ReggaeFamily
II
Quella
mattina ero parecchio agitata, nonostante cercassi in tutti i modi di
non darlo a vedere. Prima di uscire dalla stanza dell'albergo di
Modena in cui alloggiavo, avevo fissato la mia immagine nello
specchio e mi ero stampata sulle labbra il sorriso più
credibile che mi era possibile in quel momento.
Non
volevo che qualcuno si preoccupasse per me.
“Milla,
buongiorno!” mi salutò Enrico con allegria, mentre si
apprestava a richiudere la porta della sua stanza.
“Ehi!
Dormito bene?” gli domandai, avvicinandomi a lui. Osservandolo
meglio, notai che i suoi occhi erano segnati dalla stanchezza tipica
di chi passa una notte insonne.
“Alla
grande” esclamò il mio amico, facendo volare in aria le
chiavi della sua camera; si diresse a passo spedito verso
l'ascensore.
Aggrottai
le sopracciglia e lo seguii con una certa preoccupazione. Ultimamente
lo vedevo più stanco del solito; sebbene da una parte fosse
normale, dato che eravamo in tour da diverse settimane, non era certo
da lui lasciarsi stravolgere dalla frenetica routine del viaggio.
Gli
posai una mano sul braccio mentre premeva il pulsante per richiamare
l'ascensore. Non si voltò verso di me e non aprì bocca.
“Rick,
sul serio: va tutto bene? Mi sembri un attimo provato. Non stai
riposando?” gli domandai con dolcezza e apprensione, sperando
che la mia domanda non risultasse poco discreta.
“Mah,
ultimamente ho un po' da pensare” ammise, senza tuttavia alzare
lo sguardo su di me.
“Spero
non sia per colpa del tour; non vorrei che tutto ciò ti metta
addosso troppa pressione.”
Enrico
mi rivolse un lieve sorriso e mi strinse in un veloce abbraccio,
proprio mentre le porte davanti a noi si aprivano. “Sei sempre
così premurosa e dolce!” esclamò, prima di
intrufolarsi dentro il box.
Ridacchiai
e lo seguii. “Sei mio amico, è ovvio che mi preoccupo!”
Calò
il silenzio per qualche secondo, riempito solo dal ronzio
dell'ascensore.
Scrutai
per un attimo il riflesso di Enrico nello specchio di fronte a sé:
i suoi chiarissimi occhi erano seri e imperscrutabili.
“Un
giorno mi dirai che succede?” mormorai, sempre più in
ansia. Non l'avevo mai visto così.
Lui
mi strinse per un secondo la mano. “Penso che un giorno lo
scoprirai.”
In
quel momento le porte dell'ascensore si aprirono; Romina era già
lì, ci aspettava in piedi mentre consultava una cartelletta
zeppa di fogli.
Eravamo
pronti per l'ennesimo firmacopie.
Tenevo
lo sguardo basso sui libri che, uno dopo l'altro, sfilavano sul
banchetto bianco dietro il quale mi trovavo. Dovevo concentrarmi solo
sulle persone che avevo di fronte e renderle felici.
Da
quando ero giunta in quel punto vendita Mondadori, avevo evitato di
guardarmi attorno e incrociare gli sguardi dei miei tanti ammiratori:
la verità era che avevo paura di trovarmi faccia a faccia con
Dreamy, non avrei saputo che fare. Avrei dovuto svelarle la mia
identità o mantenere ancora il segreto? Per quanto mi piacesse
dare consigli al prossimo, non sapevo mai che fare quando mi trovavo
di fronte a un problema in prima persona.
Comunque
cercai di non pensarci troppo: stavo lavorando e dovevo dare il
massimo.
Tutto
sembrava andare per il meglio, fin quando non mi si presentò
di fronte una ragazza alta e snella, che indossava una giacca blu
notte e dei jeans neri; il suo viso dai lineamenti marcati era
leggermente truccato e abbellito da un enorme sorriso, mentre una
folta chioma di capelli lunghi e lisci, castano scuro con dei colpi
di sole biondi, le ricadevano sulle spalle.
Era
lei.
Ricambiai
il suo sorriso emozionato, cercando di darmi un contegno e non far
trasparire il disagio che provavo.
“Ciao!”
la salutai con disinvoltura, aprendo uno dei tre volumi che mi aveva
posato di fronte.
“Ciao”
rispose lei timidamente. Aveva un timbro abbastanza basso e
contenuto, come se attirare l'attenzione non fosse nella sua natura.
“Allora,
come ti chiami?” le domandai. Mi veniva quasi da ridere: lo
sapevo benissimo, eppure non riuscivo proprio a portar fuori la
verità.
“Eliana”
rispose lei, mentre le sue guance si coloravano leggermente di rosso.
“Okay.”
Riflettei per qualche secondo su cosa avrei potuto scrivere e mi
venne in mente un'idea bizzarra: e se nella dedica avessi sostituito
Eliana con Dreamy? In questo modo lei avrebbe capito chi fossi.
Valutai
quell'idea solo per un istante, poi scossi la testa e avvicinai la
punta della mia penna verde al foglio.
A
Eliana,
al
suo dolce sorriso che comunica tutto.
Camilla
♥
Non
ci riuscivo, era più forte di me. Lei era una delle persone
che sentivo più vicine in quel periodo, l'avevo di fronte,
eppure non ero capace di portare fuori la verità. E se si
fosse arrabbiata? E se l'avessi delusa?
Non
volevo rischiare.
“Grazie,
sono delle parole bellissime!” Eliana teneva il libro tra le
mani e spostava lo sguardo dalla dedica a me, gli occhi illuminati e
colmi di emozione.
“Figurati!
Il tuo sorriso mi ha colpito molto. Ora firmo anche gli altri”
affermai.
La
mano mi tremava leggermente mentre tracciavo il mio nome sulla carta
bianca.
“Posso...
chiederti una foto?” mi domandò la ragazza, per poi
avvampare.
“Certo,
vieni qui!” Le circondai le spalle con un braccio quando mi fu
a fianco; posai per il selfie, poi Dreamy afferrò la mia mano
e la strinse per qualche istante.
“Grazie,
i tuoi libri sono di grande ispirazione per me” mormorò.
“Di
che mi ringrazi? Senza scrittura non potrei vivere!”
“Anche
per me è così.”
Mi
si spezzava il cuore, avrei voluto piangere.
Oh,
Dreamy, se solo sapessi!
D'istinto la abbracciai,
sperando che quell'abbraccio potesse comunicarle ciò che a
parole non potevo esprimere. Lei in un primo momento parve spiazzata,
poi ricambiò la stretta.
Quando sciogliemmo
l'abbraccio, la ragazza fu costretta a raccattare i suoi libri e dare
spazio alle altre persone che stavano in fila.
Prima di perdersi in mezzo
alla folla, mi regalò un ultimo sguardo colmo di gratitudine.
Avvertii un nodo in gola.
“Camilla, Camilla! Mi
puoi firmare questo libro? Così lo regalo a mia sorella per il
compleanno!” La vocina di un bambino mi riportò alla
realtà: un ragazzino di circa dieci anni, alto poco più
del banchetto, sventolava in aria una copia del mio ultimo romanzo.
Non potei trattenere in
gridolino intenerito. “Ma certo, piccolo! Come mai tua sorella
non è qui?” gli domandai curiosa.
“Perché lei va
all'università e vive in un'altra casa” spiegò
lui, rabbuiandosi leggermente.
“E ti manca?”
“Sì, tanto.”
Gli sfilai con delicatezza
il volume dalle mani. “Come si chiama tua sorella?”
Su EFP trovai un messaggio
di Dreamy risalente alla sera prima.
ODDIO CHE EMOZIONE,
domani vado da Camilla Giurato!!!! Non ci posso credere, è un
sogno *-* sicuramente farò qualche figuraccia, non so cosa
dirle!!! Oddio, lei è un genio!
Buona fortuna a me XD
Mi lasciai sfuggire un
sospiro.
“Che c'è?”
s'informò Enrico, seduto sul sedile posteriore del taxi
accanto a me.
“Niente” tagliai
corto.
Digitai in fretta la
risposta.
ODDIOOOO, com'è
andata????
Era lecito chiederglielo,
lei se lo sarebbe aspettato. Anche se in realtà sapevo già
tutto.
“Milla? Mi stai
ascoltando?”
Caddi dalle nuvole. “Sì?”
“Serata al pub sul
retro dell'albergo?”
Misi via il cellulare e mi
voltai verso di lui. “Stavolta ho proprio bisogno di lanciarmi
in pista a ballare per un paio d'ore!”
Nonostante indossassi
soltanto una leggera maglietta a maniche corte e un paio di leggings
in cotone, le alte temperature nella stanza e il calore delle luci
stroboscopiche mi facevano sudare.
Non era proprio da me
scatenarmi a ritmo, soprattutto nel bel mezzo di un locale zeppo di
gente. Eppure quel giorno ne avevo proprio voglia.
Mi sentivo stranamente
euforica.
Mentre sorseggiavo il drink
che Enrico aveva insistito per offrirmi e ondeggiavo leggermente a
suon di musica, il mio amico mi osservava contento.
“Però mi
preoccupi” ammise.
“Perché?
Cos'ho?” gli domandai con un sorriso.
“Non è da te
comportarti così.”
“Mmh... tu dici?”
Iniziai a ridacchiare; forse l'alcol stava già sortendo i suoi
effetti, non ero abituata a bere più di tanto.
“Vabbè,
lasciamo perdere. Allora, mi concedi questo ballo?” mi domandò
del tutto a sproposito, dato che nel locale si diffondevano le note
di una canzone movimentata e per niente adatta a un ballo di coppia.
Esultai e mi esibii in una
giravolta, sorridendo raggiante. Di certo io e lui non ci saremmo mai
lanciati in balli romantici o seri, eravamo amici, e poi io avevo un
modo di fare molto più libero e rilassato.
Ricominciai a ballare per
tutta la pista, spostandomi in fretta, mentre Enrico mi correva
dietro; così iniziammo un buffo inseguimento tra la folla,
ridendo e schiamazzando come due bambini.
Io avevo ventotto anni e lui
ventisei, ma in certe occasioni era come se ne avessimo venti in
meno.
Quando il brano su cui
stavamo ballando terminò, Enrico mi raggiunse e mi posò
una mano sulla spalla. Mi voltai e ridacchiai nel vedere il suo volto
arrossato dalla fatica.
“Sei stravolto!”
lo sbeffeggiai con una linguaccia.
“Però ti ho
raggiunto!” obiettò, abbracciandomi affettuosamente per
sottolineare la sua vittoria. “Sai,” aggiunse poi, “sei
così allegra e positiva che stare accanto a te mi fa stare
bene. Sei come una cura.”
Rimasi parecchio perplessa
da quella sua affermazione: non era il tipo che si lasciava andare a
discorsi strappalacrime o manifestazioni esplicite d'affetto. Forse,
come me, aveva alzato un po' troppo il gomito.
Non sapevo come rispondere,
ma quelle parole mi stamparono in viso un sorriso a trentadue denti.
Sorrise a sua volta, poi si
fece nuovamente serio; riconobbi lo sguardo di quella mattina, quella
strana malinconia che aveva velato i suoi occhi chiari.
Qualcosa non andava, era
ovvio, non si trattava di un malumore passeggero. Stavo cominciando a
preoccuparmi: magari aveva dei problemi in famiglia o aveva avuto un
diverbio con qualcuno della casa editrice, e non me ne voleva parlare
per non spaventarmi.
Gli afferrai un polso e lo
trascinai in un angolo un po' più appartato dalla stanza.
“Rick, sono in
pensiero per te. Sei triste.” Puntai i miei occhi dritti nei
suoi, sperando di riuscire a leggervi qualcosa.
“No, tranquilla, è
solo che...” cominciò lui, ma le parole gli si mozzarono
in gola.
“Che...? Se vuoi
possiamo andare in un altro posto, questo non è l'ideale per
parlare” proposi, cercando di metterlo a suo agio.
Sospirò, i lineamenti
delicati contratti e il viso pallido. “Milla...”
Deglutii a fatica, sempre
più in ansia. “Sì?”
Enrico aveva abbassato lo
sguardo, a disagio; mi strinse con delicatezza un braccio, poi mi
attirò a sé e posò dolcemente le sue labbra
sulle mie.
Se un attimo prima ero fuoco
allo stato puro, in quel momento divenni di ghiaccio. Non reagii: non
lo strinsi a me, non lo respinsi, non ricambiai.
Volevo solo piangere per la
commovente delicatezza di quel gesto: trasmetteva un amore e una
passione che io non ero in grado di provare nei suoi confronti.
Enrico era un fratello per
me, gli volevo un bene immenso, lo stimavo in campo lavorativo così
come a livello personale, ma per lui non provavo nient'altro oltre
questo.
Lui interruppe quasi subito
quel contatto e si fissò la punta delle scarpe. “Ecco,
ora sai perché sto così.”
Gli presi il viso tra le
mani e lo costrinsi a guardarmi. “MI stai dicendo che sono io
la causa della tua tristezza? Dimmi cosa posso fare per porre
rimedio.”
“No, è colpa
mia. So bene che non ti potrò mai avere, so che tu non ricambi
i miei sentimenti. E poi sto mischiando la mia vita privata con il
lavoro.”
“Andiamo”
affermai, poi mi diressi verso l'uscita del locale.
Avevamo bisogno di parlare e
chiarire questa situazione, così lo invitai in camera mia,
dove potevamo star lontani da orecchie indiscrete.
“Non voglio che tu
stia male, dobbiamo assolutamente trovare una soluzione!”
esclamai, dopo essermi chiusa la porta alle spalle.
Enrico si era già
rannicchiato sul mio comodino, stringendosi le ginocchia al petto.
Avevo paura potesse perdere l'equilibrio da un momento all'altro.
Mossi qualche passo verso di
lui e mi sedetti sul materasso.
“Tu non c'entri, è
qualcosa che devo superare da solo.”
“Ma io ti posso
aiutare! Vuoi che ti stia vicino o preferisci che mantenga le
distanze?”
“Ho bisogno solo di
una cosa: comportati come sempre, fai finta di niente se puoi. Come
te, non accetterei che il nostro rapporto si sgretoli per colpa di
questa... situazione.”
Calò il silenzio per
qualche secondo e io frugai nella mia mente, in cerca di qualcosa da
dire per rompere il ghiaccio. “Però balli bene” me
ne uscii, poi scoppiai in una risata fragorosa e completamente senza
senso.
Enrico ben presto venne
contagiato. “Che scema, lo dici solo per prendermi per il
culo!” mi accusò mentre rovinava sul mio materasso.
Ecco, sapevo che non sarebbe durato molto in quella posizione
precaria.
“Ti posso
abbracciare?” gli chiesi. Mi sembrava giusto domandare il
permesso per un gesto così avventato.
Lui, in tutta risposta, mi
attirò a sé senza smettere di ridere.
Trascorremmo qualche altro
minuto insieme, in cui mi resi conto che nulla era cambiato tra noi.
Nonostante il bacio che mi aveva rubato, non riuscivo a vederlo
diverso dal solito: era sempre lui, il solito Enrico.
Era circa l'una di notte
quando lui lasciò la mia stanza.
Prima di mettermi a letto,
diedi una sbirciata a EFP. Dreamy mi aveva risposto, raccontandomi
dell'incontro di quel pomeriggio con me, ma in quel momento non avevo
voglia di aprirlo.
In compenso, trovai una
bella sorpresa tra le Seguite: un nuovo capitolo di Il Limbo dei
Bugiardi.
Il giorno dopo ebbi il
coraggio di aprire il messaggio di Dreamy:
CINDY, ODDIO, E' STATO
FANTASTICO!!!!!!!!!
Ancora non ci posso
credere, oh mio dio O.O
Allora, Camilla è
esattamente come me l'aspettavo: ha un sorriso che illumina un'intera
galassia, è umile, dolce, gentile e disponibile! Mi ha anche
abbracciato, TI RENDI CONTO??? *___*
Io ero
imbarazzatissima, non sapevo cosa dire e non volevo sommergerla di
complimenti, perché quel giorno ne aveva già ricevuto
parecchi. Ma lei mi ha messo a mio agio e mi ha scritto una dedica
bellissima sul libro: ha detto che ho un sorriso dolce!
Ha superato perfino le
mie aspettative e anche ora se ci ripenso mi si inumidiscono gli
occhi per l'emozione! La adoro, è una persona fantastica e
spero di rivederla presto a un altro firmacopie!!! ♥ ♥
♥
Una lacrima scivolò
sulla mia guancia senza che riuscissi a controllarla.
Non fui mai così
contenta di tornare nella mia adorata Toscana. Quel tour di
presentazione mi aveva davvero sfiancato e mi aveva sottoposto a
diverse situazioni problematiche: prima Dreamy, poi Enrico.
“Tesoro!”
esclamò mia madre non appena rientrai a casa, stringendomi in
un caloroso abbraccio. Era bello trovarsi nuovamente lì, tra
le sue braccia forti e protettive.
Come da tradizione, una
volta tornata da un viaggio ero invitata a pranzo a casa dei miei;
infatti nell'aria si diffondeva un odore delizioso, che associai
subito alle lasagne.
Stavo trascinando ancora le
valigie per l'ingresso, quando Maddalena mi saltò
letteralmente al collo. “Cami, mi sei mancata!”
La strinsi a me e le diedi
un bacio sulla guancia. “Ehi Maddy, piccola peste!”
Maddalena era mia sorella,
aveva ventun anni ed era la ragazza più bella che avessi mai
visto: capelli color miele, occhi grandi e azzurri, fisico perfetto,
lineamenti dolci. Io e lei eravamo inseparabili, condividevamo tutto
da sempre.
Una volta in cucina, salutai
anche papà e Christian; quest'ultimo era il piccolo della
famiglia, aveva tredici anni e io adoravo coccolarlo.
“Allora, com'è
andato questo viaggio?” domandò Maddalena una volta
radunati tutti attorno al tavolo.
Mi lanciai in un articolato
racconto delle città in cui ero stata, delle persone che mi
erano rimaste impresse, di quanto mi fossi divertita con Enrico.
Omisi dal racconto sia il bacio che il ragazzo mi aveva dato a
Modena, sia l'incontro con la mia nuova amica: ne avrei parlato con
mia sorella in separata sede.
Rimasi tutto il pomeriggio
insieme alla mia famiglia, che mi era mancata davvero tanto. Inutile
negarlo: ero profondamente legata a tutti loro.
Di sera decisi di non
restare a cena e tornare nel mio appartamento. Ero distrutta, non
vedevo l'ora di fare una doccia calda e rannicchiarmi a letto.
Ormai erano passati tre mesi
dal tour per l'Italia e la mia vita aveva ripreso a scorrere secondo
la sua naturale routine.
Anche EFP era entrato a
farne parte.
Quasi mi venne da piangere
quando, quella sera, lessi le note finali della storia di Dreamy. Mi
ero affezionata tanto ai suoi personaggi e, soprattutto, avevo
trovato quel racconto un vero capolavoro della letteratura. Mi
sarebbe mancato tantissimo.
La mia amica spese delle
parole dolcissime per me: mi ringraziò tanto e addirittura
affermò che, se non fosse stato per la fiducia che avevo
riposto in lei, non sarebbe mai riuscita a portare a termine il suo
scritto.
Le lasciai una recensione
molto lunga e sentita, in cui mi complimentavo ancora una volta per
il suo ottimo lavoro e la spronavo a iniziare una nuova long, a
scrivere ancora.
In privato invece le
scrissi:
Il Limbo è UNA
BOMBA!! Hai mai pensato di pubblicarla seriamente? Come un libro
intendo.
Lei doveva essere sul sito,
perché mi rispose quasi subito.
Aww Cindy, sei troppo
buona con me *-* in realtà è una storia di cui vado
abbastanza fiera, è il primo thriller “serio”
della mia vita e non ti nascondo che mi piacerebbe inviarlo a qualche
casa editrice. Ma non ho i soldi per farlo e sicuramente i grandi
nomi come Giunti ecc non mi noterebbero mai! Penso che rimarrà
un sogno nel cassetto.
Queste sue parole non mi
piacquero per niente. La sua storia meritava, doveva emergere ed
essere letta da molte persone. Dreamy era nata per fare la
scrittrice, glielo ripetevo sempre, e ammettevo senza problemi di
essere una sua grande fan.
Osservai la sottile barretta
che lampeggiava nel campo di scrittura, mentre pensavo a una
soluzione. Non l'avrei convinta facilmente, lo sapevo: tante volte le
avevo proposto di contattare una casa editrice, ma lei si era sempre
mostrata riluttante e disillusa.
All'improvviso mi illuminai:
mi era venuta in mente un'idea geniale.
Ti prometto che avrai
l'occasione per farti conoscere, fidati di me ;)
Non l'avevo scritto a caso,
anche perché non l'avrei mai potuta illudere di qualcosa che
non sarebbe successo.
Mentre spegnevo il computer,
afferrai il cellulare e chiamai Enrico.
“Milla! Sono le dieci
di notte, mi devo preoccupare?” esordì lui dopo appena
due squilli.
“Ho bisogno del tuo
aiuto per una cosa. Ci stai?” gli chiesi in tono complice,
mentre un sorrisetto mi increspava le labbra.
“Oh mio dio... cosa
hai in mente?”
“Vedrai!”
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