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Autore: rosaleona    25/08/2018    4 recensioni
- Ma tu non dormi mai? E' pieno giorno, a quest'ora i vampiri dovrebbero riposare nelle bare! -
- Master, ho dormito per vent'anni. Come posso avere sonno, dopo essermi riposato per così tanto tempo? Sono pieno di energia e sento il bisogno di sfogarla. Giocare con Richard e i suoi uomini non mi è bastato, ho bisogno di molta più azione. Finchè non avrò scaricato tutta l'adrenalina accumulata in due decenni di letargo, non mi sentirò stanco, nè desidererò dormire. -
Negli anni successivi, ogni volta che Integra ripensava a quella conversazione, un sorriso le increspava il volto.
"Mi aveva avvertita. A modo suo, mi aveva spiegato cos'avrei dovuto attendermi di lì a pochi giorni" diceva a se stessa Sir Hellsing.
Ma la ragazzina di dodici anni che sedeva di fronte ad Alucard non poteva capire fino in fondo le parole di un individuo che conosceva appena. Non poteva sapere che il vampiro stava solo mordendo il freno, nell'attesa che la nuova Sir Hellsing si riprendesse dalla morte del padre e dal tentativo di omicidio per mano dello zio. E una volta che Integra fosse stata in grado di tenergli testa, Alucard si sarebbe divertito a metterla alla prova
Genere: Comico, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Alucard, Integra Farburke Wingates Hellsing, Walter C. Dorneaz
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Tutto quel parlare del padre aveva fatto nascere in Integra nostalgia per il genitore così si diresse nell'ufficio di Arthur e aprì la cassaforte, per leggere uno dei suoi diari.

Mentre frugava fra i quaderni degli antenati, si imbattè in quella che aveva soprannominato “la busta gialla”.

Era una busta sigillata e dalla sua voluminosità lasciava intuire fosse piena di fogli scritti. Sopra la busta, la grafia di suo padre e una semplice scritta “a mio fratello Richard”.

In tutti quei mesi, ogni volta che la busta gialla le era capitata fra le mani, Integra l'aveva ributtata sul fondo della cassaforte con un gesto nervoso, come se temesse di scottarsi.

Era indirizzata a quell'infame di suo zio e già questo era sufficiente per instillarle paura.

L'aveva scritta suo padre e non poterla leggere le causava sofferenza. Perché era chiaro che lei, da quella missiva, fosse esclusa: si trattava di un segreto tra fratelli.

Non sapeva quando suo padre avesse compilato quel plico, se giacesse in cassaforte da mesi o da anni, se fosse stata una scelta di Arthur non consegnarla al fratello o se era stata la morte a non dargliene il tempo. A Integra era sembrato giusto rispettare la volontà del genitore: se era indirizzata allo zio, lei non aveva diritto di aprirla anche se ciò le causava rabbia e mortificazione, ben sapendo come quel viscido di Richard non meritasse tanta cortesia.

Quel giorno però Integra sostenne una battaglia con se stessa. Non ributtò la busta gialla sul fondo della cassaforte, nonostante le sembrasse pesare come un macigno fra le dita. Come faceva da mesi, per l'ennesima volta si ripeté che i due fratelli erano morti, non avrebbe fatto un torto a nessuno leggendo il contenuto e alla fine dei conti lei era la nuova Sir Hellsing e per dirigere al meglio l'Ordine dei Cavalieri Protestanti non doveva avere segreti col passato dell'organizzazione.

Stavolta riuscì a convincersi e sedette alla scrivania con la busta in mano. La profonda convinzione di andare contro la volontà del genitore le faceva però tremare le dita mentre apriva i sigilli e battere il cuore nel petto così forte da sentirlo rimbombare nelle orecchie. Cominciò a leggere con la gola secca dalla paura per la profanazione che stava compiendo ma col trascorrere dei minuti il timore scemò.

I fogli scritti da suo padre non contenevano chissà quali terribili segreti. Erano soltanto la narrazione degli eventi collegati alla nascita di Richard. Evidentemente non li aveva mai raccontati al fratello minore o per poca confidenza o per paura di ferirlo, dato che per un figlio non doveva essere piacevole sapere certe verità.

Li aveva poi conservati nella cassaforte, forse aspettando il momento buono per consegnarli al fratello o attendendo una sua richiesta specifica. Né l'una né l'altro evento si erano verificati e la busta gialla era rimasta lì per chissà quanti decenni.

Quella lettera colmava il passaggio dai diari di nonna Eva, interrotti bruscamente e quelli di suo padre che non avendo l'abitudine di parlare della vita privata, non raccontavano gli ultimi mesi di vita della madre.

Come terminasse il diario di Master Eva, Integra lo ricordava bene...


Sul continente fascismi e nazismi prendevano piede e in Gran Bretagna erano molti a guardarli con simpatia, arrivando addirittura a pensare di importarli sull'isola per ripristinare ordine e disciplina. Tutte idee che Eva trattava con disprezzo:

- Se Dio ha messo la Manica fra noi e quella gente, è per preservarci dalle loro idiozie. -

A Master Eva nulla importava dei continentali e del resto del pianeta. Era del parere che nessuno avesse nulla da insegnare agli inglesi,il popolo più evoluto del mondo.

Anche i venti di guerra che cominciarono a soffiare la lasciavano indifferente, tranne che per inalberarsi quando qualcuno proponeva di parteciparvi:

- Abbiamo già dato nella guerra mondiale. E per cosa, poi? - inveiva Eva - Ogni famiglia del Regno Unito ha sofferto e perso un caro in un conflitto che non ci apparteneva. Dobbiamo sacrificare altre nobili vite britanniche per togliere quegli impiastri dei continentali dai loro guai? Che si arrangino! E che muoiano, se non sanno cavarsela da soli! -

Ma era chiaro che la Gran Bretagna stava facendosi coinvolgere sempre più dai problemi europei, con grande preoccupazione di Eva che presto ebbe anche motivi personali per angosciarsi.


Inizialmente, aveva pensato alla menopausa. Cos'altro poteva essere, in una donna della sua età? Così aveva lasciato correre le settimane nell'ignavia.

Col tempo però un senso di inquietudine aveva cominciato a serpeggiarle nelle vene. Certe sensazioni erano fin troppo somiglianti a quelle provate vent'anni prima anche se ogni volta cacciava via quel pensiero con stizza: una vecchia di quarantacinque anni? Che idea ridicola! Finché una notte non sentì scalciare nella pancia e allora non ebbe più dubbi.

La prima volta che aveva sentito Arthur muoversi nel suo ventre, si era alzata a sedere nel letto, gridando di sorpresa e paura, stupita che una creatura tanto piccola potesse muoversi con tanta forza.

Anche stavolta si alzò a sedere nel letto e urlò ma era un grido di angoscia.

Una donna della sua età! E con la sua salute precaria! Una gravidanza in queste condizioni era la morte certa!

Scese dal letto e cominciò a passeggiare nervosamente su e giù per la stanza, senza neanche rendersi conto di quel che faceva, ripetendo con gola sciutta:

Oh Dio, allontana da me questo calice!

Per giorni e giorni continuò a pregare, invocando un aborto spontaneo ma il Signore non la udì. Così, in un tiepido pomeriggio di inizio primavere, mentre era seduta in giardino a godersi il primo sole, master Eva si arrese all'evidenza: le toccava affrontare quella prova. Prova che oltre al rischio del parto includeva l'umiliazione di doverlo comunicare a suo figlio, al Consiglio dei Dodici...

Immaginava le facce che avrebbero fatto, a metà fra lo stupito e l'imbarazzato per poi cedere il passo, col tempo, all'ilarità e al disprezzo.

Una vecchia che si caccia in un guaio simile! Che sangue caldo! Che incoscienza! E per soddisfare una voglia, mette a repentaglio l'equilibrio dell'Ordine dei Cavalieri Protestanti. Con un uomo certe cose non succederebbero. Mai mettere una donna al comando! “

Come se le donne, i figli, li facessero da sole e i padri non avessero responsabilità di niente. Eva sospirò: per la prima volta le pesava essere circondata unicamente da uomini. Se ci fossero state delle donne nel Consiglio dei Dodici, sarebbe stata meno dura dare un simile annuncio.

L'unica consolazione era che in quella villa c'era almeno un maschio sul cui rispetto poteva contare. Lo invocò, per cominciare ad informare almeno lui:

- Vampiro, vieni qui. -

Da molti anni suo figlio chiamava la creatura Alucard ma Eva non si era mai abituata a quel nome. L'aveva conosciuto come “vampiro” e così avrebbe continuato a chiamarlo fino alla morte.

Il nosferatu impiegò diversi minuti a materializzarsi perché era stato interrotto nel suo sonno diurno e quendo apparve, la master si limitò a bucarsi un dito con uno spillone per capelli, intimandogli:

- Lecca. -

Non serviva altro per comunicare con lui. Niente giri di parole imbarazzate, avrebbe capito da solo. Infatti al vampiro bastò succhiare poche gocce di sangue per guardare la padrona con occhi preoccupati:

- E' una battaglia dura alla tua età. Potresti morire. -

Eva sorrise intenerita e accarezzò i capelli del mostro inginocchiato di fronte a lei, cane fedele che mirava al sodo. Nessuno stupore, imbarazzo o disprezzo, solo il timore per il pericolo incombente. Il vampiro rincarò:

- Devi sbarazzartene. -

- Ci ho pensato, cosa credi? - rispose la master in tono stanco, smettendo di carezzarlo - Ma siamo realistici, la gravidanza è troppo avanzata, un aborto indotto a questo punto è più rischioso del parto. Ormai è andata così, non mi resta che farlo nascere e sperare di sopravvivere. -

Il vampiro si rialzò in piedi. Ad un occhio estraneo, la sua master poteva sembrare il ritratto della salute perché il tempo aveva donato ad Eva un fisico matronale. Lui però sapeva quanti acciacchi si celassero dietro quell'aspetto florido. Tutte le notti trascorse a caccia di mostri, sotto la pioggia o con l'umidità, avevano minato il fisico della padrona con continui bronchiti e polmoniti e sapeva che le giunture del suo corpo cominciavano a deformarsi per l'artrosi. Senza tutti quei malanni, partorire non sarebbe stato così rischioso per la sua master.

- Devi trascorrere i mesi che restano riposandoti. Pensa soltanto a mettere da parte le energie per la battaglia. - consigliò il vampiro, nel suo solito gergo militaresco.

- Sarebbe la soluzione migliore ma dovrei affidare il comando dell'Organizzazione Hellsing ad Athur. Sarà all'altezza del compito? Certe volte quel ragazzo mi preoccupa, sembra un tale scavezzacollo... -

- E' uno scavezzacollo solo nella vita privata ma sul lavoro è serissimo. - la rassicurò il servo - In questi anni, ogni volta che gli hai affidato una missione per cominciare a prepararlo al suo ruolo di guida, non ha forse svolto il lavoro col massimo impegno e ottimi risultati? Fidati, l'Organizzazione Hellsing è in buone mani. E poi, al suo fianco ci sarò io. Ogni che farà una scemenza, lo rimetterò sulla retta strada con una sberla. -

Master Eva sorrise suo malgrado, immaginando la scena. Poi tornò mesta pensando al marito che stava viaggiando in chissà quale angolo di mondo, ignaro di tutto, senza scontare sul suo corpo ciò che avevano fatto in due.

- E' ingiusto pagare un prezzo così alto per un po' di piacere. - mormorò stancamente.

Al vampiro, la sua master raggomitolata sulla sedia sembrò così vecchia e vulnerabile, con le sue ciocche grigie e le rughe intorno agli occhi, che ne ebbe tenerezza e con delicatezza le carezzò i capelli. Da quando si conoscevano, era la prima volta che la toccava.


Quella era stata l'ultima pagina scritta da sua nonna, come se anche compilare il diario costituisse per lei una tale fatica da doverla interrompere durante i mesi della gravidanza. I fogli di suo padre colmavano quel silenzio misterioso.


Arthur svolgeva il suo ruolo di vice-capo dell'Ordine dei Cavalieri Protestanti con efficienza e di null'altro si occupava, certo che il fido maggiordomo Simon amministrasse al meglio Villa Hellsing e che sua madre si occupasse di ciò che riguardava il futuro nato.

Fu bruscamente risvegliato dalla sua tranquillità dall'anziano Lord Island, uno dei membri più influenti del Consiglio della Tavola Rotonda, nonché padre del miglior amico di Arthur.

Un pomeriggio, nel corso di un colloquio privato, il vecchio gentiluomo chiese al giovane Hellsing:

- Come procedono i preparativi per la nascita del bambino? -

Un senso di disagio s'impadronì di Arthur. Aveva vent'anni e nulla sapeva di neonati. Pensava quindi di essere esentato da simili questioni. Inoltre non c'era sua madre? Chi meglio di lei poteva occuparsi di quelle faccende? La domanda di Lord Island instillò in Arthur la sgradevole sensazione che l'Organizzazione Hellsing pretendesse che si occupasse anche di compiti che non lo riguardavano.

Non aveva la più pallida idea di come procedessero i preparativi per la nascita del fratello o sorella così cercò di nascondere la sua ignoranza con un allegro commento:

- Mancano ancora due mesi al parto. -

L'anziano Lord, padre di molti figli e quindi più ferrato del suo giovane interlocutore di queste cose, gelò il sorriso sulla faccia di Arthur rispondendo intono di rimprovero:

- Appunto. Mancano soltanto due mesi. E se si trattasse di un parto prematuro? -

Il giovanotto non seppe cosa rispondere e il Lord proseguì, implacabile:

- Il vostro maggiordomo mi ha confidato le sue preoccupazioni, che sono le stesse del resto della servitù. In questa casa non si muove un dito per l'arrivo del neonato. Nessuno ha dato l'ordine di arieggiare e tinteggiare la camera dei bambini. Nessuno ha dato ordine di lavare e stirare il corredino che tua madre usò per te e conservò, come fanno tutte le madri, e che adesso torna ad essere utile. Sembra che in questa villa non debba nascere nessun bambino. Non so perché tua madre non faccia nulla ma se non si muove lei, è compito tuo procedere. Non puoi aspettare l'ultimo momento. Se nascesse prima del previsto, cosa fareste? Lo avvolgereste in carta di giornale e lo mettereste a dormire in una scatola da scarpe? -

Arthur inghiottì quella ramanzina pallido di umiliazione. Era certo di stare facendo i suoi primi passi nel mondo adulto con efficienza e adesso veniva sgridato come uno scolaretto per una colpa non sua.

Non appena l'anziano Lord se ne fu andato, Arthur andò in cerca della madre. La trovò seduta in uno dei molti salotti della villa, intenta a ricamare.

- Ricami per il piccolo? - chiese il figlio, cogliendo al volo l'occasione per entrare in argomento.

- Oh, no! - rispose Eva in tono ilare, come se le avessero appena detto una cosa assurda - E' un cuscino per il divano. -

Il giovane si domandò se continuare la conversazione. In una delle poltrone del salotto sedeva Alucard. I piedi poggiati su uno sgabello, il cappello calato a nascondere il viso, il vampiro pareva dormisse. Eppure Arthur aveva la sensazione che in realtà fosse sveglio e l'istinto gli sconsigliava di parlare di fronte a lui. Quella era una conversazione fra madre e figlio e nessun altro doveva immischiarsi.

Ma la ragione, con ottuso ottimismo, disse ad Arthur che non c'era motivo di diffidare di Alucard, il fedele cane di famiglia. Così, anche se con titubanza, il giovane riferì alla madre il colloquio appena avuto con Lord Island, concludendo:

- Quindi pongo a te la stessa domanda: perché non facciamo nessun preparativo? -

Continuando a ricamare, Eva parlò con distacco, come se l'argomento non la riguardasse:

- Sarà un parto difficile. Probabilmente nascerà morto. Perché affannarsi tanto in preparativi se non dovremo fare altro che seppellirlo? -

- E se invece sopravvivesse? -

In tono seccato, Eva concluse:

- Vorrà dire che lo avvolgeremo in carta di giornale per coprirlo e lo metteremo a dormire in una scatola da scarpe mentre aspettiamo che la cameretta e il corredino siano pronti. -

Che Sir Hellsing considerasse quel bambino uno scomodo incidente, era noto ad Arthur come a chiunque altro. Per la prima volta però il giovane comprese che per sua madre il secondogenito non era semplicemente un figlio indesiderato, era addirittura odiato. Detestato al punto da augurarsene la morte.

Il giovane maledì mentalmente la propria ragione che l'aveva convinto a discutere in presenza di Alucard. Adesso il vampiro conosceva il desiderio più recondito della padrona e Arthur non sapeva quali conseguenze ciò potesse avere. Sì perché anche se sembrava che Alucard dormisse, Arthur non si faceva illusioni, sapeva bene che era sveglio. L'istinto glielo diceva e stavolta gli diede ascolto.


Il 7 settembre un insistente tuonare costrinse Arthur ad alzare la testa dal lavoro. Che strano! Non aveva mai udito tuonare a quel modo. Aprì la finestra dello studio, osservando la placida campagna circostante. Il rumore proveniva dalla direzione di Londra. Il giovane comprese di cosa si trattasse nello stesso istante in cui sua madre spalancò la porta dello studio per annunciare sgomenta:

- Ci bombardano! -

Eva e Arthur rimasero alla finestra ascoltando il bombardamento sulla città lontana.

Da diversi mesi il canale della Manica veniva bombardato ma che adesso attaccassero addirittura la capitale fece comprendere a madre e figlio come la Gran Bretagna fosse definitivamente invischiata in quella guerra che stava diventando un nuovo conflitto mondiale, il secondo.

Fu forse dovuto alla paura del bombardamento o più semplicemente era tempo che accadesse, fatto sta che quel giorno master Eva si mise a letto con le doglie.

Venne fatta arrivare un'ostetrica dal paese più vicino. La donna visitò Sir Hellsing poi diede il responso ad Arthur, una sfilza di parole tecniche di cui il giovane non comprese niente.

L'ostetrica aveva un tono che non ammetteva domande. Per lei era ovvio che chi le stava di fronte comprendesse pienamente ciò che aveva detto. La giovane età del figlio non era un aspetto che le suscitasse particolari indulgenze.

Arthur riprovò la stessa sgradevole sensazione avuta mesi prima con l'anziano Lord Island. Gli adulti parevano godere malignamente nel far sentire chi si avventurava nel loro mondo un patetico imbranato.

Il giovane si allontanò dalla stanza della madre con una gran confusione in testa. Il guaio è che non aveva nessuno a cui chiedere per capire se tutto stesse filando liscio o meno. Non poteva mostrare la sua titubanza alla servitù a cui doveva apparire invece come colui che sa sempre cosa fare. Non poteva certamente rivolgersi agli altri membri della Tavola Rotonda, in quel momento impegnati a difendere Londra. Non gli restava quindi che tenersi la sua ignoranza e la sua paura?

Eh no, un momento! Qualcuno a cui rivolgersi l'aveva! Qualcuno che da quella situazione era passato così tante volte da averne perso il conto.

Andò in cerca di Alucard e lo trovò nel salone da biliardo, intento a giocare una partita in solitaria.

Il futuro Sir Hellsing gli chiese semplicemente:

- Devo preoccuparmi? -

- Ma no, ragazzo, - rispose il vampiro tranquillamente, prendendo di mira una palla con la stecca - Le femmine impiegano tempo per svolgere questo lavoro. Trovati un'attività con cui occuparti la mente e occupare l'attesa e non pensare ad altro.-

Arthur non se lo fece ripetere. C'erano un'infinità di lavori da svolgere ad Hellsing Manor. Adesso che Londra era stata bombardata, nessuno poteva più dormire sonni tranquilli e bisognava mettere la villa in sicurezza. Il giovane ordinò così di oscurare tutte le finestre e partecipò lui stesso a quell'incombenza.

Trascorsero in questo modo ventiquattr'ore al termine delle quali il figlio andò a chiedere informazioni all'ostetrica. Ricevette il solito bollettino di informazioni tecniche di cui non capì niente, così andò alla ricerca di Alucard. Lo trovò in cucina, intento a scaldarsi una porzione di sangue a bagnomaria.

- Devo preoccuparmi? - chiese.

- Ancora no. - fu la risposta.

Arthur decise di trasformare gli scantinati della villa in un bunker antiaereo, Insieme ai servi, ammassò nei sotterranei viveri, acqua, medicinali e coperte. Trascorsero così altre ventiquattro ore al termine delle quali il giovane non tentò neanche di chiedere lumi all'ostetrica e andò direttamente alla ricerca del vampiro. Lo trovò sdraiato su un divano, le braccia incrociate dietro alla testa e il cappello calato a coprire il viso.

- Devo preoccuparmi? -

- Ancora no. - disse la voce da sotto il cappello.

Insieme alla servitù, Arthur portò in salvo le opere d'arte della villa in uno degli scantinati . Trascorsero così altre ventiquattr'ore al termine delle quali andò alla ricerca di Alucard. Lo trovò nella sua stanza sotterranea, assiso sul trono di legno.

- Devo preoccuparmi? -

- Adesso sì. - fu la risposta e il viso stesso del vampiro tradiva tutta la sua ansia per la padrona.

Ad Eva occorsero altre tre ore per riuscire a spremere fuori dal suo corpo il neonato e in capo ad un'altra ora si manifestarono tutti i sintomi della febbre puerperale che l'avrebbero condotta alla morte in meno di due giorni.

Arthur comprese che per sua madre non c'erano speranze non appena vide Alucard sedersi al suo capezzale. Ricordò i racconti sulla morte di Abraham Van Helsing e capì che il vampiro si apprestava ad accudire la sua signora nell'agonia.

L'ostetrica e l'infermiera giunta per aiutare ad accudire malata e neonato trovarono sconveniente quella presenza maschile.

- Non è un parente né un dottore. - dissero ad Arthur - Non può restare in camera di sua madre tutto il tempo! -

Il figlio, sopraffatto dall'angoscia e senza alcuna voglia di sprecare energie ingaggiando una battaglia persa in partenza con Alucard, rispose:

- Diteglielo voi che non può restare in camera, se ne avete il coraggio. -

Ovviamente il coraggio mancò e ostetrica e infermiera si arresero a tenersi Alucard fra i piedi.

In quanto ad Arthur, cercava di tenersi fuori dalla stanza della madre il più possibile.

Interiormente, si rimproverava aspramente dandosi del vigliacco: sapeva che presto sarebbe rimasto orfano e quindi sarebbe stato giusto trascorrere insieme quanto più del poco tempo che restava. Ma era un figlio e aveva vent'anni e l'idea di assistere alla morte della mamma gli provocava una paura talmente intensa da fargli desiderare di starle alla larga il più possibile. E di scuse per farlo, senza passar male agli occhi dei servi, ce n'erano tante.

Bisognava occuparsi del neonato (che a dispetto di ogni previsione, era vivo e pieno di salute), ordinare di pulire la sua cameretta e il corredino. Bisognava contattare gli altri membri della Tavola Rotonda per avvisarli della brutta piega presa dagli eventi. Soprattutto, bisognava cominciare ad organizzare il funerale. Arthur avrebbe anche voluto contattare il padre ma alla fine desisté dall'impresa dato che non sapeva nemmeno in quale angolo di mondo si trovasse.

Mentalmente, maledì il genitore e le sue assenze. Quanto avrebbe avuto bisogno della sua presenza, in quel momento! Poter condividere con qualcuno la fatica e il dolore e soprattutto le beghe date dal bambino. Arthur era certo che in questo il padre se la sarebbe cavata meglio di lui, impreparato com'era su tutto, anche sul nome da dargli.

Quando l'ostetrica gliel'aveva chiesto, per compilare il certificato di nascita, il giovane si era reso conto che in tutti quei mesi nessuno ci aveva pensato. Così rispose col primo nome che gli passò per la testa:

- Richard. -

Non chiese a sua madre se le piacesse il nome. Sapeva che non le interessava nulla del bambino. Nei rari momenti in cui Eva stava bene, chiedeva a chi le stava intorno:

Fate venire qui mio figlio.

Inizialmente l'ostetrica credeva parlasse del neonato ma ci pensava Alucard a correggere con astio l'errore:

- Non sta parlando di quel figlio! -

No, per master Eva esisteva un unico figlio, il primo. Arthur allora si sedeva sul bordo del letto, lasciava che la madre gli prendesse le mani fra le sue e ascoltava cosa aveva da dirgli, per lo più gli stessi consigli ripetuti continuamente perché la mente della donna era annebbiata dalla sofferenza.

Erano poche comunque le volte in cui Eva chiedeva del figlio. Se Arthur cercava di visitarla il meno possibile, tanto grande era l'angoscia che gli provocava la sua agonia, anche Sir Hellsing era poco incline a farsi vedere in quello stato dalla persona che più amava al mondo.

Avrebbe desiderato che il figlio conservasse di lei il ricordo di quand'era nel pieno della salute e la mortificava mostrarsi in quelle condizioni, mentre gemeva o urlava per il dolore all'utero o non riusciva a contenere il vomito o la diarrea.

- Perché la morte dev'essere così umiliante? - biascicava rivolta ad Alucard - Perché non posso andarmene come mio zio? -

Il vampiro cercava di consolarla:

- La tua vita è stata gloriosa. Hai realizzato tutto ciò che volevi. Neanche la più umiliante delle morti può offuscare le tue vittorie. -

Ma ciò non consolava master Eva. Le glorie trascorse non la interessavano, sapeva soltanto che si sentiva così sporca, puzzolente e vulnerabile da vergognarsi di mostrarsi ad Arthur. Poi si ricordava del povero cane seduto accanto a lei e gli rivolgeva uno sguardo pieno di compassione:

- Sei condannato a veder morire tutti i tuoi padroni. Chissà come starai soffrendo. Mi dispiace per te. -

Il vampiro sorrideva con indulgenza:

- Non preoccuparti per me. Sono forte, sopravviverò anche a questo. -

Così trascorrevano le ore in attesa della fine.


Arthur si risvegliò, incredulo nello scoprire dove si era addormentato. Nello studio, seduto alla scrivania. Ricordava di aver cominciato a compilare dei documenti la sera prima ma evidentemente il sonno aveva avuto la meglio.

Si stropicciò il viso che in quei giorni era paurosamente dimagrito. Sentì di avere una barbaccia ispida e dura che doveva assolutamente radere.

Dai finestroni entrava la luce dell'alba. A quell'ora l'infermiera era nella stanza del bambino e l'ostetrica aveva appena terminato il turno di notte. Si alzò per andare a visitare l'ammalata.


Negli anni a venire Arthur si chiese spesso se fosse possibile decidere quando morire. Razionalmente capiva che era inverosimile, eppure la fine di sua madre lo spingeva a domandarselo.

L'ostetrica aveva lasciato master Eva che stava relativamente bene e riposava tranquilla e proprio quando la donna si era allontanata, Sir Hellsing era deceduta, quasi che avesse atteso di non avere estranei intorno nel momento supremo, desiderosa di restare sola col fido vampiro.

Quando il figlio aprì la porta della camera, trovò Alucard seduto sul bordo del letto che con la schiena gli impediva la visuale della madre. Di questo, Arthur gliene fu sempre grato. Potè così rispiarmiarsi l'immagine della madre moribonda. Purtroppo però le orecchie udivano il respiro strozzato e i gemiti di dolore della malata e la voce di Alucard che dolcemente le diceva:

- Fa male master, lo so, ci sono passato anch'io. Ma tu lasciati andare. Poi sarà tutto pace. -

La paura fece voltare il figlio verso la porta, desideroso solo di fuggire ma il senso di colpa lo bloccò sulla soglia, lasciandolo lì ad ascoltare l'agonia e piangere come non gli capitava più da quand'era bambino.

Infine fu tutto silenzio.

Alucard era consapevole della presenza del giovane alle sue spalle. Pensò chee il figlio avesse diritto di conservare una bella immagine della madre, così chiuse gli occhi della master, poi la mascella, infine le ricompose i capelli. Quando fu pronta, con voce stanca il vampiro annunciò:

- Adesso puoi entrare a vederla. -


Integra interruppe la lettura. La morte della nonna le mise addosso un'ansia crescente. Non riuscì ad impedirsi di ricordare quant'era stata vicina alla morte anche lei.

Ripensò al terrore di quella fuga. Quant'era durata? Ore? Minuti? A lei era sembrata un'eternità.

Udì nuovamente alle spalle i passi che la incalzavano inesorabilmente, il leggero quanto raggelante “click” delle armi caricate. E la voce di zio Richard, così arrogante e sicura di sé.

L'angoscia si impossessò di lei. Senza più alcun controllo di sé, Integra si ritrovò a camminare avanti e indietro per la stanza, gemendo:

- Non voglio morire! Non voglio morire! Non voglio morire... -

Lo sfogo le fece bene. Lentamente, il terrore cessò. Si sentiva però troppo vulnerabile e sola per continuare ad affrontare la lettera del padre così la rimise in cassaforte, aspettando tempi migliori.


Per giorni Sir Hellsing tenne il malessere dentro di sé. Infine, una sera, mentre si trovava nel boschetto degli olmi a fumare schiena contro schiena con Alucard, non riuscì a trattenersi dal chiedergli:

- Cosa c'è dopo la morte? -

Aveva cercato di dare alla sua voce un tono sicuro ma la gola non poté fare a meno di incrinarsi un pochino. La risposta la metteva in ansia.

Sperava con tutte le sue forze di sentirsi confermare ciò in cui credeva: la vita eterna, il paradiso, incontrare di nuovo il padre nell'alto dei cieli.

Con altrettanta intensità temeva di sentirsi rispondere che non esisteva niente di tutto questo, che dall'altra parte c'era solo il nulla eterno.

Strattonata fra speranza e paura era combattuta fra il desiderio di conoscere e la voglia di tapparsi le orecchie per non udire.

Alucard si concesse tempo per riflettere, poi con calma parlò:

- Anche Dio Abraham e tua madre mi posero questa domanda, prima di morire. Ti risponderò allo stesso modo con cui risposi a loro. -

Il vampiro si chinò lentamente sulla ragazzina. Integra, col cuore che le batteva furiosamente, dovette fare appello a tutta la sua determinazione per restare seduta dov'era dato che sentiva il bisogno impellente di alzarsi e scappare.

Alucard le accostò la bocca all'orecchio e sussurrò:

- Master, che bisogno c'è che te lo dica dato che fra poco lo scoprirai da sola? -

Quando Sir Hellsing comprese che il servo l'aveva fregata, provò un misto di sollievo, delusione e rabbia.

Prima di poter avere qualsiasi reazione, Alucard era tornato con calma a girarle la schiena e fumare, aggiungendo:

- Lascia che della morte se ne occupino i morti. Tu sei viva e devi pensare alla vita. Hai un'eternità davanti a te per scoprire cosa c'è dopo la morte, perché te ne dovresti preoccupare ora? -

La master non poté che dargli ragione. Si appoggiò alla schiena del servo e terminarono di fumare in silenzio.


Trascorse qualche altro giorno prima che Sir Hellsing trovasse il coraggio di riprendere in mano la busta gialla. Ormai doveva terminarla e togliersi di dosso il peso che le era caduto aprendola. Si sedette nuovamente alla scrivania e ricominciò a leggere.


Quando la bara della madre fu calata nella fossa e l'anziano Lord Island, che faceva le veci anche a nome degli altri undici rimasti a difendere Londra, fece ad Arthur le condoglianze a nome dell'intera Tavola Rotonda e gli riferì che sua maestà lo investiva ufficialmente come nuovo Sir Hellsing, il ragazzo sperò con tutte le sue forze che a quel punto il peggio fosse passato e potesse concedersi un po' di meritato riposo.

Tornato a casa, il suo primo impulso fu di andarsene a letto ma poi ripensò al fratellino. Da quando quel povero bimbo era nato, ancora non aveva trascorso un po' di tempo con lui. Aveva dato un sacco di ordini ai fini del suo benessere ma quasi non sapeva che faccia avesse, dato che l'aveva visto di sfuggita solo una volta.

Diresse così i suoi passi verso la nursery e appena aprì la porta, scorse nella penombra della stanza una sagoma scura accanto alla culla e qualcosa di rosso che sfavillava.

Inquieto, aguzzò la vista e quel che vide gli strinse le viscere in una morsa fredda. Alucard era in piedi accanto alla culla e guardava l'esserino che conteneva con odio feroce.

Il nuovo Sir Hellsing si insinuò tra il mostro e il fratellino e sibilò:

- Fuori di qui. -

Il vampiro non sembrò neanche sentirlo. Con semplicità, spiegò le ragioni del suo odio:

- Ha ucciso la mia master. -

Arthur avvertì che il gelo che gli attanagliava le viscere adesso gli stringeva pure il cuore. Continuando a sibilare, per non svegliare il neonato, replicò

- Non è vero! Sono cose che succedono e nessuno ne ha colpa, neanche il bambino e tu lo sai bene! -

Guardava con determinazione il vampiro, come se bastassero un viso e un tono decisi per far accettare al servo la realtà dei fatti ma in realtà non si illudeva di convincere Alucard a capitolare. Banalmente, il nosferatu aveva deciso di odiare il bambino e niente e nessuno l'avrebbe distolto da questo obiettivo. Infatti rincarò:

- Tua madre nemmeno lo voleva. L'ha detestato sin dall'inizio. Non ha neanche chiesto all'ostetrica se era maschio o femmina, se stava bene o meno, se era vivo o morto. Per lei, non esisteva. E' andata all'altro mondo senza neanche vederlo. -

Ogni frase rispondeva a verità, Arthur lo sapeva. Il giovane era stato l'unico, in tutta la villa, a non stupirsi per l'indifferenza della madre verso il secondogenito.

- Dev'essere il delirio della febbre. Forse non ricorda neanche di aver partorito. - si dicevano l'un l'altro i servi.

Il figlio li lasciava parlare. Capiva che l'infezione non c'entrava niente, così come capiva che le giustificazioni dei sottoposti servivano a loro stessi, per non scandalizzarsi di fronte a tanta indifferenza materna e mantenere la stima verso la propria signora.

Ma Alucard conosceva i desideri più reconditi della padrona. Arthur lo ricordò in salotto, seduto in poltrona, col cappello sul viso, mentre pareva che dormisse e invece ascoltava ogni parola del dialogo fra master e figlio su quell'indesiderato bambino. Il nuovo Sir Hellsing temé che il vampiro volesse esaudire i desideri di sua madre. Tentò un'altra difesa disperata:

- Mia madre aveva tutti i diritti di pensarla a quel modo, così come io ho il diritto di dissentire da lei. Il bambino è nato ed è vivo, ho il dovere di proteggerlo, ho il dovere di proteggerlo e tu devi lasciarlo in pace! -

Il viso di Alucard si addolcì. Che si fosse arreso? Arthur non riusciva a credere di averla spuntata e così alla svelta per di più!

Il servo cominciò a parlare con voce suadente:

- E' così facile sbarazzarsi di un neonato, master. Basta appoggiargli un cuscino sul viso. Nessuno se ne accorgerebbe. Penserebbero che sia morto nel sonno. Succede. Perché non esci da questa stanza e lasci fare a me? -

Il giovane sbatté le palpebre, incredulo. Forse stava sognando?Possibile che Alucard avesse davvero l'impudenza di avanzare una simile richiesta?

Il vampiro continuò, sempre suadente:

- Dai, esci. Lasciaci soli, io e lui. Tua madre sperava che morisse, perché non accontentarla? -

Non era un sogno, era la realtà e che Alucard usasse un tono di voce tanto dolce per parlare dell'omicidio di un neonato, di suo fratello, lo lasciò senza fiato per lunghi istanti.

Infine, tutta la paura e la rabbia suscitate da quella situazione si condensarono nella bocca di Arthur in tre semplici parole:

- Mi fai schifo! -

L'espressione innocua sparì dal volto del vampiro per lasciar posto ad una smorfia di disappunto:

- E va bene, tienilo se ti piace tanto! - ringhiò sprezzante - Ma ricorda che non era destinato a vivere. Porta sfortuna far venire al mondo chi non doveva nascere! -

- Sciocchezze! Bugie che stai inventando! Sei solo arrabbiato perché non ti ho...lasciato fare! -

- Porterà sfortuna a te e ai tuoi discendenti. - rincarò Alucard - Lo sento, lui ha la cattiveria nel sangue. -

- Come te? -

Il vampiro tacque. Si era fregato con la propria lingua.

- Esci e non rimettere più piede in questa stanza. Guai a te! -

Il nosferatu si smaterializzò lentamente, con un'espressione di disprezzo. Arthur si sedé stancamente su una sedia, scoprendo con stupore che stava tremando in tutto il corpo. Nonostante l'alterco, il piccolo Richard non si era svegliato. Il fratello maggiore gli tenne compagnia a lungo.


Integra interruppe la lettura. Anche lei si sentiva rimescolare dentro da emozioni contrastanti.

Se solo glielo avesse lasciato uccidere! “ fu il suo primo pensiero. Se suo padre avesse esaudito Alucard, lei non si sarebbe ritrovata a scappare e nascondersi per condotte e segrete, cercando disperatamente di salvare la vita.

Avvertì la paura salirle lentamente su per la schiena, con l'intenzione di impossessarsi di tutto il suo cervello. Strinse le palpebre e s'impose di non ricordare. Non voleva riprovare per l'ennesima volta quel terrore. Cantò a squarciagola per tenere la mente occupata, prima una canzone, poi un'altra e un'altra ancora finché non sentì di essere tornata padrona di se stessa e proprio allora la ragione snocciolò un altro pensiero: “ Non poteva lasciarglielo uccidere! “

Era ovvio. Suo padre non poteva permettere ad Alucard di soffocare un essere umano, per di più suo fratello e neonato!

Eh già, anche Richard era stato un neonato! Quella semplice constatazione stupì profondamente Integra.

Certo, aveva sempre saputo che tutte le persone nascono da una pancia ma forse perché non aveva istinti materni e i bambini piccoli e i cuccioli le suscitavano indifferenza, noia o fastidio, non aveva mai ragionato sulle implicazioni di quella banale verità. Ora, per la prima volta, si rendeva conto che anche i peggiori carnefici in origine erano stati neonati inermi, persino quell'assassino di Richard, persino quella belva di Alucard! Com'era possibile che da un bimbo innocuo si generasse un adulto spaventoso?

Ha il sangue cattivo! “ aveva detto Alucard di Richard Sarà stato vero? O era solo una menzogna? In fondo, come poteva sapere quale riuscita avrebbe avuto quell'infante?

Con una smorfia di fastidio, Integra si rese conto che anche lei avrebbe agito come il padre, salvando il piccolo Richard. Peccato che il Richard adulto, come tutti i carnefici, fosse a sua volta indifferente alla banale constatazione che anche le sue vittime, una volta, erano state neonati inermi, amati dai genitori, e facendo loro del male si accanivano anche contro il bambino che erano stati, e le famiglie che li avevano amati.

Un'indistinta tristezza s'impadronì di Integra. Era stanca e confusa. Pensò di smettere di leggere, poi si rese conto che le restava meno di mezza pagina per terminare il plico. Decise di proseguire, così si sarebbe tolta una volta per tutte quella fastidiosa lettera davanti agli occhi.


Arthur trascorse tutta la notte sveglio, nel suo studio, riflettendo sul da farsi. Doveva salvare il bambino dalle grinfie di Alucard e dai bombardamenti e trovargli una balia che lo accudisse.

Quando il vampiro entrò nella stanza era ormai l'alba e trovò il giovane in piedi, alla finestra, intento ad osservare il sorgere del sole senza guardarlo davvero, perso com'era nelle sue preoccupazioni.

Alucard si avvicinò, si inginocchiò e pronunciò:

- Order, my master. -

Arthur si riscosse dai suoi pensieri e abbassò lo sguardo sul servo. Avrebbe dovuto gioire di quel momento. Era l'atto di sottomissione con cui Alucard lo designava suo padrone. Peccato che con tutto ciò che era accaduto in quei giorni fosse così disfatto dalla stanchezza da non provare più emozioni.

Non riusciva neanche più a dolersi per sua madre, figuriamoci se poteva gioire per Alucard!

Di fronte a quel silenzio indifferente, il vampiro ripeté:

- Order, my master.-

- Sì, ho un ordine per te. - rispose stancamente il padrone - Non fare del male a mio fratello, mai. -

Fu la volta del mostro di fare silenzio. Evidentemente non si aspettava un ordine simile e adesso era combattuto fra l'ubbidienza al padrone che si era scelto e il voler continuare a perseguire il suo odio verso il neonato.

Il silenzio irritò il giovane che incalzò:

- Allora? Hai sentito il mio ordine? -

Nessuna risposta.

Con il cervello intorpidito dalla stanchezza, Arthur cercò di dare enfasi al suo comando:

- dovrai mai fare del male a mio fratello! Non gli torcerai un capello finché vivrò! -

Il vampiro alzò il viso verso di lui:

- Va bene, my master. -

Ad Arthur occorsero mesi per comprendere cosa davvero avesse promesso Alucard. Non avrebbe fatto del male a Richard finchè il padrone fosse stato in vita. Morto Athur, chissà cosa sarebbe successo.

Colpa della stanchezza che mi ha fatto scegliere le parole sbagliate! “ si rammaricò Sir Hellsing negli anni a venire ma in quel momento sentiva di aver vinto e si rilassò. Congedò il vampiro e si occupò di mettere in pratica il piano approntato durante la notte.

Ordinò al segretario di prendere informazioni su ogni famiglia di agricoltori che lavorava in una delle fattorie di proprietà degli Hellsing. Ne scovò una al confine con la Scozia in cui la madre aveva partorito da poco. Fece così condurre il piccolo Richard in quel luogo sperduto, risolvendo in un colpo solo il problema della balia e di salvarlo da eventuali bombardamenti. E anche di metterlo al sicuro da Alucard perché, nonostante fosse convinto di aver vinto, sentiva di non fidarsi fino in fondo del vampiro.

Senza più preoccupazioni per il bambino, Arthur poté dedicarsi interamente ad affrontare la guerra.


La lettera era terminata. Integra la rimise nella cassaforte. Adesso poteva cominciare a rileggere i diari di suo padre.

  
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