Mildred e
Matthew
«Comincio
a pensare che in fondo mia madre non avesse del tutto
torto...»
Come
risposta ricevette uno sbuffo esasperato ed un'imprecazione soffocata.
«Lei
me lo ripeteva sempre e io che mi ostinavo a non darle ascolto,
bell'affare davvero!»
«Di
cosa stai blaterando?»
«Della
tua assoluta incapacità nel prenderti cura e provvedere alla
sottoscritta! Sto blaterando di questo, Matthew!»
Erano
trascorse ormai più di cinque ore da quando si erano
lasciati alle spalle l'aeroporto di Milano Malpensa con la piccola
utilitaria rosso fuoco presa a noleggio.
Al
loro arrivo li aveva accolti un cielo plumbeo, minaccioso e una serie
di raffiche di vento gelido e pungente, che aveva subito fatto loro
maledire la scelta di mettere cuffie, sciarpe e guanti nei bagagli in
stiva.
D'altronde
avevano scelto l'Italia per il suo celebre bel tempo. Il meteo
però da allora non aveva fatto altro che peggiorare, la neve
aveva cominciato a scendere copiosa e il loro navigatore satellitare
aveva iniziato a fare i capricci.
Adesso,
ore più tardi, la neve non accennava a diminuire e la
visibilità si faceva sempre più scarsa.
«Beh,
se lo dice tua
madre allora deve essere
vero per forza! Quando mai quella donna si è sbagliata su
qualcosa? Quando mai ha parlato a sproposito e senza cognizione di
causa?»
Matthew
era stanco, la notte precedente alla partenza aveva dormito poco e
niente e aveva lasciato irrisolte a Boston un paio di importanti cause.
Non
era abituato a guidare per lunghi periodi e soprattutto non in campagne
sconosciute ed innevate nel Nord Italia.
«Qui
ci siamo già passati un quarto d'ora fa! Quell'insegna
rossa...la vedi? Stiamo girando in tondo, c'è troppa nebbia.
Nessuna guida accennava a tutta questa nebbia, accidenti!»
«Vorrei
ricordarti chi è stato a consigliarci di venire
nell'assolata Italia nel mese di dicembre e per di più nella
zona settentrionale...», borbottò Matt,
rassegnandosi a mettere la freccia e fermarsi in una piccola area di
sosta lungo quella strada nel bel mezzo del nulla.
«Mamma
è sempre andata a Positano in giugno! Che ne poteva sapere
lei di questa maledetta nebbia e di... dov'è che
siamo?!»
Il
navigatore comunicò loro che si trovavano
approssimativamente in un punto imprecisato tra la Bassa Bresciana e il
Cremonese. Luoghi che risultarono loro del tutto sconosciuti e mai
sentiti.
«L'albergo
è a Verona, quanto ci vorrà ancora?».
Mildred
aveva preso la patente anni fa e da allora si era limitata a guidare
solamente in quelle rare occasioni durante le quali il fidatissimo
autista della sua famiglia era stato assente. Quando però,
l'anno precedente, aveva finalmente acconsentito a sposare Matt e
quest'ultimo si era rifiutato di mantenere un autista per scarrozzarla
si era vista costretta a rimettersi alla guida.
Aveva
così scoperto che guidare le piaceva da matti, soprattutto
su strade poco frequentate e piene di curve pericolose. Nessuno
però sembrava apprezzare le sue abilità alla Niki
Lauda e così si ritrovava molto spesso relegata sul sedile
del passeggero, impegnata a tenere il broncio alla persona al volante.
«Con
questo tempo ci impiegheremmo troppo...», rifletté
Matt, fissando quella densa cortina scura che li avvolgeva da tutti i
lati e nascondeva alla loro vista qualsiasi cosa.
Mildred
fece per aprire bocca, ma il marito la fermò
precipitosamente. «No, non ti farò guidare. Non se
voglio vivere abbastanza per festeggiare il nostro primo anniversario e
fare ritorno in patria anche solo per dire per una buona volta a tua
madre quanto avesse torto»
«Quanto
sei noioso! Cosa vuoi fare? E non osare proporre qualcuna delle tue
stupide idee da scout! Non dormirò in macchina, non
andrò alla ricerca di legnetti e rametti e non
scuoierò scoiattoli a mani nude, mi sono fatta fare la
manicure solo l'altro ieri!»
«Io
non ho mai scuoiato alcun tipo di animale!», si difese
indignato Matt.
Lei
alzò gli occhi al cielo. «Ma se tua mamma non fa
altro che ripetere quanto fossi temibile? Tu, la sua giovane nutria con
la fionda!»
«Marmotta»
«Cosa?»
«Giovane
marmotta. Le nutrie non c'entrano nulla»
«Non
sono la stessa cosa più o meno?»
«No,
non lo sono. La marmotta è un animale che -»
Lei
alzò le mani in segno di resa. «Non ricominciare
con le tue tirate sugli animali»
«Pensavo
che guardare con me i documentari della National Geographic ti avesse
dato perlomeno le basi. Sai, distinguere un gabbiano da un pipistrello
o un ippopotamo da un rinoceronte. Cose così...»
«Di
solito dormo e tu neanche te ne accorgi. E poi basti già tu,
no? Nella coppia tu contribuisci conoscendo la differenza tra nutria e
marmotta e io parlando quattro lingue, risolvendo le situazioni spinose
e probabilmente portando in grembo i tuoi futuri figli scout. Mi pare
equo...»
«Mildred,
cosa ci eravamo detti?», sospirò sconsolato.
Lei
alzò gli occhi e incrociò i suoi. Nonostante la
penombra erano blu, calmi e rassicuranti come sempre. Come lo erano
stati la prima volta che li aveva incrociati al secondo piano della
biblioteca di scienze naturali del campus dell'università,
tre anni prima quando suo padre aveva avuto un infarto ed era stato
salvato per il rotto della cuffia o il dicembre precedente, quando si
erano scambiati le promesse in una Boston ghiacciata e bellissima.
«Devo
smetterla di fare la stronza», pigolò sconfitta.
Le
loro mani si intrecciarono al di sopra della leva del cambio - non gli
era riuscito di ottenere un'auto automatica - e si strinsero forte.
Decisero
di comune accordo, dopo innumerevoli discussioni, di cercare un albergo
o qualunque cosa gli assomigliasse nelle vicinanze e fermarsi
lì per una notte.
Il
telefono di Mildred si era spento ore prima, con la batteria ridotta
allo 0% dai suoi molteplici tentativi di fare shopping online sul sito
di Victoria Beckham. Non avevano pensato ad acquistare una SIM italiana
temporanea e così attivarono il servizio roaming, ben
consapevoli del salasso economico a cui andavano incontro.
L'albergo
più vicino risultò essere un affittacamere in un
comune a un paio di chilometri di distanza di nome Fiesse, non c'era il
link di alcun sito internet, ma un numero di telefono era segnato
accanto all'indirizzo.
Matthew
poteva pur avere una conoscenza enciclopedica a proposito del diritto e
del mondo animale, ma le lingue straniere non erano mai state il suo
forte. Inglese madrelingua, non aveva mai tentato di uscire dalla sua
comfort zone, confidando sempre nella buona volontà altrui
nell'apprendere la sua lingua, che fortunatamente era considerata
l'idioma universale per eccellenza.
In
quel campo Mildred lo batteva su tutti i fronti. Era stata allevata da
una tata tedesca, aveva frequentato un collegio in Francia e aveva
scritto la tesi a Firenze durante il suo ultimo anno di specialistica.
Si destreggiava con disinvoltura tra le sue conoscenze linguistiche e
non si stancava mai di approfondire e perfezionare le nozioni
già in suo possesso.
«Cedo
a te l'arduo compito...», affermò sollevato Matt,
porgendo alla moglie il proprio telefono.
«Ovviamente...»
Le
dettò il numero di telefono e successivamente
ricontrollarono che fosse giusto e che il prefisso inserito fosse
corretto.
Matthew
approfittò di quel momento per studiare la vecchia cartina
stradale che avevano trovato nella portiera del passeggero. Sarebbe
bastato fare inversione, proseguire su quella strada fino
all'intersezione con una statale e da lì prendere l'uscita
sulla sinistra, poi alla seconda rotonda si doveva svoltare a destra e
lì ci sarebbe dovuta essere la pensione.
«No,
una notte. Una soltanto, sì, esatto. Stanotte, domattina
ripartiamo. Mmh, mmh...no! Siamo in due...si, va bene tutto. Ok,
perfetto! D'accordo, ci vediamo tra poco. Grazie mille! Ah
sì, Signore e Signora Levinson. A dopo!». Mildred
chiuse la telefonata e tirò un sospiro di sollievo.
«Fatto?»
Annuì
soddisfatta. «Le tre camere in affitto sono già
occupate dai loro lontani parenti arrivati per le feste natalizie o
qualcosa del genere. Però fortunatamente hanno una piccola
dependance e possono sistemarci lì per una
notte...»
Poteva
andare peggio, pensò Matthew, mentre rimetteva in moto
l'auto e si apprestava a reinserirsi nella nebbia sempre più
spessa.
Dieci
minuti più tardi, dopo aver sbagliato per due volte
l'uscita, riuscirono a raggiungere la rotonda e a
parcheggiare l'automobile in un piccolo parcheggio di fronte ad una
farmacia.
Si
riusciva solo ad intravedere la luce al neon verde della croce
lampeggiante della farmacia, che segnava 1°C e li informava che
erano le 22.07, dopodiché non si vedeva alcunché.
Uscirono
dal caldo abitacolo e il respiro si mozzò loro a contatto
con la gelida aria invernale. Recuperarono i bagagli e provarono ad
avvicinarsi alla strada, alla ricerca di un cartello stradale o di un
numero civico.
«Questo
è il 7!», esclamò Matthew, rimuovendo
un velo di neve dalla cassetta della posta dell'unica casa presente dal
lato di strada della farmacia.
La
pensione si trovava al numero 12, così attraversarono la
strada deserta e si ritrovarono di fronte ad un citofono debolmente
illuminato che recava impressa la scritta 'Affittacamere Luisa'.
Essendo
un'ora tarda Mildred si rifiutò di suonare il campanello,
nel timore di svegliare gli ospiti e si impuntò per
telefonare e annunciare così il loro arrivo.
Passarono
altri cinque gelidi minuti prima che il cancello venisse aperto e uno
spiraglio di luce illuminasse il grande porticato della casa a tre
piani.
«Buonasera,
prego entrate. Benvenuti! Avete fatto fatica a trovarci? Immagino di
si, con questa nebbia è praticamente impossibile
spostarsi!», li accolse un'anziana signora dall'aria materna
e gioviale.
Matthew
non capì una parola e così si limitò a
sorridere, grato per l'accoglienza e il calore che regnavano in
quell'anticamera arredata con gusto alquanto rustico.
«Buonasera,
grazie mille! È stato piuttosto complicato, ma ora siamo
qui. Io sono Mrs. Levinson e lui è mio marito, purtroppo non
parla e non capisce alcunché di italiano», si
scusò indicando il consorte, impegnato a scaldarsi le mani
vicino all'unico termosifone presente.
«Sbrighiamo
subito le faccende burocratiche così vi lascio andare a
riposare. Allora la dependance sarà un po' fredda
perché non aspettavamo ospiti e abbiamo acceso il
riscaldamento solo dieci minuti fa. Qui c'è la vostra
biancheria per letto e bagno e un cestino con uno spuntino, ho pensato
che forse non avevate avuto il tempo per cenare come si deve. Mi serve
solo un documento d'identità, un paio di firme e...per una
notte fanno 35€!»
La
ringraziò e tradusse velocemente a Matthew.
«Ovviamente
tu mi rendi partecipe solo quando si tratta di tirare fuori i
soldi...», fu il suo unico commento.
Saldarono
il conto, firmarono il registro e uscirono nuovamente nella tormenta
per seguire la Signora Luisa nel retro del giardino.
Dovettero
camminare per cinque minuti nella neve prima di riuscire ad intravedere
le finestre debolmente illuminate di quella che pareva essere una
graziosa casetta in legno dal tetto spiovente.
Altri
cinque minuti e si ritrovarono da soli, attorniati dalle valigie, al
centro di un ampio salone tutto pietra e legno di pino.
«Qui
dentro si congela...», constatò Matthew,
allungando una mano per tastare il calorifero vicino alla porta.
***
«Cosa
credi di fare? Matt, non sei mai riuscito neanche a riparare la
lampadina fulminata in soggiorno, figurarsi una doc-»
Il
getto della doccia si aprì e iniziò ad erogare
un'abbondante quantità di acqua gelida.
«Dicevi?»
«Pff,
la fortuna del principiante!», gli tarpò le ali
lei.
Matthew
fece per uscire dalla vasca da bagno quando, del tutto senza preavviso,
il miscelatore della doccia impazzì iniziando a comportarsi
come se fosse un impianto d'irrigazione, spruzzando acqua tutto attorno
e bagnando ogni cosa.
Scivolò
sulla superficie smaltata bagnata della vasca e si ritrovò
lungo e disteso, completamente zuppo.
«Cosa
avevi appena detto?», sbraitò Mildred, mentre
tentava di mettersi al riparo dietro la tenda in plastica impermeabile
decorata con piccole nuvolette.
Allungò
un braccio e con la punta delle dita riuscì a chiudere il
rubinetto. L'acqua gorgogliando iniziò a svuotarsi
giù per lo scarico e lei fece capolino per controllare la
situazione.
Le
balzò subito agli occhi che qualcosa non andava quando vide
il marito premersi forte un palmo contro la tempia e delle goccioline
di un rosso pallido scivolargli lungo la manica della camicia
impregnata d'acqua.
«Oh
mio dio! Matt! Ma sei ferito?», si allarmò,
lasciando perdere il suo riparo e gettandosi in ginocchio sul pavimento
bagnato.
Gli
scostò con delicatezza i capelli e osservò la
piccola ferita sanguinante che faceva capolino sulla pelle imperlata
d'acqua. Fortunatamente non pareva niente di grave e così
gli ordinò di alzarsi, infilarsi l'accappatoio e mettersi un
paio di pantofole prima di prendersi qualche malanno.
Nel
frattempo lei raggiunse la camera da letto, dove avevano abbandonato le
valigie chiuse accanto alla porta d'ingresso. Sua madre le aveva
tramandato molto gentilmente una certa ansia ipocondriaca che la
portava a temere sempre il peggio e ad evitare a tutti i costi luoghi
pubblici troppo affollati, ospedali e persone colpite da malattie
potenzialmente contagiose.
Eppure
quasi tutte le fasi salienti della loro relazione avevano avuto come
sfondo malattie, lunghe convalescenze e corsie asettiche di ospedali.
Solo
un paio di anni prima c'era stato quel brutto incidente che aveva visto
coinvolta Mildred, ai tempi ai ferri corti con Matthew. Quest'ultimo
era stato mandato per un periodo di sei mesi in uno studio notarile
associato con sede a Montreal. E così si era visto costretto
a lasciare sola la sua ragazza, dopo solamente tre mesi di convivenza
nel nuovo appartamento che avevano acquistato insieme.
I sei mesi erano scaduti da una decina di settimane e ancora lui non
accennava all'idea di un imminente rientro in patria. Mildred
continuava a dormire da sola in un letto troppo grande per lei e a
volare in Canada non appena possibile. Non si era mai lamentata, ma
Matthew percepiva il suo disappunto in ogni suo gesto e in ogni suo
silenzio.
Tutto
era degenerato poco prima di Natale, quando lui le aveva telefonato
informandola che non sarebbe volato a casa prima della Vigilia. La cena
del 24 Dicembre per la famiglia di Mildred era una sorta di istituzione
e il solo fatto che Matthew fosse stato invitato per la prima volta,
nonostante si frequentassero da svariati anni, era già di
per sè un fatto singolare.
Le
presentazioni erano già state fatte anni prima, ma mai in
occasioni ufficiali come una cena con la famiglia al gran completo.
Quella era la prova dell'otto, superata quella Matthew avrebbe avuto la
strada spianata per sempre. Mildred aveva minimizzato l'importanza di
quell'invito, ma in verità fremeva d'ansia. Matt non
l'avrebbe delusa, ne era certa.
Alle
18.30 di quel 24 Dicembre di lui però non c'era traccia e il
suo telefono continuava a suonare a vuoto. Sarebbe dovuto atterrare ore
prima, il sito di monitoraggio dei voli lo confermava, ma non aveva
ancora ricevuto alcuna notizia da parte sua. Lui doveva esserci
quella sera, lo aveva promesso. Quasi trenta parenti lo attendevano e
lei non poteva presentarsi sola, non lo avrebbe sopportato. Non dopo
anni al tavolo delle prozie zitelle e dei cuginetti in età
scolare.
Mettersi
alla guida con tutti i telegiornali che annunciavano una tormenta di
neve in arrivo giusto in tempo per la mezzanotte di Natale non si era
rivelata una scelta saggia. Aveva raggiunto Boston premendo
all'impazzata sull'acceleratore, gli sguardi preoccupati e scettici dei
suoi genitori impressi a fuoco nella mente. Il loro appartamento si
trovava nella zona est, in una zona piuttosto verde, abitata
principalmente da giovani famiglie. Trovare tutte le luci di casa
spente e le finestre sbarrate la fece deprimere ancora di
più. Dov'era Matthew?
Ormai
erano le 21 suonate, lei si era tolta le scarpe già da un
pezzo e se ne stava seduta al buio sulla poltrona che dava le spalle
alla porta d'ingresso, un bicchiere di vino bianco stretto in una mano.
Quando la porta si aprì, lei non si mosse di un centimetro.
Ascoltò i suoi passi stanchi avanzare per l'ingresso, il
tintinnio delle chiavi che venivano lasciate cadere in una tasca, il
fruscio di un cappotto che veniva abbandonato sopra lo schienale del
divano.
«Dove
sei stato?»
Detestava
impersonare quel ruolo, lo detestava con tutto il suo cuore, ma
meritava delle spiegazioni e le avrebbe pretese, anche a costo di
passare per la fidanzata psicopatica.
«Mil...».
Un sospiro, pochi passi attutiti dal legno del parquet e poi il
silenzio.
Avevano
speso così tanto tempo per scegliere quell'esatta tipologia
di legno e quella sfumatura calda per il parquet della loro nuova casa.
Per mesi avevano dedicato ogni weekend alla realizzazione di quel
piccolo nido, punto di partenza della nuova vita che avevano deciso di
condividere. Ma erano mesi ormai che non condividevano più
nulla, se non delle stanche conversazioni telefoniche che si sentivano
obbligati a sostenere ogni sera.
«Perché
non sei a casa?», chiese lui, avvicinandosi alla poltrona e
sfilandole dalle dita il bicchiere ormai vuoto.
Fu
allora che Mildred realizzò che non era altro che una donna
alla soglia dei trent'anni che non era stata in grado di concludere un
granché. Si era illusa che quello sarebbe stato l'inizio
della sua vita da adulta. Basta fughe, basta tira-e-molla, basta
incertezze. Aveva un lavoro da freelance, un mutuo appena avviato, un
uomo affidabile al suo fianco. Invece si era ritrovata alle prese con
un impiego che le concedeva la libertà di lavorare da casa,
ma le occupava le serate e i fine settimana, impedendole di dedicarsi
ai suoi affetti, che invece avevano tutti un tranquillo lavoro che
andava dal lunedì al venerdì. La casa era un
impegno in più, le pulizie, la spesa, il bucato. E a fare
tutto ciò era sempre stata sola, con Matthew in Canada. E
Matthew, Matthew si era dimostrato distratto, assente non solo
fisicamente e di poco supporto.
«È
questa casa mia! Questa casa che abbiamo scelto insieme tra decine di
altre case, questa casa che abbiamo acquistato e trasformato insieme,
dove avremmo dovuto vivere insieme. Cosa potevo dire ai miei genitori?
Me lo avevi promesso, Matthew, lo avevi promesso!»,
strillò incapace di mantenere il solito controllo. Fu
liberatorio, per una volta, non sforzarsi di soffocare le proprie
emozioni, non calibrare le proprie reazioni e agire impulsivamente.
Si
fronteggiarono, in piedi di fronte alla grande portafinestra del
soggiorno. La stessa portafinestra che con l'ampia terrazza a cui dava
accesso li aveva convinti a prendere quell'appartamento.
La
luce era ancora spenta e così solo la penombra data dai
lampioni e dalle luci dei palazzi attorno a loro si rifletteva sul
volto stanco di Matthew e negli occhi delusi di Mildred.
«Mildred,
sai benissimo che siamo nel bel mezzo di una trattativa delicatissima e
che la buona riuscita di questo incarico sarà decisiva per
il mio futuro. Ne abbiamo parlato mille volte e tu ti sei sempre
dichiarata d'accordo, sei sempre stata al mio fianco e io ti sono grato
per il sacrificio che hai fatto, dico davvero»
«Me
ne sei grato? Dovrei ringraziarti? Sono stata in silenzio, Matthew, ho
vissuto da sola per quasi un anno, portando avanti questa casa che
doveva essere nostra. Ho preso quasi quaranta voli per Montreal, contro
l'unico viaggio che tu hai fatto fino a Boston per la nascita della
figlia di Liam! Ti avevo chiesto solo una cosa in cambio, solo la tua
presenza stasera a quella maledetta cena!»
Matthew
lo sapeva, aveva fatto di tutto per liberarsi in tempo, ma aveva
fallito, nonostante la quantità assurda di soldi che aveva
dovuto sborsare per farsi posticipare il volo, nel disperato tentativo
di arrivare in tempo.
«Dammi
un quarto d'ora, mi faccio una doccia, mi cambio al volo e andiamo dai
tuoi. Ci sono delle camicie stirate qui nell'armadio?»
Era
l'armadio di casa sua, una casa in cui non aveva quasi mai vissuto, e
non sapeva più neanche cosa contenesse.
«Sì,
c'è tutto quello che ti può servire. Non voglio
che tu venga a casa dei miei genitori, non stasera. Ci andrò
da sola e ci resterò almeno fino a Capodanno, credo sia
meglio così», mormorò Mildred,
dirigendosi verso la stanza da letto.
Recuperò
il vecchio borsone che utilizzava quando in passato trascorreva il
weekend a casa di Matthew e iniziò a infilarci dentro capi a
caso che prelevava alla cieca dal cassetto della biancheria pulita.
Una
mano le circondò il polso, obbligandola a fermarsi.
«Cosa stai dicendo? Sono tornato solo per te!»
«Altrimenti
cosa avresti fatto? Se ti avessi detto che potevi restare in Canada
anche per le feste natalizie? Avresti lavorato e mi saresti stato grato per
aver compreso?», sibilò furiosa, liberandosi dalla
sua presa e passando al ripiano dei maglioni.
«Io...Mildred,
stai solo facendo i tuoi soliti capricci. Sono qui, sono qui con te
adesso. È questo l'importante, non credi? Adesso ci calmiamo
entrambi e partiamo-»
«Calmati
tu, stronzo!», gli gridò prima di correre fuori
dalla stanza.
Lasciò
perdere l'ascensore e si gettò giù per le scale,
il borsone stretto tra le braccia. Non aveva la minima idea di cosa
stesse facendo, se lui la stesse rincorrendo, se avesse senso quel suo
istinto di fuga.
Raggiunse
la sua auto, il respiro mozzato dal freddo e dalla corsa. Era senza
cappotto, senza scarpe e probabilmente senza senno. Si era appena
chiusa la portiera alle spalle quando lo vide, scarmigliato e affannato
che spalancava il portone del loro palazzo e si lanciava al suo
inseguimento.
Gli
rivolse un ultimo sguardo attraverso lo specchietto retrovisore e
partì in quarta, senza mai sollevare il piede
dall'acceleratore.
Sognavano
tutti delle grandi storie d'amore, uno di quegli amori in grado di
farti toccare il cielo con un dito e che ti regalano una
felicità unica, completa e contagiosa. Ma quei grandi amori
sono anche gli stessi che ti portano a guidare senza meta tra la neve,
la vista appannata dalle lacrime. Sono quelli che in cambio di tutta
quella gioia pretendono piccoli pezzi del tuo cuore, lasciandoti molto
spesso agonizzante al suolo se colui a cui li hai donati si allontana
troppo portandoseli con sé. Ne valeva la pena?
La
risposta era così chiara, la consapevolezza la
illuminò all'improvviso e il suo piede pigiò
all'improvviso sul freno, incurante della folle velocità a
cui si stava muovendo la vettura e dello spesso strato di ghiaccio che
ricopriva l'asfalto.
Successe
tutto in un attimo. Perse il controllo dell'auto, un boato.
Matthew
era il suo grande amore.
Poi
il buio.
Si
era risvegliata poco dopo, la testa che pulsava, i capelli umidi e
qualcosa di caldo che le bagnava la nuca. Era stordita dalle mille
sensazioni contrastanti che stavano attraversando il suo corpo. Un
dolore sordo alla spalla sinistra, il gelo pungente della neve, il
cuore traboccante d'amore. Qualcuno le stava puntando la luce di una
torcia dritta in viso e lei chiuse gli occhi per proteggersi.
Ricordava
sprazzi di conversazioni, mani che la toccavano con delicatezza, un
rumore di passi, una sirena che si avvicinava, luci blu lampeggianti.
Poi qualcuno l'aveva medicata, le avevano steccato un braccio e
l'avevano sollevata con estrema cautela.
Quando
si era risvegliata una seconda volta era distesa in uno sterile lettino
d'ospedale, un braccio immobilizzato e la mano intrappolata in una
presa calda.
La
testa di Matthew era posata sul materasso, gli occhi chiusi e
un'espressione tesa dipinta in volto nonostante il sonno. Avrebbe
voluto accarezzarlo, domandargli cosa era successo, ma si
limitò ad osservarlo con infinito affetto.
Aveva
aperto gli occhi e lui era lì. Era lì solo per
lei e questo probabilmente bastava a dimostrare quanto tutto
ciò di cui lo aveva accusato poche ore prima fosse
sbagliato, sbagliato e ingiusto.
Poco
dopo un'infermiera fin troppo loquace era arrivata nella stanza e da
lì fu un susseguirsi di notizie e visite. Aveva avuto un
incidente, era finita fuori strada a causa del manto stradale
ghiacciaio. Una macchina si era fermata qualche minuto più
tardi e aveva allertato i soccorsi, aveva contattato subito il numero
delle emergenze salvato in rubrica, che altri non era che Matthew.
Quest'ultimo era accorso immediatamente, aveva chiamato la famiglia
affinché rilasciassero il permesso di visita anche a lui.
Dopodiché non si era più allontanato dal suo
letto.
Uno
splendido giorno di Natale insomma.
Aveva
una lieve commozione cerebrale e clavicola e omero sinistri erano
fratturati.
«Come
stai, tesoro?», le chiese Matt una volta sveglio,
accarezzandole piano la fronte.
C'erano
volute ben due ore per far sloggiare dalla stanza tutto il parentado
vario, ma finalmente erano soli.
«Mi
sento piuttosto frastornata e non riesco ancora a capire come siano
potute succedere così tante cose in meno di ventiquattro
ore...», mormorò lei.
Sapeva
di avere un aspetto orribile, i capelli ancora impiastricciati di
sangue rappreso e un antiestetico cerotto applicato proprio sul mento,
ma in quel momento nulla le pareva più importante della
presenza costante di Matthew al suo fianco.
«Quando
ho ricevuto quella telefonata ero così sollevato, credevo
volessi avvisarmi di raggiungerti e invece...»
«Invece
ho visto bene di esibirmi in una tripla capriola con automobile e
atterrare in un torrente ghiacciato», concluse mortificata
lei.
Era
stata così infantile, e così incosciente.
«Promettimi
che non metterai mai più a repentaglio la tua vita, mai
più. Non so cosa avrei fatto se...»
«Shh,
non è successo nulla per fortuna. Io sto bene, è
tutto passato. Noi staremo
bene...», lo rassicurò lei, afferrandogli la mano
e portandosela alle labbra.
«Non
volevano farmi entrare, continuavano a ripetere la solita stupida frase
riguardo al fatto che sono ammessi solo i parenti. E io non lo
sono»
Il
discorso finì nel nulla perché gli antidolorifici
uniti ad una buona dose di calmante avevano iniziato a fare effetto e
Mildred poco dopo si era addormentata. Matthew la osservò
dormire pacificamente, bellissima nonostante la camicia da notte
dell'ospedale e il viso pallido.
Era
rimasto in silenzio di fronte alle male parole che gli erano state
rivolte dalla madre di Mildred, non aveva fiatato al cospetto dello
sguardo contrariato e furioso di suo padre. Cosa avrebbe potuto dire?
In quel momento il suo corpo era teso, le gambe incapaci di fermarsi
per un solo istante, la mente confusa da una miriade di terribili
immagini che vedevano Mildred lontana per sempre.
Continuò
a guardarla e a chiedersi cosa avesse fatto per meritarsi l'amore di
quella creatura meravigliosa. L'aveva tradita, l'aveva lasciata andare,
l'aveva abbandonata. Si era preso il suo cuore, donandole in cambio il
proprio. Questo lei lo sapeva, era proprio per quello che gli aveva
sempre offerto una seconda possibilità, gli aveva sempre
teso una mano.
Ora
toccava lui: prenderle la mano, aiutarla a rimettersi in sesto, tornare
a vivere accanto a lei, proteggerla e continuare ad essere il suo primo
contatto in caso di necessità.
L'idea
gli venne all'improvviso, quando lo sguardo gli cadde sul pennarello
rosso abbandonato vicino ad una rivista di cruciverba.
Fece
attenzione a non svegliarla e quando ebbe finito le lasciò
un bacio sulle nocche della mano destra e se ne andò.
Erano
passati due anni da quella notte di Natale dove tutto cambiò.
«Continuo
a pensare che nessuno abbia mai ricevuto una proposta più
insolita ed idiota della tua...», ridacchiò
Mildred, tamponando con dell'acqua ossigenata la tempia del marito.
«Ammettilo
Mil, in fondo l'hai adorata...»
Ed
era vero, quando si era risvegliata nuovamente la luce del sole che
filtrava dalle veneziane le aveva fatto scoprire di essere rimasta
sola. Aveva provato un moto immediato di delusione, ma lo aveva
scacciato concentrandosi piuttosto sull'impellente bisogno di andare in
bagno.
Era
stato lì, mentre si guardava allo specchio, controllando lo
stato della sua ferita al mento e la profondità delle
occhiaie, che lo sguardo le era caduto sull'ingombrante ingessatura.
Lì,
sopra a quel bianco immacolato, spiccava un'unica parola, vergata in
rosso sangue.
SPOSAMI.
«Pareva
più un ordine che una domanda...»,
borbottò, applicandogli un piccolo cerotto rettangolare.
«Credo
tu ti sia rifatta quando mi hai costretto ad inginocchiarmi nella neve
di fronte a tutti i tuoi parenti, fingendo che fosse quella la proposta
ufficiale. Devo ammettere che ti dimostrasti un'ottima attrice, ci
credettero tutti...»
***
«Ti
ricordi il nostro viaggio di nozze?», le sussurrò
accarezzandole piano il collo lasciato scoperto dai capelli sparsi sul
cuscino.
Mildred
si mosse e si accoccolò più vicino a lui, la
guancia posata sulla sua spalla. «Oh sì! Ricordo
che il primo giorno volevo già chiamare Liam per chiedergli
informazioni riguardo ad un possibile annullamento del nostro contratto
matrimoniale...»
«Che
bugiarda che sei...»
«Però
devo ammettere che i giorni successivi me li sono goduta»,
tubò maliziosa, mordicchiandogli il lobo dell'orecchio.
«Vorrei
ben vedere! Le mie doti amatorie mi hanno reso celebre ad
Harvard!», gonfiò il petto lui.
Quelle
parole gli fecero guadagnare un doloroso pizzicotto all'avambraccio.
*
Mildred
lo aveva sempre saputo e accettato; Matthew aveva un carattere
estroverso, era chiassoso, divertente, catalizzava gli sguardi e
l'attenzione di tutti e sapeva godersi la vita.
I
primi tre anni di relazione erano stati un calvario, un continuo
rincorrersi e mai raggiungersi. Lui troppo immaturo per mantenere fede
alle promesse che le faceva e lei troppo cocciuta per dirgli addio una
volta per tutte.
Si
erano presi e mollati infinite volte, avevano giurato di non ricascarci
mai più e si erano dichiarati il proprio odio reciproco.
Aveva portato all'esasperazione l'intero campus con la loro storia
on-off e portato sull'orlo di un esaurimento nervoso Liam e Tiffany, i
loro rispettivi migliori amici.
La
sera del ventiquattresimo compleanno di Matt litigarono, e questa di
per sè non rappresentò una grande
novità, se non fosse che lo fecero davanti a quaranta
invitati e il tutto si concluse solo con l'arrivo di un'ambulanza.
Erano
in un periodo di pausa; Mildred quella sera era
esausta, era appena stata bocciata ad un esame e quella stessa mattina
aveva ricevuto una mail in cui le veniva comunicato di non essere stata
accettata all'ultimo anno di laurea specialistica
all'Università di Heidelberg per soli tre punti. Aveva preso
un paio di aspirine e le aveva buttate giù con una generosa
dose di Vodka Redbull. Quello era il cocktail preferito di Matt, che
lei solitamente schifava, ma quella sera non ebbe la forza di fermarsi
troppo a riflettere sulle proprie azioni. Tiffany le aveva sconsigliato
vivamente di presenziare a quel party.
Non sei sua amica, non sei una sua compagna di
corso né una sua cugina. Come giustificheresti la
tua presenza lì?
Non
era proprio niente per lui, niente di niente. Decise all'ultimo di
andarci, solo per fare un salto e augurargli buon compleanno, si disse.
Aveva
acquistato un paio di mesi prima il suo regalo, un soggiorno di quattro
giorni in una riserva faunistica del Canada. Un dono da fidanzata, ma
ormai era troppo tardi per richiedere un rimborso. Liam non sembrava
affatto un tipo da baita, abeti a perdita d'occhio e assenza di
Internet, ma perlomeno Matthew si sarebbe divertito ad andare a fare
delle escursioni nella speranza di avvistare qualche orso. O qualche
giovane turista bionda con un pessimo senso dell'orientamento.
Era
arrivata in ritardo; la musica era già alta, le cibarie
scarseggiavano e gli ospiti parevano già alquanto alticci.
Depositò
la sua elegante busta argentata in cima alla pila dei regali e si
sfilò il cappotto. Fu in quel momento che Matthew apparve
sulla soglia della cucina e lei cercò un contatto visivo con
lui.
Sapeva
che lui l'aveva vista, nonostante evitasse di guardarla.
«Auguri...», mormorò timidamente.
Trascorse
un istante, dopodiché lui la sorpassò senza
degnarla di uno sguardo, fingendo di non averla sentita.
Fu
come ricevere un sonoro ed inaspettato schiaffo sulla guancia. Le si
riempirono gli occhi di lacrime, ma si rifiutò di lasciarle
scendere.
Dopo,
ordinò a sé stessa, più tardi avrai
tutto il tempo per autocommiserarti, ora alza la testa e vai avanti.
Scappare
via avrebbe significato fare il suo gioco e così decise di
raggiungere il soggiorno alla ricerca di qualcosa di molto forte ed
alcolico.
C'era
della birra calda, del punch dal colore sospetto e un paio di bottiglie
di whisky. Tutto ciò che Mildred aborriva e che invece
piaceva tanto a Matthew. Optò per tre dita di whisky liscio,
rinunciando in partenza ad avventurarsi alla ricerca di un paio di
cubetti di ghiaccio.
Sapeva
già che se avesse aperto il freezer di Matthew ci avrebbe
trovato solo altre birre messe a raffreddare, i pacchettini con il
pranzo ordinatamente etichettati preparati dalla sua fin troppo
amorevole mamma e un barattolo di gelato alla stracciatella. L'essere a
conoscenza di tutti quei piccoli dettagli che lo riguardavano una volta
aveva il potere di farla sentire ancora più innamorata,
mentre ora voleva solo dimenticarseli al più presto per non
doverci pensare mai più.
«Mildred»
C'era
solo una persona al mondo, oltre a suo padre, che pronunciava il suo
nome come se fosse un muto rimprovero.
Ai
tempi Liam non era molto diverso dalla persona adulta che sarebbe
diventata. Era sempre stato un ragazzo attraente, ma Mildred lo aveva
sempre trovato eccessivamente serio e corrucciato. Sapeva quanto lui
disapprovasse il modo di vivere libertino del suo migliore amico,
eppure non aveva mai parteggiato per la buona riuscita della loro
relazione.
Matthew
una volta le aveva confidato che Liam la riteneva troppo focalizzata su
sé stessa e poco incline a giungere a compromessi. Si era
sentita oltraggiata, sicura com'era di essere una persona buona ed
altruista.
«Ehi
Liam, niente studio stasera?», gli domandò tanto
per fare.
Era
da tempo che non si incrociavano e si sorprese a trovarlo ad un evento
mondano. Non aveva mai ben capito cosa ci fosse nel suo passato, fatto
sta che non ne parlava mai, non tornava mai a casa e passava ogni
festività o ad uno dei suoi due lavori o dalla famiglia di
Matthew.
Lui
si strinse nelle spalle. «È il suo
compleanno...»
Già,
in fondo anche lei era lì per quello, nonostante tutto.
«Ti
trovo bene. Cosa fai adesso? Non ti ho più vista dalla tua
laurea...»
Ovvero
tre mesi prima, in un settembre insolitamente caldo e luminoso.
Conservava una foto nella sua copia consunta de I dolori del giovane Werther. Un'immagine
scattata a tradimento da sua madre, che la raffigurava sorridente con
la mano allacciata a quella di Tiffany, il braccio di Matthew attorno
alle sue spalle e un Liam meno serioso del solito sullo sfondo.
Lui
doveva essere all'ultimo anno di legge, esattamente come Matthew, e
probabilmente era ancora il primo del suo corso. Mentre lei...
«Alla
fine ho scelto Relazioni Internazionali come specialistica. Sto
pensando di andare all'estero il prossimo anno...»
«Hai
lasciato perdere Letteratura Tedesca?», le domandò
chiaramente sorpreso.
Il
suo amore per Goethe era cosa nota. Così come l'opposizione
della sua famiglia.
«Ho
dovuto fare un compromesso», tagliò corto.
Più
che un compromesso si era trattato di un silenzioso assenso, una
decisione quasi obbligata, fatta a testa bassa, dopo le innumerevoli
discussioni che avevano animato i pasti in famiglia.
«Tu
come stai?», si affrettò a chiedere, spaventata
per la prima volta dall'idea di poter apparire proprio come lui l'aveva
sempre descritta.
Fredda,
altera, per nulla interessata agli altri. Era così che
appariva? Ultimamente se lo era chiesto più volte,
accantonando ogni volta il pensiero. Non lo avrebbe sopportato, non ora
che aveva un cuore ancora malandato e una carriera universitaria che
stava perdendo pericolosamente quota.
«Non
c'è male, grazie. Com'è che non sei andata a
sciare sulle Alpi quest'anno?»
I
due dicembre precedenti non aveva mai potuto presenziare di persona ai
festeggiamenti per il compleanno del suo ragazzo, sempre confinata in
uno chalet tra i monti svizzeri con una compagnia che, conteggiando
pure lei e sua cugina di dieci anni, aveva un'età media di
sessant'anni.
Era
una tradizione di famiglia e una grande passione di suo padre, il quale
da ragazzo era stato una vera leggenda dello sci.
Quell'anno
si era rifiutata, causando ulteriore disappunto in famiglia. Aveva
deciso di lasciare il campus dopo la laurea triennale e si era trovata
un bilocale poco costoso a quindici minuti di distanza che i suoi
genitori trovavano semplicemente orrendo.
Trascorrere
le feste in solitudine le era parsa una possibilità per
rimettere ordine tra i suoi sentimenti ingarbugliati e ripartire in
piene forze con l'anno nuovo.
«Non
mi andava molto. Puoi scusarmi un attimo? Avrei bisogno di andare in
bagno...», mollò il bicchiere sul basso tavolino
accanto al divano e fece per voltarsi.
«Ti
conviene usare quello al primo piano. Seconda porta a
sinistra», la istruì lui, il tono di voce freddo.
Mildred
si infastidì. «Me lo ricordo»,
commentò pungente, prima di mollarlo lì, solo nel
mezzo dell'ampia sala.
Imboccò
in fretta le scale e percorse due scalini alla volta, lo stomaco sempre
più in subbuglio e un cattivo sapore che le invadeva la
bocca.
Era
stata in quella casa almeno un centinaio di volte se non molto di
più in quegli ultimi anni. Infinite notti passate nel letto
di Matthew, ad ascoltare il rumore del suo respiro confondersi con
quello della ferrovia poco distante.
La
musica era assordante, una qualche traccia di quell'elettronica
arzigogolata e quasi barocca, che piaceva tanto agli amici di Matthew.
La
porta era socchiusa, allungò una mano per bussare, ma
all'improvviso il suo corpo decise di averne abbastanza e
così si ritrovò a spalancare la porta e a
gettarsi a terra di fronte al water.
Vomitò
le aspirine, il cocktail di prima e il whisky appena bevuto. Quando si
sentì completamente svuotata e gli spasmi allo stomaco si
calmarono alzò la testa e i suoi occhi inorridirono.
Seduto
sul bordo della vasca da bagno, i pantaloni slacciati, e una ragazza
bionda inginocchiata e china davanti a lui, all'interno della vasca in
ceramica azzurra, stava Matthew.
Si
fissarono per alcuni istanti interminabili; mentre la bionda, ignara
del fatto di avere compagnia, continuava il suo lavoro di bocca, la
testa che si alzava ed abbassava ritmicamente.
Un
attimo dopo lui balzò in piedi e scansò la
ragazza, mentre Mildred cercava contemporaneamente di alzarsi in piedi,
pulirsi la bocca e rasettarsi i capelli.
Provò
a rimettersi in posizione eretta, ci provò con tutta
sé stessa e detestò la propria debolezza quando
riuscì solo a farsi cadere priva di forze sulla tazza del
wc, che era riuscita a chiudere un attimo prima di accasciarvisi sopra.
Vide
con la coda dell'occhio che lui era riuscito a sistemarsi i jeans e a
liberarsi della bionda, chiudendole la porta alle spalle. A chiave.
«Stai
bene?», le chiese non accennando ad avvicinarsi.
Aveva
i capelli stravolti, le pupille dilatate e i vestiti in condizioni
pietose. Mildred si rifiutò di pensare cosa avesse fatto per
ritrovarsi con quell'aspetto trasandato.
«Una
meraviglia», biascicò con la bocca impastata.
Avrebbe
davvero voluto un bicchiere d'acqua fresca, ma il lavandino era troppo
vicino a lui e così decise di lasciar perdere concentrandosi
piuttosto sulla sua modalità di fuga.
Gliela
poteva leggere sul volto, al di là delle occhiaie scure e
degli occhi troppo lucidi. Quell'espressione determinata a finire
ciò che aveva iniziato, a strapparle nuovamente dal petto
quel poco di cuore che era tanto faticosamente riuscita a rimettere
insieme.
Matthew
la osservò, così pallida e minuta, le mani
aggrappate al bordo del water come per restare ancorata a qualcosa,
nella vana speranza di non colare a picco.
L'aveva
amata tantissimo, ma lo aveva fatto nel modo sbagliato. L'aveva data
per scontata, l'aveva sempre sottovalutata, non comprendendo pienamente
la complessità e le mille sfaccettature di quella piccola
donna che ora stava tremando davanti ai suoi occhi implorandolo con lo
sguardo di lasciarla andare.
«Mil,
io...non vol-», tentò.
Lei
esplose senza preavviso. La rabbia a scorrerle nelle vene e a donarle
un'improvvisa e precaria dose di nuova energia. Balzò in
piedi e fece tre passi verso di lui e la porta.
«No.
No, non ascolterò un'altra volta le tue cazzate.
Spostati!»
Non
era abituato a sentirla alzare la voce, sempre incastrata in quella
gabbia di buone maniere in cui l'aveva costretta a crescere i suoi
genitori. Perciò si sorprese quando la sentì
urlare ed utilizzare un tipo di linguaggio non da lei.
Non
poteva lasciarla andare, non così, non con in testa come sua
ultima immagine la scena appena avvenuta nella vasca da bagno.
«M,
ascoltami un attimo, io non potevo sapere che-»
Lei
gli mise una mano sulla bocca, non curandosi di essere delicata.
«Ti ho detto di tacere. Non mi interessa sentire le tue scuse
o qualsiasi altra cosa tu abbia da dire. Ora scansati, per
favore», la voce le si spezzò sulla fine della
frase e il suo tono si fece quasi supplice.
Scosse
la testa deciso ed incrociò le braccia.
Aveva
passato una vita intera a fare solo quello che le veniva detto, a
comportarsi come ci si sarebbe aspettato da una ragazza di ottima
famiglia con dei principi saldi e all'antica. Anni trascorsi ad
abbassare la testa, ad annuire, ad annullarsi.
Fu
in quel momento che qualcosa scattò dentro di lei, qualcosa
si liberò nel mezzo del suo petto dopo anni in
cattività e le fece fremere la spina dorsale.
«Levati
dalle palle, stupido coglione!», sbraitò,
assestandogli una poderosa spallata che lo sospinse violentemente
contro il lavandino.
Fece
scattare la serratura e spalancò la porta con forza, non
curandosi di come il legno cozzò sonoramente contro il
ginocchio di Matthew.
Stava
per scendere il primo gradino verso la libertà, verso la
fine di quell'incubo, quando le sue parole la gelarono sul posto.
«Cos'è
tutto questo fuoco improvviso, Mildred?»
Non
si mosse dalla cima delle scale, le spalle voltate verso di lui. Sempre
più occhi curiosi puntati su di loro dal piano inferiore.
La
musica improvvisamente si era abbassata e aveva lasciato il passo ad
una vecchia dolce ballata, la colonna sonora più sbagliata
che poteva esserci in quel momento.
«Perché
adesso ti scaldi e ti infervori per me? Perché ora? Ora che
è troppo tardi, cara Mildred. Perché credi
dovessi sempre cercare consolazione altrove? Perché pensi di
avermi trovato con il cazzo in bocca alla prima che passava? Riesci a
immaginare perché sia successo più volte?
Perché continui a farlo?»
Lo
sentiva alle sue spalle, ferito, accecato dal risentimento. Percepiva
il suo alito alcolico sulla nuca.
«DIMMI
PERCHÉ!», le urlò nell'orecchio.
Non
si mosse, rimase immobile.
La
musica ora si era spenta, basta Prefab Sprout, ora era tempo di un
nuovo capitolo della loro telenovela preferita. L'eterno dramma Matthew e Mildred era
ricominciato.
«Non
vuoi parlare? Ok, continua a fare la sostenuta come al solito. Te lo
dirò io allora, Mildred. Sì, lo farò
io, qui davanti a tutti i miei ospiti. Volete sapere perché?
Lo volete sapere?», gridò come un folle, gli occhi
arrossati e una vena che pulsava sulla fronte.
«Matt...»,
Liam alzò la voce per farsi sentire.
Durò
per un secondo la speranza che Matthew potesse fermarsi, potesse
lasciarla stare, smettere di tenerla prigioniera.
«LO
VOLETE SAPERE PERCHÉ?»
«Non
farlo», bisbigliò così piano che si
chiese se lo avesse davvero detto ad alta voce.
«Perché
sei frigida, cazzo! Sempre impettita, sempre pronta a giudicare, sempre
con un manico di scopa infilato su per il culo. Sempre ad osannare il
tuo perfetto papà. Vorresti che fossi come il tuo paparino,
vero? Così ti piacerei di più, ti ecciterebbe di
più?»
Trascorsero
pochi secondi, un silenzio assoluto regnava nella casa, si
udì in lontananza una sirena della polizia e un'auto che
faceva scricchiolare la ghiaia del parcheggio antistante il palazzo.
Dopodiché
fu il caos. Mildred si voltò, afferrò Matthew per
il colletto della camicia, lo fissò con odio e lo
spintonò con tutta la forza che aveva in corpo.
Lui
inciampò, parve recuperare l'equilibrio, ma poi
iniziò a precipitare.
Ancora
ad anni di distanza Mildred riusciva a vedere il suo corpo cadere,
sbattere ripetutamente conto la ringhiera e il legno dei gradini per
poi atterrare, immobile e scomposto, ai piedi delle scale.
*
«Dopotutto
poteva andarmi molto peggio...»
Mildred
ridacchiò. «Massì, un trauma cranico,
una spalla lussata, clavicola e ulna fratturate. Cosa vuoi che
sia?», gli ricordò.
«Niente
in confronto al mio risveglio in ospedale. Quando mi resi conto di cosa
avevo avuto il coraggio di dirti, di farti...»,
mormorò angosciato.
Lei
gli accarezzò piano la fronte, le sue dita fredde e leggere.
«Shhh, è passato tanto di quel tempo...»
L'aveva
cercata appena dopo essere stato dimesso. Era in Svizzera e non era
raggiungibile, così gli comunicarono. Le aveva telefonato
tutti i giorni senza mai ricevere risposta. Aveva pazientato, dopotutto
ingessato com'era non poteva andare chissà dove.
«È
arrivato il nuovo semestre, io avevo di nuovo tutte le ossa integre e
milioni di scuse pronte per te. Ma tu non c'eri...»
Firenze
le aveva salvato la vita. La Toscana, gli italiani, il calore del sole,
la Cupola del Brunelleschi, Piazzale Michelangelo all'alba, il Chianti,
la sua piccola mansarda al settimo piano.
Era
stato in quell'anno che aveva lavorato su sé stessa per la
prima volta nella sua vita, aiutando ad emergere e prendendosi cura di
quel nuovo lato di sé che aveva scoperto.
Si
era dedicata solo e soltanto a sé e aveva trascorso dei mesi
meravigliosi. Andava in università, telefonava poco a casa e
provava a schiarirsi le idee. Durante i fine settimana solitamente
accompagnava gruppi di turisti in piccole gite fuori porta, insegnava
loro ad apprezzare la cucina, la storia, la tradizione italiana e lei
imparava insieme a loro.
Aveva
conosciuto Giovanni una sera di aprile, alla proiezione di un film di
Wim Wenders in lingua originale. Iniziò come una semplice
amicizia; avevano molti interessi in comune ed entrambi parevano poco
interessati ai trascorsi dell'altro. Lui non le parlò mai di
cosa facesse prima di incontrarla e lei non gli accennò mai
alla sua vita negli Stati Uniti.
La
portava in vespa per le colline toscane, le cucinava i pici al
ragù secondo la ricetta di sua nonna e l'aiutava a
migliorare la sua conoscenza della lingua e della cultura italiana.
La
prima volta che andarono a letto insieme fu in un'afosa serata di
inizio giugno, un mese esatto prima del suo rientro. Da lì
seguirono trenta giorni in cui iniziarono a comportarsi come una
coppia, pur avendo sempre dichiarato entrambi di non essere alla
ricerca di una relazione sentimentale.
Con
l'arrivo del mese di luglio e la fine della sessione d'esame estiva, si
vide costretta a tornare non avendo più scuse per rimandare.
«Eri
così diversa quando ti vidi, dopo tutto quel
tempo...», ricordò sovrappensiero Matthew.
L'immagine
di lei, i piedi scalzi e la pelle dorata dai raggi solari, se la
sarebbe ricordata per sempre. L'aveva lasciata piccola, immatura e
capricciosa, ma quella nuova donna davanti a lui non sembrava affatto
essere la stessa persona che lui si aspettava di trovare.
*
Era
rientrata in patria da circa una settimana e non aveva ancora avuto un
momento libero per fermarsi a riflettere. Lo sapeva che sarebbe stata
quella la prova finale, l'esame decisivo. Cambiare e credere di essere
una versione migliore di sé stessi era facile lontano da
casa, da tutti coloro che la conoscevano da sempre.
Aveva
sempre dato il peggio di sé lì, Boston e Harvard
avevano fatto da cornice al formarsi del suo carattere viziato e
volubile e infine al suo sgretolarsi in mille pezzi.
Era
riuscita ad avere delle conversazioni civili con i suoi genitori e per
la prima volta non aveva permesso che la sminuissero e screditassero il
percorso da lei intrapreso e il futuro che si era scelta. Aveva
risposto a testa alta a suo padre, aveva detto di no alle richieste
assurde di sua madre e si era rifiutata di accompagnarli a Cape Cod per
il 4 luglio.
Aveva
ventiquattro anni, una nuova vita al di là dell'oceano e
zero voglia di mostrarsi accomodante.
Quando
lui arrivò la trovò immersa nei suoi pensieri,
intenta a farsi cullare in silenzio dall'ampio dondolo in ferro battuto
nel giardino sul retro.
Aveva
i capelli lunghi, sciolti sulle spalle nude. Un corto prendisole giallo
limone a risaltare l'abbronzatura e dello smalto rosa chiaro sulle
unghie dei piedi scalzi.
Non
aveva la più pallida idea di come avrebbe reagito vedendolo.
Dopotutto erano passati sei mesi dall'ultima volta che si erano visti,
in cima a quella maledetta scala.
Lei
alzò lo sguardo, come percependo la sua presenza e si
limitò ad osservarlo, continuando a dondolare avanti e
indietro.
Non
batté ciglio, nascose tutto lo stupore, la furia e il dolore
sordo di alcune ferite profonde, che a chilometri di distanza parevano
quasi guarite, nel proprio cuore e lo fissò. Lo
fissò senza emozioni, un'espressione neutra a decorarle la
bocca.
Dentro
di lei però stava avendo luogo il finimondo. Lo trovava
ancora più bello del solito, con i suoi capelli color
dell'oro più lunghi del solito e una corta barba che non
aveva mai avuto. Il respiro le si era fermato per un attimo e il cuore
aveva perso un battito.
Poteva
essersi illusa, poteva essersi divertita con Giovanni a fare finta di
non avere un passato, ma ora che questo si era ripresentato e lei si
era resa conto di non essere ancora pronta a lasciarlo entrare. O a
dirgli addio per sempre.
«Ciao
Matthew», si obbligò a salutarlo.
La
sua voce era la stessa, pensò Matthew, tirando un sospiro di
sollievo. Sempre altezzosa, leggermente strascicata, ora leggermente
contaminata da un'ombra di un accento insolito, quasi esotico.
«Come
stai?», le chiese preoccupato, pur notando che fisicamente
probabilmente non era mai stata meglio.
Lei
si mosse sul cuscino candido per lasciargli un po' di spazio e l'orlo
del vestito si alzò, lasciandole scoperta una generosa
porzione di coscia.
Matthew
deglutì a disagio, obbligandosi a distogliere lo sguardo.
Aveva messo su peso, ma considerato quanto fosse ossuta in precedenza,
ora avevo un aspetto sano, pieno e ancora più sensuale di
prima.
Molto
più sensuale di prima, dovette constatare Matthew. Bella lo
era sempre stata, con i suoi tratti aristocratici, la sua bocca piena e
il corpo ben proporzionato. Ma si era sempre costretta in eleganti
abiti dal taglio classico, con pettinature raccolte e strette sulla
nuca, sempre pudica, quasi a vergognarsi delle proprie curve e della
propria femminilità.
«Direi
bene, grazie. Tu?». Appariva poco interessata, quasi annoiata
da quello scambio di battute.
Lui
si domandò come faceva a restare impassibile quando a lui
pareva di essere ad un passo da avere un colpo al cuore. Pensava di
essere pronto a rivederla, ad affrontare quello che negli ultimi mesi
era stato il suo tormento. Non era riuscito a perdonarsi, a trovare una
giustificazione per il proprio pessimo comportamento e soprattutto non
ce l'aveva proprio fatta a non pensare a lei.
L'aveva
cercata, l'aveva rincorsa, ma lei era stata più astuta ed
era sparita. Tiffany si era lamentata di sentirla troppo poco e si era
rifiutata categoricamente di aiutarlo, i genitori di lei non avevano
voluto fornirgli alcun nuovo recapito o il suo indirizzo fiorentino e
la segretaria universitaria gli aveva ordinato di non avvicinarsi mai
più di dieci metri agli uffici della segreteria
amministrativa se non voleva riceve un ordine restrittivo ufficiale
dalla polizia di Boston.
L'aveva
stalkerata su ogni social network mai inventato, ma l'unica cosa che
era riuscito a scovare era un'immagine in penombra di lei e un tizio
italiano sopra ad un traghetto in mezzo al mare. I loro corpi non si
toccavano neanche, ma la rabbia che quella fotografia gli aveva
procurato era durata per settimane.
«Sono
stato meglio, molto meglio», disse arrabbiato.
Non
sapeva neanche lui perché se la fosse presa tanto, ma
quell'ira ora stava rimontando dentro di lui. Così decise di
sedersi accanto a lei, almeno avrebbe potuto guardare la siepe di
fronte a lui invece che la sua pelle nuda.
«È
successo qualcosa?», si informò lei, una nota
allarmata che sfuggì al suo controllo.
Tiffany
non era stata molto d'aiuto, ultimamente sempre troppo distratta o
troppo impegnata a lamentarsi più del dovuto in merito a
qualsiasi cosa, e lei non aveva mai osato fare domande a proposito di
Matthew.
L'unica
persona rimasta ad unirle era Liam, ma dopo che lei gli aveva scritto
per fargli auguri di compleanno a febbraio, aveva ricevuto solo un
breve messaggio di ringraziamento e la conversazione aveva avuto fine.
«A
settembre non potrò laurearmi...»,
confessò lui a denti stretti.
Erano
stati sei mesi di merda, sei mesi in cui non era riuscito a concludere
nulla, ma a mandare a puttane tutto ciò per cui aveva
duramente lavorato.
Non
aveva dato neanche un esame a febbraio e a giugno era stato bocciato
all'unico a cui aveva provato a partecipare. Aveva frequentato poco le
lezioni, aveva perso il suo posto nella squadra di baseball
dell'istituto e si era reso conto che era ora di darci un taglio con
tutto quell'alcool e quella vita irresponsabile.
«Come?
Ma se eri perfettamente in pari a ottobre? Cos'è
successo?». Ci aveva provato a rimanere indifferente, ma
teneva troppo al suo futuro e alla sua buona riuscita per restare in
silenzio.
Aveva
sempre amato quello che studiava e si era sempre impegnato molto per
raggiungere i propri obiettivi, quasi sempre con voti eccellenti e
lodi. Era l'anima di tutte le feste, ma le settimane antecedenti un
esame le passava rinchiuso in biblioteca, gli allenamenti e il suo
lavoro come unici diversivi.
«Diciamo
che...mi sono un po' perso per strada. Non avevo nessuno stimolo,
nessun interesse, nessuna voglia. Passavo le ore a fissare il cielo
fuori dalla finestra. Hai presente le stanzetta di consultazione al
secondo piano della biblioteca di Scienze Naturali?»
Lei
annuì, era lì che si erano incontrati dopotutto.
«Sì, quella senza riscaldamento...»
«Ho
passato richiuso tra quelle quattro mura tutto il mese di gennaio, il
manuale da studiare abbandonato aperto sul tavolo e lo sguardo rivolto
al cielo fuori dal vetro. Quando mi sono reso conto di aver gettato via
un'intera sessione non ho provato nulla. Il niente più
assoluto»
Quelle
parole fecero venire in mente a Mildred il suo primo mese in Italia,
quando si limitava a sopravvivere. Osservava Firenze dalla sua
finestrella al settimo piano, ma non aveva il coraggio di uscire ad
esplorarla. Sorrideva alle persone, ma non riusciva mai a rivolgere
loro la parola. Respirava, mangiava, dormiva.
Dopodiché
si era resa conto che non poteva permettersi di sprecare tempo, quel
prezioso tempo che le era stato concesso in quella terra meravigliosa.
Così aveva indossato il suo cappotto rosso dei giorni
felici, era uscita, aveva fatto la coda insieme ai turisti ed era
salita in cima al Campanile di Giotto. Da lì tutto era molto
più bello, molto di più che dalla sua finestrella.
*
«E
poi ti rimboccasti le maniche e mi facesti da tutor per tutta l'estate.
Non mi dovevi nulla, al massimo un'altra spinta giù dalle
scale, e invece sacrificasti la tua estate per me e a settembre superai
inaspettatamente ben quattro esami!», esclamò
Matthew stringendosela al petto, la suo risorsa più preziosa.
«Non
del tutto inaspettatamente dai, in fondo io sapevo di essere
un'insegnante infallibile e tu dopotutto non sei un alunno
così ottuso...», ribatté lei,
ridacchiando contro il suo collo caldo.
«Quando
sei ripartita mi si è spezzato il cuore. Una seconda
volta», le confessò sommessamente.
Lei
lo aveva sempre saputo, ma non sarebbe stato giusto restare. Era
consapevole del fatto che lui si aspettava che le cose tra loro fossero
cambiate, tornando come erano una volta, ma lei non era pronta. Era
assuefatta da lui, da quell'estate passata sempre insieme a darsi una
mano a vicenda, per la prima volta più impegnati ad aiutarsi
e prodigarsi per l'altro piuttosto che a farsi la guerra e fare a gara
a chi sarebbe arrivato per primo al traguardo, a chi ne sarebbe uscito
vincitore e chi con il cuore calpestato.
Era
tornata in Italia e aveva ripreso la sua vita da dove l'aveva lasciata
due mesi prima. Con Giovanni era sempre tutto molto semplice, casuale e
divertente, ma lei non riusciva più a continuare e
così si vide costretta a dirgli addio. Firenze era sempre
bellissima, ma lei continuava a fissare la fotografia della propria
laurea, tra le persone più importanti, a casa sua.
A
dicembre rientrò in anticipo senza comunicarlo a nessuno.
Aveva letto sul sito della facoltà di giurisprudenza
l'annuncio dell'imminente cerimonia per la conclusione delle lauree
magistrali e aveva deciso che sarebbe stato corretto esserci. In fondo
era stata, seppure ad intervalli, al suo fianco per ben quattro di quei
cinque anni di percorso universitario.
Era
arrivata in anticipo e si era seduta in una delle ultime file. I
capelli sempre più lunghi e un vestito di velluto blu
nascosto dal suo cappotto rosso. Aveva seguito la cerimonia con scarsa
attenzione, gli occhi fissi sulla testa bionda e le spalle imponenti in
seconda fila.
Sorrise
quando chiamarono il suo nome e lo vide alzarsi e fare una piccola
deviazione nel salire sul palco per poter assestare una pacca sulla
spalla a Liam, il quale gli rispose con uno dei suoi rarissimi sorrisi
e gli fece un cenno incoraggiante verso il rettore e il diploma di
laurea che lo attendeva.
Salì
baldanzoso i pochi scalini, strinse la mano al rettore e a tutto il
corpo docenti, prima di voltarsi verso il pubblico per ricevere il
consueto applauso.
Dal
pubblico si levarono gli schiamazzi e i fischi dei suoi compagni della
squadra di baseball e lui si esibì in uno stupido inchino di
ringraziamento.
Quando
si risollevò e rivolse un ultimo sguardo agli spettatori, la
individuò. Tra un migliaio di persone lui la vide e i suoi
occhi si spalancarono.
«Ricordo
che il rettore aveva già pronunciato il nome dello studente
successivo e io ancora non mi ero mosso. Me ne stavo lì
impalato al centro del palco, il cuore in gola, terrorizzato dall'idea
che fossi solo frutto della mia immaginazione. Una proiezione dei miei
sogni, delle mie speranze...»
«Si
chiamava Mark Lowe, ancora me lo ricordo! Alla fine dovettero gettarti
giù dal palco di forza», Mildred rise a
quell'immagine.
«Attraversai
tutta la sala come se fossi in stato catatonico, i miei piedi si
muovevano da soli nella tua direzione. Poi tu ti sei alzata e mi sei
venuta incontro...»
«Questo
è il cappotto dei giorni felici, mi dissi...»
«E
tu mi rispondesti che quello era il giorno più felice di
tutti»
«E
tu, non ancora stanco di essere al centro dell'attenzione, decidesti di
dare spettacolo sollevandomi da terra, strillando come un pazzo e
baciandomi davanti a tutti! Credo che quel Mark Lowe ci abbia odiato
assai...»
«Probabilmente
nessuno si ricorderà della sua laurea, ma tutti lo faranno
con il nostro bacio spettacolare», gongolò
contento lui.
Mildred
si mise a sedere di scatto, le lenzuola le scivolarono di dosso
lasciandola nuda.
«Che
ore sono?»
Matt
si sporse verso il comò di legno grezzo e lanciò
un'occhiata al suo orologio da polso.
Le
comunicò che era quasi l'una di notte, dopodiché
allungò un braccio per circondarle la vita e trascinarla
nuovamente sotto le coperte al caldo, vicino a lui.
«Direi
che per il momento abbiamo parlato e richiamato alla mente ricordi a
sufficienza...», gli sussurrò all'orecchio,
strusciandosi piano contro il suo corpo.
Aveva
la pelle fredda come al solito, ma Matthew non ci fece caso. Ci avrebbe
impiegato poco a riscaldarla. «Mmh, sono
d'accordo...»
Mildred
gli lasciò un bacio sulle labbra. «Buon Natale,
tesoro...»
«Buon
Natale, Mil»
|