Sette
Sette
“Ti amo!”…
Lo sguardo fisso alla presenza che aveva compiuto un passo all’interno della stanza.
E lui, sapiente penombra indotta dalle tende socchiuse e dalla luce opaca del tramonto morente…
Lui, forse non aveva coraggio di rivelare le parole in faccia, agli occhi di colei ch’era entrata.
Più giovane di lui di undici anni…
Quelli sarebbero sempre scorsi tra loro.
Muro
invalicabile, montagna impossibile da scalare, abisso incandescente
capace d’incenerire, ove sarebbe stato inutile addentrarsi.
Il tempo era trascorso…
Ne erano trascorsi sette da quando si erano incontrati per la prima volta.
“Ragazzina…”.
L’appellativo eruppe…
Nessuna parola da parte dell’ospite.
L’appellativo
sussurrato dunque, per colmare il silenzio, indurre il ricordo degli
anni trascorsi, il primo incontro, gli scontri…
Rammentare a se stesso e all’altra che quegli undici anni sarebbero sempre stati lì, a dividere le loro sorti.
Ne
erano trascorsi sette e quegli anni, undici anni, adesso parevano esser
divenuti una sorta di collina verde e rigogliosa, una siepe di
gelsomini in fiore, un lago, un poco asciugato dall’arsura dell’estate,
così che i piedi avrebbero potuto anche attraversarlo e godere della
frescura ma non annegarci dentro.
Si morse il labbro l’uomo…
Il silenzio gelava il tepore del tramonto che insisteva striato e beffardo a ricamare ombre grigie sulla parete opposta.
“Perdonami…”.
La richiesta scivolò un poco straziata tra le labbra per colmare il tempo colmo del silenzio dell’altra.
Ancora silenzio…
L’altra era rimasta lì, in silenzio, il passo leggero, il corpo flessuoso seppur irrigidito.
L’altra era rimasta lì, in silenzio.
Pareva davvero una di quelle pause studiate per catturare l’attenzione degli spettatori.
Pareva
davvero che l’ospite non fosse in una semplice stanza d’una villa di
campagna, lo sguardo aperto sul mare e le spalle a ridosso di dolci
colline ingiallite ed arse d’estate, immerse nel frinire delle cicale e
nel lieve sciogliersi della brezza della sera catturata dalle braccia
di bianche betulle e pini verdastri…
Luogo
isolato, lontano da tutto, il clamore della città, la folla degli
ammiratori, i flash dei fotografi, le domande pressanti dei giornalisti…
Pareva che lei fosse su un palcoscenico invece…
Una
pausa tesa, incombente, così da tenere su di sé l’attenzione dell’unico
spettatore, fiato sospeso, in attesa d’una sola parola.
Silenzio…
Masumi
Hayami intuì il gelo inondargli le vene. Per la prima volta nella vita
non aveva il controllo della scena, delle battute, della
rappresentazione.
Non
era un attore ma viveva per il mondo dello spettacolo e dunque ne
conosceva alla perfezione i gesti, le pause, gli attacchi, i silenzi.
Sapeva di cosa era divenuta capace l’altra…
In sette anni da ragazzina ingenua e goffa era divenuta una delle attrici più ammirate e…
Ebbe paura Masumi Hayami d’aver rivelato i propri sentimenti.
Ebbe paura che l’altra gli avrebbe riso in faccia…
Ebbe paura e per la prima volta s’immaginò d’uscire sconfitto dal combattimento.
Che sì, quello che vide ed intuì scorrere era un combattimento che lui non era certo avrebbe potuto mai vincere.
E quel ch’era peggio…
L’avrebbe persa…
Avrebbe perso lei…
Lei dunque stava recitando?
Davvero…
A tal punto ammise d’essersi ridotto da non esser più capace di comprendere se davvero l’altra stesse recitando?!
E si che lei non l’aveva mai fatto nella vita.
Non aveva mai recitato, Maya Kitajima, se non quando s’era trovata sul palcoscenico, di fronte ad un pubblico.
Non aveva mai recitato con lui.
Era sempre stata sincera…
Sempre…
Adesso invece?
“Perdonarla?!”
– il tono impostato e freddo ruppe il silenzio e invece che scaldare il
cuore e consentire al sangue di tornare a scorrere nelle vene…
Masumi Hayami udì disprezzo nelle sillabe scandite dalla domanda quasi retorica.
Non per via del fatto che la richiesta di perdono fosse inutile…
Che lei l’aveva già perdonato.
E nemmeno per via del fatto che non ci fosse nulla da perdonare.
La
replica della richiesta di perdono recava in sé un misto di stupore e
disprezzo, come se in realtà, nulla l’altra avrebbe avuto da perdonare
all’uomo. Nulla l’uomo le aveva mai fatto…
Nulla era scorso tra loro.
Disprezzo dunque…
Il disprezzo scorse nel timbro oscuro della voce.
Non
quello che l’uomo s’era ostinatamente impuntato a suscitare nell’altra,
per tutti gli anni in cui si erano incrociati, sfidati, odiati e
cercati…
Disprezzo
che lui stesso aveva fatto in modo si fosse riversato sull’affarista
senza scrupoli della Daito, ossia proprio su se stesso.
Disprezzo contro colui che usava gli attori come merce.
Quello era un disprezzo calcolato, lui ne era stato l’artefice.
Lui
l’aveva creato a suo piacimento, infondendolo nell’altra per suscitare
la sua rabbia, che la rabbia è motore ben più potente della tristezza.
C’era abituato…
Doveva esseci abituato eppure…
“Non l’avevo mai udita parlarmi in questo modo…” - altre sillabe, il tono sicuro e severo a riservare sarcasmo…
“Ragazzina…”.
Masumi
Hayami tentò di fare un passo, incredulo d’aver riconosciuto la voce di
Maya Kitajima, la sua Maya, la sua ragazzina, ma dubbioso che lì, nel
cono d’ombra in cui quella stava, forse non ci fosse davvero lei ma
un’altra persona, una brava interprete della prima.
Talmente brava da riuscire ad imitarla…
Nella voce certo…
Ma quel tono no, non poteva essere della sua Maya.
Il passo s’arrestò, l’uomo si bloccò. Il ragionamento prese il sopravvento…
Se
l’altra restava nell’ombra era segno che non voleva mostrare il suo
volto, forse dunque non aveva coraggio d’accompagnare al disprezzo che
traspariva dalla voce, il vero disprezzo, quello che avrebbe dovuto
rivelare con gli occhi.
Masumi Hayami s’arrestò.
Sarebbe
stato semplice avvicinarsi, scrutare gli occhi, piegare il respiro
dell’altra come gli era parso fosse accaduto, ormai sempre più spesso
negli ultimi tempi.
Frammenti intercettati durante le faticose prove della Dea Scarlatta.
Sguardi e silenzi e parole lievi, carpite nel turbinio delle vite frenetiche.
Brandelli d’un sentimento solo intuito, declinato forse dal cuore prima che dalla coscienza.
Scese il gelo…
“Sono
trascorsi ormai sette anni…” – esordì l’altra restando ferma – “Da
quando ci siamo incontrati la prima volta. Ho imparato che il
Presidente della Daito Art Production, Masumi Hayami, non fa o dice mai
nulla per caso…”.
“No…ti sbagli…perché…sono sempre io…mi stai dando di nuovo del lei?”.
Stavolta fu Maya Kitajima a fare un passo, per uscire dall’angolo d’ombra.
Il profilo apparve, appena illuminato dalla luce del giorno che moriva, caparbia, incapace di lasciar spazio al buio.
Masumi si rese contro che la ragazzina era cresciuta.
Non solo in altezza…
Lui
era alto sì e l’altra era ancora costretta a sollevare gli occhi per
guardarlo in volto ma pareva che fosse lei adesso a sovrastarlo
dall’alto della sua fama, dall’alto della sua sicurezza. Dall’alto di
un sentimento che seppur vago ed indistinto, impauriva forse entrambi,
capace di piegare le ginocchia, far sbiancare il volto, lanciare il
cuore in una corsa impazzita.
Maya
Kitajima aveva imparato come ci si muoveva nel mondo dello spettacolo.
Aveva imparato a compiacere gli avversari, a tenere alta la testa di
fronte all’invidia ed alle maldicenze.
Non
era bellissima ma irradiava la luce di chi aveva vinto la scommessa e
non avrebbe più abdicato al ruolo che s’era guadagnato con tanta fatica.
Dunque
Maya Kitajima era diventata bellissima, della bellezza che generano il
potere di conoscere se stessi finalmente, di sapere d’essere unici e
possedere la capacità di prendere il destino nelle proprie mani…
Masumi Hayami osservò Maya Kitajima finalmente.
Lui l’aveva plasmata così, lui ne aveva intuito il talento e l’aveva afferrato come si stringe una rosa in boccio.
Una rosa d’uno strano colore, frutto di chissà quali incroci…
Una rosa scarlatta, nata per sbaglio…
Il fallimento dell’uomo incapace di piegare le oscure leggi di madre natura.
Eppure
lui, in quel fallimento, aveva scorto la genialità dell’essere diversi
ed unici al mondo, una genialità talmente istintiva e profonda, che
persino la rosa stessa, per molto tempo, non ne aveva avuto contezza.
Così lui l’aveva curata, vezzeggiata, spronata.
L’aveva istruita e adesso…
Adesso
lei era divenuta talmente splendente ed unica che Masumi Hayami non era
più certo che l’altra sarebbe più stata sincera e pura…
E quando anche gli avesse rivelato che anche lei lo amava…
Dio…
Gli sarebbe bastato solo quello…
Solo due parole.
Se le avesse pronunciate…
Lei sarebbe stata sincera?
Masumi
Hayami s’accorse ch’erano trascorsi svariati minuti da quando lui aveva
pronunciato quelle parole e l’altra invece aveva opposto solo un gelido
silenzio, ribattendo poche parole d’inusitata freddezza.
Oltre
ad avere rievocato il tempo in cui, ancora troppo distanti, non
potevano che darsi del lei, il viso di Maya lasciava intendere
disprezzo misto ad una sorta di stupore sospeso, come se
all’affermazione ti amo sarebbero dovute seguire almeno delle
spiegazioni.
Perdonarlo per cosa?
Perché ti ha detto che ti ama?
Si può spiegare perché si ama?
Oppure perché nonostante ti amasse, ha reso la tua vita un Inferno!?
Masumi Hayami ammise d’essersi mosso per primo, spinto dall’istinto e dal desiderio che non poteva più trattenere.
S’era mosso, s’era tradito, aveva consegnato all’altra, che non era più una ragazzina, il proprio destino.
S’era scoperto rivelando i suoi sentimenti…
Non avrebbe mai immaginato che in quel silenzio lui si sarebbe scoperto così vulnerabile e nudo…
Maya
Kitajima avrebbe potuto fare ciò che voleva di Masumi Hayami, il
Presidente della Daito Art Production, l’affarista senza scrupoli.
Aprire le sue mani alla speranza oppure chiuderle per sempre e gettarlo all’Inferno.
Aveva messo nelle mani dell’altra un potere immenso.
Che idiota!
“E’ stato lei ad insegnarmi ad avere rispetto degli avversari…”.
“Non
sono un tuo avversario Maya…questo lo sai, l’hai sempre saputo…hai
detto bene…sono passati sette anni da quando ci siamo conosciuti e io
non ho mai fatto nulla per ostacolarti…”.
Un respiro fondo…
Un’altra pausa…
Lo
sguardo giovane e severo si posò sul giovane uomo che oppose uno
sguardo un poco tagliente, di convenienza. Era stato abituato così
quando si sentiva in scacco, quando intuiva d’esser in procinto di
finire all’angolo, da cui in un modo o nell’altro sarebbe dovuto uscire.
Fissare l’interlocutore, comunicare avversione…
Difficile ammettere che lo stava facendo con lei…
Che
lei, Maya immediatamente sorrise, solo un poco, accennando un lieve
movimento delle labbra, mutando in un istante il gelo che la circondava
in un solido quanto evanescente tepore che irradiava dal volto.
Colpì nel segno che l’altro si ritrovò di nuovo disarmato e privo di difese…
“Maya…credevo che anche tu…”.
“Sono passati sette anni da quando ci siamo incontrati…”.
“Si, ed in questi anni non ho mai smesso di pensare a te…”.
“Lo immagino…siete stato abile…”.
Masumi Hayami non resse il distacco indotto dalla deferenza dell’altra.
Fece un altro passo, le arrivò vicino, l’afferrò per le braccia e strinse…
“Sono Masumi! Dammi del tu!”.
L’ordine
eruppe secco e diretto, sin quasi ad essere sgradevole, come un tempo
erano stati tutti i rari contatti che lui si era permesso nei confronti
dell’altra, come quando le aveva preso il viso e l’aveva stretto nella
mano, obbligandola a guardarlo, imponendole d’avere - almeno a parole -
maggior rispetto nei suoi confronti, ch’era pur sempre uno
dell’ambiente e non era mai bene mettersi contro uno come lui,
sputargli in faccia disprezzo ed arroganza.
Poi
quei contatti s’erano fatti via via meno drastici, come se entrambi, in
fondo, non avesso altro desiderio che sfiorarsi, solo un poco, per
toccare l’altro, la sua anima.
Lo sguardo di Maya si fece di nuovo severo…
Pareva comandare l’altro con un solo cenno, un battito di ciglia…
Che potere immenso era scivolato in quello sguardo, nel quale lui aveva veduto mille maschere.
Allentò la presa Masumi Hayami: “Ti prego…perdonami…non posso parlare con te in questo modo…”.
Un altro respiro…
Lo sguardo si mantenne su quello dell’uomo…
Flebile concessione…
“Sono
passati sette anni da quando ci siamo incontrati…o meglio…da quando ho
conosciuto Masumi Hayami…il Presidente della Daito Art
Production…l’affarista senza scrupoli. L’uomo capace di gettare nel
fango un attore che non è più necessario, perché inviso alle compagnie
teatrali e dunque incapace di portare al successo uno spettacolo e
dunque incapace di produrre denaro e ricchezza…”.
“Non l’ho mai fatto con te!”.
No, l’altra proseguì…
“O
ancora l’uomo capace d’accapparrarsi uno spettacolo a qualunque costo,
e dunque comprare quegli stessi attori, sventolandogli in faccia una
brillante carriera e pubblicità di prestigio e…”.
Si morse il labbro Masumi Hayami…
Che non era vero che lui non l’avesse fatto con lei…
Che quello che diceva Maya era la sintesi crudele di ciò ch’era sempre stato lui.
Intuì d’essere in scacco, davvero.
Intuì che l’altra gli stava raccontando la sua vita mentre lui quella vita avrebbe voluto rinnegarla.
Cancellarla no, non sarebbe mai stato possibile.
Un sorriso, Maya colse la contraddizione ed istintivamente affondò…
Ancora di più…
Una luce sinistra scorse negli occhi: “E poi c’è Masumi Hayami…l’ammiratore delle rose scarlatte…”.
Che l’altro ebbe un sussulto…
Dove voleva arrivare Maya?
“Ero
sempre io!” – contestò Masumi che lei voleva forse rinfacciargli
d’essere rimasto nell’ombra - “Avevo ormai raccolto il tuo disprezzo
come Masumi Hayami…se ti avessi rivelato che il tuo ammiratore e Hayami
erano la stessa persona…”.
“Ecco!”.
Maya Kitajima puntò agli occhi dell’altro…
“Che…intendi?” – chiese l’uomo come sospeso…
Masumi
Hayami si ritrovò trafitto. Non aveva mai faticato così tanto a
sostenere un dialogo con qualcuno. Il passato ingombrante che si era
creato da solo incombeva, rischiando di travolgerlo. Ma soprattutto,
ciò che sentiva per Maya pareva esser in grado di spezzare il cuore,
inghiottire il respiro, annullare la coscienza.
L’amava così tanto che immaginare d’averle riservato in passato gesti tanto arroganti…
“La maschera dell’uno o dell’altro si sarebbero spezzate!” – la chiosa gelò…
“Cosa?”.
“Oppure tutte e due!”.
Maya
Kitajima s’irrigidì, il corpo seppur cresciuto e più forte, parve
raggrinzirsi così da cogliere l’esitazione della presa dell’altro e
sfuggirgli.
Un passo indietro, movimenti chissà quante volte studiati su un palcoscenico, per interpretare chissà quali ruoli…
Gesti
spezzati e frantumati sino a cogliere ogni singolo respiro, ogni
singolo battito del cuore, sino all’infinitesima contrazione muscolare
così che, una volta riuniti e riavvolti in un'unica sequenza, avrebbero
sprigionato, ognuno di loro, uniti assieme, l’effetto più dirompente ed
univoco.
“Non
avresti più potuto essere né Masumi Hayami l’affarista senza scrupoli,
né Masumi Hayami il donatore di rose scarlatte!” – sibilò Maya –
“Avresti perduto le tue maschere…e dunque come avresti potuto
continuare ad avere una qualche influenza su di me?! Quale potere
avresti avuto!? Che fosse stato d’addomesticarmi come un animale
selvatico od ammansirmi come si fa con una bestiola da compagnia?!
Quale di questi Masumi dunque dice…adesso…di amarmi!? Quale di questi?
Oh…perdonami…e c’è anche Masumi Hayami, fidanzato con Shiori Takamiya…e
c’è Masumi Hayami il benefattore…che regala teatri nuovi alle compagnie
rifiutate da tutti! Dunque…quale…”.
Un passo indietro…
“Quale
Masumi ho di fronte? Comprenderai che per un’attrice è importante
sapere quale avversario si trova di fronte o quale compagno sta
recitando accanto a lei…”.
“Non è una recita questa!”.
Il grido eruppe di pari passo al passo ed alle mani che si riappropriarono del corpo magro dell’altra.
L’abbracciò, non potendo fare altro, non avendo alcuna arma di fronte all’altra e soprattutto di fronte a sé stesso, disarmato…
La strinsè così forte, che l’altra gli stava sfuggendo…
Idiota e pazzo…
Undici anni in meno eppure…
“Non
ho mai finto con te…” – gridò Hayami – “Nessuno di questi Masumi che tu
hai descritto ha mai finto! Ciascuno di loro ha recitato il suo
ruolo…ciascuno di loro era autentico! Il donatore di rose…l’affarista
sprezzante d’ogni relazione umana. Alla fine ero sempre io…mai avrei
immaginato di ritrovarmi in conflitto con me stesso…”.
“Eppure
tu stesso ammetti d’esser stato uno di questi e tutti assieme al tempo
stesso. Mai dunque avresti immaginato che il tuo conflitto sarebbe
diventato il mio Inferno in questi sette lunghi anni!?”.
“Non ho mai recitato…”.
“Ti ho visto indossare troppe maschere…” – la voce s’incrinò…
No,
non pareva il timbro impostato d’una solida recita, eppure il respiro
restava vigile, incapace di cedere od arrendersi all’evidenza.
La recriminazione era troppo severa, la ferita dell’anima troppo fonda…
“Come
potrei credere adesso che Masumi Hayami dica di amarmi!? Quale di
questi è davvero colui che mi ama!? Devo pensare che l’affarista sia
sceso a patti con il demonio ed abbia valutato di scegliermi perché
porterò prestigio alla sua azienda?! Ora che sono così vicina alla Dea
Scarlatta?!”.
“No!”.
Fu l’altro a staccarsi stavolta, sdegnato dalle parole.
Maya Kitajima pareva irriconoscibile…
Che lei continuò, come pervasa da una forza oscura, da riversare sull’altro prima che quella stessa forza annientasse lei.
“Oppure
che il donatore di rose scarlatte, essendo ormai scoperto, ammetta di
amarmi perché la sua coscienza possa continuae a beneficiare della sua
stessa generosità nei miei confronti!?”.
“Maya no!”.
“E
quale Maya Kitajima avrebbe infine suscitato l’amore di Masumi Hayami!?
Beth…Midori…Cathy…Gina…Helen…Aldis…Jane!? Oppure la sciocca Bibi…o lo
sfuggente Puck? Oppure…”.
“Basta!”.
“Oppure…è
proprio la Dea Scarlatta, il ruolo più importante, ad aver avuto pregio
di fare breccia nel tuo cuore e dunque adesso tu vuoi lei. Vuoi me per
avere lei perché lei è ciò che hai desiderato da tutta una vita…lei, la
dea Scarlatta, l’ossessione di tuo padre…e forse la ragione per cui tua
madre sarebbe morta?! Quale di queste maschere dunque ti avrebbe
conquistato sino a questo punto? E quale delle maschere che indossi è
stata conquistata da una di quelle che ho indossato io!?”.
“Basta!”.
Strinse forte Masumi Hayami…
La sfacciataggine dell’altra rasentava l’insulto…
Chi era colei che stringeva tra le braccia?
“Non
siamo su un palcoscenico!” – gridò severo e ferito – “Questo non è un
teatro…non ho mai finto con te…e se l’ho fatto, la mia finzione aveva
uno scopo preciso…una precisa regia…”.
“Salvaguardare la tua gallina dalle uova d’oro!”.
“Maya…io ti ho insegnato a combattere…”.
“Mi
hai insegnato ad indossare una maschera…non quella del personaggio d’un
copione…di una storia…ma quella che indosso tutti i giorni…quella che
mi consente di non restare più ferita dall’invidia di chi mi circonda e
quella che mi permette di non avere paura di te…”.
“Perché
dovresti avere paura di me? Ti ho ferito in passato è vero…ho commesso
errori imperdonabili…questi errori ti hanno fatto soffrire…”.
“Sapevi
dov’era mia madre e non me l’hai mai detto…non ho potuto ascoltare la
sua voce neppure una sola volta prima che lei morisse. Mentre lei ha
ascoltato la mia, morendo dentro un oscuro cinema. Nessuno me la
restituirà più e tu sei stato capace di rubarmi quel tempo. Come farai
a restituirmelo?”.
“Non
potrò mai restituirti tua madre né il tempo che non hai potuto
trascorrere con lei…non potrò farlo e questo lo sai. Sapevi già da
tempo tutto ciò che ho fatto…eppure sei venuta qui…nonostante ciò che
sapevi sei venuta ugualmente…perché…”.
“E’ vero…sono qui…e per questi pensi dunque che ti abbia perdonato!?”.
Masumi Hayami rimase lì, il corpo lieve dell’altra addosso…
Lo sguardo s’aprì…
“Tu
mi hai chiesto perdono…” – le parole di Maya uscirono più lievi
stavolta, una nota di dolore accompagnava il frammento della morte
della madre, appreso nel turbine di ruoli recitati per consentire alla
Daito d’accrescere i suoi profitti.
L’incontro
tra la madre – tenuta all’oscuro del destino della figlia – e la figlia
– che non sapeva neppure che l’altra fosse ormai in punto di morte -
sarebbe divenuto il momento culmine della carriera della giovane e
sfortunata attrice, per colpire ancora di più il pubblico e far leva
sull’innata commozione che generano che grandi storie d’amore, le
grandi storie tra genitori e figli.
Solo che nulla era andato a quel modo.
E la donna era morta sola, in fuga, seduta sulla poltroncina d’un cinema dov’era proiettato il film interpretato dalla figlia.
Era cieca, dunque aveva ritrovato solo la voce della figlia, solo quella…
“Pensi dunque che ti abbia perdonato oppure mi hai chiesto perdono perché temi non l’abbia ancora fatto?”.
“Maya…ti ho chiesto perdono…dovrò continuare a farlo per tutto il resto della mia vita perché ciò che ho fatto è…”.
“Imperdonabile!?
Dunque come potrò fare a perdonarti se ciò che hai fatto è
imperdonabile?! Come potrei credere che mi ami se tutto ciò che hai
fatto nella tua vita è stato solo per portare benefici al tuo lavoro?!”.
La
pietosa e spietata riscostruzione della vita di Masumi Hayami, un
tempo, l’avrebbe reso orgoglioso e sprezzante, riconoscente a chi
gliel’avesse rinfacciata, che di lui si sapesse esattamente quello…
Il lavoro innanzi tutto, l’azienda, i benefici, che potevano anche esser differenti dal denaro…
Tutto in primo piano, tutto avanti al resto…
Ora no…
Lì no…
Lì…
Il
disprezzo piegò un poco la voce, il corpo grande e forte prese a
tremare soggiogato dalla lenta ed inesorabile litania dell’altra che,
anche se cresciuta, restava una giovane minuta, lieve, ma capace di
sprigionare una forza ed un disprezzo senza eguali.
Quel disprezzo ora pareva ancora più tagliente e l’uomo non più capace d’accettarlo.
Tremò Masumi Hayami, ritrovandosi incapace di restare in piedi, abbracciare l’altra.
Le
mani lasciarono Maya, le braccia ricaddero ai fianchi, le gambe
cedettero e lui si ritrovò a terra, in ginocchio, di fronte all’altra
che non si mosse.
Si ritrovò isolato, staccato da lei, a pezzi…
Aveva creduto che l’altra si fosse rivolto a lui perché tutti e due avevano sentito altro dentro di sé.
Aveva atteso così tanti anni ed in quegli stessi anni s’era macerato all’idea di non essere nulla per lei.
Quell’idea,
forse ovvia, era divenuta comunque alibi, così in quegli stessi anni
lui non era rimasto ad attenderla. Aveva continuato a coltivare la
propria vita come se l’altra non fosse mai esistita e non come se
l’altra non avrebbe mai potuto amarlo.
Anzi…
L’aveva ferita in ogni modo e maniera…
Aveva accettato il fidanzamento con un’altra donna, sin quasi ad arrivare sull’altare, per sposarla.
E poi aveva mandato a monte il matrimonio.
Forse era davvero tardi…
Tutto era accaduto solo dopo essersi reso conto che l’altra non gli era indifferente e che lui non le era indifferente.
Solo dopo…
Dunque forse era troppo tardi.
Maya fece un passo indietro.
Masumi se ne accorse, lo sguardo si ritrovò a fissare la mano dell’altra, incapace di sollevarli alla figura.
L’unica forza, sollevò la propria mano ed afferrò quella di lei e la strinse.
Maya
non si sottrasse, non tentò di scivolare via dalla presa questa volta,
come se quel tocco, meno invadente dell’altro, avesse avuto capacità di
calmare la rabbia.
Girò il palmo ed andò ad appoggiarlo al viso dell’uomo.
Inspiegabile contatto ch’ebbe il potere d’acquietare e lenire la visione gretta e distruttiva ch’era stata rovesciata addosso.
“Le
tue mani…” – l’esordio fu lieve, stavolta nessun disprezzo – “Non
rammento esattamente quando…ma ricordo ch’erano calde…quando mi
toccasti, la prima volta, e da allora non ho mai scordato il loro
calore. In pochi si sono avvicinati davvero a me, in pochi hanno
chiesto di tenere stretta la mia mano e tra quei pochi la tua era la
più calda…”.
“Maya…ammetto
le mie colpe…tutte! Non ho avuto il coraggio di vivere solo…sono un
uomo senza scrupoli quando si tratta di affari ma come vedi non sono
stato capace di costruire nulla attorno a te e a me…”.
“Hai costruito solo un enorme castello di menzogne…”.
Si sollevò lo sguardo di Masumi…
“Non sapevo se tu mi amassi, se mi avresti mai amato…”.
“Ma tu mi amavi?” – la domanda asciutta, ch’era era già la risposta.
L’ovvia
contrapposizione tra l’amore di contro all’apparente disprezzo misto al
cinismo più bieco che l’altro aveva sempre messo nelle proprie azioni,
di fronte a tutti.
“Si…l’ho
compreso…ma non è stato facile! Ci separano sette anni…davvero pensi
che sette anni fa avrei mai potuto accorgermi di questo sentimento?
Davvero pensi che tutto sia nato così, da un giorno all’altro? Io
stesso ho faticato…ero stupito al pensiero che questo fosse amore…non
ho voluto accettare che questo fosse amore…un amore così forte!”.
“Ma
non abbastanza forte! Hai atteso di conoscere cosa pensavo di te…prima
di mettere in discussione tutto il castello che ti eri costruito
attorno…”.
“Sono
un uomo…a dispetto della mia freddezza…ho tentato di assecondare ciò
che mi veniva chiesto. Ho lavorato tutta la vita per l’azienda di mio
padre. Non me ne vanto ma nemmeno posso vergognarmene…”.
“Si,
lo so! Hai dato tutto te stesso per quel lavoro! Il prestigio della
Daito di fronte a tutto! Avresti concesso anche la tua vita e la tua
libertà per la tua società! Piuttosto che un affarista senza
scrupoli…oserei dire che sei un codardo!”.
“Maya…”.
“Si…piuttosto
che metterti contro tuo padre...piuttosto che rinunciare alla nomea
d’affarista senza scrupoli…hai preferito sottometterti a quella vita.
Non sarà stato poi così difficile se sei riuscito ad ingannare persino
te stesso?!”.
“Maya…non immaginavo…”.
“Non avresti mai pensato che avrei detto questo di te?! Ho avuto un buon insegnante in questo…”.
“No…nessun buon insegnante! Hai ragione…io…volevo te…”.
“Volevi…me?”
- l’accento quasi sarcastico - “E dunque hai dimostrato di amarmi
attraverso il disprezzo!? Sei un codardo! Se fossi stato capace di
odiarmi davvero…se fossi stato in grado di suscitare in me odio…sul
serio…allora forse io…”.
“Tu cosa?!”
La chiosa s’impresse nell’esitazione dell’altra. Hayami non era stato capace di farsi odiare dunque…
Di nuovo tentò di ricucire lo strappo, riallacciare i capi del filo stracciato…
Che Maya tentò di sottrarsi, sottraendo la mano al tocco del volto…
Masumi Hayami la tenne lì, ferma, imponendo un’insolita forza.
“Volevo
tenerti lontano da me…volevo che tu mi odiassi…” – sibilò tetro –
“Perché quell’odio…quell’odio ti avrebbe tenuta legata a me. Non
l’amore…sarebbe stato troppo difficile…per me. Ora l’ho compreso. Tante
volte ho dovuto mostrarti il mio volto più cinico ma l’ho fatto perché
tu così avresti avuto una persona da odiare…avresti combattuto contro
di me e non ti saresti arresa!”.
“Combattere contro di te anziché per te…”.
“Si, lo so… si dice che l’amore possa tutto ma nel mio caso…”.
“Nel tuo caso…l’amore ha orientato i tuoi gesti…l’amore ha fatto breccia…più dell’odio…”.
“Cosa…”.
Le dita della mano aderirono alla guancia…
Maya
accarezzò il viso dell’altro e lui si spinse contro quel palmo,
ficcando il viso lì, annusando l’odore dell’altra finalmente…
Scostò la mano poi e le labbra baciarono il palmo.
S’impressero le parole…
“Ti amo…” – ripetè di nuovo Masumi Hayami.
“Si…” – rispose Maya Kitajima – “Lo so…”.
Il respiro si fece severo e fondo…
Le labbra s’aprirono a baciare il palmo, di nuovo, a fondo.
Il palmo si ritrasse, la mano sgusciò via…
Mani
nelle mani, le braccia s’aprirono ad abbracciare l’altro che si rialzò
afferrando il corpo cresciuto ma sempre piccolo e docile e lieve. Lo
chiuse nell’abbraccio, lo strinse e si lasciò stringere, senza dire più
una parola, quasi senza respirare.
Non respirò davvero Masumi scivolando alla bocca dell’altra, chiedendo delle labbra, entrando piano…
Non raccolse disprezzo, non raccolse rifiuto.
Si stupì…
Si staccò solo un istante, lo sguardo chiuso, il viso appoggiato al viso di Maya.
“Si…anch’io ti amo…” – un sussurro tanto lieve quanto dirompente, capace di spezzare le gambe e stracciare il cuore.
Le braccia corsero dietro la schiena, l’abbraccio si chiuse…
Era piccola Maya, si lasciò afferrare e stringere…
Si lasciò sollevare perché non aveva più parole, non aveva più recriminazioni, scuse o giustificazioni.
Non aveva più nulla nella testa se non l’inevitabile e gigantesco ed assoluto pensiero che lei amava Masumi Hayami.
L’aveva sempre amato.
Tutte le volte che l’aveva detestato, odiato…
Tutte le volte in cui aveva avuto paura di lui…
Tutte le volte in cui lui l’aveva sfidata…
Tutte le volte in cui lei s’era lasciata sfidare…
Erano sempre state sfide quelle scorse tra loro.
Alle volte così crudeli che nessuno ci avrebbe mai veduto in mezzo un briciolo d’amore.
Sarebbe stato difficile trovare affetto e bene dentro il disprezzo…
Maya Kitajima ammise che Masumi Hayami era stato un grande attore. Il migliore di tutti.
L’aveva ingannata, in tutti quegli anni. Era stato capace di farsi odiare al punto…
Al punto che lui s’era convinto che anche lei lo odiasse davvero.
Al punto che lui s’era convinto d’essere stato capace di farsi odiare.
Davvero bravo…
Che dietro alla magistrale interpretazione non avrebbe mai potuto esserci odio…
Difficile che l’odio potesse pungolare così a lungo e così intensamente, per sette lunghissimi anni.
Maya sentì d’essere lieve…
Il corpo piccolo sollevato…
Tenuto stretto, abbracciato sollevato, spinto indietro…
Aveva paura…
Ma s’aggrappò all’altro, abbracciandolo e stringendolo…
Aveva paura…
Non era mai accaduto…
Lo pensò…
“Non avere paura…” – sussurrò Masumi d’istinto – “Io…”.
Si stupì Maya…
Pareva che lui le avesse letto nel pensiero…
“Non ho mai avuto paura di te…” – la bocca si mosse piano solo per spiegare – “Lo sai vero…ormai ci sono abituata…”.
Discorsi
stupidi, interrotti dal bacio, di nuovo, che le bocche s’unirono per
sciogliere una danza sussurrata ed infinitesima, chiusa tra i respiri,
scandita dalla lingua che batteva piano, accusando la presenza
dell’altro…
“Mi hai perdonato?!” – Masumi glielo chiese, gli occhi negli occhi…
“No!” – la risposta secca, severa…
L’altro rimase un poco interdetto…
Ma lo sguardo di Maya non era cinico: “Non ti ho perdonato…ormai non ho nulla da perdonarti. Tu…tu hai perdonato te stesso?”.
“Sei brava ragazzina!” – chiosò l’altro, intuiendo la stilettata ch’era scorsa nella risposta.
Lei non gli doveva nulla, lei lo amava e quando si ama…
“Dimmelo!
Hai perdonato te stesso per ciò che hai fatto!?” – insistette Maya e
per la prima volta da che lei era entrata, Masumi riconobbe il piglio
un poco fanciullesco, ancora bambino, che aveva sempre contraddistinto
i gesti e le parole dell’altra.
Se s’intestardiva a chiedere o volere qualcosa…
Ecco che la risposta sarebbe dovuta giungere ad accontentarla, altrimenti lei sarebbe rimasta lì, testarda, ad attenderla.
Il
corpo prese a scivolare un poco, Maya strinse le gambe per restare
aggrappa a lui e Masumi la tenne a sé, stringendola, tirandola su un
poco che il viso di lei si ritrovò un poco più in alto del volto
dell’uomo.
Finalmente lo poteva guardare dall’alto in basso…
Finalmente…
“Lo
farò per te!” – disse piano Masumi – “Perdonerò me stesso perché se
questo è ciò che vuoi…se questo è l’unico modo che ho per amarti…allora
lo farò! Si…”.
“Devi farlo per te stesso! Non per me…”.
“Ti ho fatto del male…”.
Negò Maya Kitajima…
“In
quell’Inferno…è stato difficile vederti…ma so che forse sono stata io
ad indurti ad agire così. Tu volevi il mio bene ed il mio bene non era
avere una spalla su cui piangere, braccia dove rifugiarmi, assensi e
complimenti…”.
“Si ma…”.
Maya
era più in alto, così che dovette semplicemente reclinare un poco il
viso e baciare l’altro e poi mettergli una mano sulla bocca e…
“Ora
sono io che te lo chiedo. Devi perdonare te stesso e devi essere tu a
volerlo. Me l’hai insegnato tu. Tutto ciò che ho compiuto nella mia
vita l’ho voluto per me stessa…non per te o per altri. Solo per me
stessa. E sei tu che mi hai spinto ad agire così, a sentire così! Sono
solo io che ho dovuto trovare la strada per interpretare i miei
personaggi. Io ho dovuto cercare…alle volte ho fallito…altre volte ho
scoperto la forza dentro di me. Dunque…”.
“Va bene…” – annuì Masumi – “Ho capito…non so se ci riuscirò!”.
“Dovrai riuscirci! Questo almeno me lo devi! Fallo per me…trova la strada per perdonare te stesso…”.
“La strada…”.
Maya
appoggiò la fronte alla fronte dell’altro. Le mani ch’erano incrociate
dietro la nuca dell’altro affondarono nei capelli stringendoli, tirando
un poco la testa, che si reclinò, costringendo l’uomo a mostrare il
volto.
Che lei baciò piano…
Che lui si lasciò baciare…
“Ma…” – balbettò Masumi – “Non so se…”.
“Non parlare…” – le dita scorsero alle labbra – “Ti ho chiesto di perdonare te stesso…non ti ho detto di farlo adesso…”.
Un debole sorriso, Masumi rise – “Chi sei!? Davvero sei Maya Kitajima?” – incredulo che l’altra fosse divenuta così audace…
Un lieve sorriso…
“Oh
Romeo, Romeo, perché sei tu Romeo? Rinnega tuo padre, e rifiuta il tuo
nome! O, se non lo vuoi, tienilo pure e giura di amarmi, ed io non sarò
più una Capuleti…”.
I versi recitati piano, lo sguardo fisso all’altro…
Dunque cos’era un nome…
“Quello
che noi chiamiamo col nome di rosa, anche chiamato con un nome diverso,
conserverebbe ugualmente il suo dolce profumo…” – proseguì Masumi
Hayami, osservando la piccola attrice che teneva stretta tra le braccia.
Che anche lei sorrise - “Dunque noi saremo sempre…io Maya…”.
“Ed io Masumi…”.
“Ma
saremo altro dai nostri nomi. Siamo nati e ci siamo incontrati, e
questo a dispetto del nostro aspetto del nostro rango e della nostra
età…”.
“Questo è tutto…noi saremo sempre gli stessi…avremo sempre lo stesso profumo…”.
“Il tuo profumo…” – sussurrò Maya piano…
“Imploro la tua anima…”.
“Ed io la tua…”.
Silenzio…
I due corpi avvinti si staccarono dalla parete.
Volteggiarono piano, le labbra a cercarsi di nuovo, gli occhi chiusi.
I corpi volteggiarono come a seguire invisibili passi di danza. La stanza buia accolse i pochi passi.
Un altro passo ancora…
Masumi si piegò appoggiando la sua compagna di danza un poco indietro. Ancora un poco…
Che lei si ritrovò distesa, il corpo dell’altro su di sé ma non incombente…
Maya sciolse l’abbraccio…
Nel buio non vedeva nulla…
Da fuori, frinire di cicale che parevano impazzite adesso…
Frusciare di fronde, betulle e salici…
Foglie
tenere e piccole, incapaci d’opporsi persino alla brezza più lieve,
s’agitavano, seguendo il flusso delle correnti tiepide, odorose di
calma e di sera…
Tintinnii
di scacciaspiriti appesi chissà dove, mescolati ai suoni ovattati della
sera che calava, manto lieve a zittire il groviglio di suoni diurni.
E lì, nel groviglio, il cuore batteva così forte che le tempie rimbombavano, amplificando la eco…
Nel buio…
Occhi sgranati…
Nel buio…
Frusciare lieve di vesti…
Le dita strinsero un poco il tessuto freddo delle coperte…
Il corpo piccolo si ritrasse d’istinto…
Maya si ritrovò seduta…
Nel buio…
“Perdonami…” – sussurrò Masumi – “Ho atteso così tanto…”.
Un
respiro fondo, l’uomo si sedette infine sul letto di fronte all’altra,
che anche se era buio, la poteva vedere e la poteva toccare.
Accarezzò il viso, rimase in silenzio, godendo un poco, in contemplazione dell’altra.
Le dita lisciarono la guancia e poi le labbra…
Anche Maya appoggiò di nuovo la mano sul viso dell’altro. La mano rimase ferma però…
“Le tue maschere…davvero adesso…non ne indossi più nessuna?” – lo chiese di nuovo, la voce un poco tremante, non triste però.
“No…nessuna…”
– sussurrò Masumi lasciandosi accarezzare – “Ma se questo è un modo
elegante per dirmi che hai paura…una paura diversa da quella di sempre
nei miei confronti…allora sappi che ne ho anch’io…”.
La mano tentò di ritrarsi e lui l’afferrò e la tenne lì.
“Ho
desiderato così tanto che tu mi accarezzassi…fallo se vuoi…in fondo te
lo devo…tu sei quella che con me non ha mai indossato nessuna
maschera…mentre io…ne ho avute tante. Dunque è giusto che tu sappia che
ora non ne ho nessuna addosso. Tocca il mio viso…ascolta la mia
voce…osserva i miei gesti…non ho nessuna maschera…ciò che c’è davanti a
te è solo la mia anima…” - lo sguardo chiaro sussultò – “Ma sappi che
anche quest’anima ha paura…una paura misteriosa e sublime…la paura
indotta dall’averti qui, tra le mie braccia…dopo aver vagato così a
lungo…troppo a lungo…da non avere più certezza di sapere se ciò che ho
di fronte sia reale…”.
La
destra s’appoggiò al viso, Masumi accarezzò la mano con la propria
destra, godette del contatto, un respiro di resa e di disperazione…
“Si…”
– continuò – “A dispetto della mia fama…non avrei mai potuto conoscere
prima di adesso una ragazza come te. Non avrei potuto perché tutto me
l’avrebbe impedito, io stesso avrei avuto ribrezzo e vergogna…ma
ora…nemmeno io so nulla di come si bacia una ragazza di undici anni
meno di me…non so come si accarezza…non lo so perché è la prima volta
anche per me…”.
Le dita scorsero sulle labbra dell’altro, pigiando su di esse a troncare il discorso. Era troppo…
Masumi si zittì, comprendendo d’aver offerto all’altra una via d’uscita, offrendole la propria stessa paura.
“Insegnami…” – mormorò Maya, piano.
Ancora lo sguardo dell’altro sussultò, solo un istante…
La mano sul viso dell’uomo prese a scorrere ai suoi lineamenti...
Come un tempo era stato per Helen…
Maya osservò il viso dell’altro, lo studiò…
Il suo profumo…
La eco del battito del cuore, lì, nell’arteria pulsante del collo…
Chiuse gli occhi, che forse lo sguardo avrebbe tradito un sussulto.
Ad
occhi chiusi sarebbe stato più facile condurre i sensi lì, al viso
dell’altro, agli occhi dell’altro, ch’essi erano su di lei e sarebbe
stato impossibile averli addosso.
Maya chiuse gli occhi…
Le dita scorsero alla camicia, i bottoni sgusciati ad uno ad uno.
Le dita tremanti incontrarono la pelle tesa e forte…
Nel buio…
Il corpo si contrasse un poco, sollevandosi, il petto liscio offerto…
Le labbra s’aprirono…
Nel buio…
Le dita non bastavano più a disegnare il senso dell’altro…
L’istinto chiese di più…
Silenzio…
Le
labbra s’adagiarono dunque, sul petto lieve, mentre il corpo piccolo si
sporse, avvicinandosi, adattandosi al corpo dell’altro che
l’accoglieva, l’avvolgeva, l’abbracciava in una stretta lieve ma piena,
anche se ora tutto gridava d’averla e tenerla a sé.
“Mi
fido di te…” – appena sussurrato, più che una dichiarazione d’amore
mentre le dita solcavano la pelle, insinuandosi nella stoffa,
scostandola piano, indugiando ad accarezzare il calore.
“Lo so…solo così sarò capace di perdonarmi…e solo così ti dimostrerò che ti amo…”.
“Amami…”
– lo sguardo agli occhi, il corpo addosso, stretto, mentre le dita
affondavano nei capelli e la bocca baciava il viso tutto, gli occhi, il
naso, le guance, la bocca…
Attese ancora Masumi Hayami…
Un altro istante ancora…
Attese che Maya ascoltasse dentro di sé la fiducia ed il desiderio.
Era troppo giovane…
Era necessario che fosse lei ad ascoltare per prima, tutto, e a voler appagarsi d’amarlo, così che…
Si, ch’era troppo adesso…
Tutto troppo distante, seppure erano lì, occhi negli occhi…
Chiusi…
Bocca sulla bocca…
Danza impercettibile e fonda…
Le
dita si mossero davvero, superando la barriera della stoffa,
respingendola, chiedendo d’ascoltare la pelle come unico marchio di
riconoscimento dell’altro, unico luogo ove lasciar approdare il
desiderio.
Comprese
Masumi e lieve e piano imitò i gesti dell’altra, scorrendo alla
schiena, levigando i muscoli teneri, scostando anch’egli le stoffe
sottili.
Il golfino, la camicia…
La gonna…
Le dita rivelarono la pelle docile e bianca…
Le
dita, ancora incerte, si ritrovarono smarrite all’idea di violare il
corpo, imprimendo sopra di esso un contatto troppo sfrontato.
Che fu lei, Maya, a prendergli la mano e ad appoggiarla a sé, tenendola lì, ferma, ad ascoltare il calore irradiato dal palmo…
Un sussulto lieve…
Il battito del cuore diretto e fondo…
La bocca si staccò, il corpo s’inarcò un poco, mentre il viso si volgeva verso l’alto in un’istintiva offertà di sé.
Le mani si chiusero abbracciandolo…
Le dita incerte s’adagiarono al petto, stringendo un poco, la presa indusse un gemito appena respirato…
Il seno piccolo e turgido, passero implume…
La pelle lieve e serica, intatta e mai sfiorata…
Un soffio…
Un istante…
Masumi ebbe un tremito, che se la ragione avesse preso di nuovo il sopravvento, lui non avrebbe potuto che fermarsi.
Baciò la bocca allora, tremante…
Morse
le labbra per tenerle a sé, mentre il sangue inondava il cervello ed
ogni remora, ogni freno, ogni dubbio parevano sollevati ed inondati e
spazzati via…
“Non avere paura…” – respirato piano, senza respiro – “Vuoi…”.
Lo disse a lei, che quasi era detto a sé stesso.
“Amami…” – disse piano Maya – “E se avrò paura…amami di più…”.
Nessun’altra parola…
Nessun’altra spiegazione…
Il respiro si sollevò, risucchiato in gola.
Il
corpo s’adagiò su di lei, imponendosi ed aprendosi, che lei l’accolse
leggera e morbida, intuendosi capace d’accogliere lui e se stessa.
Si chiuse stringendosi a lui, le gambe intrecciate, il sesso placato dal contatto…
Il cuore inebriato e stupito nell’ascesa verticale, come gabbiano a sfidare correnti ascensionali…
E poi già nella caduta, giù nell’abisso di sé e dell’altro…
L’istintiva
contrazione del corpo piccolo e fragile indusse ad abbracciarla,
accarezzare la testa, stringere i capelli, mentre il desiderio
ondeggiava sbattuto contro scogliere imponenti dalla forza del vento e
del mare…
Spuma
bianca ovattata e salmastra invase i sensi, infiltrandosi nei pertugi
di roccia, come nelle singole vene, inondando il sangue e penetrando
fin nel fondo delle viscere…
Carezze ricamate sulla pelle…
Dita strette, intrecciate e chiuse…
Respiro fondo ed asciutto…
La tempesta a mala pena udita da lontano…
Il vortice di vento e pioggia li colse…
Come
viandanti che, mano nella mano, s’accorgono d’essere allo scoperto,
dispersi, nella piana vasta e senza rifugio, in balia dell’acqua e
dell’aria carica di fulminante energia…
I passi presero a correre veloci…
Mano nella mano…
Roccia e bianco di mare…
Spuma mobile e pietra fradicia…
Azzurro mescolato ad innocente amaranto…
Giunse piano e da lontano…
Inaspettata e secca…
Saetta
chiara ed abbagliante li fece tremare e sollevarsi ed arretrare e
fermarsi, incerti che un altro lampo di luce li avrebbe davvero
rincorsi e trovati e colpiti ed annientati…
Si, scorse nella tempesta, un altro vortice d’aria, compatto e grigio, incombente…
Onde alte e nere…
Schiuma chiara ed ovattata…
Le parve d’affogare e si strinse a lui…
E lui
la tenne stretta annegando nel silenzio che li colse, le labbra morse,
il vuoto attorno e la caduta ed il respiro atterrito come da terrore
dell’ignoto…
Che in fondo si è sempre soli di fronte a se stessi in balia di sé…
Suono unico, onda vaga…
Tutto rimbalzò addosso travolgendo i muscoli tesi…
Tutti rieccheggiò ampliandosi a rompere e stracciare il fremito che ingoiò la voce e scompose la carne, chiuse il respiro…
Le
dita inanellate si strinsero ancora di più, imponendo di tenerlì lì,
l’uno addosso all’altra, immobili a respirare l’uno il tremito
dell’altra…
Dolore e vertigine…
Di più, ancora di più…
L’anima vide se stessa, come allora, sulla riva del ruscello…
Turbine di fiori di susino rossi…
Tutti attorno, anche se loro non erano là nella Valle della dea Scarlatta…
Che dunque la valle sarebbe stata ovunque…
Ovunque due anime avessero avuto in sorte di trovarsi…
A dispetto dell’età, del rango o dell’aspetto…
Le anime si sarebbero riconosciute…
Si sarebbero ritrovare…
Tese fino al spasimo…
“Ti
amo…” – lo disse piano Masumi, stretto a lei, il corpo molle e lieve, i
muscoli e la coscienza pervasa dal languore, vino soave, miele ambrato,
sciolti sulla pelle a lenire il senso d’abbandono.
“Amami…sempre…
come io ti ho sempre amato…” – respirò Maya tenendosi stretta a lui,
senza paura, senza avere più nemmeno sentore di chi fosse lei e di chi
fosse l’altro.
Ma
l’abbracciò ancora più stretto, che intuì sottile il timore che
rialzandosi, Masumi l’avrebbe guardata e l’avrebbe osservata così,
senza difese, piccola ed in balia del tremito che ancora eccheggiava
nelle viscere.
Non voleva essere osservata, era stata così insignificante per tutta la vita, che voleva rifuggere il timore d’esserlo ancora.
Anche se sentiva d’essere intensamente fulgida e libera….
Così
lo tenne stretto a sé, il viso immerso nell’incavo del collo, lì, ad
annusare il sentore minerale della pelle, il battito veloce che correva
nelle vene…
Lì, a
bearsi d’essere piccola ed insignificante, eppure felice d’aver
ascoltato il tremito immenso che l’aveva raggiunta fin nella parte più
fonda di sé, a toccare quell’anima ignota e splendida ch’era sempre
stata dentro di sé.
“Vorrei…guardarti…” – le sussurrò Masumi all’orecchio, intuendo forse il timore di Maya – “Lo so che tu non vorresti…”.
Che
in fondo la conosceva bene, anche se non gli era mai accaduto di
perdersi tra le braccia di una ragazzina così giovane, anche se era
tutto sorprendentemente vivo e vero per lui.
Ad occhi chiusi Maya comprese e si staccò solo un poco per consentire a Masumi di guardarla.
“Apri
gli occhi…” – chiese lui, accarezzando il viso, le dita leggere delle
mani grandi scorsero sulla pelle un poco umida e morbida.
Maya
aprì gli occhi e lo vide vicinissimo a sé, gli occhi chiari un poco
lucidi, la pelle anch’essa accesa ed umida, il profilo netto e perfetto.
Lo vide e capì ch’era giusto…
Masumi potè finalmente guardarla…
“Sei così bella…la tua anima è così bella...io sono lì, accanto ad essa…”.
“Ed
io sono accanto a te…” – un sorriso lieve – “Hai ragione…è bello
osservarmi nel tuo viso…i tuoi occhi sono gli occhi della mia anima…amo
i tuoi occhi….”.
“Dunque
ami te stessa. Ed io amo te…non ho mai amato nessuno a questo modo.
Scompaio di fronte a te…e non riesco nemmeno ad immaginare chi io sia
adesso che tu sei qui…non so più chi sono stato e non vorei essere
altri che colui che è qui adesso…”.
Poche parole…
Un bacio lieve…
Il corpo piccolo scivolò più giù sovrastato dall’altro…
L’anima più piccola scomparve inghiottita dal buio.
Nulla rimase dell’una e dell’altra…
Mentre
fuori il buio inondava il cielo, scacciando gli ultimi aneliti di
giallo e di indaco, negli echi dei respiri che si erano rincorsi per
sette lunghi anni.
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