Buon
halloween!
Lo so,
sono in un ritardo disastroso
e sono stata una bruttissima persona ad abbandonarvi così,
per tutto questo
tempo. Ma cosa posso dire, dall’ultimo aggiornamento
è successa la sessione di
settembre, è successa l’università, un
trasloco e vengo da un’altra sessione.
Già, sono stata un poco impegnata xD Mi sono concentrata su
Nihonshoki, che è
la storia su cui sto investendo la maggior parte delle mie energie, e
una
storia-cazzeggio random. Però questo breve racconto dovevo
finirlo, quindi sono
qui. In realtà lo avevo concluso un po’ di tempo
fa, ma visto che è un
light-horror ho deciso di aspettare Halloween. Ed eccomi qui :D
Spero
che l’attesa sia valsa la pena,
vi ringrazio per la pazienza e la disponibilità a leggerlo.
Recensioni sono
sempre ben gradite ^^
Buona
lettura.
III
All who sail off the coast ever more
Will
remember the tale of the ghost on the shore
Quando
Naruto
si svegliò la mattina dopo trovò
l’altra metà del letto vuota, fredda, e anche
il resto della casa privo della presenza di Sasuke. Non ne fu
né deluso né
sorpreso, era una situazione a cui era abituato fin da quando erano
stati
insieme la prima notte; dire che la cosa lo lasciava indifferente era
una bugia
– per una volta gli sarebbe piaciuto svegliarsi e trovarlo
ancora lì, pronto a
qualche coccola mattutina – ma la delusione veniva smorzata
sempre da piccoli
gesti che l’altro si lasciava dietro, come un cornetto, un
bigliettino o un
pomodoro. Anche quella mattina andando in cucina trovò un
bicchiere di
centrifuga alla frutta e un piccolo muffin.
Li
consumò
sedendosi sul ripiano della cucina, scorrendo con sguardo assente le
storie di
instagram dei suoi contatti – non molti in realtà.
Si era fatto instagram
spinto da Ino, ma non ne trovava una grandissima utilità.
Sasuke non aveva nemmeno
un social, che fosse instagram, facebook o twitter; li evitava come la
peste.
Ha
senso, se suo zio vuole far cancellare le sue tracce.
Si
bloccò nel
momento esatto in cui formulò quel pensiero. Inconsciamente
aveva cominciato a
dare per scontato che il suo Sasuke
e
l’altro Sasuke fossero la
stessa
persona, anche se la sera prima il suo ragazzo gli aveva detto di non
averlo
conosciuto prima dell’incidente.
Ha
mentito per proteggermi.
Aveva
maledettamente senso. Suo zio era un pazzo maniaco del controllo, stava
tenendo
nascosta l’esistenza dei suoi familiari solo per una
maledetta carriera
politica e Sasuke era uscito dal buio solo per lui. Per stare
con lui.
Suo
zio
approvava? Sicuramente no, soprattutto perché era una
relazione omosessuale.
Quindi tutta quella segretezza era mirata sia dal non allarmare Madara
Uchiha,
sia per continuare a restare nascosto come voleva lo zio.
Ah,
dimenticavo: Itachi è morto e, se non hanno mentito anche
su questo, è stato il fratellino a ucciderlo.
Perse
la presa
sul bicchiere con la centrifuga e quello si schiantò
inevitabilmente a terra,
frantumandosi in migliaia di schegge. Naruto le guardò
imbambolato, così tante
emozioni contrastanti ad agitarlo da non riuscire a districarle tra
loro.
No,
Sasuke non è un assassino. Il mio Sasuke non riuscirebbe a uccidere qualcuno,
soprattutto suo fratello, anche se fosse un pazzo.
Il
suo Sasuke
gli preparava la colazione prima di andare via, gli regalava fiori e
libri,
dava da mangiare ai gatti randagi e buttava sempre la spazzatura degli
altri
che trovava per terra in cestino. Un assassino non faceva azioni del
genere con
una tale naturalezza.
Non
sono la stessa persona, no,
decise con
forza. Scese con attenzione dal ripiano per evitare i pezzi di vetro e
prese
uno scopino per spazzare il disastro combinato. Poi andò in
bagno a prepararsi
per il turno alla libreria. Dimenticò il telefono in cucina
anche quando uscì
dalla casa, in ritardo come al solito.
Così
non vide
nessuna delle chiamate di Sakura.
**
Alla
libreria
erano arrivati tantissimi scatoloni con i libri nuovi, Naruto
passò tutta la
mattina e trasportarli in giro per gli scaffali sbuffando per la
fatica, mentre
Ino se ne stava comodamente davanti al computer a catalogarli.
Shikamaru invece
era andato a nascondersi da qualche parte, così il lavoro
pesante toccava tutto
a lui.
Non
è giusto, ‘bayo!
“Naruto!”
lo
chiamò la collega, sbucando da uno scaffale.
Per
un momento
sperò fosse venuta ad aiutarlo, ma ovviamente era chiedere
troppo.
“Ti
ricordi
quel libro che avevi ordinato secooooli
fa?” gli chiese con un sorriso smagliante “The
tale of the ghost in the shore, no? È
arrivato!”
Naruto
spalancò
gli occhi, si era completamente dimenticato di quel libro e di averlo
ordinato
su richiesta di Sasuke.
“Davvero?”
“Sì,
dopo solo
otto mesi. Adoro la velocità dei nostro
fornitori…” si commosse ironica.
“In
quale
scatolone è?” domandò non ascoltandola.
Andarono a controllare sul computer, in
comune accordo di fare una pausa, e poi cercarono fra gli scatoloni
ancora chiusi.
Anche lì toccò a Naruto il lavoro pesante,
rischiando più di qualche volta che
dei pacchi gli finissero in testa.
Alla
fine lo
trovarono e Naruto lo prese tra le mani, non riuscì a capire
se fosse deluso o
meno: dopo tutti quei mesi si aspettava quasi che fosse un libro
preziosissimo,
dalla copertina ricamata e antico. Invece era un libricino sottile, con
semplici illustrazioni tipiche dei libri per bambini; non aveva nulla
di
particolare e si chiese perché Sasuke lo avesse richiesto.
“Glielo
spediamo?”
domandò Ino distraendolo.
“A
chi?”
“Ma
come a chi?
Al tuo fidanzato, scemo” fece un verso esasperato.
Corrucciò
lo
sguardo, poi lo abbassò imbarazzato. “Non so il
suo indirizzo”.
Ino
fortunatamente non commentò quell’ammissione
patetica, anzi gli diede una pacca
incoraggiante sulle spalle.
“Ma
sì, invece.
Te lo ha dato la seconda volta che è venuto qui, lo hai
registrato vicino
all’ordinazione del libro. Vieni, torniamo al
computer”.
Se
lo era
dimenticato quel particolare, ma d’altronde era successo
più di otto mesi prima
quando loro due non stavano ancora insieme e non si interessava
così tanto a
quello strambo cliente.
Tornarono
indietro al bancone e cercarono al computer, finché non lo
trovarono.
“Ecco”
picchiettò Ino con l’unghia finta lo schermo
“Allora, glielo spediamo con un
bigliettino?”
Naruto
guardò
quell’indirizzo stampandoselo nella mente, poi scosse la
testa.
2531
Sharingan Avenue. Konoha.
“No,
voglio
portarglielo di persona”.
**
Appena
Naruto
finì il turno alla libreria andò alla
metropolitana, deciso a raggiungere
Sasuke quanto prima. Era quasi l’ora di pranzo, magari poteva
fargli una
sorpresa e mangiare qualcosa insieme. Nemmeno per un secondo gli
passò per la
mente di poterlo fare arrabbiare.
Ci
mise molto per
raggiungerlo, perché l’indirizzo era nel quartiere
Universitario, si sorprese
che Sasuke dovesse fare tutta quella strada ogni volta, soprattutto
perché
odiava i mezzi pubblici.
Alla
fine
riemerse in superficie e si ritrovò quasi subito circondato
da propri coetanei,
se non ragazzi più giovani, raggruppati tra loro a
chiacchierare vivacemente e
con le cartelle sulle spalle.
Stando
alle
ricerche fatte con Sakura lui aveva frequentato un anno
l’università, ma
ovviamente non poteva ricordarselo. Vedendo quei ragazzi, intenti a
parlare di
esami e libri da comprare, corsi da registrare e appuntamenti da non
perdere,
si sentì ancora una volta come se fosse stato derubato di
qualcosa di
fondamentale.
Si
morse le
labbra con uno strano magone a stuzzicargli la gola, ma poi decise di
ignorarlo
e mise l’indirizzo di Sasuke su google maps.
Seguì
le
istruzioni sullo schermo, girando ogni tanto su se stesso per
assicurarsi di
star seguendo la direzione giusta. Alla fine si infilò in
una via secondaria
con gli edifici tutti uguali di un piano, sembravano essere degli
appartamentini costruiti appositamente per gli studenti. Rimise il
telefono in
tasca e guardò i numeri neri scritti sulle porte in
targhette d’ottone mentre
camminava.
2527,2528,
2529, 2530, 2532…
Si
fermò di
colpo sbattendo le palpebre confuso. Guardò la porta a
destra con il 2530, poi
quella a sinistra con il 2532.
Dov’era
il
2531?
Rimase
immobile
per una manciata di secondi senza la più pallida idea di
come reagire a quel
fatto stranissimo. Riguardò il foglietto dove aveva scritto
l’indirizzo per
assicurarsi di non aver letto male, ma la sua calligrafia disordinata
riportava
2531 Sharingan Avenue. Però il 2531 non c’era!
Forse
mi sono sbagliato a scrivere,
ipotizzò.
Andò alla porta del 2530, suonò al campanello e
attese nervosamente di ricevere
una porta.
“Sì?”
sentì al
citofono.
“Uhm”
annaspò
passandosi una mano dietro al collo “Cerco Sasuke Blackwood.
Abita qui?”
“No,
mi spiace”
disse la voce “Hai sbagliato indirizzo, bello”.
“Già”
commentò
a disagio “Scusa il disturbo”.
“Figurati”
e
chiuse il contatto.
Provò
allora al
2530, questa volta la porta si aprì rivelando una ragazza in
pantaloncini e
top.
“Ciao,
ti serve
qualcosa?” domandò.
“Ciao”
ricambiò
“Per caso qui abita Sasuke Blackwood?”
Non
fu sorpreso
della risposta negativa dal momento che il fidanzato gli aveva detto di
avere
un ragazzo come coinquilino.
“Avrai
sbagliato indirizzo” lo liquidò la ragazza con
un’alzata di spalle.
“Come
mai dopo
il 2530 c’è subito il 2532?”
domandò comunque.
“Il
2531 non
esiste”.
“Ma
in che
senso?”
Alzò
ancora le
spalle. “Si sono sbagliati ad assegnare gli indirizzi. Hanno
saltato, non lo so
come mai. Tecnicamente nei registri l’edificio 2531
è segnato, ma a conti fatti
non c’è. Si sono sbagliati”
ripeté “È tipo un indirizzo fantasma,
hai presente
no?”
Annuì
e la
ringraziò, quella notizia gli aveva fatto venire un
giramento di testa, perciò
dovette sedersi su una panchina lì vicino. Prese un lungo
respiro, gli
tremavano le mani e il cuore batteva così forte che gli
sembrava pronto a
sfondare la cassa toracica.
Il
2531 non esiste.
Sasuke
gli
aveva mentito sull’indirizzo? A questo punto, cosa gli
garantiva che non avesse
mentito anche su altro? Forse non frequentava nemmeno
l’Università.
Se
era davvero
l’altro Sasuke, allora doveva essere per forza
così: Madara Uchiha non poteva
aver cancellato ogni sua traccia e poi avergli permesso di frequentare
un’università pubblica.
Non
sopportava
l’idea che gli avesse mentito così sfacciatamente,
quante volte aveva usato la
scusa dell’università per svincolare alle sue
richieste?
Doveva
capire
cosa stesse succedendo, quella situazione di impotenza lo stava
mandando in
panico e il restare in quel limbo di incertezza era logorante. Doveva
capire ed
era ovvio che Sasuke non lo avrebbe aiutato, non gli avrebbe mai detto
la
verità e lui non voleva sentire altre bugie. Era una cosa
che doveva fare da
solo.
Secondo
Orochimaru, Sasuke Uchiha era tornato a Uzu. Ci mise appena un secondo
a
prendere la sua decisione.
Era
giunto il
momento di tornare sulla sua isola natale.
**
Uzu
era abbastanza
distanza da Konoha: per raggiungerla ci voleva un intero pomeriggio,
tutta la
notte e buona parte della mattina. Per andarci Naruto avrebbe perso ore
di
lavoro, fortunatamente era riuscito a mettersi d’accordo con
i suoi colleghi,
disposti a sostituirlo. In cambio al suo ritorno li avrebbe sostituiti
fino a
recuperare le ore perse. Kabuto lasciava che si organizzassero da solo
su
quello, purché non litigassero.
Per
Uzu
partivano dei traghetti solo una volta al giorno nel pomeriggio. Era
riuscito a
procurarsi un biglietto, era corso a casa a fare un bagaglio con
l’indispensabile e poi aveva raggiunto di nuovo il porto per
prendere il
traghetto appena in tempo.
Guardò
la costa
di Konoha allontanarsi con il vento che gli schiaffeggiava la faccia, i
capelli
agitati e gli occhi un poco lucidi per il fastidio. Era aggrappato alla
ringhiera del parapetto talmente forte da avere le nocche sbiancate.
Non
riusciva del tutto a eliminare l’ansia che lo aveva sostenuto
per tutta la giornata,
che lo aveva portato a prendere quella folle decisione. Ma allo stesso
tempo si
sentiva euforico.
Senza
dire
niente a nessuno, senza parlarne con Sakura o Sasuke, era partito.
Stava
andando a Uzu. Stava andando a casa sua.
Era
la cosa più
folle e autonoma che faceva da quando si era svegliato.
L’odore
del
mare era forte, il vento ne era pregno e l’umidità
era più fitta. Respirò a
pieni polmoni l’aria carica di iodio e chiuse gli occhi,
concentrandosi sul
ronzio del traghetto e lo sciabordio delle onde che si aprivano al
passaggio
della chiglia. I passeggeri erano davvero pochi, soprattutto dei
vecchiette e
una famiglia di turisti che cercava inutilmente di tenere una cartina
aperta
lottando contro il vento.
Era
talmente
concentrato a osservare quella divertente scena che non si accorse
subito del
telefono che vibrava nella tasca e per poco persa l’ennesima
chiamata di
Sakura.
“Pronto?”
“Naruto!” la ricezione era
disturbata, ma
riconobbe subito il tono esasperato “Si
può sapere perché non mi hai mai richiamata?”
Con
una fitta
di senso di colpa si rese conto di aver ignorato completamente le sue
chiamate
perse troppo preso dai suoi drammi personali.
“Ho
avuto da
fare” mormorò colpevole “Scusami, sono
successe un po’ di cose”.
Sakura
fece una
pausa.
“Iruka è venuto a trovarti, lo so”
disse,
poi sospirò “Domani ne
parleremo”.
Un
campanello
d’allarme suonò nella sua mente.
“Domani?”
“Sì, è venerdì.
C’è la seduta”.
Se
lo era
completamente scordato preso dagli ultimi avvenimenti e
sentì l’ansia
aumentare, gli si strinse lo stomaco. Improvvisamente aveva il mal di
mare.
“Domani
non
posso” balbettò.
“Sei di turno in libreria?”
domandò
ignara Sakura “Non
preoccuparti, chiamo Kabuto così ti
cambia…”
“No…
Non è per
il lavoro” mormorò, si portò una mano
alla bocca. Decisamente aveva il mal di
mare.
Sakura
fece un
altro lungo silenzio, poi: “Naruto,
dove
sei? Perché la ricezione è così
disturbata?”
Deglutì,
ma
alla fine sganciò la bomba.
“Sto
andando a
Uzu”.
“Tu COSA?!”
la reazione di Sakura fu immediata “Stai
scherzando!”
“Torno
fra tre
giorni, io…”
“Naruto!” lo interruppe
sconvolta “Non puoi andare a Uzu!
Non così
all’improvviso! Potrebbe succederti qualcosa, potrebbe
scatenarti uno shock…
non sei pronto! Non ne hai mai parlato alle nostre sedute,
cosa… cosa…”
“Mi
dispiace”
sussurrò “Ci sono delle cose che devo capire,
starò bene”.
“No, tu non capisci!”
sbottò la
dottoressa “La tua situazione
è troppo
delicata, andartene da solo è una follia e…”
la ricezione divenne
disturbata al punto che capì solo alcune parole frammentarie, finché la linea
cadde del tutto.
Guardò
lo
schermo, non c’era nessuna linea di segnale.
Alzò
lo
sguardo, accorgendosi che era scesa la nebbia e che era solo sul ponte.
Era
solo in mezzo all’oceano, tra la nebbia, e finalmente
realizzò la portata della
sua azione.
Sto
tornando a casa.
**
Viaggiare
per
mare non faceva per lui, lo capì quando con gioia mise piede
sulla terraferma.
Durante la notte non aveva chiuso occhio a causa della nausea e del
mare
agitato.
Aveva
visto Uzu
in depliant e immagini su google, credeva che vedendola dal vivo
provasse una
sensazione di familiarità. Ma la terra che lo accolse gli
sembrò totalmente
estranea.
Il
cielo era
coperto da pesanti nuvole che davano una luce grigiastra e lugubre alle
cose,
il vento continuava imperterrito a soffiare gelido. Il porto era
deserto, fatta
eccezione per alcuni pescatori e i gabbiani che sfidavano le correnti
celesti;
l’odore del pesce marcio era insopportabile, Naruto
provò la tentazione di
coprirsi il naso con le dita.
Aveva
lo
stomaco in subbuglio e il trovarsi completamente solo in
quell’isola grigia
quasi lo mandò in panico. C’era qualcuno che
poteva riconoscerlo? Come avrebbe
reagito? Quei pescatori… lui non li conosceva, ma se in
realtà nella sua vita
prima li avesse conosciuti? Sentì la testa girargli e
dovette aggrapparsi
saldamente al borsone che si era portato dietro, stava per avere un
attacco di
panico. Capì perché Sakura avesse avuto quella
reazione allarmata: non era
pronto ad affrontare tutto quello e, quel che era peggio, era solo.
Cominciò
a
camminare perché temeva che il restare fermo sulla banchina
come un cretino
potesse attirare l’attenzione di qualcuno.
A
passo spedito
si diresse fuori dal porto, verso la spiaggia. Era un lungo litorale
sabbioso
che da quale che vedeva procedeva sinuoso fino a delle alte scogliere.
Si tolse
le scarpe da ginnastica, lasciando che la sabbia umida di incollasse
alla sua
piante del piede e proseguì sul bagnasciuga con le onde che
di tanto in tanto
gli lambivano le caviglie. Si concentrò sul proprio respiro
per regolarizzarlo
e pensò a immagini positive e rilassanti, proprio come gli
aveva suggerito
Sakura.
Provò
il forte
desiderio di chiamare Sasuke, di sentire la sua voce – era
sempre in grado di
rassicurarlo – ma era lui il motivo per cui aveva iniziato
quel viaggio e il
telefono non aveva un solo segnale di connessione. Uzu sembrava essere
tagliata
fuori dalla realtà, perciò si
concentrò solo sullo scrosciare delle onde sulla
battigia.
Quando
si calmò
aveva ormai raggiunto le scogliere. I faraglioni si innalzavano
altissimi su di
lui come dei giganti, assottigliando gli occhi riusciva a vedere i nidi
dei
gabbiani.
Sasuke…
Era
inutile,
non riusciva a toglierselo dalla testa e ogni volta che ci soffermava
il suo
cuore aveva un sobbalzo. Non aveva la più pallida idea di
cosa lo aspettava e
questo lo terrorizzava, non sapeva nemmeno come agire, dove
andare…
Andare
a Uzu
era stata un’idiozia, uno dei suoi tanti colpi di testa.
Andò
a sedersi
tra la sabbia asciutta, era calda nonostante i raggi del sole bucassero
a
malapena le nuvole. Il riflesso del mare era comunque fastidioso.
Aprì
la borsa e
tirò fuori il libro di Sasuke. Se lo era portato dietro
senza nessun motivo,
durante l’attraversata aveva provato a leggerlo ma il mal di
mare lo aveva
fatto desistere. Pensò di riprovarci nel silenzio di quella
spiaggia
sterminata, ai piedi della scogliera.
Come
avevano
lasciato intendere le illustrazione, il libro non si rivelò
altro che una fiaba
per bambini. Era la storia di un ragazzo e una ragazza innamorati e
pronti per
sposarsi, ma poi lui venne chiamato a combattere in una guerra e
dovette
lasciarla con la promessa che sarebbe tornato; da parte sue, lei
promise di
aspettarlo e di non innamorarsi di nessun altro. Ma lui morì
in guerra e non
poté più tornare, così lei
continuò ad aspettarlo in cima a una scogliera,
finché anche lei morì. Rimase solo il suo
fantasma in attesa di qualcuno che
non sarebbe mai venuto.
Era
una storia
troppo triste per essere raccontata a dei bambini e lasciò a
Naruto, che era
fin troppo sensibile, dei lacrimoni intrappolati fra le ciglia. Non
osava
immaginate quanto fosse terribile aspettare per
l’eternità qualcuno.
Forse
era stato
preso troppo dalla lettura, perché quando alzò lo
sguardo gli parve di scorgere
una figura sulla punta della scogliera. Il cuore gli schizzò
subito in gola per
la paura e sbatté gli occhi per vedere meglio contro il
riflesso accecante
delle nuvole.
La
figura non
c’era più.
Mi
sto facendo
influenzare troppo, considerò e fece per tornare al paese. E
dimenticò il libro
sulla sabbia.
**
Grazie
a un
vecchio autobus sgangherato raggiunse il centro della città
di Uzu, dove si
mise a cercare un ostello dove passare la notte. Nonostante negozietti turistici, per
le vie non c’era
nessuno, forse perché era quasi ora di pranzo. Pochissime
automobili vecchie
erano parcheggiate e le case avevano tutte il legno usato e i tetti
spioventi
tipici di quelle zone nordiche. L’aria era più
fresca rispetto a Konoha, perciò
si avvolse in una delle sue giacche sgargianti. Era l’unica
punta di colore in
quella città grigia e scura.
Trovò
un
albergo economico non troppo distante dalla piazza principale, si fece
registrare da una ragazzina che sembrava essere perfino più
giovane di lui.
Quando sentì il suo cognome aggrottò le
sopracciglia.
“Uzumaki?
È uno
dei cognomi più diffusi dell’isola” gli
disse.
“Oh,
ehm…” non
voleva dire la verità, quindi optò per una mezza
bugia “I miei genitori erano
di qui, sono tornato a fare una sorpresa ai miei nonni”.
La
ragazza non
disse altro e gli diede la chiave della stanza. “La 98,
secondo piano”.
Andò
ad
appoggiare il suo unico bagaglio. La stanza puzzava di chiuso,
perciò aprì le
finestre per lasciar girare un po’ l’aria. Il bagno
era in comune con tutto il
pianerottolo e il letto era duro, con un lenzuolo ruvido. Nella stanza
c’era
poi un armadio, un comodino e uno specchio, nient’altro. Non
era affatto
accogliente e il soffitto era pieno di macchie
d’umidità.
Tornò
giù alla
reception.
“Scusi,
per
caso sa dove abita la famiglia Uchiha?” domandò
facendo la sua miglior faccia
da sprovveduto.
Finalmente
ricevette un’occhiata interessata dalla ragazza.
“Gli Uchiha? Non ci sono più
da anni…” mormorò “Sei un
giornalista?” domandò sospettosa.
Scosse
la
testa. “Erano vecchi amici dei miei nonni, tutto
qui” in quei giorni aveva
detto così tante bugie che cominciava a sentirsi esperto a
riguardo.
La
ragazza
sembrava indecisa tra il credergli o meno, ma alla fine parve decidere
che non
erano affari suoi.
“Abitavano
fuori città, nella Villa che c’è nella
via Indra; ma ormai la casa è abbandonata
da anni”.
“Grazie
mille!”
le sorrise cordiale, la salutò prima di uscire per cercare
un passaggio che lo
portasse fuori città.
Una
donna più
anziana raggiunse la reception, lo sguardo rivolto al punto in cui era
uscito
Naruto.
“Che
cosa
voleva quel ragazzo, Rosemary?” domandò con una
punta di sospetto nella voce.
Quella
scrollò
lo spalle. “Non so, cercava la casa degli Uchiha”.
La
donna
sussultò a quel nome. “Ma chi è? Un
giornalista?” la sua voce era preoccupata,
ma anche mitigata da una malizia pettegola.
“No,
ha detto
un amico” fece una faccia scettica “Si chiama
Naruto Uzumaki”.
La
comare si
irrigidì e spalancò gli occhi. “Come
hai detto, cara?”
**
Aveva
provato
ad aspettare uno degli autobus urbani che in teoria attraversavano la
città, ma
dopo essere rimasto un’ora sotto la fermata senza vederne
passare nemmeno uno
aveva rinunciato. Cartina in mano, si era diretto verso la Via Indra a
piedi
armato solo di buona volontà. Fortunatamente quel paese era
un quarto del
centro di Konoha, così raggiunse la periferia in poco tempo.
Cominciava a
temere che fosse abitato solo da fantasmi quel luogo, perché
a parte qualche
vecchietto in bicicletta non aveva visto nessuno. in più,
man mano che si
allontanava dal centro, la strada si faceva sempre più
desertica e la case più
rare.
Trovò
la Villa
indicata dalla ragazza alla reception dopo aver girato a vuoto per
mezz’ora;
aveva la maglietta sudata incollata al petto e i capelli spettinati per
il
vento forte. Sapeva già che gli sarebbe venuto un malanno,
ma sul momento non
gli importò. Era troppo concentrato a studiare quella
vecchia casa.
Che
fosse
abbandonata si vedeva lontano un miglio, il giardino era incolto e le
erbacce
alte, un roseto aveva avvolto il cancelletto stringendolo un abbraccio
mortale
fatto di spine. L’intonaco della facciata era usurato dal
vento salato, e le
finestre erano tutte impolverate. Sembrava la casa di un film horror.
La
targhetta si vedeva a malapena tra i rovi.
Villa
Uchiha.
Era
quella la
casa in cui aveva abitato Sasuke? Perché non c’era
più nessuno? Orochimaru
aveva visto giusto quando aveva ipotizzato che Madara avesse trasferito
la sua
famiglia in un paese del terzo mondo?
Si
rifiutava di
credere di aver fatto tutta quella strada solo per vedere un vecchio
rudere. Ma
cosa si aspettava? Di trovare Sasuke in giardino, sorpreso per essere
stato
scoperto, o di ritrovare improvvisamente la memoria? Quel luogo gli era
estraneo, non faceva scattare in lui niente di niente.
“Cosa
cerca?”
Sussultò
quando
avvertì una voce aspra alle proprie spalle. Si
girò di colpo, il cuore era
schizzato in gola alla velocità della luce dove ora batteva
forsennato.
Di
fronte alla
Villa, c’era una casetta più sobria e stretta,
malandata allo stesso modo, ma
con il giardino curato. Oltre il cancelletto in ferro una donna con
occhiali
spessi come fondi di bottiglia lo guardava sospettosa. Era magra e
piccolina,
con un collo rugoso simile a quello di una tartaruga.
“Ehm…”
non
sapeva nemmeno lui cosa dire, ma non ce ne fu bisogno perché
la nonnina
spalancò la bocca esterrefatta.
“Ma
per i
numi” esalò
“Sei Naruto! Il piccolo
Naruto Uzumaki, ma quanto sei diventato grande! Sei tutto tuo padre,
sì”.
Lo
conosceva?
La cosa, invece che rassicurarlo, lo mandò in panico,
perché al contrario lui
non aveva la più pallida idea di chi fosse quella donna.
“Io…”
Ancora
una
volta fu interrotto. “Non ti ricordi di me? Sono la signora
Jeckins, da piccoli
tu e il signorino Sasuke venivate sempre a prendere il tè da
me”.
Al
sentire il
nome di Sasuke qualcosa scattò in lui come una molla e si
avvicinò all’altra
casa con la sensazione di star camminando sopra il filo di un rasoio.
“Signora
Jeckins?” ripeté per assicurarsi di aver capito
bene, quegli occhi enormi oltre
gli occhiali lo mettevano in soggezione “Io… Ecco,
mi dispiace, ma non mi
ricordo di lei”.
Quell’ammissione
parve indispettire la donna. “Cosa intendi, caro?”
Non
aveva senso
mentire o girare intorno alla faccenda, quella vecchietta poteva essere
una sua
alleata.
“Io
ho perso la
memoria” ammise.
**
La
casa della
signor Jeckins puzzava di tè e muffa, era piena di
cianfrusaglie polverose e
oggetti in ceramica, Naruto si sentì impacciato nel muoversi
al suo interno.
Tutto sembrava sul punto di rompersi e lui era sempre stato un
imbranato.
La
vecchietta
dopo aver ascoltato la sua storia in silenzio lo aveva fatto entrare in
casa
proprio e gli aveva offerto del tè. Gli aveva creduto subito
e ora lo guardava
apprensiva e dispiaciuta mentre armeggiava con il pentolino
dell’acqua calda.
Naruto
non
disse niente per tutto il tempo, si limitò a osservare un
gatto acciambellato
sul divano accanto a sé. Era a disagio e voleva tornare a
casa, quel posto lo
stava mandando nello sconforto totale.
“Che
brutta
storia, ragazzo” mormorò la signora Jeckins
tornando con il suo tè, gli tese la
tazza in ceramica scheggiata che afferrò un poco titubante
“Non ci è affatto
giunta la notizia, qui. Povero ragazzo, quello che ti è
capitato è terribile”.
Lo
sapeva già e
non gli piaceva l’idea che qualcuno lo sottolineasse davanti
a lui, ma non
disse nulla e si limitò a prendere un sorso di
tè.
“Signora…”
domandò un poco incerto “Io e Sasuke Uchiha
eravamo amici?”
“Oh,
cielo, se
lo eravate” sbuffò divertita “Eravate
come pantalone e camicia, inseparabili.
Non hai idea di quante volte siete stati in questa stanza a prendere
del tè con
me. All’epoca mi occupavo del giardino dei signori Uchiha,
era la meraviglia
della via”.
Rimase
in
silenzio, in attesa che continuasse, ma quando non lo fece si
schiarì la voce.
“Dove
si sono
trasferiti? Volevo rincontrare Sasuke”.
Ricevette
uno
sguardo dispiaciuto. “Gli Uchiha non si sono trasferiti, sono
morti”.
Il
fiato gli si
congelò nei polmoni.
Cosa?
Non
ci fu
bisogno di porre la domanda ad alta voce, l’anziana signora
riprese da sola a
parlare mentre guardava il proprio tè spaesato.
“È
stata una
disgrazia che nessuno è riuscito a evitare… Il
fatto più triste è stato il non
poter celebrare nemmeno un funerale, il signor Madara Uchiha si
è solo
preoccupato di nascondere la faccenda. Solo pochi qui
nell’isola sanno quello
che è davvero successo”.
Aveva
un tono
di voce pettegolo, come se stesse rivelando un segreto su cui per lungo
tempo
era stata costretta a tacere e non vedesse l’ora di tirare
fuori lo scheletro
dall’armadio.
“Cosa
è
successo?” gli tremava la voce.
“Oh,
povero
ragazzo” sospirò Jeckins con quel suo modo
teatrale “Itachi Uchiha, il fratello
maggiore di Sasuke, non era molto… a posto. Aveva qualcosa
che non andava, ecco,
ma noi non lo avevamo capito, era sempre così
impeccabile…” la voce le mancò e
andò a prendere un fazzoletto con cui si asciugò
gli occhi. Naruto si sentiva
sul bordo del precipizio, ma non osava spronarla a continuare. Non ce
ne fu
bisogno, perché riprese da sola.
“All’epoca
ero
stata licenziata, i signori non volevano più estranei nel
loro giardino. Era
davvero triste, il signorino sembrava chiuso in una prigione, non
poteva
nemmeno dirti che era tornato nell’isola. Come se non fosse
già brutto così,
sentivamo continue grida. Oh Dio, sì! Sembrava che in quella
casa ci fossero
delle torture, sembrava stregata. Era spaventosa. E il piccolo
Sasuke… sempre
più magro, sempre più triste” scosse la
testa sconsolata “Poi, una notte,
abbiamo sentito tutti delle grida. Il signor Itachi aveva perso
definitivamente
la testa e accoltellato i suoi genitori. Abbiamo chiamato al polizia,
ma
nessuno di noi aveva il coraggio di uscire e la polizia
arrivò troppo tardi. Così
non abbiamo potuto evitare nemmeno il resto.
Il
signorino
Sasuke era riuscito a scappare, sicuramente per evitare che Itachi
uccidesse
anche lui. Dicono che abbiano raggiunto le scogliere e che Sasuke
avesse dietro
una pistola del padre. Oh… povero ragazzo, costretto a fare
una cosa del
genere” si asciugò gli occhi.
Naruto
immaginava perfettamente quello che fosse successo dopo, nelle orecchie
sentiva
la voce del dottore Orochimaru, la sua frase di commiato.
Ti
prego, basta, non lo voglio più sapere.
“Povero
ragazzo,
dover sparare al proprio fratello… Non
c’è da sorprendersi che poi si sia
gettato giù dalla scogliera, era così
giovane….”
Perse
la presa
sulla tazzina. Cadde a terra, spargendo il tè sul tappeto.
La vecchietta si
bloccò con un sussulto.
Ma
Naruto era
bloccato, non si accorse di nulla di tutto quello, rimase semplicemente
immobile con lo sguardo stravolto.
Sasuke
Uchiha
era morto.
**
“Sasuke,
Sasuke!” gridò il bambino dai capelli biondi,
facendo girare un altro bambino poco distante seduto sul marciapiede
“Guarda
cos’ho trovato”.
“Non
gridare” commentò Sasuke con una smorfia, ma
fissò
curioso il libro che l’amico gli stava porgendo.
“The
tale of
the ghost on the shore” rispose
quello “È
una storia di fantasmi”.
“Ma
dai, non lo avrei mai detto” lo prese in giro.
Naruto
s’imbronciò. “È una storia
d’amore, di due persone che
hanno continuato ad amarsi anche da morte. Una di loro è
diventato un fantasma
in attesa dell’altro, perché potessero tornare a
stare insieme. Ma non è mai
successo”.
“Macabro”
commentò sfogliandone le illustrazioni, sussultò
quando l’amico appoggiò una mano sulla sua spalla
“Ma che fai?”
Le
parole gli morirono in gola nel vedere quanto fosse serio
lo sguardo negli occhi blu. Erano così adulti.
“Sasuke,
io non ti abbandonerò mai” assicurò.
“Cosa…”
“Se
tu dovessi morire, io morirò con te” lo
ignorò “Non
permetterò che tu resta un fantasma per sempre costretto ad
aspettarmi come in
questa storia. Te lo prometto, ti raggiungerò
subito”.
Sasuke
era raggelato a quelle parole. “Ma cosa stai dicendo,
non…”
“Gli
Altri dicono che
nessuno di noi due è destinato ad avere una vita lunga. Lo
hanno anche detto i
miei genitori, per questo sono sempre così tristi. Ma non
m’importa, perché se
morirò con te, per te, allora io sarò felice e
andrà bene così”.
Rabbrividì
alla menzione dei fantasmi. “Non ti chiederei mai
una cosa del genere”.
“Invece
sì, lo vorresti. Perché non si è mai
così soli come
quando si è morti, lo dicono gli Altri. Dicono che il freddo
si sente anche
senza un corpo, ma niente può più toccarli
perché sono soli.” fece un sorriso
“Ma non devi avere paura, tu non sarai solo. Verrò
io con te! E lo sai che mantengo
sempre le promesse”.
“Ho
come la sensazione che
tu non voglia dirmi quale sia questa stranezza” dalla faccia
colpevole di Iruka
capì di aver indovinato “Devi dirmelo, non
possiamo dare il nostro massimo se
non abbiamo tutte le informazioni, lo capisci vero?”
“Sì,
ma…” si passò una mano
sul viso “Naruto non era pazzo, aveva solo troppa
immaginazione e la gente non
lo capiva”.
Quel preambolo
la mise un
poco in ansia. “Cosa intende?”
Lo sguardo di
Iruka era
mortalmente serio. “Naruto diceva di vedere i fantasmi dei
morti e di parlare
con loro”.
Sakura
spalancò la bocca.
“Cosa?”
“Gli
raccontavano cose
strane, gli mettevano in bocca cose che un bambino non dovrebbe dire.
Lui li
chiamava gli Altri e diceva che
erano sempre attorno a noi, che solo lui poteva vederli. Ma era solo la
sua
fantasia, il suo modo per superare la morte dei genitori, diceva di
vederli per
avere l’illusione di essere ancora con loro. Però
certe volte quello che diceva
era così dettagliato… metteva i
brividi”.
“Allucinazioni”
mormorò “E
cosa dicevano questi… fantasmi a
Naruto?”
“Quando
sarebbe morto”.
Sasuke
guardò il porto un’ultima volta, deluso. Fece per
girarsi e salire sulla barca, dove lo stavano aspettando i suoi
genitori, ma
poi sentì quella voce.
“Sasuke!”
Era venuto, ci
era riuscito. Vide Naruto correre verso
la banchina e perdifiato, la sciarpa che si agitava dietro di lui per
vento. Non
pensò di chiedere il permesso, gli andò incontro.
Era l’ultima volta che
potevano vedersi ed era stato tutto così improvviso.
“Quindi
è vero?” domandò Naruto “Te
ne vai?”
Annuì
e lo vide sul punto di scoppiare a piangere.
“Mi
dispiace”.
“Mi
mancherai” tirò su con il naso “Senza di
te sarò
davvero solo”.
Sasuke lo sapeva
ed era questo a rendergli così odiosa
quella partenza.
“Tornerò
presto, sono sicuro che…”
“Ma
certo che ci rivedremo” lo bloccò con impeto
Naruto, deciso. C’era una certezza nei suoi occhi
così vivida da essere
sconcertante.
“Gli Altri hanno detto che nessuno dei due vivrà
ancora a lungo, presto ci
rivedremo dall’altra parte”.
“Ancora
con questa storia…”
“È
importante!” s’impuntò. Si tolse lo
zainetto dalle
spalle e ci frugò dentro affrettato, poi gli tese il libro. The tale of
the ghost on the shore, la fiaba che
leggevano sempre insieme.
“Questo
libro è il pegno, la dimostrazione che devo
mantenere la promessa. Gli Altri hanno detto che è
importante, che sarà questo
a farmi tornare da te una volta morti”.
Era tutto
così sbagliato, inquietante… un bambino che
parlava della sua morte. Ma Sasuke non era spaventato, Sasuke gli
credeva.
Prese il libro e
lo aprì, dentro c’era una calendula gialla.
“Il
fiore dei morti?” sorrise triste “Ma io sono
ancora vivo”.
Anche Naruto
sorrise triste. “Ancora per poco”
sospirò
“Quando succederà torna qui, cercami. Io
potrò vederti e poi…”
Sasuke lo
interruppe, gli scoccò un bacio sulla
guancia.
“E poi niente ci dividerà e non saremo
più soli”
concluse per lui.
**
Fu
come
risvegliarsi da un sogno.
Il
vento marino
lo schiaffeggiò in faccia, agitava i suoi capelli e faceva
sbatacchiare la
giacca colorata che teneva aperta. Gli lacrimavano gli occhi e si
sentiva
sospeso in una dimensione separata dalla realtà.
Ricordava
tutto.
Ogni
ricordo
che aveva cercato così disperatamente in quei quattro anni
gli si presentò
davanti con una naturalezza tale da essere sconvolgente, come se fosse
sempre
stato presente nella sua mente. Come se non lo avesse mai dimenticato.
Era
uscito
dalla casa della signora Jeckins per prendere aria, si era sentito
soffocare in
quel salotto pieno di ciarpame, ma poi aveva iniziato a camminare in
preda allo
shock, incapace d stare fermo. Come se fosse un sonnambulo. Aveva
lasciato che
fossero i piedi a guidarlo, perché ogni cosa ormai era
dolorosamente familiare.
Faceva male.
Senza
rendersene conto aveva raggiunto la scogliere, la stessa che aveva
visto dalla
spiaggia. Il promontorio si tendeva verso l’orizzonte come se
fosse la fine
della terra, il mare ne segnava il limite con l’orizzonte.
Guardò
il mare
che si gonfiava e gettava contro le rocce appuntite con foga, come se
stesse
combattendo una lotta millenaria con la terra. Era terribile, a ogni
attacco le
onde si rompevano in gocce di sangue bianco e spumoso, ma non inutile:
a ogni
ritirata portavano via un pezzo di roccia, un solo brandello. Ma
quell’erosione
lenta e sanguinolenta un giorno avrebbe portato alla vittoria del mare
e quella
terra sarebbe stata scavata dalla sua forza.
Naruto
non
aveva avuto quel privilegio, nessuna lenta tortura. La sua roccaforte
era
resistita per quattro anni alle sferzate del mare dei ricordi, ma ora
era
bastata una sola onda a farlo crollare in macerie.
“Ora
lo sai?”
Il
vento parve
fermarsi nel secondo in cui quella voce parlò, per poi
riprendere a soffiare
più forte. Ogni gesto che compì gli parve
lentissimo, mentre batteva le
palpebre, deglutiva e si girava poi verso la voce alla sue spalle.
Lui
era lì.
Sasuke
era in
piedi fra l’erba secca e l’erica a fronteggiarlo. I
capelli neri non erano
agitati dalle raffiche, i fili lisci restavano ordinati e immobili al
loro
posto, estranei al vento che si agitava attorno a loro. Aveva lo
sguardo
malinconico, tristissimo, era una pugnalata al petto per Naruto. E la
sua pelle
era raggrinzita, come se fosse stato troppo tempo immerso
nell’acqua salata.
“Ti
ricordi di
me?” domandò. Non sembrava sorpreso di trovarlo
lì, era solo… rassegnato. E
triste, infinitamente triste.
Vederlo
con
quell’espressione corrucciata era dolorosa, Naruto si
ritrovò a camminare verso
di lui come se non potesse fare altrimenti.
“Ricordo
tutto”
confermò, trattenne il fiato e poi: “Sasuke, tu
sei un fantasma?”
Un
piccolo
sorriso increspò appena le labbra sottili. “Lo
sono” ammise, si guardò le mani con
i polpastrelli rugosi “Sono morto, ma continuo a restare in
questo mondo”.
“Perché?”
“Perché
tu sei
ancora qui”.
Silenzio.
Il
rumore del vento era fortissimo, assordante, ma quando Sasuke parlava
sembrava
calmarsi, farsi un ricordo lontano.
Sasuke,
che
nessuno dei suoi amici riusciva mai a incontrare; che odiava i posti
affollati,
che sembrava sparire ogni volta nel nulla, che gli aveva mentito per
tutto quel
tempo. Sasuke che lo amava.
“Perché?”
domandò ancora, anche se non sapeva a quali dei tanti
perché gli affollavano la
mente chiedesse risposta.
“Ti
ho cercato
per tanto tempo, Naruto…” mormorò il
fantasma “Avevi una promessa da mantenere,
ora capisco cosa intendevi con quelle parole. Non voglio questa
solitudine, non
voglio sopportare il peso della morte da solo”.
“Sasuke…”
“Sapevo
che
potevi vedermi, hai sempre avuto questo dono. Tu potevi capirmi ancora.
Ma
quando ti ho trovato tu non ricordavi nulla. Non mi riconoscevi
nemmeno. Avevi
perso la memoria, anche il ricordo di quella promessa
fondamentale” lo ignorò
“Che cosa dovevo fare? Ha valore una promessa per una persona
che non ricorda
nemmeno di averla posta? No, ovvio che no. Dovevo fartela ricordare, ma
davvero
volevo farlo? Davvero sono così crudele? Farti ricordare
qualcosa solo per
farti morire poi?”
Aveva
freddo,
gli era venuta la pelle d’oca e quel discorso lo stava
facendo sprofondare
nella disperazione.
“Ti
prego,
Sasuke…”
“Otto
mesi.
Sono rimasto otto mesi in questo limbo e non sapevo cosa fare, ma
forse… mi
stavo abituando, sai? Tutto
quello mi
illudeva di essere ancora vivo” socchiuse gli occhi
“Non hai idea di quanto mi
manchi essere vivo”.
Il
vento non
agitava i suoi capelli, non gonfiava i suoi abiti, il suo corpo era
inconsistente. Eppure Naruto lo aveva toccato così tante
volte, aveva seguito
con le labbra ogni punto segreto di quella pelle ed era tangibile,
vera. Era carne
e sangue, come poteva essere un fantasma.
Sasuke
sembrò
leggere nella sua mente. “Eri tu, sei sempre stato tu. Mi hai
strappato dalla
solitudine da bambino e lo hai continuato a fare anche quando sono
morto. Credevo
potesse durare per sempre, se non avessi ricordato… se non
lo avessi scoperto”
si interruppe e prese un respiro, una lacrima rotolò sulla
sua guancia “Se non
lo avessi scoperto potevo essere ancora vivo, con te”.
Ma
ora ricordo tutto.
Al
di là della
tristezza, della confusione e della frustrazione, provò una
forte paura
viscerale, un terrore arcano che lo spinse a fare un passo dietro di
sé. Il suo
cuore batteva fortissimo, vivo, come se sapesse già quello
che stava per
succedere e volesse scappare via.
Scosse
la
testa.
“Sasuke,
non…”
“È
stato bello,
Naruto” lo interruppe ancora, fece a sua volta un passo verso
di lui “Ma non
poteva durare per sempre”.
Indietreggiò
ancora. Non voglio morire.
“Sasuke,
ti
prego” supplicò.
“Tu
mantieni
sempre le promesse” anche il tono di Sasuke era di una
supplica. “Anche questa,
soprattutto questa”.
Non
voglio morire.
Non voglio
morire, ti prego.
Era
sul bordo,
dietro di lui non c’era più terra. Solo il mare in
tempesta. Si accorse di star
piangendo. Non riusciva a parlare. Sarebbe morto. Non voleva morire.
Non
voglio morire. Voglio vivere.
“Non
devi
paura, non fa male. È solo un momento”
continuò a camminare verso di lui. Gli
fu a un palmo di distanza e appoggiò la mano sul suo petto,
a sinistra. Il cuore
batteva furioso contro la cassa toracica. Perché riusciva a
toccarlo se era
morto?
“Per
un momento
sarà il vuoto” sussurrò “Ma
poi sarai di nuovo con me. Saremo ancora insieme.
Tu mi ami, no?”
Lo
amava, ma… voglio vivere.
V
o g l i o v i v e r
e
Sasuke
sorrise.
“Ti amo anche io”.
Lo
spinse. Cadde.
Il
boato del
mare lo ingoiò.
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