02.
COCCI SUL SENTIERO
Eileen
serrò la mascella fino a sentire i denti scricchiolare.
Nonostante non avessero minimamente bisogno d’acqua, stava
percorrendo a grandi falcate il sentiero che portava al torrente Uèir
Airgid, uno degli affluenti del fiume Thorn, il corso d’acqua
più vicino a Nead. Era stata una sciocca, non sapeva nemmeno
lei cosa si aspettava di ottenere presentandosi a quell’ora
davanti alla casa del Sorvegliante. Non era arrabbiata per quello che
aveva sentito dire da Sigrid, aveva sopportato cattiverie peggiori
nel corso degli anni. Le insinuazioni di quella vipera ormai le
scivolavano addosso come acqua. Era con sé stessa che era
infuriata, si stava comportando come una bambina piagnucolosa. La
stessa con cui pensava di aver chiuso i conti dopo la morte di suo
padre. Con rabbia deviò dal per corso tracciato, scalciando
nell’erba alta e lasciandosi scivolare il cappuccio del
mantello sulle spalle. Dopo pochi minuti di cammino arrivò
vicino a un’alta parete rocciosa coperta d’edera e senza
indugio prese a trafficare con alcuni tralci pieni di foglie grandi
quanto la sua mano aperta. Dietro il rampicante apparve un pertugio
grande appena per far passare una persona e senza indugi Eileen vi si
infilò. Facendo attenzione a tenere la testa china per non
urtare contro il soffitto irregolare, percorse poche iarde e sbucò
in prossimità di una pozza d’acqua poco profonda
circondata da enormi massi di ardesia. Si trattava di una conca
naturale che lei è Kaleb avevano trovato quando erano ancora
bambini, impossibile da raggiungere dall’esterno, se non
attraverso l’apertura che aveva appena attraversato, in quanto
i massi erano troppo ripidi e friabili per arrampicarsi. Doveva
essersi formata in seguito ad una frana molti anni prima che
nascessero ed era diventata immediatamente il loro posto preferito,
il rifugio perfetto per pensare o per sfuggire ai problemi
quotidiani.
Eileen
lasciò cadere il secchio sopra la ghiaia scura e si levò
mantello e stivali, arrotolando le braghe fin sopra il ginocchio.
Senza esitare entrò nell'acqua sentendo i piedi perdere
sensibilità a causa del freddo. Nonostante il gelo che le
entrava nelle ossa, la sua rabbia non accennava a diminuire, perciò
prese una manciata di ciottoli dal fondo e iniziò a lanciarli
sul pelo dell’acqua. I sassi avevano a malapena lo spazio per
rimbalzare un paio di volte prima di finire contro la pietra della
riva opposta, ma non le importava. In quel momento voleva solo
dimenticare ciò che era successo. Rimpiangeva il modo in cui
si era comportata, era il giorno più felice della vita di
Kaleb, eppure aveva rovinato tutto. Il loro ultimo ricordo insieme
sarebbe stata quella patetica conversazione, in cui l’aveva
trattato con freddezza, alla strega di un estraneo.
Non
si accorse subito delle lacrime che le rigavano il viso e non se ne
curò, continuando a scagliare le pietre con rabbia.
Sua
madre aveva ragione, Kaleb non avrebbe più fatto ritorno. Cosa
ci avrebbe guadagnato a vivere in quel minuscolo villaggio disperso
tra le montagne, quando poteva essere in una delle meravigliose città
che si affacciavano sull’oceano, o ancora meglio, nella
capitale?
Il
loro era un regno pacifico e diventare soldato gli avrebbe consentito
di vivere una vita dignitosa, facendo ciò che più
amava, aiutare le persone.
Tuttavia,
il dolore di quella perdita era insopportabile. Ora che suo padre non
c’era più, Kaleb e sua madre erano le uniche persone che
per lei contavano in quel mondo ostile e aveva il terrore di rimanere
sola.
Una
volta che ebbe esaurito le lacrime, si strofinò con forza il
viso con l’acqua gelida fino a far arrossare le guance per il
freddo, poi fece un respiro profondo. Nonostante tutto, sfogarsi le
aveva fatto bene, odiava sentirsi vulnerabile e quel pianto l'aveva
aiutata ad arginare il dolore in un angolo della sua mente, dove non
avrebbe potuto più farle male. Quando fu pronta, riempì
il secchio d'acqua e si rimise in cammino per tornare a Nead.
Quando
sbucò fuori dal bosco, si accorse che il sole era ormai alto
nel cielo, torrido come i giorni precedenti, e il villaggio brulicava
di attività. Automaticamente i suoi piedi si mossero in
direzione della fucina, l’unico posto in cui era ben accetta
fra quelle case.
Il
rumore del ferro che veniva battuto la raggiunse ancora prima che la
struttura comparisse davanti ai suoi occhi. Come ogni giorno il fuoco
ardeva ferocemente nella grande fornace, alimentato da due grossi
mantici. I bagliori rossastri si riflettevano sulle pareti mobili
alte sette piedi che Mastro Radt aveva fatto costruire pochi anni
prima, per tenere gli occhi di spie e ficcanaso lontani dal suo
lavoro, le aveva confidato l'uomo. Senza esitazione superò lo
sbarramento e fu investita da una vampata di calore che le fece
ondeggiare i capelli. Intorno a una grande fornace piena di lingue di
fuoco e tizzoni ardenti, si affaccendavano tre figure lucide di
sudore. Una era quella di Mastro Radt, il vecchio fabbro, nonostante
l'età aveva un corpo asciutto e muscoloso, temprato dagli anni
passati a lavorare nella fucina. In quel momento reggeva un grosso
martello dal manico in legno, battendo con forza un lungo e sottile
pezzo di metallo incandescente, facendo sprizzare scintille ovunque.
I colpi erano talmente forti che ad Eileen pareva di sentire le
vibrazioni scuotere il terreno. La barba bianca ben curata,
nascondeva gran parte del volto e i capelli candidi erano trattenuti
da un fazzoletto logoro annodato sulla fronte, tuttavia la ragazza
riusciva comunque a vedere la fronte e le sopracciglia aggrottate per
lo sforzo. Accanto si stagliava l'enorme figura di Haward,
l'apprendista più anziano, che con un paio di grosse pinze
manteneva fermo sopra un'incudine l'acciaio che il fabbro stava
lavorando. Era un tipo schivo e di poche parole, alto all'incirca sei
piedi emmezzo e con mani enormi. Era incredibile come con esse fosse
in grado di creare incredibili opere d'arte. A Eileen piaceva quel
ragazzo e lui non sembrava avere paura del suo insolito aspetto,
forse perché frequentava spesso la fucina per incontrare
Mastro Radt. Probabilmente, se Sigrid non avesse minacciato tutti i
ragazzi del villaggio, sarebbero anche potuti diventare buoni amici.
Infine, dietro l'ingombrante struttura di mattoni scorse Gery. In
quel momento si stava occupando di tenere il fuoco vivo mettendo in
azione i grossi mantici. Prima che arrivasse il suo posto era
occupato da Kaleb.
A
causa della vicinanza con la sua famiglia, nessuno lo aveva voluto
come apprendista, a parte Mastro Radt. Il fabbro era stato l'unico
disposto a dargli un lavoro quando aveva compiuto dodici primavere. A
nulla erano valse le buone parole e le lusinghe di suo padre, che se
voleva, poteva essere molto persuasivo. Gli abitanti del villaggio
erano troppo spaventati da lei e sua madre, per non parlare di Nani.
All'inizio
era stato difficile, la fucina non era un luogo adatto ad un
ragazzino, ma Radt era stato paziente. All'inizio aveva affidato a
Kaleb solo compiti semplici: assicurarsi che ci fosse sempre legna e
carbone, tenere la fucina pulita e riordinare gli strumenti. Poi, con
il passare del tempo, aveva iniziato ad apprendere il mestiere,
assistendo Radt e Haward nei processi di lavorazione del metallo,
fino ad acquistare abbastanza autonomia. A Kaleb piaceva lavorare
nella fucina, se non avesse superato la selezione per diventare un
soldato, probabilmente avrebbe continuato la sua formazione lì.
Gli anni passati a lavorare il metallo gli avevano donato un fisico
forte, oltre che resistente, che si era rivelato molto utile per
superare alcune delle prove architettate dal comandante Jokull. Ma
più di ogni altra cosa, quel lavoro gli aveva permesso di
entrare in contatto con il modo delle armi. Non che Mastro Radt ne
fabbricasse molte, il loro era un piccolo villaggio circondato dalle
montagne, gli unici che ne facevano richiesta erano i soldati del
loro piccolo contingente, o i cacciatori che passavano vicino a Nead
per seguire le piste degli animali. Per quanto potesse sembrare
strano, Kaleb aveva un vero e proprio dono nell'utilizzo di ogni tipo
di arma. Spade e alabarde sembravano naturali prolungamenti del suo
corpo e quando imbracciava l'arco aveva una mira infallibile.
Eileen
si crogiolò in quei pensieri attendendo con pazienza che gli
uomini finissero il loro lavoro. Quando l'acciaio fa battuto per
l'ultima volta Mastro Radt fece un cenno impercettibile ad Haward che
con un movimento fluido fece scivolare il pezzo di metallo nel badile
pieno di acqua salata alle sue spalle, sollevando una densa nube di
vapore. Fu in quel momento che il fabbro la vide e il suo viso
solcato dalle rughe si spiegò in un sorriso reso luccicante
dai diversi denti di metallo che intervallavano quelli ancora sani.
-Eileen,
scricciolo mio. Cosa ci fai da queste parti?- esclamò con voce
roca avvicinandosi a lei con un'andatura zoppicante, colpa di un
brutto incidente di appena un paio d'anni prima. Alle sue spalle
Haward accennò un sorriso, mentre il volto di Gery divenne
terreo, nonostante l'inferno di fiamme che gli bruciava accanto.
-Sono
venuta a riprendere i vasi di unguento che ti ostini a conservare
come cimeli- rispose Eileen senza riuscire a non rispondere al suo
sorriso. -Dato che l'ultima volta non sei venuto personalmente al
negozio, volevo essere certa che il messaggio fosse arrivato a
destinazione-.
A
quelle parole Gery divenne paonazzo e con fare impettito riprese a
far funzionare il grosso mantice in cuoio. Nonostante il rumore
infernale la risata di Radt raggiunse chiaramente le sue orecchie.
-Nervosetto il nostro Gery, hai notato? Non preoccuparti, è un
bravo ragazzo, solo un po' troppo influenzabile- spiegò il
fabbro pescando un brandello di stoffa dall'ampio grembiule di cuoio
per asciugarsi il sudore dalla fronte.
Dammi solo qualche mese e lo renderò un apprendista
accettabile. Anche se Kaleb mi mancherà-
Eileen
sorrise condiscendente. -Lo immaginavo. In ogni caso, chi aveva
bisogno dell'unguento?-.
-Haward,
quello sciocco ha di nuovo messo le mani dove non doveva- sbottò
Mastro Radt scuotendo la testa irritato, ma la giovane sapeva che era
tutt'altro che adirato con il suo apprendista. Il fabbro era un uomo
molto severo, soprattutto con se stesso, per questo ogni volta che
uno dei suoi protetti si feriva accidentalmente, se ne sentiva in
qualche modo responsabile, dato che lavoravano sotto la sua
supervisione.
-Posso
controllare la ferita?- domandò cautamente.
-Certo-
acconsentì il ragazzo posando gli attrezzi ed iniziando a
togliersi i lunghi guanti di cuoio. Senza farselo ripetere Eileen
posò il secchio pieno d'acqua e scivolò verso di lui,
iniziando a svolgere la benda che gli avvolgeva l'avambraccio,
proprio sotto il gomito.
Per
diversi attimi osservò la pelle del giovane, controllando con
cura anche i bordi della ferita.
-Cambi
la medicazione ogni giorno?- chiese analizzando lo strato di unguento
gelatinoso che ricopriva l'ustione.
-Tutte
le sere e ci applico il vostro unguento. Non è così
brutta come sembra, sono riuscito a immergere il braccio nell'acqua
quasi immediatamente- rispose Haward mentre lei risistemava con cura
la fasciatura. -Dovresti comunque rimanere a riposo per un paio di
giorni, per facilitare la guarigione-.
Il
ragazzo scrollò le spalle -Non è necessario, davvero,
si tratta di una bruciatura leggera e per ora non sto facendo sforzi
eccessivi-.
-Come
preferisci, ma stai attento alla fuliggine, non vorrei si
infettasse-.
In
quel momento Mastro Radt comparve al suo fianco tenendo tra le mani
tre vasi grandi all'incirca quanto un bicchiere. -L'importante è
che ti serva da lezione e sia entrato bene nella tua testaccia che
nessuna parte del tuo corpo deve stare vicino ai bordi della forgia.
I mattoni accanto al fuoco diventano terribilmente caldi, come avrai
ben notato- ringhiò in direzione dell'apprendista, che
rimpicciolì sotto il suo sguardo.
-Credo
che abbia capito- si intromise Eileen con delicatezza cercando di
spostare l'attenzione del fabbro dal povero ragazzo. -Quelli sono
nostri?-.
Mastro
Radt sbuffò. -Sì, abbiamo ancora un vaso mezzo pieno e,
ovviamente, quello che abbiamo appena preso. Preferisco averne una
buona scorta, in caso di necessità- disse riprendendo il
fazzoletto nascosto sotto il grembiule ed asciugandosi di nuovo la
fronte. -Quest'estate è davvero terribile, non faccio altro
che sudare da mattina a sera, tu non hai caldo?-.
Solo
in quel momento Eileen si accorse che, a differenza degli altri, se
ne stava tranquillamente avvolta nel mantello, nonostante il calore.
-No, sto bene. Mi piace l'estate e anche stare sotto il sole-.
-Buon
per te- osservò il fabbro con un sospiro.
-Così
sembra, ora però devo andare. Mia madre mi sta aspettando-
disse la rossa scoccando un'occhiata al sole che correva rapido nel
cielo, era stata fin troppo lontana da casa.
-Portale
i miei saluti. Una sera di queste dovremmo proprio organizzare una
bella cena insieme, mi mancano i manicaretti di tua madre-.
-Sarebbe
fantastico, mamma da sempre il meglio di sé quando ci sono
ospiti- rispose Eileen con un sorriso, allungando il braccio libero
verso di lui per recuperare i vasi vuoti, ma Mastro Radt scosse la
testa.
-Gery!
Aiuta Eileen e vedi di non fare la figura del fesso come l'ultima
volta!- esclamò richiamando il secondo apprendista.
-Devi
scusarlo, gli abitanti del villaggio devono avergli riempito la testa
di frottole. Sai come sono fatti quei codardi, hanno paura della
propria ombra. Ci penserò io a raddrizzarlo come si deve- le
sussurrò strizzando un occhio.
Il
ragazzo si avvicinò a loro con circospezione e, stando ben
attento di tenersi alla larga, prese tra le mani i vasetti
dell'unguento.
-Dimentichi
niente?- chiese il fabbro indicandola con un cenno della testa.
Eileen, in un primo momento, non capì a cosa alludesse, poi
con sommo stupore vide l'apprendista tendere una mano tremante verso
il secchio ancora a terra al suo fianco.
Fece
per opporsi, ma Radt annuì compiaciuto dandole una poderosa
pacca sulla schiena che le tolse il fiato. -Bene, ora sparite, e tu
cerca di non perderti lungo la strada. Abbiamo un mucchio di lavoro
da fare-.
A
quel punto Eileen capì che era inutile opporsi ed aspettò
con pazienza che Gery si sistemasse.
Così
combinati, i due ragazzi si misero sulla via di casa. La giovane
procedeva a passo spedito, felice, in cuor suo, di ricevere
quell'aiuto inaspettato, anche se non proprio volontario. Alle sue
spalle sentiva il respiro pesante dell'altro ragazzo, che con fatica
la seguiva lungo le strade. La ragazza vide alcuni dei loro
compaesani squadrarli di sottecchi, ma non ci badò.
Giunsero
fuori dal villaggio in un batter d'occhio ed Eileen inspirò a
pieni polmoni l’aria profumata dai fiori che punteggiavano
l’erba ai lati del sentiero. Felice, constatò che entro
pochi minuti sarebbe finalmente tornata a casa. Tuttavia, appena
furono dietro una folta macchia di arbusti, Eileen sentì
qualcosa di duro sbatterle contro la spalla strappandole un grido di
dolore. Con la coda dell'occhio vide un oggetto più grande del
suo pugno rimbalzare a terra poco distante, producendo un forte
rumore di cocci rotti.
Sorpresa,
si volse per capire cosa fosse stato, facendo scivolare una mano
sopra la spalla dolorante. Immediatamente riconobbe i frammenti di
quello che era stato uno dei vasi che utilizzavano per gli unguenti
e, sgomentata, si volse verso Gery in cerca di spiegazioni.
Il
volto del giovane era livido. -Quindi vi piace anche avere un stuolo
di schiavetti al vostro servizio- sibilò nella sua direzione.
Eileen
boccheggiò incredula, con la spalla che le pulsava di dolore,
poi si scostò di scatto per evitare il secondo vaso che
l'apprendista le lanciò contro. Di nuovo udì il suono
della terracotta che andava in mille pezzi e questo parve farla
tornare in sé.
-Che
diavolo stai farneticando! Sei impazzito?-.
Questa
volta Gery le lanciò contro il secchio e lei si scansò,
ma non fece in tempo ad evitare uno spruzzo d'acqua che le inzuppò
il mantello ed i vestiti.
-È
inutile che fai l'innocente, tutto il villaggio sa cosa fate tu e tua
madre. Ora che Kaleb se n'è andato, è solo questione di
tempo prima che vi caccino via- ringhiò con rabbia. Eileen
fece prudentemente qualche passo indietro, per mettere più
distanza possibile tra loro due. Sembrava una persona totalmente
diversa da quella che era entrata il giorno precedente nella loro
bottega.
-Già,
noi curiamo le persone, proprio qualcosa di imperdonabile-.
Il
viso di Gery si fece paonazzo, -Curare? Voi stregate la gente, la
rendete vostra schiava fino a portarla alla follia. Ecco cosa fate!-
A
quel punto Eileen si bloccò, iniziava ad arrabbiarsi anche
lei. -È questo che Sigrid ti ha raccontato mentre eravate
assieme?- esclamò contraendo la mascella. -L'unico schiavo che
vedo qui sei tu, scodinzoli dietro alla tua padrona come un cane-.
Gery
emise un agghiacciante lamento animalesco e le scagliò contro
l'ultimo vaso che aveva tra le mani. -Non prendermi in giro!- urlò
schizzando saliva ovunque. -Sigrid è una brava persona e si
preoccupa per la sicurezza del villaggio-.
Questa
volta Eileen non riuscì ad evitare il colpo e una nuova ondata
di dolore esplose proprio sopra il ginocchio sinistro, mentre
l'oggetto si distruggeva da qualche parte a lato del sentiero.
Con
un lamento sofferente ondeggiò all'indietro, rischiando di
inciampare nel bordo del mantello. Aveva gli occhi velati di lacrime,
ma non gli avrebbe dato la soddisfazione di vederla piangere.
-Ieri
ho cercato persino di aiutarti, sai meglio di me che l'eritema che
hai sotto la camicia sta continuando a peggiorare, eppure mi stai
ferendo con tutto quello che ti capita a tiro. Come puoi
giustificarti?- ringhiò spostando tutto il peso sul ginocchio
ancora sano.
Il
giovane non parve nemmeno sentirla e con fervore prese a raccogliere
dei sassi dal sentiero polveroso. A Eileen si ghiacciò il
sangue nelle vene, quella situazione le stava decisamente sfuggendo
di mano. Doveva tentare di farlo ragionare, prima che diventasse
troppo pericoloso.
-Se
non la smetti immediatamente, riferirò ogni cosa al capitano
Finn e allora scoprirai quanto può essere accogliente la cella
di Nead- lo minacciò zoppicando pietosamente. Se fosse
riuscita a uscire dalla macchia di arbusti, sarebbero stati di nuovo
visibili dal villaggio e forse sarebbe riuscita ad attirare
l'attenzione.
-E
a chi pensi che crederà. La tua parola non vale niente in
questo posto, non l'hai ancora capito?- le domandò il giovane
in tono di scherno, facendosi rimbalzare sul palmo una frastagliata
pietra grigia.
-Si
può sapere perché fai tutto questo?-.
Gery
smise di giocherellare e si mise a fissarla intensamente facendola
sentire ancor più a disagio.
-Per
evitare che facciate ancora male a qualcuno. La gente ha paura di
voi, ma io no. Non più. È giunto il momento di porre
fine a questa storia- spiegò in tono sorprendentemente calmo.
Eileen
sentiva la gola tremendamente secca, -Posso capire che il mio aspetto
sia diverso e che la bravura di mia madre, molte volte, vada ben
oltre le aspettative. Conosco le stupide dicerie che girano sul
nostro conto- mormorò continuando a scivolare in modo
sgraziato sul terreno. -Tuttavia, puoi anche chiedere a qualsiasi
persona del villaggio, a nessuno è mai stato fatto del male.
Mai-.
-E
che mi dici dei bambini dietro la vostra casa?- domandò in
tono accusatorio a voce talmente bassa che Eileen temette di non aver
sentito bene.
-Di
cosa stai parlando?- borbottò completamente spiazzata. Di
tutte le risposte che si aspettava quella era la più
improbabile, oltre che senza senso. Non c'erano bambini dietro la
loro casa. Era la più lontana dal villaggio e nessuno degli
abitanti avrebbe lasciato allontanare tanto i propri figli.
Soprattutto in prossimità della loro bottega, senza una valida
ragione. Di solito era sua madre che si recava a casa degli ammalati
in caso di bisogno e non la lasciavano mai sola.
Con
un sorriso folle ad incurvargli le labbra, l'apprendista prese a
scuotere la testa mestamente, quasi deluso dal quel suo comportamento
poco collaborativo. Del ragazzo terrorizzato del giorno precedente
non rimaneva neppure l'ombra. Era questo che Sigrid e sua madre erano
in grado di fare pur di ottenere i loro scopi. Distorcevano la realtà
a tal punto che era impossibile non credergli.
-Dopo
che ti avrò sistemata, butterò il tuo corpo in un
crepaccio. Dove non verrà a cercarti anima viva- disse
ricominciando a giocherellare con la stessa pietra di prima. -In
fondo, a nessuno interessa del piccolo Mostro- concluse prima di
sollevare il braccio, pronto a colpirla.
Eileen
guardò disperatamente il bordo della macchia di cespugli, ma
era ancora troppo lontana. Con amarezza si irrigidì e serrò
gli occhi con forza. Forse se fosse riuscita a resistere abbastanza,
avrebbe potuto farcela. Spinta da quell'unico pensiero trattene il
fiato, pronta a un dolore che però non arrivò mai.
-Cosa
succede qui?-.
Ad
Eileen quasi scoppiò il cuore nel petto per il sollievo.
Come
se fosse stata una marionetta a cui venivano tagliati i fili, Gery
fece ricadere le braccia lungo i fianchi, facendo scivolare a terra
tutti i sassi che aveva raccolto.
Due
figure avvolte in lunghi mantelli scuri avanzavano verso di loro, in
modo tanto fluido e aggraziato che ad Eileen parvero danzare
sull'erba. Li riconobbe immediatamente, facevano parte del gruppo di
sconosciuti che aveva scorto quella mattina al villaggio vicino alla
dimora del Sorvegliante.
-N-niente-
balbettò Gery mentre il suo colorito passava dal rosso
paonazzo al grigio. -Me ne stavo andando, aveva solo bisogno di una
mano- aggiunse facendo qualche passo all'indietro verso il villaggio.
Probabilmente si stava chiedendo quanto quei due avessero visto, o
sentito, della loro conversazione. Nei suoi lineamenti era
chiaramente visibile il terrore e, a poco a poco, il ragazzo del
giorno prima riemerse dal macabro pozzo di follia in cui era stato
gettato.
-Ne
ero certo- rispose il forestiero con voce melodiosa, fermandosi a
pochi passi da loro. Il compagno silente fece altrettanto, arrestando
la sua avanzata un passo dietro di lui.
Senza
perdere altro tempo e proferire parola, Gery diede loro le spalle e
come un automa percorse a ritroso il sentiero che avevano percorso
poco prima, sparendo dietro la macchia di arbusti, come se nulla
fosse successo.
Eileen
lo seguì con lo sguardo durante tutto il tragitto, incapace di
muoversi. Non poteva ancora credere a quanto era accaduto. Non
credeva che Gery si sarebbe spinto tanto in là da ucciderla,
ma quella non era una questione a cui sarebbe potuta passare sopra
facilmente. Sigrid avrebbe pagato quell’affronto.
-Ti
senti bene?-.
La
voce armoniosa dello sconosciuto ruppe nuovamente il silenzio,
strappandola dai suoi cupi pensieri. Nonostante il tono carezzevole,
non poté fare a meno di notarne lo strano accento. Forse si
trattava di un gruppo di viaggiatori provenienti da Teine Tìr,
il regno che confinava con Mellt a sud, in prossimità dei
Colli Dorati.
-Credo
di sì- rispose in tono roco, in confronto a quella del
forestiero, la sua voce sembrava stridente come metallo sulla roccia.
Aveva la gola talmente secca che la lingua pareva attaccarsi al
palato.
Non
dovette essere molto convincente, perché l’altro si
avvicinò apprensivo. -Sei ferita?- insistette avvicinandosi
fino a posarle una mano sulla spalla. Eileen fece a malapena caso
alle dita bianche e stranamente lunghe che le scivolarono sul
mantello, perché in quel momento si rese conto dei brividi
violenti che le attraversavano il corpo. Istintivamente si strofinò
le braccia trovandole coperte di pelle d'oca, ma non aveva freddo.
-Sto
bene- replicò scostandosi di scatto per sottrarsi al suo
tocco, pentendosene all'istante. Forse era una sua impressione, ma il
punto dove lo straniero l'aveva toccata sembrava più caldo,
nonostante il mantello. -Grazie- si affrettò ad aggiungere.
Non era abituata al contatto con le altre persone, dato che a Nead
tutti la evitavano, ma quei due l'avevano appena salvata da una
pessima situazione. Il minimo che potesse fare era mostrare la sua
gratitudine.
Questo
la spinse a sollevare lo sguardo da terra per studiarli meglio. Ora
lo sconosciuto era talmente vicino che riusciva a scorgere vagamente
il suo viso al di sotto dell'ombra del cappuccio.
Quello
che vide la paralizzò sul posto.
Era
un giovane ragazzo, lo stesso che l'aveva osservata quella mattina da sotto
la grande quercia del villaggio, avrebbe riconosciuto ovunque quello
sguardo chiaro e luccicante. Le formidabili iridi azzurre che la
stavano osservando, erano venate da una sfumatura argentea che li
faceva risplendere, ma non era stato quello a scuoterla fin dentro le
ossa. I lineamenti del viso dell’altro erano delicati e
armoniosi, proprio come la sua voce, eppure oltre di essi Eileen fu
certa di vedere lo spettro del suo volto.
Avevano
gli stessi zigomi pronunciati, il taglio dell'occhio insolitamente
allungato, sormontato da sottili sopracciglia arcuate e la carnagione
pallida come la luna. In tutta la sua breve esistenza non aveva mai
incontrato un'altra persona che le somigliasse tanto.
Il
forestiero inclinò leggermente il capo preoccupato. -Forse è
meglio se ti lasci accompagnare. Non sembri avere un bell'aspetto-.
Al suo fianco il suo misterioso compagno fremette, non capì se
per rabbia o incredulità. In quel momento pensare le risultava
incredibilmente difficile.
-No,
davvero, non è necessario- riuscì ad articolare la
rossa in tono strozzato. La sua mente era totalmente vuota,
annientata da quella visione sconvolgente.
-Come
preferisci- si arrese l'altro senza mostrare alcun turbamento.
Seppure la stesse fissando con una strana intensità, Eileen
non si sentì a disagio, tutto di lui emanava pace e calore. Le
pareva di essere un piccolo germoglio esposto per la prima volta alla
luce del sole, in qualche modo bisognosa di quel quieto tepore.
-Potrei
sapere tuo nome?- chiese sempre in tono gentile il forestiero
riscuotendola dal torpore del suo sguardo.
-Eileen,
Eileen Arenson- sussurrò con voce roca, vergognandosi
nuovamente per quanto sgraziata sembrasse in confronto a lui.
Il
viso dello sconosciuto si aprì in un dolce sorriso. -Un nome
meraviglioso, in qualche modo ti appartiene- disse, mentre un lampo
divertito gli passava nelle iridi argentate alla vista del suo
sguardo confuso.
In
quel momento la figura alle sue spalle emise un mormorio
impercettibile e il suo interlocutore volse leggermente il capo, come
in ascolto. Rispose nello stesso tono gentile che aveva riservato a
lei, ma utilizzò una lingua diversa, più dolce e
musicale. Eileen non aveva mai udito nulla del genere, di sicuro non
era quella utilizzata a Teine Tìr, dato che si trattava di una
serie di suoni gutturali e sgraziati. Ma che non fossero originari di
quel regno lo aveva già intuito. La pelle dello sconosciuto
era troppo chiara perché provenissero da quelle terre.
-Per
noi è tempo di andare. Spero che i nostri destini si incrocino
di nuovo Eileen Arenson, non sono molte le luci che brillano come la
tua- le disse mentre si chinava a raccogliere un oggetto dal terreno
per porgerglielo.
Sbalordita
la rossa lo prese tra le mani constatando che si trattava di un
piccolo vaso di terracotta, ma non uno qualsiasi. Riconosceva i
decori stilizzati che ne ornavano il bordo superiore, erano gli
stessi che si ripetevano sulla maggior parte delle loro ceramiche.
Alzò
di scatto il capo incredula, ma le parole le morirono sulla punta
della lingua quando vide che i due si erano già voltati e si
stavano allontanando a passo sostenuto.
Continua...
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