Nome (EFP e
Forum): _EverAfter_ (EFP); _Vintage_ (Forum).
Titolo
della storia: Secondo atto, Quinta scena
Pacchetto
scelto: Pacchetto 6 (con entrambi gli elementi extra)
Genere:
Fluff, Romantico, Sentimentale
Rating:
Arancione
Fandom:
Dragon Ball
Note
(facoltative): è un'AU in cui Vegeta e Bulma
sono studenti liceali e amici d'infanzia.
But
love is blind and lovers cannot see
The pretty follies that themselves commit...
Merchant of
Venice
‒
Questo le potrebbe procurare un po’ di bruciore, ma non vi
dia peso.
Altro
che bruciore, quel maledetto collirio era davvero una tortura; ogni
volta che sentiva le gocce incriminate premersi contro la sua cornea,
doveva trattenersi dall’imprecare aspramente contro il
malcapitato infermiere, la cui sagoma le appariva sempre sfocata a
causa del dolore che le impediva di tenere gli occhi aperti.
Era
ormai lì da una settimana, ma non aveva potuto constatare
alcun progresso. I suoi genitori non facevano altro che farle domande
sulla sua salute, ma il verdetto era ben lampante: da piccola riusciva
a vedere perfettamente i contorni delle persone attorno a lei, poi
iniziò a focalizzarle sempre di meno, fino a perdere parte
della propria nitidezza. Quel che rimaneva della sua vista, al momento,
erano solo le ombre e l’avvilente biancume di
quell’ospedale, che le appariva ben più deprimente
delle presenze che vedeva solo di sfuggita.
C’era
solo un infermiere che si prendeva la briga di scambiare qualche
chiacchiera, ma non ricordava neppure il suo nome – ammesso
che glielo avesse mai detto. Non che le importasse, in
realtà. Nonostante tutto, le piaceva la solitudine.
‒
Bulma, tesoro. ‒ La madre le si affiancò, porgendole un
vassoio ricolmo di tristissimi manicaretti. ‒ Devi mangiare qualcosa.
‒
Non ho fame.
‒
Ma, Bulma…
‒
Non ho fame!
Non
aveva fame davvero. Era tutto il giorno che provava una strana fitta
allo stomaco, così intensa da procurarle la nausea. Se
tentava di chiudere gli occhi, quell’ondata di malessere
l’assaliva, ma se provava a tenerli aperti allora si
ricordava di quanto potesse darle fastidio il collirio. In altre
parole, per qualunque scelta avesse optato, sarebbe stata destinata a
sentirsi male.
Cercò
di concentrare i pensieri su altro che non fosse
l’inettitudine del suo corpicino da quattro soldi, ma tutto
sembrava congiurare contro di lei: sentì il rumore
incessante di alcuni passi fare capolino dalla porta della stanza.
‒
Ancora acida, la secchia? ‒ Quella voce era la sua, non
c’erano dubbi.
‒
Nessuno ti ha chiesto di venire, oggi.
Il
ragazzo non le rispose, e Bulma sentì l’improvviso
sbattere dei libri sul tavolino al suo fianco. Sobbalzò,
sorpresa.
‒
Ohi! ‒ lo sgridò. ‒ Mi hai fatto prendere un colpo!
‒
Mi avresti rotto i coglioni per tutta la giornata, se non ti avessi
portato i compiti, ‒ ribatté il ragazzo, ‒ per cui suppongo
che tu debba ringraziarmi. Ah, chiaramente sono illeggibili.
‒
Allora cosa diavolo li hai portati a fare?
Vegeta
scrollò le spalle, poi rispose: ‒ Non avevo intenzione di
dirtelo infatti, tanto non avresti potuto leggerli comunque.
Le
scappò una risata. Già, era tipico
dell’amico, ironizzare su un qualcosa di così
tanto delicato. Stupida lei a scordarselo.
‒
Ah, dimenticavo, ‒ lo sentì dire poi, ‒ ti ho portato anche
quella schifezza di libro che mi avevi chiesto.
‒
Si chiama Shakespeare, ignorante.
‒
Quello che è.
‒
Grazie, comunque.
‒
Prego.
Rimasero
in silenzio per un po’ di tempo. Bulma cercava di mettere a
fuoco la sagoma offuscata del compagno di classe, senza successo; aveva
l’uniforme scolastica, questo riusciva facilmente a capirlo
dal colore scuro della divisa che indossava, ma più non
riusciva a dire. Per certi aspetti era davvero frustrante, vivere a
quel modo.
Conosceva
Vegeta fin dai tempi delle scuole elementari: era sempre stato un
bullo, dacché riusciva a ricordare. Non l’aveva
mai visto socializzare con nessuno, e tutti cercavano di stargli alla
larga a causa del suo terribile caratteraccio. Non era nato per stare a
contatto con le persone, questo era certo.
Erano
diventati amici per sbaglio, quando la sensei l’aveva
obbligata ad andare a trovarlo a casa sua per portargli i compiti
delle vacanze invernali, dato che la febbre lo aveva costretto a letto.
Da quel lontano giorno di tanti anni fa, il ragazzo le aveva dato la
morte ogni singolo istante della sua vita: la prendeva in giro, la
sbeffeggiava davanti agli altri, le dava della secchia e passava tutte
le giornate attaccato alla sua gonna da liceale, infischiandosene degli
altri intorno a loro.
Vegeta
era un tipo complicato, ma da quando Bulma era in ospedale si era
presentato ogni giorno lì, alla stessa ora: 15:15. Preciso
come un orologio svizzero.
Ogni
giorno se ne usciva con una scusa diversa: “Passavo di qui
per caso”, poco importava che casa sua distasse almeno
quindici chilometri da lì; “Credevo che il numero
che mi ha chiamato fossi tu”, ma in realtà
l’aveva salvata nella sua rubrica sotto la dicitura
BulmAnatra; “Ti ho portato gli appunti”, quando a
malapena distingueva la A dalla B.
La
compagnia del ragazzo non le dispiaceva affatto, ma se ne riguardava
bene dal confessarglielo: l’avrebbe presa in giro per mesi, e
questo lei certo non poteva permetterlo.
‒
È vero, ‒ lo sentì dire, ‒ che stai diventando
cieca?
Bulma
si morse il labbro, prima di sorridere. Dannazione, Vegeta non riusciva
proprio ad usarli, i mezzi termini. Questa parte di lui, prima di
quella domanda, le piaceva.
‒
Già. ‒ Non riuscì a pronunciare altro. ‒
Già, è così.
‒
E cosa intendi fare?
Il
ragazzo la stava guardando, ma lei non poteva saperlo. Non poteva
sapere cosa si celasse dietro le sue iridi scure, ma se la sua vista le
avesse permesso d’affinare lo sguardo, allora sì,
avrebbe visto tutta la preoccupazione celata in quegli occhi, che erano
così tanto abituati a farsi capire. Vegeta non riusciva mai
a dirle ciò che pensava, cosa provava. Senza i begli occhi
azzurri di Bulma, questo costituiva sicuramente un problema,
perché lei non avrebbe più potuto leggerlo. E lui
non avrebbe più potuto farsi capire.
‒
Ci sarà senz’altro un modo. ‒ Per qualche motivo,
la voce del ragazzo le apparve più apprensiva del solito. ‒
Magari con la chirurgia, magari…
‒
Vegeta, ‒ lo chiamò, trattenendo un singhiozzo, ‒ non
c’è più nulla da fare.
‒
Ma che cazzo! ‒ Si sentì scuotere, mentre sentiva il fiato
del ragazzo sbattere contro la pelle del proprio viso. ‒ È
davvero così che vuoi che finisca?
Bulma
si zittì, percependo le lacrime inumidirle le guance. No,
certo che non voleva che finisse a quel modo. Fosse dipeso da lei, il
problema non sarebbe neanche sorto. Chi avrebbe mai voluto smettere
d’osservare il mondo?
Sentì
le mani ferree dell’amico diminuire la loro presa sulle sue
spalle. ‒ Bulma, io...
‒
Fa niente, Vegeta, ‒ sospirò la turchina, lasciando cadere
la testa sul cuscino. ‒ È così che deve andare.
Il
ragazzo si sentì invadere da una nuova ondata di rabbia;
stringeva i pugni nelle mani e intimava a sé stesso di non
sbottare come un istante prima. Non ci era abituato, alla calma, eppure
per quel volto così sconsolato davanti a sé
avrebbe anche potuto fare un tentativo.
Si
mise a sedere al fianco della giovane, afferrando con decisione il
libro dai ghirigori dorati. Lo aprì, sfogliandone
distrattamente qualche pagina. Era certo che la sua opera preferita
fosse lì dentro, ma non riusciva a ricordarne il titolo.
‒
Ohi, Bulma, ‒ la chiamò, e si tranquillizzò al
pensiero che la ragazza non potesse vedere il rossore dipinto sul suo
volto, ‒ come diavolo si chiama quell’opera da quattro soldi
che leggi sempre?
‒
Di quale parli?
‒
Ma sì dai, hai capito. Quella del venditore, di quella
città italiana tutta a cazzi suoi, che è mezza
sommersa dall’acqua…
La
turchina scoppiò a ridere, mentre gli rispondeva: ‒
È il Mercante di Venezia.
‒
Potevi anche evitare di sogghignare come una scema ‒
replicò, incollerito.
Bulma
rise ancora, prima di rimanere inebetita dalle parole che seguirono.
‒
Vuoi… vuoi che te la legga?
Non
ribatté subito. Era rimasta sorpresa, ammutolita da
quell’insolita domanda che non credeva potesse essere uscita
proprio dalla bocca sempre malevola del compagno. E mentre lo
sentiva dire: ‒ Non importa, lascia perdere ‒, la sua mano
afferrò il braccio tonico del ragazzo, imbarazzandosi per la
sua vicinanza.
Non
si spiegava il perché lo avesse fatto, ma per qualche
ragione la vicinanza di Vegeta sembrava distoglierla
dall’ondata deprimente in cui era stata catapultata da una
settimana. La trattava come sempre, pur non celando la sua manifesta
preoccupazione. Ovvio, non poteva certo aspettarsi da lui un qualcosa
di plateale, Vegeta non ne era proprio il tipo, non le avrebbe mai
confessato quanto fosse stato in pena per lei, ma nonostante tutto
andava bene così. Non sarebbe stato lui, altrimenti.
‒
Sì, per piacere, ‒ replicò, felice, ‒ leggi per
me, Vegeta.
‒
Guarda che non sono spedito nella lettura, a volte
m’impappino e dico cose a caso, ‒ tentò di
giustificarsi il ragazzo, grattandosi nervosamente la nuca, ‒ se vedo
che scoppi a ridere, chiudo tutto e me ne vado. Siamo intesi?
Bulma
annuì. ‒ Intesi.
‒
… Ma Amore
è cieco, e gli amanti non vedono le amabili follie cui
s’abbandonano. Secondo atto, quinta
scena¹.
‒
Perché diavolo non te lo leggi da sola, allora? ‒
sbottò infastidito. ‒ Ogni cazzo di volta che arrivo qui, te
ne esci con questa frase.
Bulma
si lasciò andare sul letto, mentre stringeva a sé
il volumetto in pelle. ‒ Non ci posso fare niente, è la mia
scena preferita.
‒
Cosa c’è di così emozionante in una
tipa che si traveste da maschio per incontrarsi con un tizio di nome
Lorenzo?
La
turchina si volse verso la voce del ragazzo, ignorando il cinismo di
quelle parole. Da due mesi, il suo mondo era ormai ridotto ad una
scatola indistinta di suoni e odori: ciò che prima riusciva
superficialmente ad intravedere dalle pupille distorte, in quel momento
era come un ricordo anch’esso offuscato, vittima di quella
cecità che l’aveva costretta a dire addio ai
colori, alla luminosità, a quel mondo che aveva amato e dal
quale non sarebbe mai più tornata.
In
quella disperazione, la voce di Vegeta che leggeva le appariva come la
più folgorante delle luci viste in passato. Era stonata e
gutturale, troppo profonda per recitare le parti femminili, eppure le
piaceva: per quanto facesse finta che non gli importasse leggere per
lei, la ragazza riusciva a percepire dal cambio di tonalità
il modo in cui si sforzava di caratterizzare i personaggi. Per certi
aspetti era davvero divertente, anche se non s’era mai
azzardata a ridergli in faccia.
Il
suo fare brutale e meschino era comunque la riprova che, tra loro, non
era cambiato niente.
‒
Jessica è davvero una stupida, scappare così dal
proprio padre, ‒ disse il ragazzo, scuotendo la testa con fare pensoso,
‒ e Lorenzo è davvero un idiota, io non sarei mai fuggito in
quel modo.
‒
Ah, no?
‒
No, mai.
‒
Neanche se Jessica fosse davvero stata la donna che amavi? ‒ gli chiese
infine Bulma, sogghignando.
‒
Perché mai dovrei amare una sciacquetta del genere? ‒
ribatté piccato il giovane, sedendole al fianco. ‒ Mi fa
ribrezzo anche solo pensarci.
‒
Che melodrammatico.
‒
Bulma…
‒
Sì?
Voltò
la testa verso di lui, e rimase sorpresa dallo strano tepore sulle
proprie labbra, mentre sbarrava lo sguardo, incapace di vedere
ciò che stava accadendo. Non che avesse bisogno di guardare,
per capire.
Erano
le labbra di Vegeta, quelle premute contro le proprie. Ed era la sua
mano che le sfiorava il collo, le carezzava la guancia, la stessa che
scorreva delicata lungo i ciuffi azzurri che le cadevano alla rinfusa
sulle spalle.
Era
il suo odore, la cosa più vicina che sentiva. Nulla di
così penetrante e particolare: era pulito, di quei
deodoranti che ti buttano appresso durante le promozioni al
supermercato. Qualcosa di semplice, qualcosa che ancora una volta le
faceva tornare alla mente la serenità della routine
quotidiana. Ancora una volta, Vegeta le stava dimostrando quanto fosse
facile trattarla normalmente.
Si
staccò da lei, leggermente inebetito da
quell’atteggiamento improvviso e incauto. Neanche se lo
spiegava, il motivo che l’aveva spinto a baciarla. Era una
cosa che desiderava fare, e l’aveva fatto. Tutto qui.
In
quello sguardo che non poteva guardarlo, Vegeta vi scorse tutto
l’imbarazzo e lo sgomento per quella situazione, ingestibile
per lei. Forse non aveva mai baciato nessuno prima di quel momento, e
lui era stato così stupido d’afferrarla di
prepotenza, senza neanche chiederle il permesso. Che razza
d’idiota.
‒
Vegeta… ‒ provò a chiamarlo, ma il giovane la
interruppe.
‒
Non è forse questo, il genere di cose che ti piacciono? ‒ le
domandò semplicemente, tentando di giustificarsi alla
bell’e meglio. ‒ Forse non è bello come nei tuoi
romanzi, ma…
Bulma
cercò a tentoni il suo viso, sfiorandogli infine il volto
affilato, sorridendogli con quella bocca ch’avrebbe sciolto
un iceberg. Vegeta si sentiva esattamente come un ghiacciolo pronto ad
evaporare, e nonostante ciò non le avrebbe mai dato la
soddisfazione di vederlo imbarazzato. A volte la cecità
della giovane gli appariva davvero una fortuna.
Si
stupì della dolcezza con la quale la turchina cercava ancora
una volta le sue labbra; sentì nuovamente i suoi sensi
frastornati, mentre la stringeva per la minuscola vita, dimenticandosi
del suo amor proprio e affogando in quel bacio salato, che aveva il
sapore delle lacrime della ragazza stesa al suo fianco.
‒
Bulma, ‒ la chiamò, con la voce più confusa che
lei avesse mai sentito, ‒ perché diavolo stai piangendo?
La
turchina trattenne un singhiozzo, prima di cercare ancora una volta la
bocca del ragazzo ed imprimergli tanti piccoli baci intorno alle labbra
spigolose.
‒
Scusa, Vegeta, ‒ la sentì dire, mentre cercava di
riacquistare il controllo di sé, ‒ io non… non
avrei dovuto, io…
‒
Bulma. ‒ La strinse a sé, maledicendosi ancora una volta per
non essere in grado di darle alcuna certezza. ‒ A me non frega un
cazzo, se sei cieca.
‒
Eh?
‒
Hai capito benissimo, ‒ mugugnò, in preda al nervoso, ‒ non
m’importa. Se mi fosse davvero importato di una cosa
così stupida, non avrei perso il mio tempo a leggere di
quella fottutissima Jessica e del suo trombamico ogni santo giorno, ok?
Se l’ho fatto, Bulma, è perché
io…
Ti amo. Non
gliel’avrebbe mai detto, non ci sarebbe mai riuscito. Eppure,
voleva farlo, perché solo così lei avrebbe potuto
capire ciò che prima le sarebbe bastato guardare: non le
aveva mai mentito, fino a quando aveva potuto vedere i suoi occhi neri.
E in quel momento, l’unica cosa che voleva era che lei lo
capisse, senza il bisogno di parlare, esattamente come faceva una volta.
Si
riappropriò ancora delle labbra di lei, frustrato
all’idea di non essere abbastanza per la ragazza,
all’altezza dei suoi sogni pieni di dolcezza. Non la
meritava, perché per quanto potesse starle accanto, sarebbe
sempre stato molto lontano da lei, da quel suo modo gaio di pensare, un
estraneo a quegli occhi incapaci oramai di vedere, e che tuttavia
ancora sembravano leggergli dentro.
‒
Se tu potessi guardarmi, ‒ le sussurrò, dimentico per un
istante d’esser Vegeta, ‒ lo capiresti, Bulma. Capiresti
tutto.
Sentì
le labbra di lei sulle proprie, incresparsi in un tenero sorriso.
Fu
un pomeriggio lungo, quello durante il quale i due giovani amanti
rimasero abbracciati sul letto, mentre tornavano a cercarsi
insaziabili, spaesati e febbricitanti, conoscendosi l’un
l’altra in quella veste estranea e del tutto nuova.
Vegeta
le sbottonò la blusa che celava le sue forme ancora acerbe,
inebriato dal calore del suo piccolo corpo tremolante. Forse lei aveva
paura, forse lui stava correndo, eppure non riusciva a frenare
l’impulso che aveva di poterla avere per sé, anche
solo per quella sera. Non era mai stato un tipo molto paziente.
‒
Fa’ piano ‒ le sentì dire, mentre annullava con
estrema lentezza la distanza che li teneva ancora separati.
Credette
per un istante di sentirla gridare, mentre la vedeva trattenere il
fiato per il dolore dell’ormai violata integrità.
Ma tutto quello che uscì dalla sua piccola bocca arrossata
dai troppi baci, fu un singolo sospiro. Lungo, interminabile. Caldo,
tanto da sciogliere la corazza che perfino in quel momento si portava
addosso, mentre la sentiva abituarsi alle sue spinte, al rovente
abbraccio che li avvinceva.
Fin
quando avrebbe potuto sentirla a quel modo, a Vegeta non sarebbe
importato nulla del resto. Perché tutto ciò che
stavano vivendo, non era qualcosa che si poteva guardare con gli occhi.
Forse
era davvero quella, la ragione per cui anche l’Amore era
cieco.
***
Sarebbe stato meglio se non
l’avesse mai accompagnata. A lui di tutte quelle stronzate
non fregava niente, eppure era lì, sommerso da una folla di
gente indistinta che continuava a spintonarli da una parte
all’altra degli stand. Stava sempre attento a tenere ben
salda la mano che cingeva la piccola vita di Bulma, preoccupato
all’idea che uno scossone troppo forte potesse farle perdere
l’equilibrio.
Sbuffò, in preda al
nervoso. ‒ Ricordami dove siamo.
‒ Uffa, Vegeta! ‒
sbottò la turchina, stringendo ancor di più la
mano del ragazzo. ‒ Te l’ho detto diciotto volte almeno!
È il Festival del Libro!
‒ Sarà per questo
motivo che tendo a dimenticarmene.
La sentì ridere,
mentre la scortava intorno alle varie esposizioni. Era stato costretto
ad accompagnarla perché lei gli aveva detto che, anche se
lui non ci fosse stato, sarebbe andata da sola. Non appena aveva
sentito quelle parole, il suo cervello era andato in crisi, ad
immaginare tutti i possibili scenari in cui la sua ragazza rimaneva
coinvolta in rapimenti, omicidi e truffe. La decisione di
accompagnarla, dunque, era stata falsamente pilotata fin da principio.
Camminavano tranquilli,
nonostante il traffico di quei piedi che correvano veloci accanto a
loro per accaparrarsi le collane di libri appena usciti, le edizioni
limitate, i gadget più convenienti. A loro di tutto quello
non sembrava importare, mentre si facevano largo in mezzo alla folla,
godendosi il momento di un pomeriggio passato insieme.
Era evidente che Vegeta non
gliel’avrebbe mai detto, quanto era felice di essere con lei.
Poteva solo sperare – come sempre – che la giovane
lo capisse da sé. Era ormai abbastanza brava, per quel
genere di cose.
‒ Ohi, Vegeta, ‒ si
sentì chiamare, mentre sentiva Bulma afferrarlo
delicatamente per la manica della giacca, ‒ guardati in giro, dovrebbe
esserci uno stand sulla letteratura classica.
‒ Cosa?! ‒ Era sorpreso, non
c’erano dubbi. Come diavolo faceva a sapere quale fosse? ‒
Che aspetto ha?
‒ Non ha un aspetto! ‒
puntualizzò la turchina, sospirando. ‒ Devi leggere i titoli
dei libri che sono esposti.
‒ Non ho la minima idea di
cosa tu stia parlando.
‒ Tu leggi i titoli e basta,
al resto penso io.
Iniziarono a girovagare per le
bancarelle del festival; Vegeta pronunciava indeciso il nome dei titoli
che leggeva, ma ogni volta Bulma non faceva altro che scuotere la
testa, certa che non fosse lo stand giusto. Il ragazzo avrebbe
volentieri gettato la spugna, se non fosse stato per il volto
entusiasta della giovane accanto a lui: quegli occhi azzurri, la cui
luce era ormai opacizzata ed incapace di guardare altro che non fosse
l’oscurità della sua malattia, sembravano volergli
comunicare che era felice, nonostante tutto. A lui, anche solo quella
misera consapevolezza bastava e avanzava per continuare a leggere
titoli di libri di cui non gliene fregava niente.
‒ Ehi, Bulma, ‒ la
chiamò infine, mentre il suo sguardo si soffermava su uno
dei titoli di quello strampalato autore inglese, ‒ Romeo e Giulietta
non è di quel tizio?
‒ Shakespeare non è
un tizio, Vegeta ‒ lo rimbeccò la turchina, ormai certa che
il ragazzo fosse irrecuperabile.
S’avvicinò
con fare cauto al tavolo davanti a loro, stando ben attenta a non
sbatterci contro. Quando avvertì il legno sotto le sue dita,
fece scivolare la mano lungo la superficie, in cerca dei libri
presenti. Doveva ancora abituarsi a tutto quello, ma non era
più così spaventata come all’inizio, e
la cosa sembrava tranquillizzarla.
Il venerando anziano che stava
dall’altra parte del bancone le sorrise, senza che lei
potesse vederlo.
‒ Signorina, ‒ la
chiamò, ‒ cerca qualche libro in particolare?
‒ In verità
sì ‒ gli rispose subito, sorridendogli.
‒ Mi dica pure.
Vegeta non ascoltò
il chiacchiericcio dei due, che sembravano davvero essersi trovati. Se
ne stava muto, a qualche passo da loro, sfogliando flemmatico i libri
davanti a lui. Diavolo, non riusciva proprio a capire cosa ci trovasse
Bulma in quelle storie così strappalacrime.
Fu un libro sorprendentemente
grande, quello che attirò la sua attenzione. Lo
afferrò con entrambe le mani, le sue pagine erano
insolitamente più spesse di quelle degli altri volumi. Lo
aprì, sorprendendosi di non scorgervi dentro alcuna parola
che potesse comprendere. Forse era una lingua sconosciuta.
‒ Serve una mano? ‒ La
venditrice dinnanzi a lui sembrava studiarlo attentamente, mentre gli
concedeva un placido sorriso di cortesia.
Vegeta girò la
copertina del libro verso di lei, poi chiese: ‒ Che razza di lingua
è?
‒ Non è una lingua.
È scritto in braille.
‒ In braille? ‒
ripeté confuso. ‒ Ossia?
‒ Praticamente è
studiato apposta per gli ipovedenti e i non vedenti, ‒ gli
spiegò, aprendo una pagina del libro, ‒ vede? Questi punti
sono in rilievo, ogni combinazione di punti è una lettera.
In questo modo anche chi non può vedere, attraverso il
linguaggio tattile può avere lo stesso risultato.
‒ Leggere un libro con le
mani. ‒ Vegeta era davvero sbalordito, mentre inconsciamente una
domanda uscì spaesata dalla sua bocca: ‒ Per caso, ha anche Il Mercante di Venezia
scritto in questo modo?
La donna lo
squadrò, sorridendogli per un istante. ‒ Sì,
dovrei averlo da qualche parte.
‒ Può controllare?
Non era certo tipo da chiedere
una cortesia; magari sarebbe stato più gentile dirle
“per favore”, ma non rientrava nel suo vocabolario,
di per sé già abbastanza sfornito. La vide
trafficare in mezzo alla valanga di tomi intonsi, mentre alzava con
entrambe le mani il volume ricercato.
‒ Eccolo qui. ‒ Glielo porse.
‒ Quanto costa? ‒
domandò il ragazzo.
‒ Beh, questo genere di libri
costano un po’ di più, sa, ci vuole del tempo per
la preparazione e…
‒ Le ho chiesto il prezzo,
mica un saggio sull’editoria industriale.
La commessa rimase a fissarlo,
scoppiando a ridergli in faccia. Vegeta si trattenne dal mandarla al
diavolo proprio lì, nel bel mezzo del festival.
‒ Dev’essere davvero
per una persona importante, ‒ constatò infine, placando la
sua squillante risata, ‒ se vuole glielo incarto. In tutto fanno
tremila e ottocento yen.
‒ Ok. ‒ Le passò
velocemente l’importo, buttando distrattamente un occhio a
Bulma, che non si era ancora accorta di niente.
Bofonchiò un saluto
alla donna, che lo fissava andare via con dipinto addosso un
malinconico sorriso: quel ragazzo doveva amare davvero tanto, la
persona a cui avrebbe regalato quel libro.
Di ritorno verso casa, Bulma
le apparve più silenziosa del solito.
‒ Bulma…
‒ Sì? ‒ La sua voce
candida non sembrava piccata, perciò non era possibile che
avesse compreso dov’era andato.
‒ Niente.
La vide fermarsi, mentre
cercava le sue dita. ‒ Vegeta, cosa stai portando nell’altra
mano?
‒ Perché mi fai
questa domanda?
‒ Sento lo strofinio della
busta di carta, ‒ gli rispose, facendo spallucce, ‒ allora?
Dannazione. Stupido
lui a non pensarci: quando perdi un senso importante come la vista, gli
altri s’affinano alla meglio, cercando di gestire il deficit.
Come glielo spiegava, adesso?
‒ Ti va se ci sediamo un
attimo? ‒ Non era solito fare simili richieste. La ragazza
annuì.
Vegeta fece un profondo
respiro, prima d’afferrarle le mani e piantarle sul grembo il
pesante tomo.
‒ Cos’è?
‒ domandò la turchina, sfiorando con le dita la ruvidezza
della carta che lo copriva.
‒ È per te, ‒ lo
sentì mugugnare, ed era certa che, pur non vedendolo, fosse
arrossito, ‒ aprilo.
‒ Per me? ‒ ripeté,
scettica. ‒ Vegeta, tu non mi fai mai re…
‒ Aprilo e basta, stupida!
‒ Va bene, va bene, stai
calmo! ‒ Era inutile, con un ragazzo irascibile come lui
c’era poco da fare. Fece come le era stato ordinato, e
sentì alcuni piccoli punti in rilievo.
È una scritta in
braille, pensò. Basterà decifrarla.
Quando le sue dita lessero al posto degli occhi l’amato
titolo, spalancò la bocca, troppo sorpresa per poter dire
nulla che avesse un senso compiuto.
‒ Non ti piace? ‒ Fu
l’unica cosa che riuscì a sentire, prima che le
lacrime le ovattassero perfino le orecchie.
Gli si gettò al
collo, scoppiando a piangere. Vegeta la strinse, preoccupato. ‒ Se vuoi
lo andiamo a cambiare, non pensavo che…
‒ È perfetto, ‒
s’affrettò a dire, tra un singhiozzo e
l’altro, ‒ è davvero perfetto.
Portò le sue labbra
su quelle del ragazzo, che si lasciò cullare dalla gaia
sensazione d’essere riuscito a farla felice. La premette
dolcemente contro il suo petto, assaporandone la bocca umettata di
lacrime, ammaliato dal profumo dolciastro di quei capelli che adorava,
mentre prendeva a baciarle le palpebre schiuse e tremolanti, delicate
porte di quegli occhi ch’erano ancora lì, come
gocce d’acqua cristallina.
Dio, quanto la amava. Neanche
riusciva a dirlo a sé stesso, figuriamoci a Bulma. Si
staccò da lei, riprendendo fiato.
‒ Forse comincio a capirli ‒
le sussurrò, mentre le parole s’imprimevano sulle
labbra della turchina.
‒ Chi?
‒ Quei due.
Bulma rise, immersa ancora
nelle proprie lacrime. ‒ Jessica e Lorenzo?
‒ Non avrei mai comprato un
libro del genere, prima, ‒ s’affrettò a dire,
rigettando l’imbarazzo del momento, ‒ non farci
l’abitudine.
La ragazza rimase in silenzio,
mentre portava le piccole mani intorno al collo del ragazzo. Si strinse
a lui, immaginando di poterlo vedere ancora una volta, bello ed
energico come sempre.
‒ Vorrei vederti, Vegeta ‒
disse solo, lasciandosi cullare dalle calde braccia che
l’avvolgevano.
‒ Non ne hai più
bisogno, Bulma ‒ si sentì rispondere, mentre le narici della
giovane si riempivano ancora una volta del penetrante odore di lui, che
ancora cercava la sua bocca, insaziabile come un pellegrino assetato.
Era per quel motivo che Vegeta
le aveva regalato quel libro, per ricordarle che perdere la vista non
significava poi tanto, fin quando poteva contare su di lui.
Perché sarebbe stato i suoi occhi, la sua voce, i suoi
colori, la sua tiepida e sempiterna luce. Questo le sarebbe bastato,
sempre.
‒ … Ma Amore
è cieco, e gli amanti non vedono le amabili follie cui
s’abbandonano ‒ gli sussurrò
all’orecchio.
Lui le sorrise sghembo. Quel
trucco, ormai, lo conosceva.
‒ Secondo atto, quinta scena ‒
le rispose trionfante, annullando ancora una volta la distanza tra le
loro bocche.
Ti amo, Bulma.
¹: Nella
traduzione italiana, questa frase viene detta da Jessica nella scena 5
del Secondo Atto, mentre nell'originale inglese tale frase viene detta
durante la scena 6.
ANGOLO AUTRICE:
Sperando che questa one-shot
abbia potuto allietarvi un pochettino! :D Non ho mai scritto
granché sulla coppia Vegeta/Bulma perché ho
notato che la loro storia preferisco leggerla piuttosto che scriverla,
ma ogni tanto si può fare uno strappo alla regola!
Che dire, aspetto un vostro
parere, e ringrazio con tutto il cuore il contest Dai vita alla tua fantasia con i
generi letterari di 6Misaki, mi
ha dato la possibilità di scrivere finalmente qualcosa di
nuovo! Grazie!
A presto!
_EverAfter_
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