Nessuno
è fatto per stare solo
Fu il rumore di una vibrazione amplificata
dalla superficie di legno a svegliarla.
Nello stordimento di un risveglio imprevisto,
ancora avviluppata dalla stanchezza e da un sogno abbastanza
allucinante, non
riuscì ad identificare immediatamente l’origine
del suono. Non aveva sveglie in
camera sua, sua madre le concedeva di dormire quanto desiderava. Poco
lucidamente, pensò che potesse essere stato Daniele, in uno
dei suoi dispetti
costanti, e borbottò tra sé e sé
maledizioni al fratello maggiore mentre allungava
il braccio verso il comodino e lo tastava goffamente, senza togliere la
faccia
dal cuscino.
Con le dita s’imbatté nel
cellulare sotto
carica.
Cavolo,
questo aggeggio infernale. Non riesco mai a ricordarmi di averne uno
L’aveva usato per la prima volta solo il
giorno prima, per sentire Demian, ma il concetto stesso di
quell’oggetto la
faceva sentire priva della sua indipendenza e la infastidiva. Lo
afferrò prima
che il baccano svegliasse Giorgi, con cui condivideva la stanza. Ancora
offuscata dal sonno, ma con un vago sorriso, si mise a sedere e
accettò la
chiamata in arrivo considerando che l’unica persona, oltre
alla sua famiglia, a
possedere quel numero, fosse appunto proprio Demian.
«Pronto?» biascicò
insieme ad uno
sbadiglio.
«Ciao, scusami per il disturbo. Tu sei
per
caso Annie?»
Fu come ricevere una secchiata d’acqua
gelida in faccia. Fece scattare l’interruttore della luce,
ignorando bellamente
il fratellino, e balzò sul letto, in piedi «Tu non
sei Demian!» constatò,
scioccata. Poi si portò una mano alla bocca, come a
trattenere il tono di voce,
per quanto ormai fosse tardi. Le sfuggì un sospiro di
sollievo nello scoprire
che Giorgi non si trovava nel suo letto. Nonostante
l’età, ancora gli capitava
di sgattaiolare nel cuore della notte nel lettone dei loro genitori.
«No, direi di no. Ma tu sei lei,
giusto?»
La voce non era quella di Demian, però
poteva distinguere una leggera traccia di accento francese, una
delicatezza
morbida nell’accarezzare alcune consonanti, non marcata come
quella di Demi ma
altrettanto tenacemente aggrappata alla pronuncia.
«Sono Arianna»
chiarì, senza celare la
propria insofferenza. Si contenne dal domandare con tutta
l’ostilità possibile
come avesse recuperato il suo numero quello sconosciuto,
perché per quanto
ovvio, non voleva proprio credere che Dem lo avesse dato a qualcuno. Se
per un
momento era stata pervasa dalla gioia estatica al pensiero di star
ricevendo
una chiamata proprio da lui, ora la delusione l’aveva
inacidita.
Ci
potrei tenere un corso, sui cambi d’umore repentini
«Scusami se ti chiamo a
quest’ora»
attaccò imbarazzata la voce all’altro capo,
fermandosi quasi subito,
probabilmente alla ricerca delle parole giuste che non la spingessero a
sbattergli il cellulare in faccia. Decise di non mostrare compassione
per lui,
nonostante avesse percepito il suo disagio, e sbuffò
«Perché, che ore
sarebbero?»
«Le cinque e mezza del mattino,
più o
meno»
La saliva le andò di traverso e quasi
ci si strozzò. Tra un colpo di tosse e le lacrime agli occhi
strillò ancora «Cosa?
E tu chi saresti?»
Si guardò intorno alla ricerca di un
orologio che confermasse quell’assurdità, salvo
poi ricordarsi che aveva
costretto tutta la famiglia a bandire qualunque forma di segnatempo in
quella
casa. In un momento di crisi, aveva deciso che il ticchettio del tempo
che
scorreva la innervosiva ai limiti dell’isteria, ora
ovviamente se ne pentiva.
Saltò giù dal letto e si precipitò
verso la finestra.
«Sono Julian, il cugino di
Demian»
borbottò.
Arianna scostò le tende,
aprì la
finestra e cacciò fuori la testa. L’aria
corroborante della notte le frustò le
guance, era così fresca che le parve di respirare una
profonda boccata di
ghiaccio.
«Non ho molto tempo per spiegarti, ma
potresti venire con me?»
«Ché?»
esclamò ancora a voce
eccessivamente alta. S’irrigidì e rimase
l’attimo successivo in silenzio, per
controllare di non aver svegliato nessuno.
Fortunatamente
Daniele è un trattore e qui tutti sono abituati alla Seconda
Guerra Mondiale,
che se atterrasse un elicottero in giardino probabilmente nessuno se ne
accorgerebbe.
«E perché dovrei venire con
te?»
Julian sospirò abbastanza rumorosamente
da farsi sentire «Sembra che Demian si sia messo di nuovo nei
guai. Io non
riesco più a farlo ragionare, ma forse
tu…»
Demian
Nei
guai
Qualsiasi forma di pensiero razionale
si disperse rapidamente ed Arianna neanche aveva riflettuto e
già aveva passato
a quello sconosciuto il proprio indirizzo. Poteva essere benissimo un
serial
killer per quanto potesse riguardarla, ma anche solo un margine di
dubbio le pareva
sufficiente a fidarsi.
Demian era il tipo di ragazzo
perfettamente in grado di mettersi nei guai. Non lo conosceva
così bene, eppure
ci avrebbe messo una mano sul fuoco senza esitare.
Quell’impressione nasceva
dai racconti di Jenevieve, che quando parlava di suo figlio si
corrucciava e
increspava la fronte pallida in un accenno di preoccupazione
più che
sufficiente: quella donna viveva sull’altra riva del fiume da
sempre, era
tagliata fuori dalla banalità umana, eppure, nonostante
quella sua visione leggera
dell’Essere, per Demian non riusciva a trattenere
l’ansia. Ad Arianna questo
bastava a rendere evidente la propensione alla
problematicità del ragazzo. A
questo si univa la sua personale sensazione, che Demi
s’impegnasse a non essere
troppo se stesso in sua presenza, come per preservarla da qualcosa di
sgradevole.
Una fetta piuttosto ingombrante di lei
voleva solo avere l’occasione di guardare oltre quel Velo di
Maya e, forse,
Julian l’avrebbe squarciato e le avrebbe mostrato tutto
ciò che c’era da vedere.
Forse avrebbe placato la sua morbosa curiosità per quello
strano individuo.
Un
perfetto, stupido ragazzo che pensa di essere in grado di nascondere le
sue
malefatte a sua madre
Si chiedeva sempre da dove venisse
tutto quell’amore, quell’orgoglio assoluto che
illuminava Jenevieve anche
mentre le raccontava i danni che lui pensava di nasconderle, e
c’era così tanta
tenerezza, così tanta indulgenza per quel ragazzino, che lei
stessa non aveva
potuto non restare affascinata dal ritratto che quella donna aveva
dipinto per
lei.
Il ragazzo di cui parlava Jenevieve era
un disastro ambulante, per cui però non si poteva non
provare un affetto quasi
istantaneo. Come lo si abbandonava un soggetto simile?
Recuperò un felpone di Daniele ed un
paio di jeans smangiati, con i buchi sulle ginocchia che ormai si erano
trasformati in crateri, senza mai smettere nel mentre di maledirsi.
Dovresti
farti una buona dose di affari tuoi, piuttosto che andargli dietro,
tanto lo
sai benissimo che stai facendo un immenso errore, non sei una presenza
sana,
guardarti. Ha già i suoi problemi senza che ti aggiungi tu
La coscienza era una bestia oscura che
divorava da dentro, lasciando sempre l’impressione di
facciata che tutto
andasse bene.
Le
persone, da fuori, sembrano indistruttibili, perfette come bambole di
plastica
che non si possono rompere. È il dentro che è una
fregatura, un agglomerato di marciume
infilato a forza tra gli organi, da qualche parte
La sua coscienza era terribile più di
tutto, le toglieva molte cose, una ad una, con la noncuranza con cui un
bambino
strappa i petali ad una margherita. Così lei stessa si
privava della propria
corolla e poi pativa nuda e sola il freddo dell’inverno.
Raccolse frettolosamente i capelli in
una coda alta ed arruffata e sedette sul bordo del letto, in attesa. Il
silenzio prima dell’alba era assoluto ed inquietante. Se si
concentrava, le
sembrava quasi di sentire il ronzio della corrente elettrica che
passava
attraverso i muri.
Lo
so che sbaglio, ma stavolta non mi va proprio di fare la cosa giusta.
Per
una volta, solo questa, lo giuro, però questa volta no.
Anche se lui è fragile…
La verità era banale:
un’anima
sensibile come quella di Demian era troppo attraente, per lei che aveva
sempre
ceduto al fascino della bellezza più autentica e primitiva.
C’era qualcosa di
primordiale in lui, nei suoi istinti suicidi, qualcosa
d’intrigante. E che non
potesse guarirlo le importava poco, non pretendeva nemmeno di arrogarsi
una
simile responsabilità.
Guardarlo da vicino però era un sottile
piacere che non voleva negarsi.
Non
posso guarirlo… ma non posso nemmeno rinunciare a provaci
L’attesa però la innervosiva.
Ebbe il
tempo di scivolare in bagno, attraversando il corridoio della zona
notte con
una furtività poco sensata dopo tutti gli urli che aveva
cacciato, riuscì a
sciacquarsi e a tornare nella propria stanza senza ricevere notizia di
Julian.
Così raccattò il primo paio di scarpe che le
riuscì di trovare, un paio di
Adidas completamente sfondate, e aspettò in sala.
Appollaiata sul divano, nel buio di una
casa addormentata, si sentiva inquieta. Quando finalmente
arrivò lo squillo di
Julian sentì un peso togliersi dallo stomaco, uno stato di
ansia dovuto anche a
sua madre e a quel muoversi furtiva in casa propria. Varcò
la soglia di casa in
punta di piedi, con le scarpe in mano per ridurre i suoni al minimo, e
nel
mentre cercò di approssimare quanto tempo ci sarebbe voluto
alla sua famiglia
per accorgersi della sua assenza.
Probabilmente
un paio d’ore, non di più. Se solo la mamma fosse
meno mattiniera!
Suo padre non era rientrato, ma anche
l’avesse fatto probabilmente non avrebbe avuto la
lucidità per rendersi conto o
meno della sua presenza, a volte quelle sue mancanze diventavano
benedizioni.
A
volte.
Scavalcò il cancellino e raggiunse
l’unica macchina con i fari accesi lungo il vialetto, quasi
in appostamento,
saltellando come un pollo con una sola zampa mentre
s’infilava le scarpe. Aprì
la portiera e s’infilò nella macchina con tutta la
furtività di cui era capace,
solo per calarsi meglio nel ruolo di pessima spia di un film
adolescenziale di
dubbio gusto. Le sfuggì un sorriso: sciocchezze come fuggire
di casa con uno
sconosciuto, non le aveva mai fatte, ed anche se il motivo era
tendenzialmente
serio ed importante, la situazione la divertiva davvero troppo. Dovette
rimproverarsi mentalmente per non far trasparire quella vena
d’infantilismo.
Ovviamente non ci riuscì, guardò il ragazzo alla
guida e sfoderò
involontariamente il suo sorriso più allegro.
«Buon giorno!»
Quello che doveva essere Julian, un
ragazzo dal viso fine ed i capelli biondi, arruffati come fosse appena
rotolato
fuori dal letto, la fissava con gli occhi pesanti di borse violacee
quasi
sgranati per la sorpresa «Wow» si lasciò
sfuggire in un borbottio, arricciando
le labbra sottili «Tu saresti Annie?»
Gonfiò una guancia con disappunto
«Arianna»
specificò.
Non c’era una ragione precisa,
però non
era abituata a quel nomignolo che poco centrava con il suo nome. Detto
da
Demian aveva quasi senso, inspiegabilmente, ma sulle labbra di chiunque
altro stonava
terribilmente.
Julian accennò un sorriso saccente
«Beh,
“wow” comunque. Niente male davvero»
Quell’aria da padrone della situazione
che mirava a metterla in imbarazzo la irritò.
Inclinò il capo, sbatacchiò gli
occhioni e gli sorrise maliziosa, nell’imitazione grottesca
di una bambolina «Vuoi
una foto, o ti basta la radiografia che mi hai appena fatto?»
Jules ingrandì il sorriso, da
strafottente a pienamente divertito «Mi accontento di poter
usare di nuovo il
tuo numero, ma chérie»
Quella reazione scarsa la indispettì
«Lascia
perdere, non c’è trippa per pesci»
«Hai per caso dei pesci rossi carnivori
geneticamente modificati?» la prese in giro. Era la linea
provocatoria e
strafottente di quella bocca ad innervosirla, non era come Demian. Non
s’innervosiva, non si imbarazzava, restava tremendamente
sicuro di sé.
Incrociò le braccia al petto, stizzita
«Perché?»
«Ah, non saprei. Da che mondo e mondo
la trippa se la mangiano i gatti. Ma ehi, sei amica di mio cugino, non
mi
meraviglierebbe se il tuo caso fosse un’eccezione!»
Il sangue le affluì alle guance con la
stessa intensità di una colata lavica «Se avessi
dei pesci rossi carnivori, te
li sguinzaglierei contro!»
Julian allontanò il ciuffo biondo che
gli ricadeva sul viso e assunse l’espressione caricaturale di
qualcuno che
voleva sembrare affascinante ma sembrava un vero imbranato
«Questo non è un no»
ammiccò con un occhiolino che la fece rabbrividire e
sorridere insieme. Si
contenne per non dargli la soddisfazione di sapere che in
realtà lo trovava
molto divertente, perché quella faccia tosta opposta a suo
cugino, quel
ghignetto sicuro e strafottente che gridava “cadrai ai miei
piedi, lo sappiamo
entrambi. È inutile che opponi resistenza”, si
meritavano di schiantarsi contro
un muro a cento all’ora. Girò la manovella del
finestrino e Jules si accigliò.
Non gli disse nulla, ma aprì
platealmente il cellulare, tolse la Sim e gliela mostrò con
altrettanta
arroganza.
«Che stai facendo?»
Con un movimento repentino, fece il
gesto di gettarla fuori dal finestrino e, altrettanto velocemente,
abitudine di
anni di allenamento, nascose la sim tra il dito medio e
l’indice. Il trucco
della monetina, così lo chiamava Daniele.
Al ragazzo cascò la mandibola, Arianna
si voltò soddisfatta verso di lui, senza cancellare il
sorriso «Adesso puoi
usarlo, se vuoi» dichiarò con una scrollata
noncurante delle spalle.
Julian richiuse la bocca con uno
schiocco secco, ma gli occhi, quegli occhi verdi attraversati da
venature
dorate, restavano dilatati in uno stupore attonito.
«Ahi» borbottò,
portandosi la mano al
cuore con fare teatrale.
si
è ripreso in fretta
neanche a pensarlo, il ragazzo abbozzò
subito il ghigno da predatore mancato che già Arianna aveva
intuito fosse parte
integrante del suo essere quanto quel taglio di capelli alla Zack Efron.
«Io te lo dico, questo netto rifiuto mi
ha ferito profondamente. Sappi che hai fatto a pezzi il delicato cuore
di un
fanciullo sognatore in modo a dir poco barbino»
L’aria ironica e giocosa la fece, al
fine, cedere, ed Arianna si ritrovò a ridere «Hai
mangiato un dizionario prima
di venire qui?»
«Sono solo un brillante e galante uomo
d’altri tempi» la corresse lui, senza smettere di
guardarla. Era uno stupido,
ma sembrava genuino, quell’idiozia era più reale
della facciata da predatore con
cui l’aveva accolta. Arianna si sporse verso di lui, tese la
mano quasi a
sfiorargli il viso e notò appena la schiena di Julian
pietrificarsi e perdere
baldanza, come se davvero si stesse aspettando un qualche suo gesto
inconsulto.
Però la fissava negli occhi ed una consapevolezza strana le
balenò
all’improvviso
Non
pensa che io possa fare qualcosa, è lui che vorrebbe fare
qualcosa
Ma almeno, nonostante
l’intensità
sfacciata con cui la studiava, non accennava a muoversi.
Così decise d’ignorare
la tensione che proveniva dal corpo del ragazzo, gli passò
la mano dietro
l’orecchio e finse di estrarne la sim del cellulare,
sfoggiando poi il suo
sorriso più vittorioso e soddisfatto.
«Egocentrico, pensi davvero che
rinuncerei al mio numero per te?»
Le pupille di Jules seguirono rapite la
sua mano e l’oggetto che ora mostrava con tanta
ovvietà.
«Ti diletti di trucchi di magia, ma
chérie?»
Non avrebbe mai confessato che dopo
aver letto il libro di Harry Potter aveva sognato Hogwarts, magia, gufi
e
lettere che non erano ovviamente arrivate. Né avrebbe mai
rivelato che quello
stupido trucchetto che tanto lo aveva preso in contropiede in
realtà era solo
uno dei molti che suo padre faceva quando era bambina e in ospedale si
annoiava
troppo.
Anche lei era stata entusiasta ed
estatica a suo tempo, prima d’imparare, ma ora quei ricordi
avevano un
retrogusto un po’ più amaro.
«A volte» chiarì
con un sorriso.
Il ragazzo ridacchiò «Sei una
strega
arruffata, inizio a capire come lo hai incastrato,
quell’ingenuo di mio cugino»,
commentò soltanto, scuotendo piano la testa, come
indulgente. Arianna guardò il
suo profilo mentre si ricomponeva alla guida, e pensò che
fosse un ragazzo
particolare. Considerando Demi e Jenevieve, giunse alla conclusione che
tutti,
in quella famiglia, dovessero essere un poco fuori dalle righe, ma
almeno
Julian era più incline al gioco di quanto non lo fosse
Demian con la sua
espressione truce e corrucciata e quell’atmosfera da
“ce l’ho con il mondo”.
Ecco,
credo che lo ribattezzerò
“Demian-ce-l’ho-con-il-mondo-Lemaire”
Paradossalmente, nonostante la sua
giovialità, la sicurezza di Julian restava irritante, i tipi
come lui avevano
su di lei la stessa attrattiva di una giornata al mare per un vampiro.
Distolse
lo sguardo, in imbarazzo, e lo incitò «Muoviti, i
miei si svegliano presto.
Quindi portami nel posto dove mi devi portare, a recuperare
quell’irrecuperabile idiota di tuo cugino!»
La macchina si accese con un rombo
leggero, poco rassicurante, e Julian annuì, ora
più grave «Come desideri
tresòr, ma potresti non apprezzare quello che
vedrai»
In caserma, ecco dove l’aveva portata
Julian.
Dai carabinieri.
Che
posto romantico come primo appuntamento. Ok, che non mi aspettavo una
suite
dell’Hilton, ma qui abbiamo toccato proprio i massimi storici
della tristezza.
Cercò di prenderla sul ridere, almeno
tra sé e sé, ma dovette ammettere di essere
rimasta piuttosto turbata e mentre
seguiva Julian come un pulcino dietro la chioccia, non poteva non
chiedersi
quale motivo l’avesse spinta ad essere lì. Il
biondino aveva confabulato con un
carabiniere dall’aria stropicciata e stanca e questo gli
aveva lasciato una
leggera pacca di conforto sconsolato sulla spalla prima di invitarli
entrambi a
seguirlo.
Il ragazzo la guardò con un sorrisino
compassato, un misto di esasperazione e scocciatura, un atteggiamento
strano
per qualcuno che stesse andando a tirare fuori dai guai il cugino
quindicenne,
minorenne.
Si accomodarono sulle seggiole davanti
ad una scrivania e il carabiniere di turno offrì loro un
caffè, che Julian accettò.
Lei non se la sentiva, era troppo frastornata, si rendeva conto di non
riuscire
a smettere di frugare l’ambiente circostante con puro
sgomento dipinto in
volto.
«Chiamo Antonio e torno e
subito»
chiarì l’uomo in divisa, prima di sparire dietro
ad una porta. Arianna si
sforzò di riportare gli occhi sul suo accompagnatore,
ticchettò le dita con
studiata nevrosi sulle braccia conserte, in un crescendo di rabbia e
indignazione.
«Non dovresti dirmi qualcosa? Spiegarmi
almeno la situazione?»
Julian sorseggiò un poco il
caffè della
macchinetta, poi sospirò «Demian sarà
in una delle camere di sicurezza, sarà
una cosa veloce»
«Una cosa veloce»
mormorò a stento,
quasi fosse un pappagallo. La nonchalance di quel ragazzo stava
mettendo i suoi
nervi a dura prova. Ebbe l’impulso di prendere a sberle
qualcuno fino a
gonfiargli la faccia, e non sapeva se quella collera fosse rivolta a
Julian o a
Demian. Il miracolo restava, in qualche modo si stava trattenendo.
Per
ora, almeno.
Non leggere preoccupazione in quegli
occhi verdi screziati d’oro, ma solo una rassegnazione
dimessa che sapeva di
resa, le lasciava in bocca un retrogusto amaro, un sapore inspiegato di
sconfitta.
«Lo hanno arrestato?»
Jules abbozzò un sorriso stentato
«Tecnicamente
sarebbe in stato di fermo» la corresse, ma poi lesse la
scintilla omicida che
la animò perché si ricompose subito in
un’espressione seria.
«Ci porteranno presto da lui, non
preoccuparti»
«Demi è minorenne»
osservò con
circospezione, cercando di decifrare quella calma eccessiva e
disagiante «Solo
il suo tutore può tirarlo fuori di qui, anche se
è fermo e non arresto»
Julian non riuscì a reprimere
l’ennesimo sorriso, eccessivamente divertito, come si stesse
prendendo gioco di
lei.
«Questo è vero, ma in
realtà non è propriamente
in fermo. Il suo nome non comparirà su nessun documento
ufficiale, diciamo
così. Un favore di un amico di famiglia, più o
meno. Diciamo che Antonio si
cava qualche occhio per lui per non farlo mettere nei guai»
Arianna sentì le spalle cedere sotto un
improvviso peso che non le riuscì di identificare. Priva di
forze, si rassegnò
ad accasciarsi sulla sedia e tornò a guardare davanti a
sé.
Sembra
così assurdo, cosa intende esattamente con
“guai”? Qual è la vera definizione
di guai?
Nella sua concezione, guaio era mangiare
i biscotti di nascosto prima di cena, o sgattaiolare fuori casa alle
cinque di
mattino. Sospettava che i guai a cui si riferiva Julian fossero un
po’ più
grandi e complessi. Prese fiato e tornò alla carica
«Perché non
c’è un adulto qui? Non
dovrebbe occuparsene qualcun altro? Qualcuno di un po’
più…»
Responsabile?
Competente?
All’altezza?
Qualcuno in grado di fermarlo, che gli
desse la sonora strigliata che si meritava e lo riportasse sulla via
del
ragionevole. Perché saperlo lì, sapere che
quell’episodio non era a se stante,
era routine, trasformava tutto in una devastante sconfitta, una
battaglia di Waterloo
senza speranze, come se Demian fosse già etichettato come un
caso umano e fosse
troppo tardi per rimediare e l’unica soluzione fosse
tamponare un’anfora che
faceva acqua da tutte le parti.
Per lei era inaccettabile, Arianna non
era mai stata brava a perdere, la resistenza all’ovvio era il
suo mantra, non avrebbe
sventolato bandiera bianca nemmeno se davanti a lei si opponeva
imperterrito uno
scontroso che per se stesso sapeva provare solo disprezzo.
Un infervoramento improvviso la
travolse e la rimestò, tanto che stare ferma gli
sembrò impossibile e si agitò
sulla sedia.
Julian nel mentre si stava massaggiando
la fronte, sembrava stesse cercando di raccattare parole per dare un
senso a
qualcosa che effettivamente non ne aveva troppo.
«Ci sono meccanismi complicati, a
volte»
mormorò stancamente, poi però sorrise ancora e
Arianna, d’un tratto, in Julian
rivide un poco se stessa e quella leggerezza autoimposta a volte, per
sopportare cose di difficile sopportazione.
«La tutrice di Demian è mia
zia ed è
impossibilitata al momento. Ci sono cose che mia mamma non sa e che mia
zia non
vuole che sappia. Mi ha chiesto questo favore, di fare le sue veci. Mia
mamma è
in gamba, ma ha i nervi fragili, la zia non pensava potesse gestire
tutto
questo…» la voce stemperò in un sospiro
«Forse non posso nemmeno io» valutò
amaramente, storcendo la bocca.
Il carabiniere di prima riapparve sulla
soglia e fece cenno a Julian di seguirlo. Il ragazzo abbassò
un poco le spalle,
appesantito, e le sorrise di nuovo, una smorfia malinconica che non
raggiungeva
gli occhi «Mi portano da lui, aspetta qui»
Arianna si ritrovò ad annuire, quasi
distrattamente. Quando rimase sola però, la
curiosità ebbe il sopravvento. Si
avvicinò alla porticina che dava sul corridoio, ci si
affacciò ed inseguì con lo
sguardo la figura dell’agente e di Jules che parlottavano tra
loro. Ebbe solo
un attimo d’indecisione, poi gli trotterellò
dietro, perché era tutto troppo
assurdo e per crederci voleva vedere con i suoi occhi. Fu il suono di
una
risata a cementificarla al suolo e impedirle di avvicinarsi oltre. Poco
oltre
Jules e l’agente, un uomo di guardia stava porgendo qualcosa
tra le sbarre
della camera di sicurezza. Una mano pallida che conosceva bene comparve
nel suo
campo visivo, afferrò quella che doveva essere una foto e
cacciò un fischio.
«Cazzo se è cresciuta!
È passato
davvero così tanto dall’ultima volta che
l’ho vista?» commentò il detenuto, che
si rivelò ovviamente essere Demian.
Sebbene lo sapesse e in realtà fosse
scontato, ne rimase davvero sconcertata. Quell’incosciente
stringeva tra le
mani la foto con un sorrisino strano che non gli aveva mai visto,
velato di
un’appiccicosa mestizia.
Era troppo lontana perché la notasse, a
meno che non avesse voltato il capo nella sua direzione, ma da
lì Arianna
vedeva la sua figura di tre quarti, i capelli sparpagliati, quasi
completamente
caduti sul suo volto, come stanchi nonostante il gel ancora cercasse di
far
presa.
Il carabiniere scrollò le spalle
«Figurati,
Chiara ormai è una piccola signorina e si annoia a venire al
lavoro con il suo
papà. Lucia era l’unica che mi desse
soddisfazione, ed ora se la prendo in
braccio si mette a piangere!» sollevò gli occhi al
soffitto con disperazione «Un
giorno, marmocchio, mi dirai come hai traviato la mia bambina»
Demian sfoderò un ghigno spavaldo e
provocatorio, che metteva in mostra il suo canino sinistro leggermente
storto.
Quasi sembrava una fiera, un animale impossibile da domare, una persona
completamente differente da quella che lei aveva conosciuto.
Allora
avevo ragione, ti impegni davvero a non lasciarmi sola con te
«Sono giovane e bello, direi che sono
motivi più che sufficienti» rispose con
presunzione e poi aggiunse, non senza
una certa petulanza, come se quella frase l’avesse ripetuta
almeno diecimila
volte «Comunque la mia bestiolina resta la più
bella di tutte»
Era così scioccata che per la prima
volta nella sua vita si ritrovò a corto di parole. Rimase a
bocca schiusa a
guardarlo là, in piedi, tranquillo e sereno come non
l’aveva mai visto, mentre
parlava amabilmente con il suo secondino. Aveva i jeans strappati, la
maglietta
nera a mezze maniche era macchiata e lasciava in bella vista un brutto
taglio
sul braccio. Persino il viso non era esente da numerose escoriazioni,
eppure
sorrideva ed era a dir poco luminoso, entusiasta, mentre frugava nel
portafoglio alla ricerca di una foto, quasi sicuramente di Sarah.
Stava guardando qualcosa di
profondamente sbagliato, e allora perché sembrava quasi un
quadretto familiare,
per la quotidianità, l’intimità che
trasmetteva?
Deglutì a fatica, si sentiva di troppo
ed era arrabbiata, perché non era normale, non aveva senso.
C’è
qualcosa di profondamente sbagliato, maledizione! Possibile che nessuno
se ne
accorga? Non lo vedono quanto tutto questo sia… malato?
Lo osservò, osservò
quell’espressione
sdilinquita mentre contemplava il suo piccolo tesoro e lo sventolava
come il
più ingenuo dei bambini, e capì il problema:
erano tutti troppo coinvolti.
Forse, lo era anche lei, perché tutta la rabbia che
l’attraversava perdeva già
vigore e veniva rimpiazzata da una tenerezza quasi struggente per lui.
Arianna
Selene Alessi, riprenditi! Come diavolo fai a provare tenerezza per un
tizio
palesemente conciato in modo tale che è evidente sia reduce
da una rissa? Per
Dio, almeno tu mantieni un minimo di equilibrio, che qui tutto
è al degenero
anche senza di te!
Brillava talmente, quando parlava di
Sarah, quando la pensava, che davvero, nonostante tutto fosse assurdo e
insensato, Demian riusciva a dargli un senso. Lo dava per tutti i
presenti,
riusciva ad essere una cosa ed il suo opposto ed in qualche modo questo
veniva
accettato comunque, al di là del sano e del giusto.
«Ah, era anche ora. No, tranquillo
Jules,
fa’ pure con comodo. Tanto io qui mi stavo divertendo
parecchio, non vedi?
Posso parlare con tanta bella gente!» borbottò
Demian con malcelata ironia «Ah,
senza rancori, Anto» rettificò guardando
l’agente con una scrollata incurante
della testa. Il carabiniere si accigliò «Non pensi
mai che averti tra i piedi
sia un disturbo anche per noi, moccioso?»
Julian si avvicinò sbuffando
«Questa
volta sono stato seriamente tentato di abbandonarti qui, quindi
ringrazia la
nostra infinita bontà d’animo. Qualche giorno
dentro ti farebbe solo che bene!»
Questa
volta
Quanto era inaccettabile che Julian
parlasse di quelle numerose volte come fossero marachelle senza
importanza?
“Più
volte” quante volte sottintende?
Lo sconcerto era più forte di qualunque
collera, non ci riusciva proprio.
È
veramente uno scemo, uno scemo oltre ogni limite. Così scemo
che quando sorride
in quel modo, come se fosse felice, viene spontaneo sorridergli di
rimando.
Tutto ciò che sembra sbagliato va al diavolo, ecco cosa
c’è di tanto grottesco
in tutto questo.
Non
c’è nulla di giusto nella vita di Demian, ma se
è lui si può perdonargli tutto,
solo per poter ricevere in cambio quell’espressione di
immotivata, piena felicità.
Quell’espressione che nasceva e moriva
con Sarah.
Per
Sarah
«Certo, lasciami pure qui.
Così non ci
sarà bisogno di mettermi dentro la prossima volta che
deciderò di pestare
qualcuno» ribatté ancora Dem, con
quell’assurdo atteggiamento menefreghista.
Sembrava reale, eppure non era vero, Arianna ne era sicura, la maschera
non era
quella che le aveva mostrato, per quanto lui stesso ci credesse. No, la
maschera era quella farsa, quel fingere che nulla potesse toccarlo
quando in
realtà ogni cosa lo feriva e lasciava segni indelebili sulla
sua anima fragile;
restava a terra, abbandonato e sanguinante, ed era solamente troppo
orgoglioso
per ammettere di essere debole.
«Antonio, che ha combinato
stavolta?»
«Ha assistito ad una rissa violenta
fuori da un locale. Erano in parecchi, non so come lui e i suoi compari
ne
siano usciti interi, ma uno degli altri è stato ferito
piuttosto gravemente con
una bottiglia rotta» con un sospiro esasperato aggiunse
«Quel gruppo di ragazzi
con cui giri ci va piuttosto pesante, Demian. Veramente, è
il caso che smetti
di frequentarli o ti rovineranno. E non potranno coprirti per
sempre»
«Metti in dubbio ch’io fossi
un’anima
candida nel posto sbagliato al momento sbagliatissimo?»
domandò ironico, mani
nelle tasche dei jeans e spalle leggermente sollevate, con un sorriso
attaccabrighe di chi non esiterebbe nemmeno un secondo a litigare anche
solo
per uno sguardo sbagliato. Era un Demian assolutamente inedito per lei,
un
perfetto sconosciuto che non aveva mai incrociato, che le aveva ben
nascosto.
Quell’insicurezza
non può essere una menzogna. Julian non mi avrebbe chiesto
di essere qui, se
tutto fosse una bugia. Deve esistere, deve esserci per forza.
«Non lo metterei in dubbio se non
capitasse tanto spesso di trovarti qui. Sempre casualmente. Io non so
perché ti
coprano ogni volta, e mi sta bene che lo facciano, onestamente. Rende
più
facile la mia parte. Sei un bravo ragazzo Dami, con loro non hai nulla
da
spartire e lo sai anche tu. Anche la macchina l’avete rubata
voi, vero?»
Demian sollevò l’angolo della
bocca
nell’ennesima smorfia di sfida «Ho il diritto di
restare in silenzio, giusto?
Sono innocente fino a prova contraria. Tirami fuori»
L’agente, a cui Dem dava del
“tu” con
un’irriverenza e una confidenza sconvolgente,
sospirò e aprì la camera di
sicurezza, da cui il ragazzo uscì con la felpa in spalle e
una sigaretta ancora
spenta tra le labbra. Quando si voltò e finalmente la vide,
perse in un colpo
tutta la sua baldanza. Arianna, altrettanto immobile, vide i muscoli
delle sue
braccia tendersi, irrigidirsi, e un lampo indefinito attraversare i
suoi occhi
chiari, vetro opaco su un cielo grigio. Forse era senso di colpa,
Arianna lo
trovava giusto, che si sentisse in colpa. Perché
così, con quel modo di essere,
si rendeva irraggiungibile in maniera intollerabile.
Fu solo un lungo, sospeso istante, poi
fu assalito dalla collera più cieca. Si scagliò
contro Julian con una rapidità
sorprendente, lo spinse contro il muro con il gomito puntato alla gola
e gridò
di cattiveria «Che cazzo ci fa lei qui?»
Arianna sussultò, le mani le tremarono
per la paura. Tutta quella rabbia repressa, quell’incredibile
odio, erano così
eccessivi da non avere alcun senso, le davano il panico. Per un momento
le
mancò il respiro e si ritrovò ad annaspare, un
terribile senso di déjà-vu le
attanagliò
la gola. Adesso lo vedeva davvero attraverso gli occhi di una
sconosciuta, e
l’insofferenza che le stava mordendo l’anima
l’avrebbe messa solo nei guai. Li
avrebbe messi entrambi nei guai e Demian nemmeno lo immaginava. Eppure
Arianna
si maledisse, perché sebbene sapesse che lui era anche
questo, anche se
Jenevieve molte volte le aveva lasciato intuire come Demian fosse,
nonostante
tutto aveva perso ogni sicurezza e ogni sua sinapsi l’aveva
abbandonata al
terrore. Julian boccheggiò e si agitò goffamente,
per sciogliere quella presa,
ma fu solo Antonio che riuscì a strappare Demian via dal
cugino, lo agguantò
bruscamente e riuscì a bloccargli le braccia. Jules si
piegò su se stesso e
tossì violentemente. Con
il dorso della
mano si pulì il mento e riuscì a biascicare
«Ti vergogni di te?»
Gli occhi di Demian si assottigliarono
di rancore incontrollato, tentò nuovamente di raggiungerlo
con uno strattone,
ma la presa di Antonio fu più forte e tutto ciò
che ne conseguì fu solo un mezzo
latrato di frustrazione «Sei un bastardo! Come
l’hai trovata, fottuto
traditore? Se l’hai toccata, non me ne fraga un cazzo se hai
il mio stesso
sangue, ti ammazzo di botte lo stesso!» sbraitò,
le vene del collo e della
fronte pulsavano come impazzite e così i suoi occhi
sembravano spiritati, con
le sclere arrossate di capillari dilatati.
«Demian, non costringermi a rimetterti
dentro! Datti una calmata immediatamente!» tuonò
il carabiniere mentre con
fatica lottava per trattenerlo. Demian scalciava come un animale
impazzito, sembrava
folle, irragionevole.
No,
tutto questo non è accettabile, è troppo oltre
Arianna strinse i pugni, prese un
respiro più profondo ed una calma risoluta prese il posto
della paura
totalizzante che l’aveva bloccata. Per lo sbigottimento dei
presenti, avanzò
dritta vera di lui, si fermò ad un passo da quel volto
livido di collera, lo
fissò dritto negli occhi.
Lo schiaffo, con il suo schiocco
improvviso, fece calare un silenzio irreale, carico di tensione
repressa.
Demian smise di agitarsi, la guardò a sua volta e gli occhi
gli si sgranarono
nello stupore più genuino.
«Datti una calmata»
sibilò gelida.
La mano di Julian si serrò attorno al
suo braccio, Arianna sentì la pressione delle dita che
cercavano di
allontanarla, come se il ragazzo temesse che Demian potesse commettere
uno
sproposito e farle del male. Il solo pensiero la offese,
scrollò l’arto e si
liberò di quella stretta senza mai distogliere la sua
attenzione dal viso di
Demi, che a sua volta la ricambiava. Quello che stava facendo non era
differente
dall’ammansire un animale, ne percepiva la sfida, e proprio
per questo si
rifiutava di fare un passo indietro, perché era nel giusto e
Demian doveva capirlo, doveva
arrivarci.
Alla fine di quella battaglia
silenziosa fu Demian infatti a chinare la testa, d’un tratto
mansueto, e
Arianna seppe di aver vinto. Non ne trasse però alcuna
soddisfazione.
«Lo lasci andare» disse al
carabiniere,
e suonò quasi come un ordine, ma era solo
l’amarezza a renderla troppo dura.
Antonio esitò, quando però si rese conto che Dem
era diventato completamente
inoffensivo, lo liberò, non senza riluttanza. Arianna lo
capiva, nulla avrebbe
potuto impedirgli di avere un’altra reazione completamente
fuori da ogni schema
logico che non fosse istinto animale, questa giustificazione non
bastava a
renderla più tollerante verso quell’uomo che in
teoria lo conosceva, ma in
pratica aveva capito di lui poco o nulla.
«Mi scusi se mi sono intromessa. Se non
le dispiace, sarebbe meglio per noi andare»
accennò un sorriso più tranquillo e
gli porse la mano «È stato un vero piacere, mi
scusi per il disagio»
Antonio, preso in contropiede, fissò la
sua manina sospesa nel vuoto qualche secondo di troppo prima di
decidersi a
stringerla, vittima di un palese sconcerto che aveva attraversato anche
i volti
degli altri presenti.
«È stato un piacere anche per
me,
signorina» bofonchiò tra l’imbarazzo e
la perplessità. Demian, con il capo
chinato dalla vergogna, recuperò la felpa da terra, si
passò una mano tra i
capelli in un gesto di nervosismo ed infine borbottò
«Salutami Lizzie, e
ringraziala da parte mia per i biscotti. E di’ a Chiara che
mi dispiace di
essermi perso il suo saggio. Se mi inviterete ancora, al prossimo ci
sarò di
sicuro»
Antonio aprì la bocca, la richiuse e il
segno della barba sfatta lo fece apparire stranamente smunto. Di nuovo,
Demian
sembrava così stanco, così delicato, che
infierire sarebbe parso una crudeltà,
anche se meritata. Alla fine il carabiniere si limitò ad
arricciare le labbra «Lo
sai che ti inviteremo. Chiara ti vuole bene, Lucia ti adora ed
Elisabetta
chiede del suo figlioccio un giorno sì e l’altro
pure» accennò un sorriso
pietoso, una forma di affetto prostrato «Ci vediamo presto.
Possibilmente non
qui, la prossima volta»
I primi barbagli di luce rosata
accarezzarono le palazzine grigie di cemento e le cime scheletriche dei
radi
alberi che adombravano i marciapiedi d’estate. Era
un’alba particolarmente
suggestiva, sfumava dal rosa ad un tiepido indaco con la delicatezza di
un
acquerello e delineava le ombre allungate delle loro figure sulla
strada
deserta di quella mattina umida.
Arianna osservò la luna, grande come
un’unghia e altrettanto perlacea, quasi fusa allo sfondo, e
pensò che quel
cielo doveva essere così vivace per via di chissà
quale schifezza chimica che
stavano anche respirando. Era uno dei tipici commenti di suo fratello,
quello,
il suo lato catastrofico e pessimista lo portava sempre a cercare una
spiegazione cospiratoria anche di fronte ad un evento naturale dalla
bellezza
sconcertante. Richiamare Daniele in quel frangente era
d’aiuto a sopportare la
tensione che crepitava tra loro come elettricità statica.
Più che tra loro tre, tra i due
ragazzi, che Arianna aveva brillantemente pensato di dividere. Ora che
si era
piazzata tra i due e camminava con quell’angoscia addosso
più sfibrante di un
parassita, si stava pentendo: era decisa a scongiurare una qualsiasi,
ipotetica
nuova crisi, fosse stata essa verbale o fisica, eppure la soluzione
più sensata
forse era permettergli di risolvere la questione nel modo
più barbaro, idiota e
“virile” che ritenessero opportuno.
Cacciò una discreta occhiata in tralice
a Demian e non riuscì a trattenere un sospiro.
Come
lo prendo?
È
praticamente matematico, se sbaglio mossa questo qui si trincera dietro
alla
sua piccola torre d’avorio e basta, fine dei giochi
Ogni mossa sembrava sbagliata in quel
contesto, e lei non poteva permettersi di sbagliare. Una simile
insistenza
sembrava quasi un tentato suicidio, questa era l’unica
replica sorda che
emergeva da qualche anfratto del suo essere, l’eco di un
istinto di
sopravvivenza ormai quasi del tutto soppresso.
Non
che ad una come me, nella situazione in cui sono, l’istinto
di sopravvivenza
serva ancora a qualcosa
«Lo so che è stato un colpo
basso. Ma
io le ho tentate tutte, Dami»
Fu Julian a spezzare quel silenzio di
insulti non detti ma lanciati da occhiate omicide. Istintivamente,
Demian smise
la sua marcia verso il parcheggio ed Arianna lo imitò quasi
in sincrono. Lo
guardò sfilarsi la sigaretta dalle labbra e inarcarle in una
linea maligna e
derisoria.
«Fanculo» sputò,
insieme ad una nuvola
di fumo.
Il volto di Julian si contrasse come un
pezzo di carta appallottolato malamente «Avevi detto che non
avresti più fatto
stronzate e nemmeno sette ore dopo mi chiama Antonio! Sinceramente
speravo che
vederla ti desse una cazzo di sberla alla coscienza! Che cosa avrei
dovuto
fare?»
«I fottuti cazzi tuoi!»
La voce di Demian si alzò di nuovo
pericolosamente, lasciando trasparire tutto il rancore e la rabbia
gestita ma
non domata. Arianna in qualche modo si era già abituata, una
volta scoperchiato
il vaso di Pandora le era stato fin troppo chiaro il contenuto.
Persino,
rispetto alla crisi mistica avuta in caserma, ora sembrava un felice
hippy che
lanciava margherite proclamando
“Love&Peace”.
Che
poi, Demi con una corona di fiori in testa, degli occhiali alla John
Lennon e
dei pantaloni a zampa di elefante stile Beatles dopo il viaggio in
India, come
starebbe?
Immaginarlo ancheggiante e pacifista
riuscì a distrarla il sufficiente per farla ridacchiare tra
sé e sé ed
ignorarli almeno per altri cinque nanosecondi. La sua risata trattenuta
male
spinse i due cugini a fermare il loro battibecco solo per guardarla
storta.
Il
signore sia lodato, almeno non sveglieranno il quartiere!
Con un pessimo tempismo, pure il
cellulare iniziò a vibrare. Arianna decise di ignorare i due
idioti ancora
concentrati su di lei e piuttosto contemplò il display con
indecisione: il nome
di sua madre non le era mai parso più minaccioso e da
evitare.
Ovviamente
si è svegliata, le sarà venuto un mezzo attacco
alle coronarie quando si è
accorta che non ero nella mia stanza
Si rosicchiò il labbro inferiore,
cercando di darsi una spinta di coraggio che non trovava.
Devo
aver dato fondo alle mie scorte personali, diciamo che per oggi basta
così con
le prove di resistenza!
Riattaccò senza tante cerimonie e prima
che quell’aggeggio infernale potesse tradirla di nuovo,
spense direttamente il
cellulare. Sapeva che, tornata a casa, i suoi l’avrebbero
probabilmente
scuoiata viva, se non sua madre di certo suo fratello, ma era un
problema
secondario a cui avrebbe pensato dopo, aveva una gatta da pelare ben
più
problematica, mezza francese e molto più rissosa di quanto
non avesse messo in
conto in un primo momento. La parte più razionale di lei
sapeva che prima di
lanciarsi di testa nei problemi altrui avrebbe almeno dovuto provare a
considerare i propri, sua madre sarebbe stata in agonia per lei, non
voleva
ferirla né farla preoccupare.
D’altro
canto sono anni ormai che funziona così anche se
m’impegno perché non succeda.
Che per una volta sia davvero colpa mia, se proprio non si
può evitare. Per
loro non posso fare nulla, ma forse per questo scemo… per
lui c’è tempo.
E
se non ci fosse, ce lo inventeremo. Lo farò bastare.
«Ti ho messo nei guai, Annie?
È tutto a
posto?» Jules si era chinato su di lei, essendo almeno dieci
centimetri più
alto, e le aveva posato una mano sulla spalla. Alzò gli
occhi su di lui con un
sorriso, pronta già a rimproverarlo perché non
la doveva chiamare così, ma non fece in tempo ad
esprimersi che Demian lo
aveva spintonato brutalmente per allontanarlo da lei. A sua volta le
cinse le
spalle con il suo braccio pallido e la attirò a
sé con la stessa possessività
di un bambino capriccioso.
«Ti ho detto di non toccarla, non devi
nemmeno parlarle» ringhiò.
«È una persona, Dami, non il
tuo cane!»
Demian la strinse un po’ più
forte, per
il suo disappunto «Hai già fatto abbastanza, non
rompermi ancora i coglioni e
stanne fuori!»
«Vaffanculo!»
sbottò anche Julian, alterandosi
a sua volta «Sei solo un piccolo stronzetto
ingrato!»
Bene,
perfetto, ed anche l’ultima isola di calma e nirvana
è sprofondata! Ottimo
davvero!
«Mi dispiace di aver preso il suo
numero senza il tuo permesso, ma non avevo cattive intenzioni, cazzo! E
lo sai
benissimo!»
«Balle, è stata solo una
scusa! Lo
sappiamo entrambi che volevi vederla!»
Julian, con quel suo ciuffo da divo
scarmigliato e la faccia pericolosamente rossa, sembrava sul punto di
volersi
mangiare le mani per la frustrazione «Io volevo aiutarti.
Porca la miseria,
prima di essere il mio migliore amico sei mio cugino! E adesso si sta
veramente
andando troppo oltre»
Arianna sentì il corpo di Demian
irrigidirsi contro il suo e capì che Julian, volontariamente
o meno, aveva
colpito un punto nevralgico. Nonostante
l’inflessibilità di quel corpo che
parlava per lui, le parole uscirono fluide e spavalde «Se
vuoi aiutarmi,
sparisci e smettila di metterti in mezzo»
«Non hai capito un cazzo»
soffiò
Julian, si passò una mano sulla fronte, le iridi adombrate
da una nuova
determinazione. Persino Arianna capì che quello che stava
per dire mirava a
ferire Demi «Se non la smetti di farti io… io devo
pensare a Sarah. Tu in
questo momento puoi farle solo del male»
Doveva ferire Demian, eppure Arianna colse
la gravità di quelle parole e quanto gli fosse pesato dirle,
Julian si faceva
male da sé anche solo pensarle, certe cose. Si
sentì in colpa per aver dubitato
di lui così, per aver pensato che stesse per dare fiato alla
bocca per avere
ragione.
Si sentì inerme, stare fisicamente tra
quei due non cambiava le cose, non poteva essere detto nulla di
più grave per
ferirli entrambi.
Il braccio che la stava trattenendo
perse forza e ricadde inerte, la sigaretta pigramente appoggiata tra le
dita
dell’altra mano scivolò a terra. Arianna si
voltò a guardare Demian in viso,
vide le sopracciglia bianche, spesse sulla pelle nivea, aggrottate. I
suoi
occhi, assurdamente chiari, quasi trasparenti con una sfumatura rosata
percepibile solo ad una certa vicinanza, erano oscurati da altrettanto
spesse e
folte ciglia.
«Cosa vorresti dire?»
proferì con tono
tanto apatico e incolore che Arianna provò
l’impulso di abbracciarlo, perché
aveva deglutito a fatica prima di fare quella domanda e la voce era
suonata
roca. Quella era la disperazione più concreta.
Julian scrollò il capo e
proseguì
imperterrito «Io vuoto il sacco Dami, dirò la
verità a mamà. Non ti
permetteranno più di vederla»
Arianna riuscì a prevedere le mosse di
Demian in anticipo senza difficoltà questa volta, e si
lanciò su di lui per
istinto, aggrappandosi al suo corpo prima che il ragazzo potesse
aggredire di
nuovo Jules. A muoverlo non era la rabbia cieca del tradimento
stavolta, ma la
disperazione di chi sta perdendo qualcosa di fondamentale.
«Tu non puoi!» la viva
costernazione
che traspariva era troppa, Arianna chiuse gli occhi, come per riuscire
ad
assimilarla meglio «Tu non puoi portarmela via! Non ne hai il
diritto! Io non le
farei mai del male, lo sai!»
Lo strinse più forte, un abbraccio che
divenne una morsa, per quanto glielo permettessero le sue braccina
esili,
sperando di riuscire almeno a ostacolarlo e trattenerlo a
sé. Non si era
nemmeno accorta di aver incominciato a ripetere, come un mantra
«Calmati, Demi!
Devi stare tranquillo, reagire così non serve a
nulla» con una voce tanto
flebile che, in verità, dubitava seriamente il ragazzo
potesse sentirla o
prestarle attenzione, nello stato confusionario in cui versava.
«La tua vita le farà male!
Quando
scoprirà che suo fratello è un drogato del cazzo
che passa più tempo a farsi di
acidi e valium piuttosto che stare con lei, ne uscirà
distrutta!»
Julian, inconsapevolmente, le aveva
appena sferrato un montante morale che quasi la mise al tappeto. Si
zittì e
cercò di assimilare lentamente la notizia.
Si
droga.
Assurdo,
guardandolo non sembra una verità così
improbabile. Eppure, chissà perché, non
lo avevo proprio messo in conto.
La fitta di panico non le impedì
comunque di rimanere avvinghiata al suo corpo, con una disperazione
nuova a sua
volta, un’incapacità di accettare una
realtà che non aveva assolutamente senso
per lei. Cercava di metterlo a fuoco e di comprendere che no, di lui
non aveva
capito proprio nulla.
Pensavo
di averlo inquadrato
Faceva quasi paura realizzare quanto si
fosse sbagliata. Però poi incrociò i suoi occhi
tiepidi, quasi irreali per la
loro trasparenza, taglienti come una scheggia di vetro con quel loro
taglio
nordico, e si ritrovò a sbattere brutalmente contro un muro
di costernazione.
C’era un tale disamore, dentro di lui, da ferirla. Guardarlo
era guardare se
stessa, una figura sottile come un’ombra in trasparenza
annebbiata dalla troppa
luce dell’alba. Era più grande di lei, Arianna si
sentì incatenata.
E
il peggio era che non riusciva a
dispiacersene.
La sua fragilità era tanto disarmante
quanto attraente, per una bellezza così soverchiante si
poteva tranquillamente
scegliere di affondare consapevolmente. Lo sentì spegnersi
nella sua stretta,
gli arti gli ricaddero inerti e tutto il suo corpo si
svuotò, come un
manichino, una bambola vuota. Come se il vuoto lo avesse dentro e lo
stesse
inghiottendo lentamente, un buco nero che risucchiava ogni sensazione.
Solo il suo mormorio sconsolato,
totalmente arreso, le diede un accenno della malinconia che si portava
dietro
come uno strascico troppo pesante.
«Io ho bisogno di lei»
Julian rimase pietrificato, ma solo un
istante. Con un sospiro cacciò fuori tutto il suo
risentimento «Sei un egoista.
Lei ha solo nove anni! Non ti può salvare dalla merda da cui
non vuoi uscire.
Non puoi aggrapparti a lei, dovresti essere il suo punto fermo, non il
contrario!»
Demian scattò di nuovo e la travolse,
senza che potesse opporre la minima resistenza. Arianna si
ritrovò compressa
tra i corpi dei due cugini che si urlavano contro e non
riuscì a far nulla per
separarli.
«Sei un bastardo! Vuoi solo liberarti
di me, non è vero? Sono la parte marcia, la cancrena della
famiglia, lo so
benissimo cosa pensate di me! Ma non vi permetterò di farlo,
non vi permetterò
mai di separarmi da Sarah!»
Il petto di Julian si gonfiò
d’aria e
indignazione «Sei tu che ti consideri un rifiuto, non gli
altri che ti trattano
come tale! La tua è una scelta, io non posso farci nulla se
hai l’autostima
sotto i piedi, ma se non ce la fai non ti permetterò di
trascinarci tutti sul
fondo con te!»
Demian riuscì a raggiungerlo, gli
spintonò una spalla e per poco Jules non cadde a terra
trascinandola
irrimediabilmente con lui. Fortunatamente, il biondino
l’afferrò per le spalle,
frenando la sua rovinosa caduta. Arianna sentì un battito
scapparle, non si era
fatta niente ma l’espressione di Demi, quel gesto,
l’avevano spaventata.
Eppure, quel viso candido che sembrava
scolpito nel marmo incrociò il suo e Arianna lo vide
trasfigurare ancora, un
misto di collera e colpa, la guardava ad occhi bassi, sopraffatto.
Non
voleva farmi male. Non voleva sfiorarmi… non voleva nemmeno
che io lo vedessi
in questo stato, è per questo che ha mentito. Si vergogna
«È per questo che
l’hai portata qui,
vero?» accusò di nuovo, con voce bassa,
più trattenuta «Volevi dimostrarle che
sei migliore di me? Volevi mostrarle quanto sono patetico?»
Julian scrollò le spalle, amareggiato
«Quanto
mi credi meschino? L’avrebbe scoperto lo stesso, non puoi
nasconderti. Lei ha
il diritto di sapere in cosa va a cacciarsi con te»
No,
questo
non è vero. Neanche Demian sa in cosa va a cacciarsi con me,
così è equo. Io
non sono migliore di lui, lo sembro soltanto e non è giusto
Il senso di
colpa le tolse la voce per dirlo. Perché Demian si
presentava come la più
splendente delle opportunità ed il suo lato più
egoistico lo sapeva, lo sapeva
fin troppo bene che le possibilità non si sprecavano, che
potevano non riappare
più dopo.
Le
piaceva, che in qualche modo distorto lui avesse
bisogno di lei, le piaceva troppo e non era positivo.
«E
glielo hai detto che sei un puttaniere del cazzo
che da quando l’ha vista punta solo a scoparsela?
Perché dovrebbe sapere anche
questo!» lo assalì con ritrovato vigore,
spingendola di nuovo con la schiena
contro il petto di Julian «Ti avverto che non la toccherai
mai, Cristo! Non ti
permetterò nemmeno di sfiorarla con un dito, non la devi
guardare!»
«È
una mocciosa alle prime armi, come dire che
potrei mai farmela! Le principianti non mi interessano! E comunque non
è un
cane, piantala di parlarne come se fosse Lalami!»
«Ma
se ti sei vantato fino a ieri di quanto sia
soddisfacente essere il primo!»
Ok,
la
conversazione sta prendendo una piega che non mi appartiene!
In
quel momento avrebbe dato qualunque cosa per
essere uno struzzo e poter cacciare la testa sottoterra, venti metri
sotto
l’asfalto fosse stato necessario a non doverli sentire
urlarsi contro certe
nefandezze.
«Stronzate,
lo sai benissimo che le vergini non le
sopporto! Ti si attaccano come una cozza e non te ne liberi
più! Ed hanno anche
la pretesa di essere trattate come speciali!»
Compressa
tra i due, Arianna sentì le guance
bollire di indignazione profonda per tutto il genere femminile
esistente e di
vergogna assoluta.
Se
dicono
un’altra scemenza, giuro che li prendo a ceffoni!
«Questo
perché tu….»
«Sono
l’ambasciatrice dei pastelli a cera del
Veneto!» strillò acutamente, coprendo le loro voci
con la prima cosa che le
venne in mente, giusto per zittirli.
Perché
se
non tacciono, parola mia che faccio una strage!
Le
fece eco, finalmente, il silenzio. Demian si
scostò da lei e così Julian, entrambi irrigiditi
nella loro perplessità la
guardavano con gli occhi strabuzzati dalla confusione. La sigaretta di
Dem era
più cenere che altro ormai, aveva fatto in tempo a
consumarsi sul marciapiede
nel mentre di quella allucinante e inconcludente discussione.
A
prezzo
della mia dignità, ma almeno ho ottenuto l’effetto
desiderato. E comunque fuma,
annotatelo, che qui le cose di cui prendere atto stanno leggermente
sfuggendo
di mano
«Finalmente
un po’ di silenzio!» esclamò stendendo
le braccia per allontanarli definitivamente l’uno
dall’altro. I due cugini
risposero alla debole pressione delle sue mani con una
passività inaspettata,
senza smettere di guardarla, improvvisamente inconsapevoli o
indifferenti alla
reciproca presenza.
Se
avessi
saputo che bastava così poco, avrei urlato prima
Sollevò
l’indice e lo brandì minacciosamente verso Demian,
che per istinto indietreggiò
di un passo, come un’abitudine, un gesto con cui si
confrontava abitualmente «Tu!»
lo apostrofò non senza una certa rabbia «Non
trattarmi come se fossi un
bambolotto, sia chiaro! E tu!» tuonò di nuovo,
voltandosi verso Julian e
picchiettandogli il dito sul petto. Il sorriso intenerito con cui lui
ricambiò
l’espressione più truce del suo repertorio
indispose Arianna «Tu sei veramente
pessimo!» sputò «E io so rendermi conto
delle cose benissimo da sola, senza
bisogno di un cavalier servente!»
«Sottotitolato:
levati dalle palle» sottolineò Demian seccato,
comparendo sopra la sua spalla.
Ecco,
annotati anche che quando
è arrabbiato diventa tremendamente volgare. Così,
giusto per tenere una lista
di punti
«Ti
sembra che io non sappia parlare abbastanza chiaramente da me? Ti
sembra che io
necessiti di sottotitoli?» ringhiò, e Demian si
accigliò e si ritrasse, con il
volto contratto «No, ma…»
«No!
Appunto!» lo interruppe prima che potesse dire qualche altra
sciocchezza in
grado di alterare il suo equilibrio psicofisico.
Demian
schiuse la bocca e così rimase, incapace di ricollegare
suoni a parole. Ovviamente,
il suo altrettanto idiota ma più sfacciato cugino non
riuscì a fare
altrettanto.
«Ha
un caratteraccio, te ne rendi conto? Solo tu potevi farti incastrare da
una
così»
Un’uscita
infelice, per il fin troppo orgoglioso ragazzo, che vanificò
ogni suo tentativo
di riportare pace nella galassia. Demian si gonfiò come
Anacleto quando Semola
lo aveva definito “impagliato” e Arianna seppe di
aver perso all’istante ogni
appiglio.
«Ti
ho già detto che è una cazzata. Fanculo te e lei.
Io me ne torno a casa» partì
a passo di marcia abbandonandoli alle sue spalle e Arianna, per un
momento
rimase smarrita tra loro due, incapace ancora una volta di reagire con
tempismo
o almeno di seguire il corso dei pensieri di quelle assurde persone.
Non era una
sensazione in cui incappava spesso, lo smarrimento, era più
abituata a
confondere che a essere confusa.
Ma
evidentemente mi sono
imbattuta in soggetti che quanto stranezza mi tengono testa e mi
superano pure
Le
spalle le si lasciarono andare in un eccesso di stanchezza, quasi
slegate dal
suo corpo, insieme all’ennesimo sospiro di disperazione ormai
non più sopita.
Con gli occhi seguì la figura di Demian, con
l’incertezza di cosa fosse meglio
fare a quel punto.
Magari
non ho idea di cosa sia
meglio fare, ma almeno so cosa sento di dover fare. E nel dubbio, forse
è
meglio affidarsi all’istinto
Si
voltò verso Julian, rimasto in silenzio con lo sguardo
basso. Le parve
stranamente distrutto, sconfitto per davvero, e Arianna
pensò che forse, anche
quando attaccava era per difendersi ed in qualche modo ferire suo
cugino lo
feriva a sua volta. Quella era l’espressione contratta di un
animo demolito,
l’aveva vista molte volte nella sua vita.
Per
questo gli sorrise con tutta la convinzione di cui era capace,
cercò
d’imprimere in ogni tratto del suo volto un
“andrà tutto bene, non devi
preoccuparti” che in qualche modo riuscì a
scioglierlo, perché Jules ricambiò,
seppur mestamente.
«Hai
capito perché l’ho fatto?» chiese, come
se avesse davvero bisogno di essere sicuro
di non essere stato frainteso. Per essere più grande e
così provocatorio,
lasciava trasparire una profonda insicurezza.
«Certo.
Ora che so, non può più fingere, giusto? Non
può più nascondere i segni. Tu
speri che la considerazione che ha di me lo porti a ridimensionarsi,
vero?»
Non
lo aveva compreso subito, eppure dopo quella discussione sembrava
evidente, per
qualche ragione Julian si era convinto che lei potesse avere un qualche
ascendente. Sinceramente, ne dubitava, ma probabilmente Jules si stava
giocando
un po’ il tutto e per tutto, con quel disgraziato di suo
cugino.
«Forse
tu potresti…» iniziò il ragazzo,
lasciando cadere la frase nel vuoto, la voce
che sfumava bassa e mesta. Tutta quella dolcezza di fondo la commosse,
scosse
il capo agitando i riccioli e sulle labbra sentì affiorare
il sorriso più vero
e sereno da tanto tempo, perché quei due le scaldavano
l’anima, con il loro
affetto grottesco.
«Lascialo
a me… mi prenderò cura di lui»
Demian
aveva una camminata strascicata.
Nel
silenzio in cui si era trincerato, non le
restava altro che seguirlo lentamente, cercando di non irritarlo. Si
era
accorto di lei, ma continuava a fingere di non sentirla, aveva scelto
di
ignorarla deliberatamente e di crogiolarsi nel proprio personale dramma.
Si
accese un’altra sigaretta, era già la seconda da
quando si erano separati da Julian, le fumava con gesti nervosi, quasi
nevrotici.
Ed
era bello.
Arianna
non ci aveva mai prestato troppa
attenzione, non ci si era mai soffermata. Ora però che si
trovava a spiarlo,
ora che poteva vedere solo la sua schiena, i capelli più
corti sul collo e in
apparenza tanto morbidi, ora che al massimo le concedeva uno squarcio
del suo
viso di tre quarti, quella bellezza quasi sensuale la colse
impreparata. Era
bello anche così malconcio, con l’aria trasandata
di chi nella vita sa solo
trascinarsi e l’espressione un poco crucciata un poco
assorta, persa da qualche
parte, come capitava a Jenevieve a volte, mentre le parlava. La boccata
di fumo
che si disperdeva poi dalle sue labbra gonfie, rosa pallido, aveva la
stessa
sfumatura dei lividi che segnavano la sua pelle eccessivamente bianca.
Mi
sembra
quasi di vederlo per la prima volta
Da
un certo punto di vista era vero, non aveva mai
preso coscienza del fatto che Demian fosse un ragazzo, a modo suo
affascinante,
e non per i tratti del volto innegabilmente eleganti e androgini, ma
proprio
per quella postura china di chi ha un peso enorme che non riesce a
lasciare
andare, per quella fragilità nascosta eppure tanto in vista
e tanto profonda da
travolgerla.
È
quasi un
cliché. È aggressivo, attaccabrighe e
completamente barricato in se stesso. È
imperscrutabile e in alcuni momenti diventa freddo, freddissimo, e
incredibilmente meschino. Eppure perché mi sembra un gattino
randagio tutto
sporco e spaurito che dimena vanamente la sua zampetta?
Perché
mi
hai fatto le fusa, se in realtà non vuoi essere avvicinato?
Demian
le aveva mentito, le aveva mostrato una
persona differente, si era nascosto dietro una facciata inconsistente.
E la
risposta, per quanto banale, doveva essere davvero la più
scontata.
Nessuno
è
fatto per stare da solo, nemmeno tu. Per questo sono qui, vero, Demian?
Il
ragazzo rallentò il passo ed Arianna si trovò ad
imitarlo ancora, ad adeguarsi al suo ritmo. Alla fine si
fermò e la guardò da
sopra la spalla, senza prendersi la briga di fronteggiarla davvero.
«Hai
intenzione di seguirmi ancora per molto?»
Aveva
un bel profilo, la luce di quell’alba lenta
illuminò la linea del naso e delle labbra, i capelli densi
sembravano morbidi e
consistenti come il cotone. Se avesse avuto l’occhio
dell’artista,
probabilmente avrebbe cercato in qualche modo di fermare
l’attimo, di ricordare
l’effetto caldo del sole sulla sua pelle di marmo. Arianna
però mancava di
talenti e se ne rammaricò, rimase stordita ad ammirare la
purezza incarnata in
un corpo sublime che sembrava troppo lontano
dall’imperfezione umana. La pelle
doveva avere la stessa compattezza di una statua antica, come le figure
delle
divinità sui libri di Storia dell’Arte. Le
bruciarono le guance per
l’improvviso ed irrazionale desiderio di toccarlo, per
sentirne il calore che
scacciasse quella chimera di irrealtà frustrante. Non era
troppo prestante, ma
la sua corporatura asciutta e sicura, con le braccia magre che
esponevano le
linee dei muscoli e dei tendini, dava una sensazione di
solidità su cui non si
era mai soffermata.
Demian
ringhiò «Allora?» con sufficiente astio
da
farla sussultare.
La
sua occhiata gelida la rese incredibilmente
insicura. Se fosse stato Daniele o chiunque altro probabilmente, le
sarebbe
bastato un abbraccio, senza dover dire nulla o dare spiegazioni che non
trovavano forma. Si morse le labbra in un attimo di ponderazione
«Stanotte ho
fatto un sogno strano» dichiarò, e non
riuscì a trattenere il sorriso. Demian
si sciolse, l’aria truce scivolò via dai suoi
tratti per lasciare spazio ad una
semplice ruga di perplessità tra le sopracciglia.
«Cosa?»
mormorò con cautela eccessiva, diventando
d’improvviso un’altra persona.
Non
sa
fare altro che saltare da una maschera all’altra,
è così concentrato a
difendersi da non accorgersi di nulla
Anche
questo suo aspetto insopportabile e
ingestibile l’affascinava, tragicamente.
Ah,
io con
te getto la spugna Arianna!
Chinò
appena la testa, in imbarazzo «Ero davvero
l’ambasciatrice dei pastelli a cera del Veneto. Avevo un
grandissimo talento in
questo campo e sono riuscita ad entrare nel marketing dei pastelli a
cera, una
specie di scalata al successo!»
Demian
si morse l’interno della guancia, era un tic
di disagio che Arianna gli aveva visto compiere spesso. Lo
guardò vacillare da
un piede all’altro, alla ricerca della cosa più
appropriata da dire, e
finalmente si voltò del tutto, annullando la sua sciocca
distanza mentale.
«…
intendi business?» optò infine.
Arianna
si accigliò un attimo, non realizzò subito
l’errore. In un secondo seppe di essere diventata rossa,
perché stava morendo
di caldo. Per abitudine si allargò lo scollo della maglia
«Marketing, business…
sono italiana, mica inglese!» sbottò, lasciandolo
se possibile ancora più a corto
di parole.
«E
comunque, mi scaricavano un sacco di scartoffie
e passavo il tempo a discutere se fossero meglio rotondi o quadrati,
anche se
ovviamente io insistevo per farli a stella perché
dai… sono così tanto più
belli a stella! Fossi una bambina e ci fossero, li comprerei solo a
stella. E
poi bisognava stare attenti ad un sacco di cose, come la composizione
chimica
della cera perché l’umidità dei canali
poteva compromettere la qualità del
prodotto» s’interruppe solo per sfoderare un
sorrisone soddisfatto a trentadue
denti «Insomma, alla fine mi hanno fatto membro onorario al
congresso dei
pastelli a cera! Indossavo pure un tailleur blu e, sinceramente, non mi
ero mai
immaginata con un tailleur. Però stavo bene!»
concluse e si sentì stranamente
gongolante nel ripercorre le proprie memorie accartocciate e indefinite
dal
sonno. Probabilmente, se Julian non l’avesse svegliata tanto
malamente, avrebbe
ricordato più dettagli. Le piaceva raccontare i suoi sogni a
Daniele e Luca, al
mattino, per fargli fare due risate. Dani avrebbe trovato la questione
dei
pastelli a cera estremamente esilarante, ne era certa.
Demian
invece sembrava solo confuso.
«Ma
cosa mangi a cena?» borbottò, gettando la
sigaretta a terra. Per un momento Arianna si sentì
scoraggiata, poi però Dem
alzò su di lei un sorriso sfuggevole, solo un accenno che le
risultò più che
sufficiente. Quella linea indulgente e tremendamente sincera, al limite
del
disarmo, era proprio ciò che sperava di ottenere, se
sorrideva allora una
breccia era ancora possibile.
«Avevo
anche un ufficio con una parete ricoperta di
pastelli a cera in gradazione cromatica, con gli stemmi in bella vista
perfettamente allineati. Pagavo una signora perché li
spolverasse tutti i
giorni! È stata un’illuminazione: ora non riesco a
immaginare per me altro
futuro!»
Dem
non smise di sorridere, ma sembrava più una
smorfia triste, l’ombra di un’angoscia abbastanza
persistente da strozzarle la
risata in gola. Quel principio di buon umore si spense sulle sue
labbra, non
era riuscita nel suo intento.
«Perché
fai finta di niente?» le sussurrò, si stava
mordendo l’interno della guancia, Arianna si rese conto che
girarci intorno
probabilmente, con lui, non era la giusta soluzione. Con suo fratello
era più
semplice, litigavano, andavano in paranoia e poi si chiarivano senza
mai
bisogno di spiegarsi, ma Demian era più complesso.
«Che
intendi?»
Il
ragazzo si adombrò lentamente. Le parve quasi
possibile vedere la sua mente come una piccola proiezione, un Demian
caricaturale in miniatura, che dopo aver curiosato fuori dal portone
della sua
imprendibile torre aveva deciso che nel mondo nulla era interessante e
si
sbatteva suddetta porta alle spalle.
Quante
volte bisogna scalarla, questa parete, prima che lui si rassegni e la
smetta di
chiudermi fuori?
«Non
fingere di non capire!» si alterò, gli occhi
assottigliati in una linea di
sprezzo e la voce più alta, senza motivo «Cosa
aspetti a sparire? Ora lo sai
che persona sono, vattene! Tieniti la tua compassione per te e smettila
di starmi
addosso!»
Arianna
sbatté le palpebre a vuoto un paio di volte più
del dovuto, sufficientemente
confusa.
«Andarmene?»
riuscì a mormorare, per essere sicura di aver davvero
afferrato.
Quindi
è
tutto qui il problema? Pensavi che sarei sparita e basta, come se non
avessimo
condiviso proprio nulla?
È
l’unica
opzione che non ho davvero contemplato, che stupida. Eppure ha ragione,
è la
più ovvia e la più logica.
Eppure,
il suo unico cruccio era stato cercare di
capire come renderlo ragionevole, se fosse giusto davvero cercare di
cambiarlo
o se fosse più sensato rassegnarsi e viverlo
così, per ciò che era, con tutte
le conseguenze che quella sua vita avrebbe portato con sé.
Perché
tutti meritiamo di essere amati per ciò che siamo, anche se
facciamo schifo e
siamo delle bestie. Basta una sola persona in grado di vederci nella
nostra
interezza, almeno per una volta.
A
lei una persona sarebbe bastata, era quella che
stava cercando e che sperava di ritrovare in Demian. E così,
forse, a sua volta
doveva essere in grado di accettare che non fosse buono, non fosse
bello, non
fosse per nulla giusto.
Gli
rispose con un sorriso, perché non sapeva in
che altro modo parlargli. Demian era un tipo che con le parole ci
faceva gran
poco, ma provava sempre a frugare tra i gesti, per questo scelse di
sorridere
con tutto l’affetto e la dolcezza che sentiva dentro, che
scaturiva da lui, un
gatto randagio piccolo e indifeso che tirava fuori le unghie e provava
a
graffiare chiunque gli si avvicinasse.
Proprio
come quel gattino inconsapevole, Demian era
ostile perché aveva solo fame, e nessuno lo capiva o
sembrava voler rimediare a
quella lenta e agonizzante morte per inedia.
Demian
si irrigidì, sigillò le labbra e la
studiò
con sospetto, forse ora più simile ad una pantera pronta a
balzare in un attacco
repentino. Quella tensione nel corpo e nelle spalle le
provocò un’ondata
d’affetto.
«Di
andarmene non ci avevo nemmeno pensato» proferì
con una tranquillità fittizia che in realtà
nascondeva l’ariete di sfondamento
con cui contava di far tremare le mura di una torre che non aveva
ragione di
esserci.
Tu
cerchi
disperatamente qualcuno che legga tra le tue righe, quindi vedi di fare
altrettanto!
La
tensione del corpo e delle spalle venne meno e
lentamente, quasi si stesse trattenendo per essere certo fino alla
fine, Demian
si rilassò e rilasciò un mezzo sospiro carico di
sollievo.
In
realtà
lui è davvero incredibile, anche se non potrò mai
dirglielo. Rappresenta tutto
ciò che ho sempre ammirato… è
pienezza, è una vita bruciata, vissuta in una
manciata di anni, troppo forte forse per qualcuno che, come lui, non ha
alcun
motivo di avere fretta. La sua è una vita sbagliata, ma gli
ha dato di più di
un’esistenza intera vissuta lasciandosi vivere.
Demian
è
l’intensità che desidero più di tutto
ma che non ho il coraggio di affrontare
da sola.
Questa
è
bellezza, è come se dentro di lui ci fosse un richiamo
categorico ad esistere.
«Dem,
ci vuoi venire in un posto con me?»
Osservò
il formarsi ormai familiare di quella ruga
d’espressione tra le sopracciglia bianche «La
domanda giusta è se tu vuoi
andarci con me»
Il
riso le venne spontaneo, come scavalcare quello
stupido muro immaginario che il ragazzo aveva frapposto tra loro. Gli
afferrò
la mano e agitò i ricci al vento con un sorriso felice sulle
labbra «Questa non
è la domanda giusta, Demi, è quella
stupida!»