Capitolo III
Critical failure is not the End of your
world, is the End of your quest
Il
martello di Torag
sfugge dalle mani di Yangrit. Si solleva in aria e la terra comincia a tremare;
da essa, sorgono imponenti montagne dalle cime innevate e le pendici di dura
pietra che circondano il villaggio dei nani.
Le
venature intarsiate del maglio cominciano a risplendere di luce propria e un’onda
di energia divina esplode da esso, dirompente.
«Cosa
sta succedendo?» domanda Kalas. Le
possenti zampe da lupo artigliano invano il terreno nel tentativo di non
cadere.
«Non
lo so» ammette Torios, scrutando incantato l’insolito fenomeno. La sua
pelle si ricopre di scaglie, indurendosi; il volto si allunga e possenti zanne
sembrano squarciare l’epidermide mentre le labbra si ritirano e le ossa s’ispessiscono.
Una lunga coda squarcia il tessuto dei suoi pantaloni e ampie ali scarlatte si
plasmano dalle sue esili scapole. Nel giro di qualche secondo, al posto dello
stregone c’è un piccolo drago rosso, la cui mole riesce a impedire al morfico
di essere spazzato via dall’onda d’urto.
Poco
lontano da loro, Variel, Jaina e Tessara sono proni sul terreno tremante; le loro
mani si artigliano alla nuda roccia, alla ricerca di un appiglio; Niejiena
stringe tra le braccia Faunra, la veste da chierica svolazzante. Sentono un grido
e un tonfo, ma solo Tessara sembra accorgersi di Saniel che giace riverso a
terra, la nuca sanguinante contro la roccia…
«Non
è giusto! Perché sempre io?»
Madara
non si preoccupò neanche di alzare lo sguardo dallo schermo del master. Ignorò
deliberatamente la protesta di Naruto e sperò, fra sé, che anche gli altri
giocatori facessero altrettanto in modo da riprendere la narrazione.
Con
la coda nell’occhio, scorse Sakura tirare una gomitata a Uzumaki sotto al tavolo.
Trattenne un sorriso di fronte allo: «Sssht!» della ragazza e si nascose meglio
dietro il tabellone quando gli occhi verdi di lei si voltarono a guardarlo, in
attesa che continuasse la narrazione.
Percepì
con chiarezza un bisbigliato: «Perché con un fallimento critico un colpo alla
testa è il minimo» da parte di suo cugino e si affrettò a riprendere prima che
scoppiasse l’ennesima polemica.
L’unica
a restare stabile sul terreno è Yangrit, i cui occhi scuri squadrano con gioia
mal celata il miracolo che sta avvenendo. Sotto il suo sguardo entusiasta, la
luce comincia ad assumere la forma di un uomo tozzo, dalla lunga barba candida
e l’armatura splendente.
«È
Torag! – esclama – Torag è di nuovo tra i suoi figli!»
All’improvviso,
prima che la figura assuma contorni più definiti, una mano avvolta da un guanto
da guerra nero come la notte si stringe attorno al manico del martello e, con
forza, lo infrange a terra, spezzandone il maglio in un’esplosione di luce
accecante.
Il
terremoto cessa all’improvviso, le montagne si ritirano nelle profondità della
terra e, di fronte agli sventurati avventurieri, si presenta un cratere dove
prima si trovava il martello sacro, i cui frammenti giacciono ora sparsi ai
piedi di Yangrit.
Al
centro del disastro, un uomo con indosso un’armatura completa di metallo tanto
scuro da catturare la luce. Una nube violacea e pestilenziale si diffonde dalla
sua persona; sul pettorale spicca, scarlatto e rovente, il ragno con le zanne
di Rovagug.
«Il
tuo dio è morto, nana» sentenzia beffardo, mentre si toglie l’elmo, rivelando
il volto umano dalla mascella marcata e spiccati occhi di brace.
Yangrit,
caduta in ginocchio a raccogliere i pezzi del martello, si rialza furente ed
esclama…
«Cazzo
che figo!»
L’esclamazione
di Sakura lasciò per qualche secondo interdetti tutti i presenti, almeno prima
dello scoppio di una fragorosa risata collettiva. La ragazza ebbe l’accortezza
di arrossire, prima di unirsi all’ilarità generale con un: «Scusate, mi è
proprio sfuggita».
«Spero
che Yangrit non lo abbia detto in game»
la prese in giro Ino, dandole una leggera pacca sulla spalla.
«Nuova
ship! – esclamò Naruto. Balzò in piedi e alzò il bicchiere di coca-cola
al soffitto – Brindiamo alle nozze di Yangrit e del tizio misterioso seguace di
Rovagug che ha appena ucciso il suo dio!»
Altra
risata. Madara si strinse la fronte tra le dita, indeciso se interrompere
quella farsa o meno; lanciò un’occhiata ai suoi giocatori: sembravano
divertirsi, nonostante Sakura avesse disgregato l’intera epicità del momento.
La tensione che aveva abilmente creato si era dissolta in un turbine di
sorrisi, battute e bicchieri che si alzavano in ulteriori brindisi improbabili.
La scena gli strappò un sorriso che morì prima di arrivare alle labbra. Uno
solo dei giocatori non sembrava partecipe al divertimento collettivo: Sasuke
aveva il volto contrito, un dito grattava nervosamente la superficie della
scheda – la sua preziosissima scheda – e gli occhi scuri parevano lucidi, quasi
sul punto di scoppiare in lacrime per la frustrazione e la rabbia.
Non
notò che Kiba aveva intercettato il suo sguardo verso il cugino, né come la
fronte di questo si fosse corrugata all’improvviso notando lo stato emotivo di
Sasuke. Percepì solo il movimento di Sakura, ignara, verso il ragazzo, il
sorriso a metà tra il divertito e l’imbarazzato ancora dipinto su volto. Non
fece in tempo a fermarla, a impedirle di accendere inconsapevolmente la miccia.
La mano della ragazza si posò sulla spalla di Sasuke, mormorò qualcosa che
Madara non riuscì a udire…
«Non
c’è un cazzo da ridere!»
L’urlo
di Sasuke fece calare il silenzio tra i presenti. Sakura si ritrasse come
scottata a quello scatto improvviso, confusa. Solo Gaara, nella sua ingenuità,
domandò un candido: «Perché?».
«Perché
state facendo un macello! Torag è morto! Morto! Non lo capite questo? –
il volto di Sasuke era trasfigurato dalla rabbia. Paonazzo, non riuscì a far
capo al suo solito autocontrollo. Squadrò tutta la tavolata, soffermandosi poi
su Sakura. Era la sua migliore amica, forse l’unica persona con cui avesse mai
realmente sviluppato un rapporto di confidenza, e lo sapeva… sapeva che non si
meritava quello che stava per dire, ma le parole sgorgarono fuori di lui come
un fiume – Sei una nana! Il tuo personaggio dovrebbe essere disperato e l’unica
cosa a cui riesci a pensare è quanto sia figo il png del master? Stai rovinando
tutto! Non avrei mai dovuto portarti qui! Non quando non te ne frega un cazzo
del gioco, ma solo di provarci con mio cug…»
«Basta
così».
La
voce gelida di Madara interruppe l’esplosione di rabbia di Sasuke. Il ragazzo
si ammutolì seduta stante, di fronte allo sguardo sconvolto dei presenti.
Hinata si era ritratta sulla sedia, spaventata, un braccio di TenTen avvolto
attorno alle spalle. Ino gli lanciava occhiate furibonde accanto a un Deidara
palesemente interdetto; Gaara aveva cominciato a grattarsi nervosamente il
braccio, Naruto sembrava in procinto di scoppiare a sua volta. In piedi,
Uzumaki si avvicinò al posto di Sasuke e lo spintonò, facendolo quasi cadere
dalla sedia.
«Ma
chi ti credi di essere? – sbottò con aria di sfida – Fai tanto il grosso con
quei dadi, ma sei solo uno stronzo arrogante! Fatti sotto e vediamo che cazzo
sai fare senza una scheda a pararti il culo Uchiha!»
«Ho
detto basta!»
Stavolta
Madara fu costretto ad alzare la voce.
«Uzumaki,
vatti a sedere. È una ludoteca, non un fottuto bar. Sasuke – inspirò a fondo –
credevo fossi abbastanza grande per partecipare alle mie campagne, non un
moccioso che rovina il gioco a tutto il party. Vattene a casa e torna quando
avrai imparato come si gioca tra persone adulte».
Madara
lo vide sbiancare, incredulo. Sasuke boccheggiò un paio di volte, come per dire
qualcosa, poi l’orgoglio ebbe la meglio. Gli lanciò uno sguardo di fuoco e,
alzatosi, ripose le proprie cose dentro lo zaino, con rabbia.
Solo
quando incrociò di sfuggita il volto di Sakura che lo fissava sconvolta e con
gli occhi verdi pieni di lacrime, percepì il peso delle proprie parole ed ebbe
la decenza di abbassare lo sguardo mentre usciva dal Konoha Comics&Games.
Quando
il rumore dell’uscio che si chiudeva alle spalle di Sasuke risuonò nel silenzio
del locale, Madara si lasciò andare a un sospiro esasperato.
«Kiba,
accompagnalo a casa. Per favore» sussurrò. Inuzuka non se lo fece
ripetere. Annunciò al gruppo che sarebbe tornato nel giro di un’oretta e seguì
il giovane Uchiha.
«Noi
continuiamo… - cercò di spronare i giocatori. In silenzio, rimestarono un poco
con dadi e schede - Sakura – tono secco. Sakura trasalì sulla sedia, poi
concesse a Madara la sua totale attenzione - il tuo dio e creatore della tua
specie è appena stato ucciso da un misterioso seguace di Rovagug. Cosa fai?»
Kiba trovò Sasuke seduto a terra
in un vicolo poco illuminato. Ringraziò il fatto che fosse notte fonda e che
non ci fossero rumori di sorta a inquinare l’aria, altrimenti non avrebbe mai
sentito i singhiozzi soffocati che lo avevano guidato verso la figura china,
nascosta al buio tra due bidoni della spazzatura.
Si avvicinò con cautela, indeciso
sul da farsi. Aveva deciso di dare una bella strigliata al ragazzo, non appena
uscito; si aspettava una litigata, una discussione feroce e accalorata che si
sarebbe conclusa con un «Vaffanculo», o un silenzio tombale e stizzito da parte
di Sasuke. Attendeva, insomma, una nuova tempesta in cui anche lui si sarebbe
potuto scaricare dell’irritazione che aveva accumulato durante la quest, ma
trovarsi di fronte a un ragazzino piangente era qualcosa che Kiba non avrebbe
mai immaginato e che, a suo parere, andava oltre ogni sua capacità di
consolazione.
Riuscì a non farsi sentire da
Sasuke mentre si avvicinava; solo quando gli fu davanti, Uchiha si accorse di
lui. Con gesto stizzito si passò la manica del giubbotto di jeans sul volto e
bofonchiò un: «Che cazzo vuoi?» pieno di inconsistente arroganza.
Kiba sospirò. Tirò fuori il
pacchetto di sigarette stropicciato dalla tasca, ne estrasse un paio e ne
accese una, porgendola poi a Sasuke.
Sospirò di sollievo quando, dopo
qualche secondo di stasi, il ragazzo tese la mano e accettò la sigaretta
fumante. Solo allora, Inuzuka si permise di accendere la propria. Tentennò un
poco, poi, con un cenno del capo, addusse allo spazio libero accanto a Sasuke.
«Posso?»
Uchiha annuì, scostandosi un
poco. Kiba si sedette al suo fianco. Espirò una nuvola di fumo, gli occhi
rivolti al cielo, senza guardare il ragazzo al proprio fianco, né dar peso alle
sue occhiate perplesse. Rimasero in silenzio in quel vicolo buio che puzzava di
immondizia, a fissare il nulla, entrambi incapaci di affrontare una
discussione. Kiba sentì tutto il peso di essere “l’adulto” della situazione.
Era più grande, spettava a lui far ragionare Sasuke e spronarlo a rientrare e
scusarsi con gli altri, soprattutto con Sakura, ma non riusciva a trovare le
parole adatte.
Sentire piangere Sasuke lo aveva
sconvolto più del previsto. Aveva un’idea ben precisa del cugino di Madara,
idea che era stata appena stravolta completamente. Aveva identificato Sasuke come
un ragazzo che nascondeva dietro al cinismo e all’arroganza un’emotività
dirompente; il modo in cui s’illuminava quando parlava della campagna era appassionato,
caloroso… un crogiolo di sentimenti che faticava a gestire e che celava al
mondo, svelandoli solo tramite il gioco. Mai avrebbe immaginato che, in mezzo a
essi, si potesse nascondere una rabbia così distruttiva e una fragilità
altrettanto profonda.
«Non stavo piangendo» sussurrò
Sasuke, a un tratto. Kiba si sforzò di trattenere un sorriso divertito a quel
tentativo di riacquistare la dignità perduta di Uchiha. Gli posò una mano sulla
testa, scompigliando i soffici capelli neri.
«Certo che no – lo schernì
bonario – Stavi solo idratando gli occhi».
«Non stavo piangendo!»
Kiba provò quasi sollievo a
quello scatto. Era di nuovo il Sasuke che conosceva: irritabile, permaloso e
stizzito. Qualcosa con cui sapeva come confrontarsi, come prendere. Colse la
palla al balzo.
«Datti una calmata Uchiha – lo bloccò,
spegnendo la sigaretta a terra – Non me ne frega un cazzo se stavi piangendo o
meno. Là dentro ti sei comportato da stronzo, ne sei consapevole?»
Sasuke scostò lo sguardo. Si
raccolse nuovamente su se stesso, le braccia appoggiate sulle ginocchia a
coprirgli metà volto, lasciando scoperti solo gli occhi scuri.
Bofonchiò qualcosa. Kiba ghignò.
«Non ho capito» mentì.
«Mi dispiace» Sasuke cercò di
imprimere un tono di stizza alla sua frase, senza riuscirci. Le scuse uscirono
in un pigolio flebile, soffocato.
Kiba gli passò un braccio attorno
alle spalle; fece un po’ di forza per attirarlo contro di sé e rimase stupito
dalla passività con cui il ragazzo lo lasciò fare. Di solito Sasuke opponeva
resistenza a un contatto fisico più consistente, quella volta, invece,
assecondò il suo movimento. Quando sentì la mano di Sasuke serrarsi attorno
alla stoffa della sua maglia, la confusione si fece più forte. Quella reazione
non era normale, non per quello che era un litigio di poco conto, non per un
semplice gioco… non era da Sasuke.
D’istinto, lo strinse un po’ più
forte contro di sé per rassicurarlo, da cosa non lo sapeva neanche lui. Dopo
qualche minuto, cercò di attenuare la presa, di scostarlo. Ora sarebbe andato
tutto bene, gli avrebbe detto di rientrare, di scusarsi, che un cedimento
poteva capitare a tutti, ma che non valeva la pena mandare all’aria un’amicizia
per una campagna di Pathfinder. Era così certo della riuscita dei suoi intenti
che, quando al suo tentativo di scostarsi Sasuke serrò la propria presa e
avvertì il corpo del ragazzo tremare per i singhiozzi, non seppe come reagire.
«Mi dispiace – un gorgoglio
soffocato, disturbante – Non volevo… non volevo rovinare tutto».
«Sasuke… - Kiba deglutì – Non…
non fa niente… ora torniamo dentro e ti scusi con Sakura. Se vuoi te la vado a
chiamare così non devi rientrare. Stai tranquillo, è solo un gioco…» cercò di
rassicurarlo; passò la mano tra i capelli scuri, tenendolo stretto contro di
sé. Poteva sentire le lacrime bagnargli la maglietta e il suo cervello spostò
in automatico l’attenzione sul fatto che erano in mezzo a un vicolo, al buio,
circondati dalla spazzatura.
«Non è solo un gioco – altro singhiozzo.
Il respiro di Sasuke era incostante, reso frammentario dal pianto e dal muco –
Non capisci… non puoi capire! Quella campagna è… è tutto! Se Madara non
mi farà più giocare…»
«Ce ne saranno altre – tentò di
incoraggiarlo – E magari con master meno sadici di tuo cugino. Però se ci tieni
così tanto possiamo corrompere Madara. Magari diciamo ad Hashirama che ti ha
trattato male, sono sicuro che lo tormenterà talmente tanto da farti riammettere».
«Non capisci… - Sasuke sembrava
un disco rotto. Scosse il capo, tirò su col naso, poi il pianto prese di nuovo
il sopravvento. Sotto il braccio che lo circondava, Kiba sentiva il petto del
ragazzo alzarsi e abbassarsi con sempre più difficoltà sotto il peso di quel
singhiozzare disperato – Madara ha ragione! Ho rovinato tutto! Tutto! Era l’unica
cosa a cui tenessi davvero e l’ho distrutta…»
«Dai troppa importanza ai GdR.
Vedrai che domani sistemiamo tutto, con Sakura e con tuo cugino. – la puzza che
arrivava dai cassonetti cominciava a dargli fastidio, ma preferì concentrarsi
su quella piuttosto che sul pensiero che Sasuke avesse un serio problema di
dipendenza dal gioco di ruolo. Non era il momento per dirgli che, viste le sue
reazioni, forse era meglio che non continuasse a giocare – Che ne dici se ora
andiamo a casa?»
Sperò con tutto se stesso che
Sasuke acconsentisse, mettendo fine a quella situazione così complessa da
gestire. Avrebbe mandato un messaggio a Madara per avvisarlo che non sarebbe
tornato; riaccompagnato Sasuke a casa, sarebbe andato anche lui a dormire e l’indomani
tutto sarebbe tornato come prima. Sarebbe andato a lavoro, avrebbe bisticciato
come suo solito con Madara, svolto le proprie incombenze… tutto senza dover
badare a un ragazzino adolescente che sembrava aver scambiato la sua spalla per
il muro del pianto.
Trattenne un sospiro di sollievo
quando, alle sue parole, Sasuke tirò su col naso un paio di volte e poi si
staccò da lui. Gli sorrise e gli accarezzò la testa un’ultima volta, prima di alzarsi.
Porse la mano a Uchiha per aiutarlo a tirarsi in piedi, ma questi non la prese.
«Vai a prendere la moto –
sussurrò – Ti raggiungo tra un attimo».
Kiba annuì. Gli raccomandò con un
mezzo sorriso di non farlo aspettare troppo e andò a prendere la sua Yamaha,
un po’ più sereno.
Rimasto solo, Sasuke si richiuse
per qualche secondo tra le proprie braccia. Avvertì le lacrime pungergli gli
occhi di nuovo, premendo per uscire. Le ricacciò indietro con rabbia, mentre
avvampava di vergogna per il proprio comportamento. Aveva trattato malissimo
Sakura, aveva rovinato il gioco a tutti ed era scoppiato a piangere proprio di
fronte a Kiba…
Abbassò la fronte tra le proprie
gambe, svuotato d’ogni emozione. Inuzuka non aveva compreso, non poteva
capire quanto quella campagna significasse per lui. Ce ne saranno altre,
gli aveva detto in completa buonafede. Certo, ce ne sarebbero state altre.
Magari migliori, magari peggiori, ma quella… quella era la sola che lui avrebbe
potuto giocare in una parvenza di normalità, senza un orologio che ticchettava
come una spada di Damocle sulla sua testa.
Non era “una campagna”, era “La
Campagna”; l’avventura di una vita. Era la sua vita e Sasuke se l’era
lasciata sfuggire dalle mani. Non solo, aveva compromesso l’amicizia con
Sakura, rivelando davanti a tutti, davanti a Madara stesso, della sua cotta;
aveva fatto arrabbiare il cugino e si era umiliato davanti a Kiba che, ora,
avrebbe sicuramente pensato che lui fosse solo un moccioso, un marmocchio,
come lo definiva spesso.
Complimenti Sasuke, pensò,
Hai fatto più fallimenti critici in una sera che in tutta la tua esistenza
di merda. E ti sei anche pianto addosso in mezzo alla spazzatura.
Sentì il rumore della moto
avvicinarsi. Con fatica, si chinò carponi sul selciato lordo. Fece pressione
sulle braccia e sollevò il bacino verso l’altro, in modo da attenuare il peso sulle
gambe divaricate. Avvertì i muscoli contrarsi e tendersi per un istante, poi i
crampi dolorosi, l’orribile sensazione di cedimento… strinse i denti e riuscì a
tirarsi in piedi. Attese qualche secondo appoggiato al muro, prima di raccogliere
lo zaino e raggiungere Kiba che lo attendeva già col casco in mano.
N/A: oggi ho avuto la
serata libera dopo mesi e mi sono messo a scrivere. E quello che ho scritto,
tra la preparazione della quest di lunedì e ancora l’hype per quella di
ieri sera (in cui – ehi! – i miei giocatori hanno riconsegnato proprio
il martello di Torag, ma io non sono stronzo come Madara e non ho fatto
uccidere il dio da nessuno), è stato il nuovo capitolo di questa maledetta
storia, che aveva il compito di portarmi gioia e invece mi porta solo lacrime.
Per dire: quando lo scrittore fa
fallimento critico nel tenere a bada i propri pg, questo è il risultato.
Ora torno nei miei meandri di
solitudine, che devo ancora scegliere un paio di maledizioni con cui uccidere
gente <3.