Fanfic su artisti musicali > 30 Seconds to Mars
Segui la storia  |       
Autore: PrincesMonica    15/07/2009    6 recensioni
E' una storia totalmente AU prettamente su Shannon. E' stata scritta per il compleanno di una mia carissima amica, quindi preparatevi a tinte rosa pastello e dolciotte.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Shannon Leto
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Epilogo

Il sole batteva forte e Sammy giocava felice al parco. Shannon ce l'aveva portata per permettere a Stefania di andare a comprare gli ultimi ritocchi per la cerimonia. Ormai si stavano veramente per sposare: quando l'aveva detto ai suoi amici, quelli si erano messi a ridere e avevano creduto ad uno scherzo. Tomo, poi, era addirittura caduto dalla sedia. Si erano calmati solo quando avevano capito che la cosa era veramente seria. Tim si era quasi strozzato con la Corona e poi lo aveva fissato senza aver veramente capito. Ci era voluto un po' per far capire a tutti che sì, lui, Shannon Leto, si sarebbe sposato di lì a qualche mese. E solo dopo questo passo, aveva fatto capire che la promessa sposa era Stefania. Sguardi curiosi ed uno apertamente ostile. Shannon lo sapeva: Tim non avrebbe preso bene la situazione. In fondo lui era la persona, insieme a Monica, che aveva seguito Stefania e Samantha praticamente da sempre. Era stato la spalla su cui Stefy aveva pianto e ora si sarebbe ritrovato messo da parte a causa sua. Sì, decisamente visto con ostilità: ma non importava, poteva prenderlo a pugni quanto voleva, lui l'avrebbe sposata.
Ovviamente anche Tim aveva "ceduto", non senza le sue raccomandazioni.
"Papà guarda! Volo!" Samantha aveva accettato le nozze la giusta dose di entusiasmo. Era andata in giro per la scuola a gridare ai quattro venti che avrebbe fatto da damigella e che avrebbe sposato lo zio Jared. Il dettaglio che ci fosse anche Monica era irrilevante.
"Dai scendi che andiamo a vedere se la mamma ha finito le spese con la zia."
"La zia è brutta...e cattiva." Shannon sorrise.
"E perchè?"
"Perchè da sempre i bacini allo zio."
"Bhe, perchè gli vuole bene. Anche tu glieli dai." La sentì borbottare qualcosa, poi la prese per mano e si avviarono verso il centro, dove c'erano i negozi. Vide di sfuggita una figura che li stava osservando, ma d'altro canto non ci fece molto caso.

"La mia micetta ha speso abbastanza?" Le trovò mentre bevevano un succo di frutta nella pasticceria di Monica. Sammy mise il broncio come Monica la vide, ma si lasciò abbracciare dalla madre.
"Sì, ho comprato alcune cosine sfiziose." E lanciò un'occhiata alle borse di carta dove spiccava il logo di Victoria Secrets. Il sogghigno malefico di Shan le fece venire parecchie idee su quello che avrebbero fatto quella sera assieme.
"Non la finiva di provarsi completi diversi." Fece Monica dal suo angolino. "Una noia."
"Oh avanti Monica, conosco abbastanza Jared per sapere che anche lui apprezza questi gingillini di pizzo e cotone." Monica sorrise guardando un punto fuori dalla vetrina.
"Certo che li apprezza... Solo che ha la bruttissima mania di strapparmeli. Diciamo che sarebbe una spesa continua ed inutili. Preferisco andare avanti con la biancheria semplice di cotone. Meno dispendioso."
"Puoi evitare di parlare della tua biancheria davanti a mia figlia? Lei è ancora innocente."
"A parte quando vuole fregarmi Jared."
"E' solo una bambina." Monica sbuffò, consapevole che quella discussione era assurda, un po' come la sua gelosia per Samantha, ma quando c'era lei Jared si eclissava e faceva capolino un essere sconosciuto, fatto di sorrisini dolci, parole gentili voglia di giocare. Insomma, un altro Jared che con lei non usciva. E la cosa le faceva male, perchè le sembrava che tra loro mancasse qualcosa. Certo, lui l'amava e lei amava lui, era stato assodato da tempo, però... c'era sempre quel però da mettere in conto. Sospirò guardando Shannon mentre se la spupazzava in braccio facendola ridere. Lui sì che era un bravo papà: e chi lo avrebbe mai sospettato.
"Noi andiamo." Fece Stefania prendendo le sue borse con una mano e la figlia nell'altra. "Devo sistemare un po' di cose e prendere l'appuntamento per la parrucchiera. Monica, ci vieni con me?"
"Quando?"
"Il giorno del mio matrimonio."
"Si può fare."
Vide la famigliola gaia e felice uscire e senza volerlo ebbe un fugace pensiero dove era lei quella che usciva da un bar con una bambina e Jared al suo fianco. No...era una visuale fin troppo irreale.
"Monica?" Si riscosse dai suoi pensieri quando Deborah la richiamò.
"Dimmi."
"C'è la signora Jones che è venuta a prendere la torta di compleanno per il figlio. E' pronta, vero?"
"Ovvio. Pan di Spagna, crema al cioccolato e disegno di Cars. Vado a prendertela, così la incarti." Per lo meno il lavoro andava alla grande. Ordinazioni di torte, flusso continuo di clienti al mattino, feste e catering a profusione. Avanti di questo passo si sarebbe dovuta trovare una aiutante.
"Eccola qui, la Auguri Chris è pronta ad essere mangiata." La portò dalla sua ormai proprietaria senza badare molto alla figura seduta al tavolino. "Le va bene così, signora?"
"Oh cielo, è perfetta. Sarà felicissimo, lui adora questa macchina."
"Saetta McQueen...bhe sì, è un cartone carino. Sono 30 $" incassata e andata. Era bello trovare clienti che ogni tanto non avevano niente da dire. Un pomeriggio era arrivata una mamma che non aveva gradito del tutto il carattere della scritta. Un casino allucinante a causa di una zoccola con la permanente fatta male.
"Ciao Amore..."
"Jay!" Jared era sulla porta, perfetto nel suo stile barbone: jeans strappati e infradito ai piedi, canotta viola e camicia a scacchi in tinta legata in vita. Dulcis in fundo, barba lunga, ma curata, che Monica adorava: in certi momenti intimi, con quella, riusciva a farla impazzire ancora di più. "Che ci fai qui?"
"La conosci quella barbara usanza in cui i testimoni comprano le fedi per gli sposi, vero?"
"Certo..."
"Ecco, è il giorno è arrivato e quindi io e te, che siamo i fortunati, andiamo a prendere gli anelli. E soprattutto a pagarli." Lei sorrise. "Ce la fai adesso, vero? Non sei troppo occupata."
"No, figurati. Il tempo di togliermi questo grembiule e sono tutta tua."
"La cosa mi piace molto."
"Ma la smettete voi due, siete più melensi del miele." Monica arrossì leggermente, ma la sua commessa stava già ridendo.
"A te fa male stare troppo tempo senza farlo." E così era riuscita a farla arrossire pure a lei. Non che ci volesse molto, in effetti."Andiamo."
"Scusa, Monica, possiamo parlare?" Il tempo si fermò in quel istante. Nessuno dei tre presenti si era accorto che la figura sul tavolino si era mossa verso di loro. Era talmente insignificante come persona, che si erano dimenticati che era lì. Solo quando lo vide in faccia, Monica riuscì ad avere una minima reazione.
"Vaffanculo." Non una reazione molto gentile. Jared la fissò: di rado l'aveva vista così arrabbiata e di solito passava in fretta, ma in quel momento era pallida, con gli occhi che saettavano. Guardò il ragazzo che stava davanti a loro. Era abbastanza alto, magro, con i capelli di un biondo cenere. Era vestito bene nonostante la calura: perfetta camicia inamidata senza apparenti aloni di sudore, cravatta perfettamente allacciata e pantaloni senza una piega. Sembrava un perfetto impiegato. Però il viso era quello di un bambino: niente barba, neppure un accenno, gote rosee e occhi incredibilmente grandi, ma di un color azzurro annacquato, quasi inespressivi. Insomma, incredibilmente insignificante.
"Senti, lo so che sei arrabbiata, ma..."
"Arrabbiata? No, credo che non renda bene il mio stato d'animo. Stammi lontana e stai lontano da Stefania, sennò giurò che ti riduco così male che neanche tua madre riuscirebbe a riconoscerti."
"Monica, chi è questo tizio?" Domandò Jared indicandolo.
"Salve, io sono Mark Simmons." Gli tese la mano, che Jared accettò ancora piuttosto confuso.
"Jared Leto. E quindi?"
"E quindi, piccolo topino, lui è il bastardo che ha messo incinta Stefania, ma, ancora peggio, è il figlio di puttana, salvando sua madre s'intende, che ha abbandonato Samantha." il tono di voce era cattivo, le parole sputate fuori con violenza. Jared, che gli aveva teso la mano, la ritirò come scottato e fissò il nuovo arrivato con disdegno.
"Bhe, sì ok...ma, posso spiegare."
"No, tu non puoi spiegare e sai perchè, brutto stronzo?" Fece Monica pericolosamente al limite. "Non puoi spiegare niente, perchè non c'è niente da spiegare. Te ne sei andato, le hai lasciate a loro stesse. Hai lasciato tua figlia!" e gli mollò un ceffone che lo fece volare. Debby decise, saggiamente, di tornare dietro al banco e fare finta che niente stesse succedendo, mentre Jared la prese per le spalle per staccarla dal malcapitato.
“Monica, basta…capace che ti denuncia.” Jared la sentì testa, un fascio di nervi sotto le sue mani, rabbia a livelli esponenziali.
“Senti, lo so che l’ho lasciata e credimi, non ne vado fiero. È per questo che sono tornato qui, voglio prendere le mie responsabilità e diventare suo padre a tutti gli effetti.”
“Samantha ha già un padre.” Jared Stupì Monica: quell’uscita da lui non se l’aspettava proprio. “Stefania tra due settimane si sposa con mio fratello e lui vuole adottare la bambina. Ha già preparato le carte, la bimba è felice e tutto si sistemerà. Saranno una bella famiglia e non credo che sia giusto sconvolgerla così.”
“È sempre mia figlia.”
“Solo biologicamente." riprese Monica "Non ci sei mai stato nei momenti importanti: la sua prima parola, i suoi primi passi…il primo giorno di scuola. Non li ha visti neppure Shannon, ma in questo anno è stato più presente lui di chiunque altro, compresi me e Tim. Non ha bisogno di te che le scombussoli la vita, giuro che non te lo permetterò.” Mark perse la pazienza.
“Non sei nessuno per giudicare.”
“Sono la persona che alle quattro di mattina ha portato la sua migliore amica all’ospedale per partorire, facendosi stringere la mano quasi a rompersela per starle vicino in sala parto, cosa che non farò mai più; sono la stessa persona che quando Samantha bruciava di febbre, le andava a prendere le medicine; sono la sua madrina. Io sono qualcuno per lei, tu no.”
Mark si sedette distrutto e si passò la mano sulla fronte.
“Io voglio parlare con Stefania, solo questo. Non voglio sposarmi con lei o cose simili. Che sia felice, se lo merita, ma… vorrei poter vedere mia figlia.”
“Monica…” Deborah la chiamava.
“Dimmi.”
“Stefy al telefono, dice che al cell non rispondi. Che le dico?”
“Dille che sono occupata adesso. La richiamo tra cinque minuti, il tempo di finire.” Prese un profondo respiro. Sentì chiara e netta la presenza di Jared dietro di lei: non la stava abbracciando o toccando, ma era come se le stesse supportando al massimo. Silenziosamente lo ringraziò. “Senti, qualsiasi cosa tu voglia fare, fallo. Ma ti avviso…se una delle due soffrirà, Stefania o Samantha, giuro che ti ucciderò. Non so come, ancora, ma troverò un modo e sarà più doloroso possibile, ok?”
“Monica tu non puoi…”
“Ok?”
“Va bene.”
“Ora esci dal mio locale, non sei il benvenuto qui, né ora, né mai.”
Mark uscì un po’ con la coda tra le gambe: sapeva che c’era il rischio che lei non lo ascoltasse, ma sperava in un briciolo di comprensione da parte di Monica. Che ovviamente non c’era stato.
“Come ti senti?” Finalmente Jared l’abbracciò: per non dare spettacolo si erano spostati al laboratorio. Era silenzioso, con tutti i macchinari spenti, semplicemente con il ronzio dei frigoriferi a riempire il vuoto.
“Svuotata. Se non mi tieni tu, io crollo.”
“Allora ti tengo stretta a me, che dici?” Lei sorrise sul suo collo: era profumato e morbido, con quella barba soffice che le stuzzicava le labbra.
“Non so più che cosa fare. Ok, posso minacciare, fare la voce grossa, ma se lui decide di vederla sul serio non glielo potrà impedire nessuno. Voglia o non voglia lui è veramente suo padre e può far valere i suoi diritti più di tuo fratello che, nonostante ami entrambe, non ha legami diretti con Samantha. È frustrante e non me la sento di parlarne con Stefy.” Rimasero abbracciati ancora un po’, fino a quando Monica non si staccò leggermente.
“Che c’è?” Aveva lo sguardo vivo e un po’ più di colore in volto.
“Posso parlare con qualcun altro, no?” Andò a prendere il cellulare nella borsetta e aspettò che prendesse la linea. Sorrise “Ciao. Devo dirti una cosa importante.”

Mark si era appostato sotto casa di Stefania. Quando l’aveva lasciata, lei non si era trasferita, era rimasta nel solito appartamento, quindi non era stato difficile trovarla. Ora, però, non sapeva bene cosa fare. La tattica di prendere di sorpresa Monica, non aveva funzionato alla grande. Sperava che essendo in un luogo pubblico, lei avrebbe mantenuto un contegno migliore, ma non era stato così. Quindi come parlare con Stefania? Poteva piombarle in casa in quel momento? O forse meglio telefonarle prima? O cercare un approccio da uomo ad uomo con il suo compagno, ma dopo aver visto i bicipiti che si ritrovava, ci aveva ripensato. Ok, meglio buttarsi direttamente, o avrebbe perso solo del tempo. Li aveva visti tutti e tre rientrare in casa: la bambina era bellissima e, tristemente, uguale a suo madre. Sembrava che di lui non avesse preso nulla, neppure la carnagione o la forma del viso. Insomma, praticamente era come se lui non fosse esistito. Gli tornarono in mente le parole di Monica dovette ammettere che forse la ragazza non aveva tutti i torti. Prese un profondo respiro ed uscì dall’auto.
Non si accorse quasi del braccio che lo prese per le spalle e lo trasportava lontano dall’appartamento di Stefania.
“Cosa diavolo…?”
“Bentornato Mark, se per te è un piacere vedermi, sappi che non è reciproco.” Mark lo sapeva…Monica non poteva starsene buona, sapeva che lo avrebbe chiamato, ma non pensava che gli tendesse quel agguato.
“Timothy?”
“Secondo errore della giornata: solo mia madre mi chiama così e a me non piace. Tu mi chiami Tim o al massimo…no, Tim mi va bene.”
Si ritrovarono seduti al tavolino di un bar e al volo si ritrovarono pure due Corone appena stappate. La cameriera fece l’occhiolino a Tim. Mark lo osservò: erano passati anni, ma lui non sembrava cambiato. Sempre molto alto, vestito un po’ come gli capitava, e la faccia da perenne bambino. Solo i capelli li aveva cambiati: non erano più lunghi, bensì tagliati con un ciuffo molto ampio che gli coprivano in parte gli occhi. Di solito rideva sempre, ma non quel giorno. Le labbra erano ferme e tirate.
“È stata Monica ad avvisarti?”
“Eh sì. Che vuoi, gli amici si vedono nel momento del bisogno, ma ho paura che tu non sappia di cosa io stia parlando. Comunque, io so quello che tu vuoi fare e non mi sta bene.”
“E chi sei tu per decidere quello che è meglio per mia figlia?” Gli occhi di Tim diventarono ancora più offuscati.
“Si chiama Samantha e non è tua figlia. E io sono il suo padrino. E detto ciò ascoltami bene: sappiamo benissimo che le femmine si divertono a fare minacce che poi, per buon cuore, non mettono in atto. Sai sono donne e il sangue di solito le schifa.” Mark pensò che Monica non facesse parte di questo tipo di donne, ma evitò di parlarne con Tim. “Ma io non sono una donna. Più persone lo possono confermare, cameriera di questo bar, inclusa, e quindi ti dico senza problema che se fai del male a Stefania o a Sammy, io ti uccido.” Un leggero brivido scese lungo la schiena di Mark. Era serio, come non lo era mai stato in vita sua. “Non mi metterò a cercare strani metodi di morte o cose simili, sarò diretto e brutale, e se finirò in galera, me ne fotto. Tanto lo so che ci sarà più di qualcuno disposto a darmi un alibi.” Tim tirò fuori la sigaretta e l’accendino, ma non l’accese, si limitò a farla passare per le dita, valutandone lo spessore e la morbidezza. L’accarezzava come si accarezzava una bella ragazza.
“Stai cercando di intimorirmi?”
“Non cerco di farlo…lo faccio punto e basta. Vattene da qui, per sempre. Lascia perdere Samantha, lascia perdere Stefania. Rifatti una vita e non romperci i coglioni, ci siamo intesi?” Mark prese la bottiglia di birra e ne bevette un sorso. Meditava, mentre Tim, con tutta la tranquillità del mondo, flirtava con la barista che gli lanciava occhiate languide.
“E se io adesso andassi da loro e ci parlassi?”
“Troveresti Shannon e anche me, dato che devo andare a parlare del loro matrimonio. E poi sarà a tuo rischio e pericolo.” Mise giù la bottiglia e andò a pagare. Se ne uscì senza neppure salutare e si avviò a casa della sua figlioccia.
Mark fissò la vetrina del locale: niente da fare, non c’era possibilità di uscire da quella situazione con le ossa tutte rotte. Monica, Tim e di sicuro quel Shannon, non avrebbero fatto passare la cosa in silenzio. Sospirò e si avviò verso la macchina: doveva tornare a casa.
“Mi scusi?” la cameriera lo stava richiamando.
“Mi dica.”
“Deve pagare.” Evidentemente Tim stava iniziando la sua vendetta. Lasciò i soldi sul banco e salutò: già, meglio non tornare da quelle parti mai più.

fine


Bene, ringrazio tutti coloro che hanno recensito questa storia.
Un bacione grande e alla prossima!!!
   
 
Leggi le 6 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > 30 Seconds to Mars / Vai alla pagina dell'autore: PrincesMonica