come quel viscido di
Richard non meritasse tanta cortesia.
Quel
giorno però Integra
sostenne una battaglia con se stessa. Non ributtò la busta
gialla
sul fondo della cassaforte, nonostante le sembrasse pesare come un
macigno fra le dita. Come faceva da mesi, per l'ennesima volta si
ripeté che i due fratelli erano morti, non avrebbe fatto un
torto a
nessuno leggendo il contenuto e alla fine dei conti lei era la nuova
Sir Hellsing e per dirigere al meglio l'Ordine dei Cavalieri
Protestanti non doveva avere segreti col passato dell'organizzazione.
Stavolta
riuscì a
convincersi e sedette alla scrivania con la busta in mano. La
profonda convinzione di andare contro la volontà del
genitore le
faceva però tremare le dita mentre apriva i sigilli e
battere il
cuore nel petto così forte da sentirlo rimbombare nelle
orecchie.
Cominciò a leggere con la gola secca dalla paura per la
profanazione
che stava compiendo ma col trascorrere dei minuti il timore
scemò.
I
fogli scritti da suo
padre non contenevano chissà quali terribili segreti. Erano
soltanto
la narrazione degli eventi collegati alla nascita di Richard.
Evidentemente non li aveva mai raccontati al fratello minore o per
poca confidenza o per paura di ferirlo, dato che per un figlio non
doveva essere piacevole sapere certe verità.
Li
aveva poi conservati
nella cassaforte, forse aspettando il momento buono per consegnarli
al fratello o attendendo una sua richiesta specifica. Né
l'una né
l'altro evento si erano verificati e la busta gialla era rimasta
lì
per chissà quanti decenni.
Quella
lettera colmava il
passaggio dai diari di nonna Eva, interrotti bruscamente e quelli di
suo padre che non avendo l'abitudine di parlare della vita privata,
non raccontavano gli ultimi mesi di vita della madre.
Come
terminasse il diario
di Master Eva, Integra lo ricordava bene...
Sul
continente fascismi e
nazismi prendevano piede e in Gran Bretagna erano molti a guardarli
con simpatia, arrivando addirittura a pensare di importarli
sull'isola per ripristinare ordine e disciplina. Tutte idee che Eva
trattava con disprezzo:
-
Se Dio ha messo la
Manica fra noi e quella gente, è per preservarci dalle loro
idiozie.
-
A
Master Eva nulla
importava dei continentali e del resto del pianeta. Era del parere
che nessuno avesse nulla da insegnare agli inglesi,il popolo
più
evoluto del mondo.
Anche
i venti di guerra
che cominciarono a soffiare la lasciavano indifferente, tranne che
per inalberarsi quando qualcuno proponeva di parteciparvi:
-
Abbiamo già dato nella
guerra mondiale. E per cosa, poi? - inveiva Eva - Ogni famiglia del
Regno Unito ha sofferto e perso un caro in un conflitto che non ci
apparteneva. Dobbiamo sacrificare altre nobili vite britanniche per
togliere quegli impiastri dei continentali dai loro guai? Che si
arrangino! E che muoiano, se non sanno cavarsela da soli! -
Ma
era chiaro che la Gran
Bretagna stava facendosi coinvolgere sempre più dai problemi
europei, con grande preoccupazione di Eva che presto ebbe anche
motivi personali per angosciarsi.
Inizialmente,
aveva
pensato alla menopausa. Cos'altro poteva essere, in una donna della
sua età? Così aveva lasciato correre le settimane
nell'ignavia.
Col
tempo però un senso
di inquietudine aveva cominciato a serpeggiarle nelle vene. Certe
sensazioni erano fin troppo somiglianti a quelle provate vent'anni
prima anche se ogni volta cacciava via quel pensiero con stizza: una
vecchia di quarantacinque anni? Che idea ridicola! Finché
una notte
non sentì scalciare nella pancia e allora non ebbe
più dubbi.
La
prima volta che aveva
sentito Arthur muoversi nel suo ventre, si era alzata a sedere nel
letto, gridando di sorpresa e paura, stupita che una creatura tanto
piccola potesse muoversi con tanta forza.
Anche
stavolta si alzò a
sedere nel letto e urlò ma era un grido di angoscia.
Una
donna della sua età!
E con la sua salute precaria! Una gravidanza in queste condizioni era
la morte certa!
Scese
dal letto e cominciò
a passeggiare nervosamente su e giù per la stanza, senza
neanche
rendersi conto di quel che faceva, ripetendo con gola sciutta:
Oh
Dio, allontana da me
questo calice!
Per
giorni e giorni
continuò a pregare, invocando un aborto spontaneo ma il
Signore non
la udì. Così, in un tiepido pomeriggio di inizio
primavere, mentre
era seduta in giardino a godersi il primo sole, master Eva si arrese
all'evidenza: le toccava affrontare quella prova. Prova che oltre al
rischio del parto includeva l'umiliazione di doverlo comunicare a suo
figlio, al Consiglio dei Dodici...
Immaginava
le facce che
avrebbero fatto, a metà fra lo stupito e l'imbarazzato per
poi
cedere il passo, col tempo, all'ilarità e al disprezzo.
“ Una vecchia che si
caccia in un guaio simile! Che sangue caldo! Che incoscienza! E per
soddisfare una voglia, mette a repentaglio l'equilibrio dell'Ordine
dei Cavalieri Protestanti. Con un uomo certe cose non succederebbero.
Mai mettere una donna al comando! “
Come
se le donne, i figli,
li facessero da sole e i padri non avessero responsabilità
di
niente. Eva sospirò: per la prima volta le pesava essere
circondata
unicamente da uomini. Se ci fossero state delle donne nel Consiglio
dei Dodici, sarebbe stata meno dura dare un simile annuncio.
L'unica
consolazione era
che in quella villa c'era almeno un maschio sul cui rispetto poteva
contare. Lo invocò, per cominciare ad informare almeno lui:
-
Vampiro, vieni qui. -
Da
molti anni suo figlio
chiamava la creatura Alucard ma Eva non si era mai abituata a quel
nome. L'aveva conosciuto come “vampiro” e
così avrebbe
continuato a chiamarlo fino alla morte.
Il
nosferatu impiegò
diversi minuti a materializzarsi perché era stato interrotto
nel suo
sonno diurno e quendo apparve, la master si limitò a bucarsi
un dito
con uno spillone per capelli, intimandogli:
-
Lecca. -
Non
serviva altro per
comunicare con lui. Niente giri di parole imbarazzate, avrebbe capito
da solo. Infatti al vampiro bastò succhiare poche gocce di
sangue
per guardare la padrona con occhi preoccupati:
-
E' una battaglia dura
alla tua età. Potresti morire. -
Eva
sorrise intenerita e
accarezzò i capelli del mostro inginocchiato di fronte a
lei, cane
fedele che mirava al sodo. Nessuno stupore, imbarazzo o disprezzo,
solo il timore per il pericolo incombente. Il vampiro
rincarò:
-
Devi sbarazzartene. -
-
Ci ho pensato, cosa
credi? - rispose la master in tono stanco, smettendo di carezzarlo -
Ma siamo realistici, la gravidanza è troppo avanzata, un
aborto
indotto a questo punto è più rischioso del parto.
Ormai è andata
così, non mi resta che farlo nascere e sperare di
sopravvivere. -
Il
vampiro si rialzò in
piedi. Ad un occhio estraneo, la sua master poteva sembrare il
ritratto della salute perché il tempo aveva donato ad Eva un
fisico
matronale. Lui però sapeva quanti acciacchi si celassero
dietro
quell'aspetto florido. Tutte le notti trascorse a caccia di mostri,
sotto la pioggia o con l'umidità, avevano minato il fisico
della
padrona con continui bronchiti e polmoniti e sapeva che le giunture
del suo corpo cominciavano a deformarsi per l'artrosi. Senza tutti
quei malanni, partorire non sarebbe stato così rischioso per
la sua
master.
-
Devi trascorrere i mesi
che restano riposandoti. Pensa soltanto a mettere da parte le energie
per la battaglia. - consigliò il vampiro, nel suo solito
gergo
militaresco.
-
Sarebbe la soluzione
migliore ma dovrei affidare il comando dell'Organizzazione Hellsing
ad Athur. Sarà all'altezza del compito? Certe volte quel
ragazzo mi
preoccupa, sembra un tale scavezzacollo... -
-
E' uno scavezzacollo
solo nella vita privata ma sul lavoro è serissimo. - la
rassicurò
il servo - In questi anni, ogni volta che gli hai affidato una
missione per cominciare a prepararlo al suo ruolo di guida, non ha
forse svolto il lavoro col massimo impegno e ottimi risultati?
Fidati, l'Organizzazione Hellsing è in buone mani. E poi, al
suo
fianco ci sarò io. Ogni che farà una scemenza, lo
rimetterò sulla
retta strada con una sberla. -
Master
Eva sorrise suo
malgrado, immaginando la scena. Poi tornò mesta pensando al
marito
che stava viaggiando in chissà quale angolo di mondo, ignaro
di
tutto, senza scontare sul suo corpo ciò che avevano fatto in
due.
-
E' ingiusto pagare un
prezzo così alto per un po' di piacere. - mormorò
stancamente.
Al
vampiro, la sua master
raggomitolata sulla sedia sembrò così vecchia e
vulnerabile, con le
sue ciocche grigie e le rughe intorno agli occhi, che ne ebbe
tenerezza e con delicatezza le carezzò i capelli. Da quando
si
conoscevano, era la prima volta che la toccava.
Quella
era stata l'ultima
pagina scritta da sua nonna, come se anche compilare il diario
costituisse per lei una tale fatica da doverla interrompere durante i
mesi della gravidanza. I fogli di suo padre colmavano quel silenzio
misterioso.
Arthur
svolgeva il suo
ruolo di vice-capo dell'Ordine dei Cavalieri Protestanti con
efficienza e di null'altro si occupava, certo che il fido maggiordomo
Simon amministrasse al meglio Villa Hellsing e che sua madre si
occupasse di ciò che riguardava il futuro nato.
Fu
bruscamente risvegliato
dalla sua tranquillità dall'anziano Lord Island, uno dei
membri più
influenti del Consiglio della Tavola Rotonda, nonché padre
del
miglior amico di Arthur.
Un
pomeriggio, nel corso
di un colloquio privato, il vecchio gentiluomo chiese al giovane
Hellsing:
-
Come procedono i
preparativi per la nascita del bambino? -
Un
senso di disagio
s'impadronì di Arthur. Aveva vent'anni e nulla sapeva di
neonati.
Pensava quindi di essere esentato da simili questioni. Inoltre non
c'era sua madre? Chi meglio di lei poteva occuparsi di quelle
faccende? La domanda di Lord Island instillò in Arthur la
sgradevole
sensazione che l'Organizzazione Hellsing pretendesse che si occupasse
anche di compiti che non lo riguardavano.
Non
aveva la più pallida
idea di come procedessero i preparativi per la nascita del fratello o
sorella così cercò di nascondere la sua ignoranza
con un allegro
commento:
-
Mancano ancora due mesi
al parto. -
L'anziano
Lord, padre di
molti figli e quindi più ferrato del suo giovane
interlocutore di
queste cose, gelò il sorriso sulla faccia di Arthur
rispondendo
intono di rimprovero:
-
Appunto. Mancano
soltanto
due mesi. E se si
trattasse di un parto prematuro? -
Il
giovanotto non seppe cosa rispondere e il Lord proseguì,
implacabile:
- Il
vostro maggiordomo mi ha confidato le sue preoccupazioni, che sono le
stesse del resto della servitù. In questa casa non si muove
un dito
per l'arrivo del neonato. Nessuno ha dato l'ordine di arieggiare e
tinteggiare la camera dei bambini. Nessuno ha dato ordine di lavare e
stirare il corredino che tua madre usò per te e
conservò, come
fanno tutte le madri, e che adesso torna ad essere utile. Sembra che
in questa villa non debba nascere nessun bambino. Non so
perché tua
madre non faccia nulla ma se non si muove lei, è compito tuo
procedere. Non puoi aspettare l'ultimo momento. Se nascesse prima del
previsto, cosa fareste? Lo avvolgereste in carta di giornale e lo
mettereste a dormire in una scatola da scarpe? -
Arthur
inghiottì quella ramanzina pallido di umiliazione. Era certo
di
stare facendo i suoi primi passi nel mondo adulto con efficienza e
adesso veniva sgridato come uno scolaretto per una colpa non sua.
Non
appena l'anziano Lord se ne fu andato, Arthur andò in cerca
della
madre. La trovò seduta in uno dei molti salotti della villa,
intenta
a ricamare.
-
Ricami per il piccolo? - chiese il figlio, cogliendo al volo
l'occasione per entrare in argomento.
- Oh,
no! - rispose Eva in tono ilare, come se le avessero appena detto una
cosa assurda - E' un cuscino per il divano. -
Il
giovane si domandò se continuare la conversazione. In una
delle
poltrone del salotto sedeva Alucard. I piedi poggiati su uno
sgabello, il cappello calato a nascondere il viso, il vampiro pareva
dormisse. Eppure Arthur aveva la sensazione che in realtà
fosse
sveglio e l'istinto gli sconsigliava di parlare di fronte a lui.
Quella era una conversazione fra madre e figlio e nessun altro doveva
immischiarsi.
Ma la
ragione, con ottuso ottimismo, disse ad Arthur che non c'era motivo
di diffidare di Alucard, il fedele cane di famiglia. Così,
anche se
con titubanza, il giovane riferì alla madre il colloquio
appena
avuto con Lord Island, concludendo:
-
Quindi pongo a te la stessa domanda: perché non facciamo
nessun
preparativo? -
Continuando
a ricamare, Eva parlò con distacco, come se l'argomento non
la
riguardasse:
- Sarà
un parto difficile. Probabilmente nascerà morto.
Perché affannarsi
tanto in preparativi se non dovremo fare altro che seppellirlo? -
- E se
invece sopravvivesse? -
In
tono seccato, Eva concluse:
-
Vorrà dire che lo avvolgeremo in carta di giornale per
coprirlo e lo
metteremo a dormire in una scatola da scarpe mentre aspettiamo che la
cameretta e il corredino siano pronti. -
Che
Sir Hellsing considerasse quel bambino uno scomodo incidente, era
noto ad Arthur come a chiunque altro. Per la prima volta
però il
giovane comprese che per sua madre il secondogenito non era
semplicemente un figlio indesiderato, era addirittura odiato.
Detestato al punto da augurarsene la morte.
Il
giovane maledì mentalmente la propria ragione che l'aveva
convinto a
discutere in presenza di Alucard. Adesso il vampiro conosceva il
desiderio più recondito della padrona e Arthur non sapeva
quali
conseguenze ciò potesse avere. Sì
perché anche se sembrava che
Alucard dormisse, Arthur non si faceva illusioni, sapeva bene che era
sveglio. L'istinto glielo diceva e stavolta gli diede ascolto.
Il
7 settembre
un insistente tuonare costrinse Arthur ad alzare la testa dal lavoro.
Che strano! Non aveva mai udito tuonare a quel modo. Aprì la
finestra dello studio, osservando la placida campagna circostante. Il
rumore proveniva dalla direzione di Londra. Il giovane comprese di
cosa si trattasse nello stesso istante in cui sua madre
spalancò la
porta dello studio per annunciare sgomenta:
-
Ci bombardano! -
Eva
e Arthur rimasero alla finestra ascoltando il bombardamento sulla
città lontana.
Da
diversi mesi il canale della Manica veniva bombardato ma che adesso
attaccassero addirittura la capitale fece comprendere a madre e
figlio come la Gran Bretagna fosse definitivamente invischiata in
quella guerra che stava diventando un nuovo conflitto mondiale, il
secondo.
Fu
forse dovuto alla paura del bombardamento o più
semplicemente era
tempo che accadesse, fatto sta che quel giorno master Eva si mise a
letto con le doglie.
Venne
fatta arrivare un'ostetrica dal paese più vicino. La donna
visitò
Sir Hellsing poi diede il responso ad Arthur, una sfilza di parole
tecniche di cui il giovane non comprese niente.
L'ostetrica
aveva un tono che non ammetteva domande. Per lei era ovvio che chi le
stava di fronte comprendesse pienamente ciò che aveva detto.
La
giovane età del figlio non era un aspetto che le suscitasse
particolari indulgenze.
Arthur
riprovò la stessa sgradevole sensazione avuta mesi prima con
l'anziano Lord Island. Gli adulti parevano godere malignamente nel
far sentire chi si avventurava nel loro mondo un patetico imbranato.
Il
giovane si allontanò dalla stanza della madre con una gran
confusione in testa. Il guaio è che non aveva nessuno a cui
chiedere
per capire se tutto stesse filando liscio o meno. Non poteva mostrare
la sua titubanza alla servitù a cui doveva apparire invece
come
colui che sa sempre cosa fare. Non poteva certamente rivolgersi agli
altri membri della Tavola Rotonda, in quel momento impegnati a
difendere Londra. Non gli restava quindi che tenersi la sua ignoranza
e la sua paura?
Eh
no, un momento! Qualcuno a cui rivolgersi l'aveva! Qualcuno che da
quella situazione era passato così tante volte da averne
perso il
conto.
Andò
in cerca di Alucard e lo trovò nel salone da biliardo,
intento a
giocare una partita in solitaria.
Il
futuro Sir Hellsing gli chiese semplicemente:
-
Devo preoccuparmi? -
-
Ma no, ragazzo, - rispose il vampiro tranquillamente, prendendo di
mira una palla con la stecca - Le femmine impiegano tempo per
svolgere questo lavoro. Trovati un'attività con cui
occuparti la
mente e occupare l'attesa e non pensare ad altro.-
Arthur
non se lo fece ripetere. C'erano un'infinità di lavori da
svolgere
ad Hellsing Manor. Adesso che Londra era stata bombardata, nessuno
poteva più dormire sonni tranquilli e bisognava mettere la
villa in
sicurezza. Il giovane ordinò così di oscurare
tutte le finestre e
partecipò lui stesso a quell'incombenza.
Trascorsero
in questo modo ventiquattr'ore al termine delle quali il figlio
andò
a chiedere informazioni all'ostetrica. Ricevette il solito bollettino
di informazioni tecniche di cui non capì niente,
così andò alla
ricerca di Alucard. Lo trovò in cucina, intento a scaldarsi
una
porzione di sangue a bagnomaria.
-
Devo preoccuparmi? - chiese.
-
Ancora no. - fu la risposta.
Arthur
decise di trasformare gli scantinati della villa in un bunker
antiaereo, Insieme ai servi, ammassò nei sotterranei viveri,
acqua,
medicinali e coperte. Trascorsero così altre ventiquattro
ore al
termine delle quali il giovane non tentò neanche di chiedere
lumi
all'ostetrica e andò direttamente alla ricerca del vampiro.
Lo trovò
sdraiato su un divano, le braccia incrociate dietro alla testa e il
cappello calato a coprire il viso.
-
Devo preoccuparmi? -
-
Ancora no. - disse la voce da sotto il cappello.
Insieme
alla servitù, Arthur portò in salvo le opere
d'arte della villa in
uno degli scantinati . Trascorsero così altre
ventiquattr'ore al
termine delle quali andò alla ricerca di Alucard. Lo
trovò nella
sua stanza sotterranea, assiso sul trono di legno.
-
Devo preoccuparmi? -
-
Adesso sì. - fu la risposta e il viso stesso del vampiro
tradiva
tutta la sua ansia per la padrona.
Ad
Eva occorsero altre tre ore per riuscire a spremere fuori dal suo
corpo il neonato e in capo ad un'altra ora si manifestarono tutti i
sintomi della febbre puerperale che l'avrebbero condotta alla morte
in meno di due giorni.
Arthur
comprese che per sua madre non c'erano speranze non appena vide
Alucard sedersi al suo capezzale. Ricordò i racconti sulla
morte di
Abraham Van Helsing e capì che il vampiro si apprestava ad
accudire
la sua signora nell'agonia.
L'ostetrica
e l'infermiera giunta per aiutare ad accudire malata e neonato
trovarono sconveniente quella presenza maschile.
-
Non è un parente né un dottore. - dissero ad
Arthur - Non può
restare in camera di sua madre tutto il tempo! -
Il
figlio, sopraffatto dall'angoscia e senza alcuna voglia di sprecare
energie ingaggiando una battaglia persa in partenza con Alucard,
rispose:
-
Diteglielo voi che non può restare in camera, se ne avete il
coraggio. -
Ovviamente
il coraggio mancò e ostetrica e infermiera si arresero a
tenersi
Alucard fra i piedi.
In
quanto ad Arthur, cercava di tenersi fuori dalla stanza della madre
il più possibile.
Interiormente,
si rimproverava aspramente dandosi del vigliacco: sapeva che presto
sarebbe rimasto orfano e quindi sarebbe stato giusto trascorrere
insieme quanto più del poco tempo che restava. Ma era un
figlio e
aveva vent'anni e l'idea di assistere alla morte della mamma gli
provocava una paura talmente intensa da fargli desiderare di starle
alla larga il più possibile. E di scuse per farlo, senza
passar male
agli occhi dei servi, ce n'erano tante.
Bisognava
occuparsi del neonato (che a dispetto di ogni previsione, era vivo e
pieno di salute), ordinare di pulire la sua cameretta e il corredino.
Bisognava contattare gli altri membri della Tavola Rotonda per
avvisarli della brutta piega presa dagli eventi. Soprattutto,
bisognava cominciare ad organizzare il funerale. Arthur avrebbe anche
voluto contattare il padre ma alla fine desisté dall'impresa
dato
che non sapeva nemmeno in quale angolo di mondo si trovasse.
Mentalmente,
maledì il genitore e le sue assenze. Quanto avrebbe avuto
bisogno
della sua presenza, in quel momento! Poter condividere con qualcuno
la fatica e il dolore e soprattutto le beghe date dal bambino. Arthur
era certo che in questo il padre se la sarebbe cavata meglio di lui,
impreparato com'era su tutto, anche sul nome da dargli.
Quando
l'ostetrica gliel'aveva chiesto, per compilare il certificato di
nascita, il giovane si era reso conto che in tutti quei mesi nessuno
ci aveva pensato. Così rispose col primo nome che gli
passò per la
testa:
-
Richard. -
Non
chiese a sua madre se le piacesse il nome. Sapeva che non le
interessava nulla del bambino. Nei rari momenti in cui Eva stava
bene, chiedeva a chi le stava intorno:
Fate
venire qui mio figlio.
Inizialmente
l'ostetrica credeva parlasse del neonato ma ci pensava Alucard a
correggere con astio l'errore:
-
Non sta parlando di quel
figlio! -
No,
per master Eva esisteva un unico figlio, il primo. Arthur allora si
sedeva sul bordo del letto, lasciava che la madre gli prendesse le
mani fra le sue e ascoltava cosa aveva da dirgli, per lo più
gli
stessi consigli ripetuti continuamente perché la mente della
donna
era annebbiata dalla sofferenza.
Erano
poche comunque le volte in cui Eva chiedeva del figlio. Se Arthur
cercava di visitarla il meno possibile, tanto grande era l'angoscia
che gli provocava la sua agonia, anche Sir Hellsing era poco incline
a farsi vedere in quello stato dalla persona che più amava
al mondo.
Avrebbe
desiderato che il figlio conservasse di lei il ricordo di quand'era
nel pieno della salute e la mortificava mostrarsi in quelle
condizioni, mentre gemeva o urlava per il dolore all'utero o non
riusciva a contenere il vomito o la diarrea.
-
Perché la morte dev'essere così umiliante? -
biascicava rivolta ad
Alucard - Perché non posso andarmene come mio zio? -
Il
vampiro cercava di consolarla:
-
La tua vita è stata gloriosa. Hai realizzato tutto
ciò che volevi.
Neanche la più umiliante delle morti può
offuscare le tue vittorie.
-
Ma
ciò non consolava master Eva. Le glorie trascorse non la
interessavano, sapeva soltanto che si sentiva così sporca,
puzzolente e vulnerabile da vergognarsi di mostrarsi ad Arthur. Poi
si ricordava del povero cane seduto accanto a lei e gli rivolgeva uno
sguardo pieno di compassione:
-
Sei condannato a veder morire tutti i tuoi padroni. Chissà
come
starai soffrendo. Mi dispiace per te. -
Il
vampiro sorrideva con indulgenza:
-
Non preoccuparti per me. Sono forte, sopravviverò anche a
questo. -
Così
trascorrevano le ore in attesa della fine.
Arthur
si risvegliò, incredulo nello scoprire dove si era
addormentato.
Nello studio, seduto alla scrivania. Ricordava di aver cominciato a
compilare dei documenti la sera prima ma evidentemente il sonno aveva
avuto la meglio.
Si
stropicciò il viso che in quei giorni era paurosamente
dimagrito.
Sentì di avere una barbaccia ispida e dura che doveva
assolutamente
radere.
Dai
finestroni entrava la luce dell'alba. A quell'ora l'infermiera era
nella stanza del bambino e l'ostetrica aveva appena terminato il
turno di notte. Si alzò per andare a visitare l'ammalata.
Negli
anni a venire Arthur si chiese spesso se fosse possibile decidere
quando morire. Razionalmente capiva che era inverosimile, eppure la
fine di sua madre lo spingeva a domandarselo.
L'ostetrica
aveva lasciato master Eva che stava relativamente bene e riposava
tranquilla e proprio quando la donna si era allontanata, Sir Hellsing
era deceduta, quasi che avesse atteso di non avere estranei intorno
nel momento supremo, desiderosa di restare sola col fido vampiro.
Quando
il figlio aprì la porta della camera, trovò
Alucard seduto sul
bordo del letto che con la schiena gli impediva la visuale della
madre. Di questo, Arthur gliene fu sempre grato. Potè
così
rispiarmiarsi l'immagine della madre moribonda. Purtroppo
però le
orecchie udivano il respiro strozzato e i gemiti di dolore della
malata e la voce di Alucard che dolcemente le diceva:
-
Fa male master, lo so, ci sono passato anch'io. Ma tu lasciati
andare. Poi sarà tutto pace. -
La
paura fece voltare il figlio verso la porta, desideroso solo di
fuggire ma il senso di colpa lo bloccò sulla soglia,
lasciandolo lì
ad ascoltare l'agonia e piangere come non gli capitava più
da
quand'era bambino.
Infine
fu tutto silenzio.
Alucard
era consapevole della presenza del giovane alle sue spalle.
Pensò
chee il figlio avesse diritto di conservare una bella immagine della
madre, così chiuse gli occhi della master, poi la mascella,
infine
le ricompose i capelli. Quando fu pronta, con voce stanca il vampiro
annunciò:
-
Adesso puoi entrare a vederla. -
Integra
interruppe la lettura. La morte della nonna le mise addosso un'ansia
crescente. Non riuscì ad impedirsi di ricordare quant'era
stata
vicina alla morte anche lei.
Ripensò
al terrore di quella fuga. Quant'era durata? Ore? Minuti? A lei era
sembrata un'eternità.
Udì
nuovamente alle spalle i passi che la incalzavano inesorabilmente, il
leggero quanto raggelante “click” delle armi
caricate. E la voce
di zio Richard, così arrogante e sicura di sé.
L'angoscia
si impossessò di lei. Senza più alcun controllo
di sé, Integra si
ritrovò a camminare avanti e indietro per la stanza, gemendo:
-
Non voglio morire! Non voglio morire! Non voglio morire... -
Lo
sfogo le fece bene. Lentamente, il terrore cessò. Si sentiva
però
troppo vulnerabile e sola per continuare ad affrontare la lettera
del padre così la rimise in cassaforte, aspettando tempi
migliori.
Per
giorni Sir Hellsing tenne il malessere dentro di sé. Infine,
una
sera, mentre si trovava nel boschetto degli olmi a fumare schiena
contro schiena con Alucard, non riuscì a trattenersi dal
chiedergli:
-
Cosa c'è dopo la morte? -
Aveva
cercato di dare alla sua voce un tono sicuro ma la gola non
poté
fare a meno di incrinarsi un pochino. La risposta la metteva in
ansia.
Sperava
con tutte le sue forze di sentirsi confermare ciò in cui
credeva: la
vita eterna, il paradiso, incontrare di nuovo il padre nell'alto dei
cieli.
Con
altrettanta intensità temeva di sentirsi rispondere che non
esisteva
niente di tutto questo, che dall'altra parte c'era solo il nulla
eterno.
Strattonata
fra speranza e paura era combattuta fra il desiderio di conoscere e
la voglia di tapparsi le orecchie per non udire.
Alucard
si concesse tempo per riflettere, poi con calma parlò:
-
Anche Dio Abraham e tua madre mi posero questa domanda, prima di
morire. Ti risponderò allo stesso modo con cui risposi a
loro. -
Il
vampiro si chinò lentamente sulla ragazzina. Integra, col
cuore che
le batteva furiosamente, dovette fare appello a tutta la sua
determinazione per restare seduta dov'era dato che sentiva il bisogno
impellente di alzarsi e scappare.
Alucard
le accostò la bocca all'orecchio e sussurrò:
-
Master, che bisogno c'è che te lo dica dato che fra poco lo
scoprirai da sola? -
Quando
Sir Hellsing comprese che il servo l'aveva fregata, provò un
misto
di sollievo, delusione e rabbia.
Prima
di poter avere qualsiasi reazione, Alucard era tornato con calma a
girarle la schiena e fumare, aggiungendo:
-
Lascia che della morte se ne occupino i morti. Tu sei viva e devi
pensare alla vita. Hai un'eternità davanti a te per scoprire
cosa
c'è dopo la morte, perché te ne dovresti
preoccupare ora? -
La
master non poté che dargli ragione. Si appoggiò
alla schiena del
servo e terminarono di fumare in silenzio.
Trascorse
qualche altro giorno prima che Sir Hellsing trovasse il coraggio di
riprendere in mano la busta gialla. Ormai doveva terminarla e
togliersi di dosso il peso che le era caduto aprendola. Si sedette
nuovamente alla scrivania e ricominciò a leggere.
Quando
la bara della madre fu calata nella fossa e l'anziano Lord Island,
che faceva le veci anche a nome degli altri undici rimasti a
difendere Londra, fece ad Arthur le condoglianze a nome dell'intera
Tavola Rotonda e gli riferì che sua maestà lo
investiva
ufficialmente come nuovo Sir Hellsing, il ragazzo sperò con
tutte le
sue forze che a quel punto il peggio fosse passato e potesse
concedersi un po' di meritato riposo.
Tornato
a casa, il suo primo impulso fu di andarsene a letto ma poi
ripensò
al fratellino. Da quando quel povero bimbo era nato, ancora non aveva
trascorso un po' di tempo con lui. Aveva dato un sacco di ordini ai
fini del suo benessere ma quasi non sapeva che faccia avesse, dato
che l'aveva visto di sfuggita solo una volta.
Diresse
così i suoi passi verso la nursery e appena aprì
la porta, scorse
nella penombra della stanza una sagoma scura accanto alla culla e
qualcosa di rosso che sfavillava.
Inquieto,
aguzzò la vista e quel che vide gli strinse le viscere in
una morsa
fredda. Alucard era in piedi accanto alla culla e guardava l'esserino
che conteneva con odio feroce.
Il
nuovo Sir Hellsing si insinuò tra il mostro e il fratellino
e
sibilò:
-
Fuori di qui. -
Il
vampiro non sembrò neanche sentirlo. Con
semplicità, spiegò le
ragioni del suo odio:
-
Ha ucciso la mia master. -
Arthur
avvertì che il gelo che gli attanagliava le viscere adesso
gli
stringeva pure il cuore. Continuando a sibilare, per non svegliare il
neonato, replicò
-
Non è vero! Sono cose che succedono e nessuno ne ha colpa,
neanche
il bambino e tu lo sai bene! -
Guardava
con determinazione il vampiro, come se bastassero un viso e un tono
decisi per far accettare al servo la realtà dei fatti ma in
realtà
non si illudeva di convincere Alucard a capitolare. Banalmente, il
nosferatu aveva deciso di odiare il bambino e niente e nessuno
l'avrebbe distolto da questo obiettivo. Infatti rincarò:
-
Tua madre nemmeno lo voleva. L'ha detestato sin dall'inizio. Non ha
neanche chiesto all'ostetrica se era maschio o femmina, se stava bene
o meno, se era vivo o morto. Per lei, non esisteva. E' andata
all'altro mondo senza neanche vederlo. -
Ogni
frase rispondeva a verità, Arthur lo sapeva. Il giovane era
stato
l'unico, in tutta la villa, a non stupirsi per l'indifferenza della
madre verso il secondogenito.
-
Dev'essere il delirio della febbre. Forse non ricorda neanche di aver
partorito. - si dicevano l'un l'altro i servi.
Il
figlio li lasciava parlare. Capiva che l'infezione non c'entrava
niente, così come capiva che le giustificazioni dei
sottoposti
servivano a loro stessi, per non scandalizzarsi di fronte a tanta
indifferenza materna e mantenere la stima verso la propria signora.
Ma
Alucard conosceva i desideri più reconditi della padrona.
Arthur lo
ricordò in salotto, seduto in poltrona, col cappello sul
viso,
mentre pareva che dormisse e invece ascoltava ogni parola del dialogo
fra master e figlio su quell'indesiderato bambino. Il nuovo Sir
Hellsing temé che il vampiro volesse esaudire i desideri di
sua
madre. Tentò un'altra difesa disperata:
-
Mia madre aveva tutti i diritti di pensarla a quel modo,
così come
io ho il diritto di dissentire da lei. Il bambino è nato ed
è vivo,
ho il dovere di proteggerlo, ho il dovere di proteggerlo e tu devi
lasciarlo in pace! -
Il
viso di Alucard si addolcì. Che si fosse arreso? Arthur non
riusciva
a credere di averla spuntata e così alla svelta per di
più!
Il
servo cominciò a parlare con voce suadente:
-
E' così facile sbarazzarsi di un neonato, master. Basta
appoggiargli
un cuscino sul viso. Nessuno se ne accorgerebbe. Penserebbero che sia
morto nel sonno. Succede. Perché non esci da questa stanza e
lasci
fare a me? -
Il
giovane sbatté le palpebre, incredulo. Forse stava
sognando?Possibile che Alucard avesse davvero l'impudenza di avanzare
una simile richiesta?
Il
vampiro continuò, sempre suadente:
-
Dai, esci. Lasciaci soli, io e lui. Tua madre sperava che morisse,
perché non accontentarla? -
Non
era un sogno, era la realtà e che Alucard usasse un tono di
voce
tanto dolce per parlare dell'omicidio di un neonato, di suo fratello,
lo lasciò senza fiato per lunghi istanti.
Infine,
tutta la paura e la rabbia suscitate da quella situazione si
condensarono nella bocca di Arthur in tre semplici parole:
-
Mi fai schifo! -
L'espressione
innocua sparì dal volto del vampiro per lasciar posto ad una
smorfia
di disappunto:
-
E va bene, tienilo se ti piace tanto! - ringhiò sprezzante -
Ma
ricorda che non era destinato a vivere. Porta sfortuna far venire al
mondo chi non doveva nascere! -
-
Sciocchezze! Bugie che stai inventando! Sei solo arrabbiato
perché
non ti ho...lasciato fare! -
-
Porterà sfortuna a te e ai tuoi discendenti. -
rincarò Alucard - Lo
sento, lui ha la cattiveria nel sangue. -
-
Come te? -
Il
vampiro tacque. Si era fregato con la propria lingua.
-
Esci e non rimettere più piede in questa stanza. Guai a te! -
Il
nosferatu si smaterializzò lentamente, con un'espressione di
disprezzo. Arthur si sedé stancamente su una sedia,
scoprendo con
stupore che stava tremando in tutto il corpo. Nonostante l'alterco,
il piccolo Richard non si era svegliato. Il fratello maggiore gli
tenne compagnia a lungo.
Integra
interruppe la lettura. Anche lei si sentiva rimescolare dentro da
emozioni contrastanti.
“
Se solo glielo avesse lasciato uccidere!
“ fu il suo
primo pensiero. Se suo padre avesse esaudito Alucard, lei non si
sarebbe ritrovata a scappare e nascondersi per condotte e segrete,
cercando disperatamente di salvare la vita.
Avvertì
la paura salirle lentamente su per la schiena, con l'intenzione di
impossessarsi di tutto il suo cervello. Strinse le palpebre e
s'impose di non ricordare. Non voleva riprovare per l'ennesima volta
quel terrore. Cantò a squarciagola per tenere la mente
occupata,
prima una canzone, poi un'altra e un'altra ancora finché non
sentì
di essere tornata padrona di se stessa e proprio allora la ragione
snocciolò un altro pensiero: “ Non poteva
lasciarglielo uccidere!
“
Era
ovvio. Suo padre non poteva permettere ad Alucard di soffocare un
essere umano, per di più suo fratello e neonato!
Eh
già, anche Richard era stato un neonato! Quella semplice
constatazione stupì profondamente Integra.
Certo,
aveva sempre saputo che tutte le persone nascono da una pancia ma
forse perché non aveva istinti materni e i bambini piccoli e
i
cuccioli le suscitavano indifferenza, noia o fastidio, non aveva mai
ragionato sulle implicazioni di quella banale verità. Ora,
per la
prima volta, si rendeva conto che anche i peggiori carnefici in
origine erano stati neonati inermi, persino quell'assassino di
Richard, persino quella belva di Alucard! Com'era possibile che da un
bimbo innocuo si generasse un adulto spaventoso?
“
Ha il sangue cattivo! “ aveva
detto Alucard di Richard
Sarà stato vero? O era solo una menzogna? In fondo, come
poteva
sapere quale riuscita avrebbe avuto quell'infante?
Con
una smorfia di fastidio, Integra si rese conto che anche lei avrebbe
agito come il padre, salvando il piccolo Richard. Peccato che il
Richard adulto, come tutti i carnefici, fosse a sua volta
indifferente alla banale constatazione che anche le sue vittime, una
volta, erano state neonati inermi, amati dai genitori, e facendo loro
del male si accanivano anche contro il bambino che erano stati, e le
famiglie che li avevano amati.
Un'indistinta
tristezza s'impadronì di Integra. Era stanca e confusa.
Pensò di
smettere di leggere, poi si rese conto che le restava meno di mezza
pagina per terminare il plico. Decise di proseguire, così si
sarebbe
tolta una volta per tutte quella fastidiosa lettera davanti agli
occhi.
Arthur
trascorse tutta la notte sveglio, nel suo studio, riflettendo sul da
farsi. Doveva salvare il bambino dalle grinfie di Alucard e dai
bombardamenti e trovargli una balia che lo accudisse.
Quando
il vampiro entrò nella stanza era ormai l'alba e
trovò il giovane
in piedi, alla finestra, intento ad osservare il sorgere del sole
senza guardarlo davvero, perso com'era nelle sue preoccupazioni.
Alucard
si avvicinò, si inginocchiò e
pronunciò:
-
Order, my master. -
Arthur
si riscosse dai suoi pensieri e abbassò lo sguardo sul
servo.
Avrebbe dovuto gioire di quel momento. Era l'atto di sottomissione
con cui Alucard lo designava suo padrone. Peccato che con tutto
ciò
che era accaduto in quei giorni fosse così disfatto dalla
stanchezza
da non provare più emozioni.
Non
riusciva neanche più a dolersi per sua madre, figuriamoci se
poteva
gioire per Alucard!
Di
fronte a quel silenzio indifferente, il vampiro ripeté:
-
Order, my master.-
-
Sì, ho un ordine per te. - rispose stancamente il padrone -
Non fare
del male a mio fratello, mai. -
Fu
la volta del mostro di fare silenzio. Evidentemente non si aspettava
un ordine simile e adesso era combattuto fra l'ubbidienza al padrone
che si era scelto e il voler continuare a perseguire il suo odio
verso il neonato.
Il
silenzio irritò il giovane che incalzò:
-
Allora? Hai sentito il mio ordine? -
Nessuna
risposta.
Con
il cervello intorpidito dalla stanchezza, Arthur cercò di
dare
enfasi al suo comando:
- dovrai mai
fare del male a mio fratello! Non gli torcerai un capello
finché vivrò! -
Il
vampiro alzò il viso verso di lui:
-
Va bene, my master. -
Ad
Arthur occorsero mesi per comprendere cosa
davvero avesse promesso Alucard. Non avrebbe fatto del male a Richard
finchè il padrone fosse stato in vita. Morto Athur,
chissà cosa
sarebbe successo.
“
Colpa della stanchezza che mi ha fatto
scegliere le
parole sbagliate! “ si rammaricò Sir Hellsing
negli anni a venire
ma in quel momento sentiva di aver vinto e si rilassò.
Congedò il
vampiro e si occupò di mettere in pratica il piano
approntato
durante la notte.
Ordinò
al segretario di prendere informazioni su ogni famiglia di
agricoltori che lavorava in una delle fattorie di proprietà
degli
Hellsing. Ne scovò una al confine con la Scozia in cui la
madre
aveva partorito da poco. Fece così condurre il piccolo
Richard in
quel luogo sperduto, risolvendo in un colpo solo il problema della
balia e di salvarlo da eventuali bombardamenti. E anche di metterlo
al sicuro da Alucard perché, nonostante fosse convinto di
aver
vinto, sentiva di non fidarsi fino in fondo del vampiro.
Senza
più preoccupazioni per il bambino, Arthur poté
dedicarsi
interamente ad affrontare la guerra.
La
lettera era terminata. Integra la rimise nella cassaforte. Adesso
poteva cominciare a rileggere i diari di suo padre.
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