Epilogo
Il sole batteva
forte e Sammy giocava felice al parco. Shannon ce l'aveva portata per
permettere a Stefania di andare a comprare gli ultimi ritocchi per la
cerimonia. Ormai si stavano veramente per sposare: quando l'aveva detto
ai suoi amici, quelli si erano messi a ridere e avevano creduto ad uno
scherzo. Tomo, poi, era addirittura caduto dalla sedia. Si erano
calmati solo quando avevano capito che la cosa era veramente seria. Tim
si era quasi strozzato con la Corona e poi lo aveva fissato senza aver
veramente capito. Ci era voluto un po' per far capire a tutti che
sì, lui, Shannon Leto, si sarebbe sposato di lì a
qualche mese. E solo dopo questo passo, aveva fatto capire che la
promessa sposa era Stefania. Sguardi curiosi ed uno apertamente ostile.
Shannon lo sapeva: Tim non avrebbe preso bene la situazione. In fondo
lui era la persona, insieme a Monica, che aveva seguito Stefania e
Samantha praticamente da sempre. Era stato la spalla su cui Stefy aveva
pianto e ora si sarebbe ritrovato messo da parte a causa sua.
Sì, decisamente visto con ostilità: ma non
importava, poteva prenderlo a pugni quanto voleva, lui l'avrebbe
sposata.
Ovviamente anche
Tim aveva "ceduto", non senza le sue raccomandazioni.
"Papà
guarda! Volo!" Samantha aveva accettato le nozze la giusta dose di
entusiasmo. Era andata in giro per la scuola a gridare ai quattro venti
che avrebbe fatto da damigella e che avrebbe sposato lo zio Jared. Il
dettaglio che ci fosse anche Monica era irrilevante.
"Dai scendi che
andiamo a vedere se la mamma ha finito le spese con la zia."
"La zia
è brutta...e cattiva." Shannon sorrise.
"E
perchè?"
"Perchè
da sempre i bacini allo zio."
"Bhe,
perchè gli vuole bene. Anche tu glieli dai." La
sentì borbottare qualcosa, poi la prese per mano e si
avviarono verso il centro, dove c'erano i negozi. Vide di sfuggita una
figura che li stava osservando, ma d'altro canto non ci fece molto caso.
"La mia micetta
ha speso abbastanza?" Le trovò mentre bevevano un succo di
frutta nella pasticceria di Monica. Sammy mise il broncio come Monica
la vide, ma si lasciò abbracciare dalla madre.
"Sì,
ho comprato alcune cosine sfiziose." E lanciò un'occhiata
alle borse di carta dove spiccava il logo di Victoria Secrets. Il
sogghigno malefico di Shan le fece venire parecchie idee su quello che
avrebbero fatto quella sera assieme.
"Non la finiva di
provarsi completi diversi." Fece Monica dal suo angolino. "Una noia."
"Oh avanti
Monica, conosco abbastanza Jared per sapere che anche lui apprezza
questi gingillini di pizzo e cotone." Monica sorrise guardando un punto
fuori dalla vetrina.
"Certo che li
apprezza... Solo che ha la bruttissima mania di strapparmeli. Diciamo
che sarebbe una spesa continua ed inutili. Preferisco andare avanti con
la biancheria semplice di cotone. Meno dispendioso."
"Puoi evitare di
parlare della tua biancheria davanti a mia figlia? Lei è
ancora innocente."
"A parte quando
vuole fregarmi Jared."
"E' solo una
bambina." Monica sbuffò, consapevole che quella discussione
era assurda, un po' come la sua gelosia per Samantha, ma quando c'era
lei Jared si eclissava e faceva capolino un essere sconosciuto, fatto
di sorrisini dolci, parole gentili voglia di giocare. Insomma, un altro
Jared che con lei non usciva. E la cosa le faceva male,
perchè le sembrava che tra loro mancasse qualcosa. Certo,
lui l'amava e lei amava lui, era stato assodato da tempo,
però... c'era sempre quel però da mettere in
conto. Sospirò guardando Shannon mentre se la spupazzava in
braccio facendola ridere. Lui sì che era un bravo
papà: e chi lo avrebbe mai sospettato.
"Noi andiamo."
Fece Stefania prendendo le sue borse con una mano e la figlia
nell'altra. "Devo sistemare un po' di cose e prendere l'appuntamento
per la parrucchiera. Monica, ci vieni con me?"
"Quando?"
"Il giorno del
mio matrimonio."
"Si
può fare."
Vide la
famigliola gaia e felice uscire e senza volerlo ebbe un fugace pensiero
dove era lei quella che usciva da un bar con una bambina e Jared al suo
fianco. No...era una visuale fin troppo irreale.
"Monica?" Si
riscosse dai suoi pensieri quando Deborah la richiamò.
"Dimmi."
"C'è
la signora Jones che è venuta a prendere la torta di
compleanno per il figlio. E' pronta, vero?"
"Ovvio. Pan di
Spagna, crema al cioccolato e disegno di Cars. Vado a prendertela,
così la incarti." Per lo meno il lavoro andava alla grande.
Ordinazioni di torte, flusso continuo di clienti al mattino, feste e
catering a profusione. Avanti di questo passo si sarebbe dovuta trovare
una aiutante.
"Eccola qui, la
Auguri Chris è pronta ad essere mangiata." La
portò dalla sua ormai proprietaria senza badare molto alla
figura seduta al tavolino. "Le va bene così, signora?"
"Oh cielo,
è perfetta. Sarà felicissimo, lui adora questa
macchina."
"Saetta
McQueen...bhe sì, è un cartone carino. Sono 30 $"
incassata e andata. Era bello trovare clienti che ogni tanto non
avevano niente da dire. Un pomeriggio era arrivata una mamma che non
aveva gradito del tutto il carattere della scritta. Un casino
allucinante a causa di una zoccola con la permanente fatta male.
"Ciao Amore..."
"Jay!" Jared era
sulla porta, perfetto nel suo stile barbone: jeans strappati e
infradito ai piedi, canotta viola e camicia a scacchi in tinta legata
in vita. Dulcis in fundo, barba lunga, ma curata, che Monica adorava:
in certi momenti intimi, con quella, riusciva a farla impazzire ancora
di più. "Che ci fai qui?"
"La conosci
quella barbara usanza in cui i testimoni comprano le fedi per gli
sposi, vero?"
"Certo..."
"Ecco,
è il giorno è arrivato e quindi io e te, che
siamo i fortunati, andiamo a prendere gli anelli. E soprattutto a
pagarli." Lei sorrise. "Ce la fai adesso, vero? Non sei troppo
occupata."
"No, figurati. Il
tempo di togliermi questo grembiule e sono tutta tua."
"La cosa mi piace
molto."
"Ma la smettete
voi due, siete più melensi del miele." Monica
arrossì leggermente, ma la sua commessa stava già
ridendo.
"A te fa male
stare troppo tempo senza farlo." E così era riuscita a farla
arrossire pure a lei. Non che ci volesse molto, in effetti."Andiamo."
"Scusa, Monica,
possiamo parlare?" Il tempo si fermò in quel istante.
Nessuno dei tre presenti si era accorto che la figura sul tavolino si
era mossa verso di loro. Era talmente insignificante come persona, che
si erano dimenticati che era lì. Solo quando lo vide in
faccia, Monica riuscì ad avere una minima reazione.
"Vaffanculo." Non
una reazione molto gentile. Jared la fissò: di rado l'aveva
vista così arrabbiata e di solito passava in fretta, ma in
quel momento era pallida, con gli occhi che saettavano.
Guardò il ragazzo che stava davanti a loro. Era abbastanza
alto, magro, con i capelli di un biondo cenere. Era vestito bene
nonostante la calura: perfetta camicia inamidata senza apparenti aloni
di sudore, cravatta perfettamente allacciata e pantaloni senza una
piega. Sembrava un perfetto impiegato. Però il viso era
quello di un bambino: niente barba, neppure un accenno, gote rosee e
occhi incredibilmente grandi, ma di un color azzurro annacquato, quasi
inespressivi. Insomma, incredibilmente insignificante.
"Senti, lo so che
sei arrabbiata, ma..."
"Arrabbiata? No,
credo che non renda bene il mio stato d'animo. Stammi lontana e stai
lontano da Stefania, sennò giurò che ti riduco
così male che neanche tua madre riuscirebbe a riconoscerti."
"Monica, chi
è questo tizio?" Domandò Jared indicandolo.
"Salve, io sono
Mark Simmons." Gli tese la mano, che Jared accettò ancora
piuttosto confuso.
"Jared Leto. E
quindi?"
"E quindi,
piccolo topino, lui è il bastardo che ha messo incinta
Stefania, ma, ancora peggio, è il figlio di puttana,
salvando sua madre s'intende, che ha abbandonato Samantha." il tono di
voce era cattivo, le parole sputate fuori con violenza. Jared, che gli
aveva teso la mano, la ritirò come scottato e
fissò il nuovo arrivato con disdegno.
"Bhe,
sì ok...ma, posso spiegare."
"No, tu non puoi
spiegare e sai perchè, brutto stronzo?" Fece Monica
pericolosamente al limite. "Non puoi spiegare niente, perchè
non c'è niente da spiegare. Te ne sei andato, le hai
lasciate a loro stesse. Hai lasciato tua figlia!" e gli
mollò un ceffone che lo fece volare. Debby decise,
saggiamente, di tornare dietro al banco e fare finta che niente stesse
succedendo, mentre Jared la prese per le spalle per staccarla dal
malcapitato.
“Monica,
basta…capace che ti denuncia.” Jared la
sentì testa, un fascio di nervi sotto le sue mani, rabbia a
livelli esponenziali.
“Senti,
lo so che l’ho lasciata e credimi, non ne vado fiero.
È per questo che sono tornato qui, voglio prendere le mie
responsabilità e diventare suo padre a tutti gli
effetti.”
“Samantha
ha già un padre.” Jared Stupì Monica:
quell’uscita da lui non se l’aspettava proprio.
“Stefania tra due settimane si sposa con mio fratello e lui
vuole adottare la bambina. Ha già preparato le carte, la
bimba è felice e tutto si sistemerà. Saranno una
bella famiglia e non credo che sia giusto sconvolgerla
così.”
“È
sempre mia figlia.”
“Solo
biologicamente." riprese Monica "Non ci sei mai stato nei momenti
importanti: la sua prima parola, i suoi primi passi…il primo
giorno di scuola. Non li ha visti neppure Shannon, ma in questo anno
è stato più presente lui di chiunque altro,
compresi me e Tim. Non ha bisogno di te che le scombussoli la vita,
giuro che non te lo permetterò.” Mark perse la
pazienza.
“Non
sei nessuno per giudicare.”
“Sono
la persona che alle quattro di mattina ha portato la sua migliore amica
all’ospedale per partorire, facendosi stringere la mano quasi
a rompersela per starle vicino in sala parto, cosa che non
farò mai più; sono la stessa persona che quando
Samantha bruciava di febbre, le andava a prendere le medicine; sono la
sua madrina. Io sono qualcuno per lei, tu no.”
Mark si sedette
distrutto e si passò la mano sulla fronte.
“Io
voglio parlare con Stefania, solo questo. Non voglio sposarmi con lei o
cose simili. Che sia felice, se lo merita, ma… vorrei poter
vedere mia figlia.”
“Monica…”
Deborah la chiamava.
“Dimmi.”
“Stefy
al telefono, dice che al cell non rispondi. Che le dico?”
“Dille
che sono occupata adesso. La richiamo tra cinque minuti, il tempo di
finire.” Prese un profondo respiro. Sentì chiara e
netta la presenza di Jared dietro di lei: non la stava abbracciando o
toccando, ma era come se le stesse supportando al massimo.
Silenziosamente lo ringraziò. “Senti, qualsiasi
cosa tu voglia fare, fallo. Ma ti avviso…se una delle due
soffrirà, Stefania o Samantha, giuro che ti
ucciderò. Non so come, ancora, ma troverò un modo
e sarà più doloroso possibile, ok?”
“Monica
tu non puoi…”
“Ok?”
“Va
bene.”
“Ora
esci dal mio locale, non sei il benvenuto qui, né ora,
né mai.”
Mark
uscì un po’ con la coda tra le gambe: sapeva che
c’era il rischio che lei non lo ascoltasse, ma sperava in un
briciolo di comprensione da parte di Monica. Che ovviamente non
c’era stato.
“Come
ti senti?” Finalmente Jared l’abbracciò:
per non dare spettacolo si erano spostati al laboratorio. Era
silenzioso, con tutti i macchinari spenti, semplicemente con il ronzio
dei frigoriferi a riempire il vuoto.
“Svuotata.
Se non mi tieni tu, io crollo.”
“Allora
ti tengo stretta a me, che dici?” Lei sorrise sul suo collo:
era profumato e morbido, con quella barba soffice che le stuzzicava le
labbra.
“Non so
più che cosa fare. Ok, posso minacciare, fare la voce
grossa, ma se lui decide di vederla sul serio non glielo
potrà impedire nessuno. Voglia o non voglia lui è
veramente suo padre e può far valere i suoi diritti
più di tuo fratello che, nonostante ami entrambe, non ha
legami diretti con Samantha. È frustrante e non me la sento
di parlarne con Stefy.” Rimasero abbracciati ancora un
po’, fino a quando Monica non si staccò
leggermente.
“Che
c’è?” Aveva lo sguardo vivo e un
po’ più di colore in volto.
“Posso
parlare con qualcun altro, no?” Andò a prendere il
cellulare nella borsetta e aspettò che prendesse la linea.
Sorrise “Ciao. Devo dirti una cosa importante.”
Mark si era
appostato sotto casa di Stefania. Quando l’aveva lasciata,
lei non si era trasferita, era rimasta nel solito appartamento, quindi
non era stato difficile trovarla. Ora, però, non sapeva bene
cosa fare. La tattica di prendere di sorpresa Monica, non aveva
funzionato alla grande. Sperava che essendo in un luogo pubblico, lei
avrebbe mantenuto un contegno migliore, ma non era stato
così. Quindi come parlare con Stefania? Poteva piombarle in
casa in quel momento? O forse meglio telefonarle prima? O cercare un
approccio da uomo ad uomo con il suo compagno, ma dopo aver visto i
bicipiti che si ritrovava, ci aveva ripensato. Ok, meglio buttarsi
direttamente, o avrebbe perso solo del tempo. Li aveva visti tutti e
tre rientrare in casa: la bambina era bellissima e, tristemente, uguale
a suo madre. Sembrava che di lui non avesse preso nulla, neppure la
carnagione o la forma del viso. Insomma, praticamente era come se lui
non fosse esistito. Gli tornarono in mente le parole di Monica dovette
ammettere che forse la ragazza non aveva tutti i torti. Prese un
profondo respiro ed uscì dall’auto.
Non si accorse
quasi del braccio che lo prese per le spalle e lo trasportava lontano
dall’appartamento di Stefania.
“Cosa
diavolo…?”
“Bentornato
Mark, se per te è un piacere vedermi, sappi che non
è reciproco.” Mark lo sapeva…Monica non
poteva starsene buona, sapeva che lo avrebbe chiamato, ma non pensava
che gli tendesse quel agguato.
“Timothy?”
“Secondo
errore della giornata: solo mia madre mi chiama così e a me
non piace. Tu mi chiami Tim o al massimo…no, Tim mi va
bene.”
Si ritrovarono
seduti al tavolino di un bar e al volo si ritrovarono pure due Corone
appena stappate. La cameriera fece l’occhiolino a Tim. Mark
lo osservò: erano passati anni, ma lui non sembrava
cambiato. Sempre molto alto, vestito un po’ come gli
capitava, e la faccia da perenne bambino. Solo i capelli li aveva
cambiati: non erano più lunghi, bensì tagliati
con un ciuffo molto ampio che gli coprivano in parte gli occhi. Di
solito rideva sempre, ma non quel giorno. Le labbra erano ferme e
tirate.
“È
stata Monica ad avvisarti?”
“Eh
sì. Che vuoi, gli amici si vedono nel momento del bisogno,
ma ho paura che tu non sappia di cosa io stia parlando. Comunque, io so
quello che tu vuoi fare e non mi sta bene.”
“E chi
sei tu per decidere quello che è meglio per mia
figlia?” Gli occhi di Tim diventarono ancora più
offuscati.
“Si
chiama Samantha e non è tua figlia. E io sono il suo
padrino. E detto ciò ascoltami bene: sappiamo benissimo che
le femmine si divertono a fare minacce che poi, per buon cuore, non
mettono in atto. Sai sono donne e il sangue di solito le
schifa.” Mark pensò che Monica non facesse parte
di questo tipo di donne, ma evitò di parlarne con Tim.
“Ma io non sono una donna. Più persone lo possono
confermare, cameriera di questo bar, inclusa, e quindi ti dico senza
problema che se fai del male a Stefania o a Sammy, io ti
uccido.” Un leggero brivido scese lungo la schiena di Mark.
Era serio, come non lo era mai stato in vita sua. “Non mi
metterò a cercare strani metodi di morte o cose simili,
sarò diretto e brutale, e se finirò in galera, me
ne fotto. Tanto lo so che ci sarà più di qualcuno
disposto a darmi un alibi.” Tim tirò fuori la
sigaretta e l’accendino, ma non l’accese, si
limitò a farla passare per le dita, valutandone lo spessore
e la morbidezza. L’accarezzava come si accarezzava una bella
ragazza.
“Stai
cercando di intimorirmi?”
“Non
cerco di farlo…lo faccio punto e basta. Vattene da qui, per
sempre. Lascia perdere Samantha, lascia perdere Stefania. Rifatti una
vita e non romperci i coglioni, ci siamo intesi?” Mark prese
la bottiglia di birra e ne bevette un sorso. Meditava, mentre Tim, con
tutta la tranquillità del mondo, flirtava con la barista che
gli lanciava occhiate languide.
“E se
io adesso andassi da loro e ci parlassi?”
“Troveresti
Shannon e anche me, dato che devo andare a parlare del loro matrimonio.
E poi sarà a tuo rischio e pericolo.” Mise
giù la bottiglia e andò a pagare. Se ne
uscì senza neppure salutare e si avviò a casa
della sua figlioccia.
Mark
fissò la vetrina del locale: niente da fare, non
c’era possibilità di uscire da quella situazione
con le ossa tutte rotte. Monica, Tim e di sicuro quel Shannon, non
avrebbero fatto passare la cosa in silenzio. Sospirò e si
avviò verso la macchina: doveva tornare a casa.
“Mi
scusi?” la cameriera lo stava richiamando.
“Mi
dica.”
“Deve
pagare.” Evidentemente Tim stava iniziando la sua vendetta.
Lasciò i soldi sul banco e salutò:
già, meglio non tornare da quelle parti mai più.
fine
Bene, ringrazio tutti coloro che hanno recensito questa storia.
Un bacione grande e alla prossima!!!
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