Leo
è in ospedale da parecchi mesi, ormai, ed è consapevole
di come, in questo ambiente, tutto venga amplificato, anche le
relazioni; nonostante ciò, continua a stupirsene. Dopo una
giornata un po' movimentata, la sera si ritrova nella stanza di
Rocco, insieme a questi altri quattro ragazzi che fino a pochi giorni
fa erano degli sconosciuti, e che adesso entrano invece a far parte
del suo gruppo: i Braccialetti Rossi sono ora al completo!
Lunedì,
25 febbraio 2013
Stamattina
sono di buonumore: io e Vale stiamo facendo colazione, e c'è
anche Asia che è passata a trovarmi prima di andare
all'Università e che sta ascoltando divertita i nostri
discorsi sul gruppo che vogliamo formare.
“E
adesso chi state cercando?!” ci chiede ridendo, ma le nostre
chiacchiere vengono interrotte da un gran trambusto in corridoio.
“Ma
che succede?” le domanda Vale.
“Qualcuno
che si sente male...” gli risponde lei dando un'occhiata
attraverso il vetro che dà sul corridoio.
“Vabbè...”
dico io riprendendo il discorso di prima. “Noi comunque stiamo
cercando il Bello e il Furbo. Perché ovviamente la Ragazza...
l'ho già trovata io!”
“E
ti pareva!” esclama Asia.
“Io
invece ho trovato l'Imprescindibile” dice Vale.
“L'Imprescindibile?!”
gli chiede Asia perplessa mentre mi porge una rivista di Formula Uno
che mi ha appena comprato.
“Una
storia lunga!” rido io.
“Voi
due avete stabilito che tu sei il Leader e tu sei il Vice Leader,
giusto?!”
“Giusto!”
le rispondo io con decisione.
“Sì!”
annuisce Vale.
“Vabbè!
Siete due pazzi egocentrici!”
“Tua
sorella è una grande!” mi dice Vale ridendo.
“Non
darle soddisfazione!” ridacchio io. “Come sono i tuoi
fratelli?!” gli chiedo poi.
“No,
no, non ho fratelli. Sono figlio unico” risponde lui giocando
col coltello del burro.
“Beato
te!” esclamo io a voce volutamente alta.
“Oh!”
ride Asia lanciandomi un cuscino.
“Invece
voi?” ci domanda Vale. “Quanti siete in famiglia?”
“Beh,
siamo io, mia sorella... e...” comincio a dire.
“E
nostro padre” conclude Asia, che sa quanto mi costi parlarne.
“La mamma è morta un po' di mesi fa.”
“Mi
dispiace...”
“Vabbè!”
esclamo io cambiando volutamente argomento. “Noi concentriamoci
sul nostro gruppo! E facciamo una scommessa a chi trova per primo
quelli che ci mancano!”
“Ci
sto!” approva Vale mentre Asia sorride tra sé e sé.
“E che scommettiamo?”
“Beh,
io ho bisogno di soldi! Tu quanto hai nel cassetto?”
“Venti
euro...?”
“Vada
per venti euro!”
“Ragazzi...”
ci saluta Jhonny entrando nella stanza. “Non so che programmi
avevate per oggi, ma... dovete rimandarli. C'è da fare una
tac. Indovinate chi?”
“Vale?!”
gli chiedo io sorridendo.
“No,
te Leo!” mi risponde lui.
E
il mio buon umore ci mette un attimo per andare a farsi fottere. Non
voglio fare un'altra tac: ogni volta ci sono sempre brutte notizie.
“Io?!”
“Sì.”
“Scusa,
perché?! Ne ho fatta una due settimane fa!” protesto
alzando la voce.
“Decisioni
dall'alto, Leo!”; decisioni dall'alto! Non può
che esserci di mezzo quella stronza della Lisandri!
“Dai,
ti accompagno” mi dice Asia accennando ad alzarsi.
“No,
non ce n'è bisogno” la fermo subito io. “Meglio
che resti con lui finché non arriva sua madre” dico
indicando Vale; preferisco di gran lunga andare da solo: lei mi
metterebbe ancora più ansia.
“Ma...
io sto bene, non preoccupatevi” ribatte Vale.
“Sentite,
mettiamo le cose in chiaro, altrimenti qui non funziona niente! Chi è
il capo? Sono io, e allora comando io!” esclamo scendendo dal
letto e sedendomi sulla carrozzella. “Lei, resta con te. Perché
come dice il grande Watanka: così sia detto, così sia
fatto, così sia scritto!”
“Buona
tac, capo!” mi dice Vale mentre Jhonny mi accompagna fuori.
“Watanka!”
urlo io sollevando il braccio.
“Leo,
aspetta qui!” mi dice Jhonny, una volta arrivati nella saletta
adiacente alla sala tac. “Vado a prendere il liquido di
contrasto.”
“Portamelo
rosso!” esclamo ridendo. “Così sembra un cocktail
tropicale!”
“Vediamo
cosa dice il barista, su!” mi risponde lui stando allo scherzo.
Mentre
aspetto, mi accorgo che, nella saletta accanto alla mia, c'è
quel tizio stronzo che sta in stanza con Rocco; è seduto su un
lettino con in mano un bicchiere pieno di liquido di contrasto
giallo, e lo guarda titubante.
“Vodka
lemon?” gli chiedo io scherzando, ma lui mi rivolge
un'occhiataccia e rimane in silenzio. “Come non detto...”
dico allora tornando a guardare fuori dalla finestra. “Se non
si può scherzare, non si scherza. Basta saperlo!”
“Leo,
purtroppo il rosso è andato a ruba” mi dice Jhonny
porgendomi un bicchiere con del liquido verde. “Devi
accontentarti”.
Io
prendo in mano il bicchiere e lo annuso con aria disgustata. “Che
gli succede a quello?” domando poi a bassa voce, indicando il
tizio. “Non ha una bella faccia!”
“Ha
avuto un attacco di cuore stamattina, deve fare degli accertamenti”
mi risponde Jhonny. “I medici mi hanno detto che... se sono i
ventricoli... è un casino!”
“E
ci voleva un medico per dirlo?!” esclamo io guardando il tizio
che, con aria affranta, continua a stringere in mano il bicchiere
pieno e che, come me, non si decide a bere. Forse non è poi
così stronzo, forse è solo un atteggiamento, un modo
che ha per difendersi; forse è solo spaventato e incazzato
perché deve stare qui. “Jhonny!” esclamo
all'improvviso.
“Ehi...?”
“Sai
se... è un tipo furbo?”
“So
che ha un caratteraccio!”
“I
caratteracci di solito sono furbi, no?”; il tizio, intanto, si
è accorto che lo sto osservando e alza il dito medio,
guardandomi malissimo.
“Dai
su, bevi ora!” mi incita Jhonny. “Dai!”.
Mi
porto il bicchiere alle labbra e ne bevo un sorso: tanto per cambiare
è disgustoso. “BLEAH! Ma che c'avete messo qua
dentro?!” urlo. “Criptonite?!”
“Dai
re Leone! Tanto devi berlo tutto, su!” ribatte Jhonny mentre
esce dalla stanza, lasciandomi da solo col tizio.
Io
mi decido e mi avvicino, anche se lui continua ad apparire per niente
ben disposto nei miei confronti: “È dura da mandare giù
questa roba, eh?” gli domando provando a fare conversazione.
“Chissà qual è il loro vero colore... tanto lo
cambiano sempre!”
“Probabilmente
color merda di cane!” risponde lui brusco, restando ancora
sulle sue.
“Bleah!
Questo era meglio se non lo dicevi! Adesso chi ce la fa a mandarlo
giù?”
“Ma
poi a che serve?!”
“Quando
ti fanno la tac si illuminano le zone che loro vogliono vedere...
insomma, una roba del genere!” gli spiego. “Io... ho già
assaggiato quattro colori!”
“Bravo!
Scrivici un libro che... qui dentro di sicuro andrà a ruba!”
esclama lui con tono sarcastico, e mi fa pure ridere. Sarà
stronzo ma ha un bel senso dell'ironia.
“Senti
un po'... che ti è successo questa mattina?”
“Mah...
quei cretini hanno detto che... forse ho avuto un infarto.”
“È
un po' presto...” osservo io. “Tu non li stare a sentire,
tanto i medici... si sbagliano sempre! Vedrai che non è
niente, la tac te lo dirà” aggiungo cercando di
rassicurarlo, per poi sollevare in aria il bicchiere e avvicinarlo al
suo, sorridendo: “Brindiamo... a che non sia niente!”
“Ok”
risponde lui facendo scontrare i bicchieri di plastica.
“Fino
in fondo?!”
“Fino
in fondo!”.
Mandiamo
giù tutto d'un fiato e fa davvero schifo. “Senti,
ti andrebbe di far parte di un gruppo?” gli chiedo quando la
smettiamo di fare versi di disgusto. “Che stiamo formando qua
in ospedale...”
A
lui viene da ridere: “Forse non hai capito che io fra un po' me
ne vado!”
“Lo
so, però intanto...”
“E
poi se tutti quelli del gruppo sono come te...!” esclama con
strafottenza, indicandomi.
“Che
vuol dire sono come me?!”
“Daiii
senza capelli..., pelati!”
“E
allora?!”; ma tu guarda questo qua! Allora non è solo
stronzo! È il re degli stronzi! “Che c'hai contro
i pelati?!”
“Ma
niente! È che io ho i capelli... e non ho tumore! Perciò...”
“Ma
chi cazzo sei tu?!” urlo allora io. “Senti chi parla! Hai
i ventricoli che sfarfallano e non ti piacciono quelli col tumore?!
Ma vaffanculo!” gli dico prima di allontanarmi.
“Ma
che cazzo ne sai tu?!” mi chiede mentre io mi fermo e mi volto
a guardarlo. “Hai appena detto che i medici a volte si
sbagliano!”
“Ma
sì, sì! Speriamo che si sbagliano, così te ne
torni a casa! Tanto noi, gli stronzi, nel nostro gruppo non li
prendiamo!”
“Eh...
vattene, va'!” mi dice lui con un sorrisetto del cazzo.
Ormai
ho perso il conto di tutte le tac che ho fatto, e non mi spaventa di
certo entrare nel tubone, però
non sono per niente tranquillo; anzi, ho proprio paura.
Ho
paura del referto.
Una
paura fottuta.
Se
il tumore ai polmoni è peggiorato mi toccherà
ricominciare la chemio, ed è l'ultima cosa al mondo che
voglio. Non voglio ricominciare tutto da capo un'altra volta.
Non
voglio essere ancora quello malato.
Voglio
una vita normale, cazzo!
Voglio
la mia vita di prima.
“Io
sono pronto!” esclamo con ostentata allegria uscendo dallo
spogliatoio, dopo essermi messo il camice.
“Dai,
vieni, andiamo” mi dice Benedetta accompagnandomi in sala tac;
io mi siedo sul lettino e lei mi porge l'aggeggio per chiamare in
caso di bisogno. “Questo è il pulsante”; come se
non lo sapessi, cos'è.
“E
che lo prendo a fare, scusa?! L'ultima volta non funzionava neanche!”
“Dai...
che l'hanno riparato!”
“Oooh!
E io ci credo!” ridacchio io mentre lei mi porge un telo
antiradiazioni.
“Tieni.”
“Buonanotte!”
esclamo sdraiandomi e coprendomi dalla vita in giù.
“Leo,
attento, cominciamo, eh?” annuncia una voce al microfono.
“Ciao
mia bella radiologa preferita...” sussurro io riconoscendo la
voce di Sara, e facendola sorridere, mentre il lettino slitta dentro
il tubone.
“Non
parlare Leo. E non respirare!”
“Ok”
dico chiudendo gli occhi e trattenendo il respiro.
“Lo
vedi che se ti ci metti sei bravo?!”
“Sono...
come tu mi vuoi” canticchio ridacchiando, ma la verità è
che me la sto facendo sotto dalla paura.
Finita
la tac, Sara mi raggiunge nello spogliatoio mentre mi sto rivestendo:
“Allora, Leo...” mi dice entrando.
“In
questo ospedale non si usa bussare?!” esclamo io. “Finisce
che un giorno mi vedrai nudo!”
“Ti
ho già visto nudo, Leo!” ride lei.
“Ah
sì?! E quando?”; nelle mie fantasie di sicuro, ma lei
non credo se lo immagini.
“Beh,
quando ti facciamo le radiografie e le tac ti vediamo da parte a
parte: ossa, polmoni, cuore...”
“E
com'è il mio cuore?” le chiedo con voce volutamente
bassa e sensuale.
“È
un bel cuore!” annuisce lei sorridendo.
“E
quell'altro muscolo?” le domando indossando la maglietta mentre
lei mi guarda perplessa. “Altrettanto importante, solo... un
pochino più in basso!”
“Quello
non è un muscolo!” puntualizza lei divertita.
“Sì,
ma com'è?! Fa la sua figura, no?!”; io rido e lei scuote
la testa.
“Mamma
mia Leo! Tu da grande sarai un vero pericolo!”
“Eeeh,
io sono già un pericolo!”.
Sara
sorride e poi si fa seria: “Senti... sono venuta a dirti di non
andare via subito. Passa prima da noi a prendere i risultati, così
li porti direttamente tu a Oncologia”.
“Ma...
che c'entra ora Oncologia?!” le domando irrigidendomi
immediatamente.
“Se...
la massa nei polmoni non diminuisce, temo che... dovrai trasferirti
subito a Oncologia”.
No.
No
no no.
Col
cazzo!
“No,
cazzo, io lì non ci torno!” dico alzando la voce e
sbattendo il pugno sulla ruota della carrozzella. “Puoi dirmi
almeno se il tumore è cresciuto?!”; mi viene da
piangere: non ci posso nemmeno pensare a dover tornare in quel posto
di merda. Non voglio!
“Mi
dispiace, lo sai che non possiamo dire i risultati...”.
Provo
ad insistere, ma lei non cede e non mi anticipa nulla sul risultato
della tac; rassegnato e parecchio nervoso, raggiungo la sala
d'aspetto dove anche Davide (così mi hanno detto che si chiama
il tipo stronzo di prima) sta aspettando che gli consegnino il
referto; se ne sta curvo sulla sua carrozzella, e mi sembra parecchio
preoccupato; per la prima volta da quando l'ho visto, forse riesco ad
immedesimarmi un po' in lui.
“Com'è
andata la tua prima tac?” gli domando.
“Tranquillo”
mi risponde lui con strafottenza. “Mi sono perfino
addormentato...”.
Seee,
figuriamoci se si è addormentato durante la sua prima tac!
“Veramente degli infermieri sghignazzavano, perché
là dentro uno era quasi morto dalla paura! Aspetta...,
dicevano che iniziava per... per D! Chissà chi sarà...!”
“Davide...”
chiama Benedetta con in mano le buste gialle dei referti.
“Ah,
ecco! Davide!” esclamo io, sul punto di scoppiare a ridergli in
faccia.
Lui
sembra non avere voglia di rispondere alle mie provocazioni e si
limita a sbattere il pugno sul bracciolo della carrozzella e a
guardarmi in malo modo.
“...
e Leo!” continua Benedetta. “Queste sono per voi!”
dice porgendoci le buste. “Aspettate qui, eh? Chiamo qualcuno
ad accompagnarvi”.
Io
continuo a fissare pensieroso la mia busta, come se così
potessi leggerne il contenuto; la giro e la rigiro tra le mani, e ho
quasi voglia di aprirla anche se so che non potrei, ma ho troppa
paura di quello che c'è dentro, e così lascio perdere
quest'idea e non lo faccio.
“Basta
aspettare!” urla Davide dopo qualche minuto, sbattendo la busta
contro le proprie gambe. “È da stamattina che mi
trattano come se fossi un pacco e mi spostano di qua e di là!
E mi dicono di aspettare! Io me ne vado!”
“La
busta va consegnata al medico!” gli ricordo io, mentre lui mi
passa di fianco per andarsene. “Devi aspettare Jhonny e Ulisse,
aspetta!”; provo a fermarlo, ma inutilmente.
“Ma
io non aspetto nessuno!” mi risponde lui allontanandosi
velocemente. “Non voglio la balia!”
“Dove
vai?!” urlo io andandogli dietro.
“Ragazzi,
adagio, adagio!” ci riprende un medico che rischiamo quasi di
investire.
“Vaffanculo...”
mormora Davide, proseguendo la sua corsa. “Che te credi di
arrivare prima di me agli ascensori?!” mi domanda con aria di
sfida.
“Tu
non hai idea di come si usa questa!” sorrido io superandolo,
facendo lo slalom tra le varie colonne mentre lui mi segue a ruota.
“Sì,
figurati! Ho guidato l'auto di mio padre!”
“E
io il trattore di mio nonno!”
“E
peccato che questo non è un trattore!” mi sfotte lui
proseguendo dritto.
“Vedi,
non conosci il percorso! Gli ascensori stanno di qua! Ciao bello!”
esclamo io salutandolo con la mano mentre giro a destra.
“Tanto
ti prendo lo stesso, figlio di mignotta!”.
Lui
svolta immediatamente, riuscendo a rimettersi al mio fianco e
cercando in tutti i modi di sorpassarmi, aiutandosi con le gambe.
“Sei
sleale!” protesto io quando me ne accorgo. “Stai usando
le gambe!”
“E
usale anche tu!”
“Due
coglioni! Sai che non posso!”; devio per evitare di investire
un dottore, e perdo un po' di terreno.
“Eh,
se non ne hai due di certo non è colpa mia!” mi dice lui
prendendomi per il culo, voltandosi per un secondo verso di me.
“Rallenta!
Ma pensa al tuo cuore!” gli urlo dietro io, sottolineando il
suo di problema.
Lui
fa un ultimo scatto, rischiando di far cadere un medico che stava
passando in quel momento, e riesce ad entrare per primo
nell'ascensore.
“Ho
vinto! Ho vinto!” esulta iniziando a colpire con una mano le
pareti dell'ascensore. “Ho vinto! Vinto!”
“Ma
se ti ho lasciato vincere!” ribatto io, sistemandomi bene con
la carrozzella dentro l'ascensore; fanculo! Do un pugno ai tasti,
facendo chiudere le porte, e intanto lui continua ad esultare; mentre
aspettiamo di arrivare al piano, si sentono dei rumori strani, la
luce dell'ascensore comincia ad andare e venire e la cabina a
sballottolare, per poi fermarsi di colpo.
“Ma
che cavolo!” sbotto io. “Hai anche spaccato l'ascensore!”
“Ma
io...?! Sei tu che hai preso a cazzotti il pulsante!” ribatte
lui alzandosi in piedi.
“Sì
sì...”
“Premi
l'allarme, allora!” urla lui, alterandosi.
Io
provo a schiacciare il pulsante dell'allarme, ma non succede niente.
“Ma neanche l'allarme funziona adesso?!”; inizio a
sbattere i pugni contro le pareti dell'ascensore. “Aiuto! Siamo
bloccati! Aiuto!” grido. “Ma c'è qualcuno?!”.
Fantastico! Bloccato in ascensore con questo qua! Mi giro verso di
lui che è stranamente silenzioso, e vedo che è
accasciato a terra contro la parete dell'ascensore; ha una mano
poggiata sul petto e ha davvero una pessima faccia. “Oh! Ma che
c'è?!”
“Ho
un dolore qui...” mi dice lui, tenendo la mano sul petto e
parlando a fatica.
“Oh!
Non facciamo scherzi, però, eh?!”; io scendo dalla
carrozzella e mi siedo accanto a lui. “È forte?”
gli chiedo poggiandogli una mano sulla spalla.
“Abbastanza...”
mi risponde, provando a scansarmi, ma io lo tengo bloccato a terra.
“Fammi alzare!”
“Stai...
stai giù! Stai giù. Respira. Respira!”;
lui prova di nuovo a spingermi via, ma non ci riesce. “Stai
giù” gli ripeto con tono più deciso. “E
respira. Continua a respirare. Fai come faccio io. Fai come faccio
io!” ; comincio a fare dei lunghi respiri, profondi e
regolari, e lui prova a seguirmi, cercando di regolarizzare il suo
respiro. “Continua. Bravo, così. Stai giù. Stai
calmo”; prova di nuovo ad alzarsi, ma io glielo impedisco.
“Rilassati. Continua a respirare. Bravo, respira. Respira. Va
un pochino meglio?”
“Boh,
non lo so, penso di sì...”
“Tu
continua. Dev'essersi fermato tra due piani... Aprite!” urlo
ricominciando a picchiare le pareti dell'ascensore. “Aprite!
Tirateci fuori di qui!”.
Le
mie urla risultano inutili: il tempo passa, ma nessuno arriva a
liberarci, e ovviamente i cellulari non prendono! La crisi di Davide,
fortunatamente, sembra superata, e lui pare essersi tranquillizzato;
mi siedo appoggiando la schiena alla parete dell'ascensore e lo
faccio sdraiare, facendogli appoggiare la testa sulla mia gamba
sinistra.
“Va
meglio?”; mi sono davvero spaventato: questo qua è così
stronzo che sarebbe stato capacissimo di morire chiuso con me in
ascensore, giusto per farmi un dispetto.
“Credo
di sì...” sospira lui tenendo tra le mani la grande
busta gialla. “Ma... ci metteranno molto?”
“Spero
di no.”
“Se
sono i ventricoli...” dice scuotendo la testa. “Sono
stra-fottuto.”
“Fidati,
se fossero i ventricoli, con quella corsa da pazzo che hai fatto...
eri già morto!” esclamo io poggiandogli una mano sul
petto per sentire se il battito del cuore sia tornato regolare.
“Ora...
sei anche un dottore?!”
“Oh!
Ma devi sempre rompere le palle quando uno ti dice qualcosa?!”
“Ha
parlato il dottor House! Basta, cazzo! Io ora la apro!”
“No,
no! Aspetta aspetta aspetta!” lo fermo io. “Aspetta. Io
ho una mia teoria sull'apertura dei referti, stammi a sentire: se tu
aspetti mezz'ora, l'ansia diminuisce e aumenta la forza. Così
se il risultato non è buono, almeno... sei preparato”.
Lui
sospira e alla fine lo convinco, ma mezz'ora, quando non hai niente
da fare, è davvero lunghissima, e starsene chiusi qua di certo
non aiuta; cominciamo a lanciarci la pallina di Matteo, seduti uno da
una parte e uno dall'altra dell'ascensore, e incredibilmente finiamo
anche col divertirci.
“Tu
sei un tipo furbo?” gli chiedo poi ad un certo punto, quando ci
sediamo uno accanto all'altro, continuando a lanciarci la pallina.
“Certo
che sono furbo!” esclama lui. “Che domanda è?!
Perché me lo chiedi?!”
“Perché
stiamo facendo un gruppo, no? E ci mancano il Furbo e... il Bello!
Solo che... tu tanto bello non sei!” rido io.
“Beh,
di sicuro più di te!”; parliamone! “E... tu chi
saresti nel gruppo?”
“Il
Leader!”
“E
a te ti pare che io entro
in un gruppo dove non sono io il Leader?!”
“E
perché dovresti essere il Leader?!”
“Perché
sono sempre stato il Leader in tutti i posti dove sono stato: in
piscina, al mare, in settimana bianca, sempre!”
“Qui
no. Oramai è deciso. Sei arrivato tardi!”
“Il
Furbo è quello che lavora sempre troppo!” si lamenta
lui. “Risolve i problemi di tutti e gli rompono tutti le
scatole! Io invece non voglio fare un cazzo!”
“Aaah!
Gran programma!”
“Voglio
mettere su un gruppo rock e starmene lì dalla mattina alla
sera! Punto.”
“A
guardarti bene, potresti essere... il Bello. Sì.”
sorrido io. “Uno di quelli che piacciono un sacco alle donne,
anche se hanno il naso storto e gli occhi acquosi.”
“Io
non ho né il naso storto, né gli occhi acquosi!”
“Era
per dire...!”
“Va
bene, accetto! Però se sono il Bello, sono il Bello!
Niente discussioni con gli altri o cose varie!” precisa mentre
io annuisco soddisfatto. “E... cosa bisogna fare per entrare in
questo famoso gruppo?”
“Niente.
Solo mettere uno di questi” rispondo mostrandogli i
braccialetti rossi. “E diventi un Braccialetto Rosso” gli
spiego mentre lui mi guarda indeciso. “Allora?”
“Va
bene...” mi dice allungando il braccio verso di me; io mi tolgo
un braccialetto e glielo infilo al polso.
“Watanka!”
“Che
cosa?!” mi domanda lui perplesso.
“No,
niente, roba mia!” sorrido io compiaciuto.
Per
qualche secondo, lui osserva il braccialetto, poi solleva lo sguardo
su di me e mi sorride; io gli
rivolgo a mia volta un sorriso complice, e poi ricomincio a lanciare
la pallina; sembra assurdo: fino a poco fa nemmeno lo sopportavo, e
adesso l'ho fatto entrare nel gruppo e penso quasi che potremmo
diventare amici. Sono sicuro che quando lo racconterò a
Nicola, finirà col tirare fuori una delle sue perle di
saggezza sulla vita.
Mezz'ora
è ormai passata; Davide sembra stare bene, ci siamo rimessi
sulle carrozzelle, ed io sto facendo il conto alla rovescia,
guardando il timer che ho impostato sul cellulare: “Cinque,
quattro, tre, due, uno... Ecco” dico interrompendo l'allarme,
mentre mi chiedo se davvero aprire la busta è quello che
voglio.
“È
passata mezz'ora...”; anche lui è piuttosto teso, e ce
ne stiamo per qualche secondo in silenzio, prendendo tempo. “Nella
tua busta cosa ti devono dire?” mi chiede poi.
“Se
il tumore nel polmone è diminuito. Nella tua i ventricoli,
no?”
“Già...”
“Buona
fortuna” gli dico deglutendo.
“Buona
fortuna anche a te” risponde lui accennando un sorriso.
Credo
che nessuno di noi si senta veramente pronto, ma il contenuto delle
buste non cambierà ignorandolo o rimandando ancora; la
mezz'ora stabilita è trascorsa, ed è ora che scopriamo
la verità: apriamo le buste, tiriamo fuori le lastre e la
cartellina piena di fogli con scritte incomprensibili, e cominciamo a
sfogliarli; io so benissimo dove andare a cercare quello che voglio
sapere, e faccio prima di lui: il tumore, non solo non è
diminuito, ma pare che sia addirittura cresciuto. Come al solito, la
Bestia continua a farsi i cazzi suoi, e tutte le chemio e le radio
che mi sono sorbito sono state del tutto inutili; fanculo! Fanculo!
Fanculo! Dov'è il senso in tutto questo?! Che senso ha
starmene ancora qui, dopo tutti questi mesi, se tanto continuo a
peggiorare?!
“Negativo!”
esulta Davide a un certo punto, mentre io tengo lo sguardo basso e
non so come sto riuscendo a non piangere. “Non sono i
ventricoli! Vaffanculo a tutti! Lo sapevo io! Cazzo, finalmente!”;
io resto in silenzio, vorrei tanto congratularmi con lui, ma proprio
non ce la faccio. “E nella tua Leo, cosa c'è scritto?”.
Io
sollevo la testa e lo guardo, con gli occhi appannati dalle lacrime.
“Sembra che dovrò fare la chemio un'altra volta”;
e proprio mentre pronuncio la mia sentenza, l'ascensore riprende a
funzionare.
“Mi
dispiace Leo”; è l'unica cosa che lui riesce a dirmi, e
sembra sinceramente dispiaciuto per me.
“Che
merda...! È sempre la stessa merda!”; non riesco nemmeno
a incazzarmi e ad urlare, sono troppo ferito.
Siamo
arrivati al piano, la porta dell'ascensore si apre, ed io tolgo il
freno alla carrozzella e mi volto per uscire.
“Mi
aspetti?” mi chiede lui mentre io sono già fuori.
“No,
scusami. Ci vediamo dopo”; ho bisogno di stare da solo. Anzi
no: ho bisogno dei Braccialetti Bianchi.
“Leo!”
esclama Lucia quando mi vede entrare. “È da un po' che
non ti fai vedere!”
“Quando
non mi faccio vedere vuol dire che va tutto bene.”
“E
cosa c'è che non va, oggi?”
“Tutto”
rispondo laconico, senza voglia di darle spiegazioni. “La
cicogna era di turno stanotte?”
“Stanotte
sì” mi dice lei sorridendo. “Ci ha portato Icaro.”
“Icaro?
Bel nome...”; sorrido e mi avvicino alla vetrata per guardare i
bambini. “Mitico...” sussurro con tono dolce, osservando
il nuovo arrivato, e trovando immediatamente un po' di pace.
“Benvenuto su questa terra, Braccialetto Bianco”.
Quando
mi avvicino alla mia stanza, vedo, attraverso il vetro che dà
sul corridoio, Asia addormentata su una sedia, con la testa
appoggiata sul mio letto, e un ragazzino mai visto prima che la sta
fissando da vicino; busso al vetro, richiamando la sua attenzione, e
lo guardo infastidito, domandandogli con un gesto della mano cosa
stia facendo.
“Si
può sapere che stai facendo?!” gli chiedo poi entrando.
Che cazzo ci fa questo tizio nella mia
stanza e perché
mai sta fissando mia
sorella?!
“Guardo
le ciglia di Asia...” mi risponde lui con aria sognante. “Ma
tu sei Leo o Vale?”.
La
sua domanda mi coglie alla sprovvista. “Leo”
gli rispondo, mentre mi chiedo come faccia a sapere il mio nome.
“Ha
le ciglia lunghe, eh, tua sorella?!”
“Sì,
e allora?!” ribatto con tono scontroso.
“E...
allora niente!”; certo che sto tipo è proprio strano,
però mi fa sorridere. “Ma
ti va se ci vediamo stanotte tutti insieme nella stanza di Rocco?”
“Ma
ci vediamo chi?!”
“Io
e voi Braccialetti Rossi! Dillo agli altri! Ci vediamo lì alle
dieci!”
“Ma
che ne sai tu dei Braccialetti Rossi?!”; come fa questo a
sapere tutte queste cose?! Avrà parlato con Vale o Cris?
“Ah!
Di' alla madre di Vale che ho preso queste riviste perché mi
piace il gossip!” mi dice mettendosi sulle ginocchia un paio di
riviste e ignorando la mia domanda. “Gliele riporto domani!”
“Ma
tutti a me devono capitare?!” esclamo mentre lui esce dalla
stanza; un attimo dopo sento bussare al vetro e vedo che è
ancora lui.
“Leo!
E trattala bene tua sorella, che ti vuole molto bene!” mi dice
prima di andarsene.
Ma
che cazzo vuole adesso, 'sto qua?! Non ho certo bisogno che mi dica
lui come devo trattare mia sorella! A proposito, pare che si
stia svegliando, così mi affretto a nascondere la busta col
referto dietro la schiena.
“Com'è
andata la tac?” mi chiede lei, con voce ancora assonnata,
tirandosi su.
“Alla
grande!” esclamo io con ostentata allegria. “Tutto bene.
Tagliando perfetto!
Però la risposta definitiva me la daranno domani. Tu che ci
fai ancora qua? Non sei stanca?”
“Sì,
sono a pezzi. Ora vado. Però appena hai notizie fammi sapere,
uhm?”.
Io
annuisco accennando un sorriso e l'abbraccio forte. “Tranquilla
Asia. Ancora un po' e poi finisce tutto”; sarebbe bello,
oltre a convincerne lei, convincere pure me stesso.
“Sì
fratellone”; lei sorride, si slega dall'abbraccio e si alza,
cominciando a raccogliere le sue cose.
“Ciao
sorellina” la saluto io mentre esce, sforzandomi ancora di
sorriderle.
“Ciao”.
E,
quando Asia scompare dalla mia vista, scompare anche il sorriso che
ho improvvisato apposta per lei; prendo il pennarello indelebile, mi
avvicino all'armadietto per aggiungere Icaro,
e mentre scrivo sento alle mie spalle la voce di Cris: “Che
scrivi Leo?”
“Niente,
cose mie” le rispondo facendo il vago; mi volto verso di lei
e, quando vedo che non è da sola, ma che con lei c'è
anche Vale, ammetto di restarci di merda: probabilmente hanno
trascorso tutta la mattina insieme e questa cosa mi infastidisce
parecchio. Non so perché, ma è così. “Io
l'ho trovato un altro per il gruppo! Il Bello” annuncio
avvicinandomi a loro. “È un po' piccolo ma... ma è
uno tosto! Si chiama Davide. Ho vinto?”
“Direi
di sì!” esclama Cris sorridendo, mentre Vale annuisce.
“È
inutile scommettere con me! Chi lo fa... ha già perso in
partenza! Perdi tempo con lui bimba!” dico con tono
canzonatorio, indicando Vale. “Se volevi divertirti, dovevi
venire in giro con me!”
“Mi
sa che hai ragione, sai?!” ride lei sedendosi sul tavolino.
“Sei
pesante, lo sai?!” sbotta Vale. “Solo perché sei
qui da più tempo di tutti, ti credi chissà chi!”.
Mi
sorprende che lui mi abbia risposto così, non me lo aspettavo!
E mi fa anche incazzare che si permetta di giudicarmi, dopo dieci
giorni che è qua! “È
qui che ti sbagli” gli rispondo con tono duro. “Mi credo
solo il più sfortunato di tutti!”
“Sentite
ma... perché non la finite di fare gli scemi?!”
interviene Cris. “Piuttosto, che voleva quel tipetto che è
uscito da qui?”
“È
un mezzo matto...” le rispondo. “Vuole che stasera ci
vediamo tutti nella stanza di Rocco. Dice che è importante...”
“E
tu ci vai?” mi chiede Vale.
“Beh,
sì...” dico sistemandomi in mezzo a loro con la
carrozzella. “Per stasera... non ho impegni!” esclamo
ridendo, rivolgendo a Cris uno sguardo complice.
“Stranamente
neanch'io!” sorride lei.
“Allora
ci si vede tutti da Rocco!” esclamo sollevando il braccio
sinistro verso Cris che mi stringe subito la mano, e poi quello
destro verso Vale che a sua volta mi stringe la mano sorridendo.
L'appuntamento
con gli altri è nella stanza di Rocco alle 10, quando scatta
il cambio turno degli infermieri, ma prima di andarci passo a
svaligiare la macchinetta, prendendo un po' di schifezze per tutti.
“Ciao ragazzi” dico a bassa voce quando arrivo.
“Ciao”
mi risponde Cris, anche lei appena arrivata, insieme a Vale che le è
andato incontro.
“Tu...
allora sei la ragazza?!” dice Davide non appena la vede
entrare.
“Bella
intuizione!” esclama lei sarcastica. “Tu di sicuro non
sei il Furbo!”
“Io
sono il Bello!”
“Ah!
E tu saresti il Bello?!” ride lei.
“Sei
bella te!” le risponde lui mentre Cris viene a sedersi sul
tavolino vicino a me.
“Qualcuno
ha fame?” chiedo io tirando fuori gli snack. “Ho portato
un po' di rifornimenti per tutti! Cris...” dico porgendole uno
Snickers,
per poi lanciare le patatine a Davide e i wafer a Vale; ma Cris
tentenna. “E che fai,
non lo mangi?! Guarda che è la fine del mondo, eh?!”
“No,
io non...” balbetta lei a disagio; immagino che per lei quella
barretta sia un incubo, però pensavo di riuscire a
ingolosirla, e che la mangiasse.
“Ma
il tipo non doveva venire alle dieci?” mi domanda Vale. “Sono
già passate da sei minuti...”
“E
che ne so?!” dico io ridendo. “Ha detto così...”
“Ma
qualcuno sa come si chiama il tipo?” chiede Davide, mentre
mangia le patatine, seduto sul suo letto.
“Si
chiama Toni” gli rispondo io. “Sì, ma è un
tipo strano, eh?! Io ci ho scambiato due parole: è fuori come
un balcone!”; rido, e ride anche Cris. “Ah! Eccolo!”.
Toni
entra, si sistema con la carrozzella vicino al letto di Rocco e poi
si guarda intorno, indicandoci silenziosamente, uno ad uno, per
contarci: “Perfetto! Ci siamo tutti!”
“Ma
non hai freddo?” gli domanda Cris, vedendolo con indosso
soltanto la canottiera.
“Eeeh,
certo che ho freddo! Un freddo cane!” risponde lui facendoci
ridere tutti.
“E
allora perché stai vestito così?!” gli chiede
Davide.
“No...,
è perché... questo esalta il mio fisico! Hai capito?
Hai visto?!” esclama mettendo in mostra le sue braccia
mingherline. “E poi, vedi, è pure abbinato... vedi?
Vedi?” dice indicando la canottiera, il gesso alla gamba, il
collare, e la fasciatura al braccio: “Bianco, bianco, bianco,
bianco!”; si avvicina poi un po' di più a Rocco.
“Sì!” esclama.
“Ah! Rocco dice che non si è mai sentito tanto felice in
vita sua e vuole che ve lo dica!”
“Ma
dì un po'! Ci stai prendendo per il culo?!” sbotta
Davide. “Rocco non ha detto niente!”
“Tu
sei... Davide, vero?!” gli chiede lui.
“Sì,
e allora?!”
“Rocco
dice che non gli piace quando lo guardi troppo da vicino, perché
ogni volta che rimanete soli finisci sempre per toccargli la punta
del naso. Hai capito?”.
Davide
è incredulo, e pure io, Vale e Cris non ci stiamo capendo
molto, però la scenetta è divertente, e ridiamo. “Ma
scusa, ma... tu che ne sai?!”
“E
me l'ha detto lui!” esclama Toni indicando Rocco.
“Cioè...
tu parli con Rocco?!” gli chiede Cris scettica.
“No...
è lui che parla con me! Io ascolto e basta!”
“Ma
cosa ti dice?” gli chiede ancora Cris.
“Mi
dice che vorrebbe farmi entrare nel gruppo e vuole sapere chi di voi
è d'accordo!”
“Beh...”
dico io. “Veramente c'è rimasto solo un posto”; e
questo più che il Furbo, mi pare il Matto!
“E
Rocco lo sa!”.
“Sa
che a noi ci manca solo... il Furbo?!” gli chiedo
parlando lentamente, mentre cerco lo sguardo degli altri.
“Esatto!”
“E
propone te?!” gli domanda Davide.
“Preciso!”
“Come
Furbo?!”
“Sì!”
afferma lui deciso.
E
questo punto, Davide gira la testa e agita la mano: “Vabbè,
ciaooo!”
“Ciao!”
gli sorride Toni agitando la mano. No, è proprio fuori! Ma non
ho ancora capito se ci è, o ci fa.
“Beh,
però scusate un attimo...” interviene Vale. “Per
riuscire a parlare con Rocco deve essere abbastanza furbo, no?”
“Lo
sono eccome!”
“Ma
scusate!” esclama Davide. “Ma lo avete visto, dai?! Lui
è... insomma non t'offendere, eh...”
“Eh,
cosa? Aspetta...” lo interrompe Toni. “Eh... speciale,
eh?! Come dice mio nonno!”
“Eh,
sì speciale...”
bofonchia Davide mentre io ridacchio.
“Qui
nel gruppo tutti siamo speciali” dice Cris. “A voi sembra
di vedere qualcuno normale?! Io voto a favore”.
“Anch'io!”
esclama Vale tirando su la mano.
“Anche
Rocco vota a favore!” aggiunge Toni sollevandogli il braccio.
“E
dov'è la prova?!” chiede Davide alzando la voce.
“Qualcuno l'ha sentito dire che è a favore o l'ha visto
alzare il braccio?! Sentite, a me questo pare troppo
furbo!”.
Io
sblocco la carrozzella e mi avvicino a Toni per guardarlo negli
occhi. “Non ha lo sguardo da finto” dico poi. “Secondo
me è sincero. Anch'io voto a favore!”
“E
io voto contro!” protesta Davide. “A meno che non mi dia
una prova!”.
Toni
si avvicina con l'orecchio a Rocco e poi sorride: “Ce l'ho la
provaaa!”
“Davvero?!”
“Rocco
sa il soprannome che ti ha dato tua madre! L'ha sentito stamattina
quando ti sei sentito male!”
“Oh,
ma che cavolo stai dicendo?!”
“Non
vuoi che gli altri sappiano il diminutivo?!”
“Dai,
avanti, dillo!” lo incito io.
“No
no no no...” dice Davide. “Se lo sai vienimelo a dire!
All'orecchio!”.
Toni
si avvicina al letto di Davide e gli fa cenno con la mano di chinarsi
verso di lui. “Funghetto!” esclama poi a voce alta,
ridendo e facendoci ridere tutti.
“Ma
che cazzo!” urla Davide spintonandolo. “Ti avevo detto di
dirmelo all'orecchio!”
“Eh,
ma non mi hai detto di dirlo a bassa voce!”
“Allora
hai deciso?” chiedo io a Davide. “Sei a favore?”
“A
favore...” risponde lui sollevando il dito medio.
“Bene!
Allora ti spetta questo!”; mi avvicino a Toni e mi sfilo un
braccialetto. “Così sia detto, così sia fatto,
così sia scritto...” dico mentre glielo infilo al polso.
“Watanka!”
“Watanka!”
ripetono tutti gli altri.
Toni
si avvicina di nuovo a Rocco, come se lo stesse ascoltando, e ci
dice: “Rocco dice di farci una foto! Mi passi la macchinetta
che sta dietro alla sveglia?” chiede a Vale. “Voi intanto
mettetevi in posa, eh?!”
Mentre
Toni imposta l'autoscatto, Cris guarda prima Vale, che si è
messo alla sinistra del letto di Rocco, e poi me che mi sono messo a
destra, e sembra indecisa sul dove mettersi.
“Cris
vieni qua!” le diciamo contemporaneamente.
“Vado
vicino a Rocco” decide lei sorridendo imbarazzata, mentre dà
un morso allo Snickers.
“Attenti!
È partito l'autoscatto!” ci avverte Toni mentre va a
posizionarsi anche lui vicino al letto di Rocco, seguito da Davide
che si posiziona alle mie spalle.
“Braccialetti
in alto!” esclamo io alzando il braccio, imitato subito dagli
altri, mentre Davide solleva anche il braccio di Rocco.
“Attenti,
cinque secondi!” dice Toni.
“Watanka!”
esultiamo tutti in coro mentre il flash lampeggia.
Sorrido,
pensando che, a parte Rocco, tutti gli altri fino a due settimane fa
nemmeno li conoscevo, e adesso mi sembrano miei amici da una vita.
Questa cosa non dovrebbe più sorprendermi, ormai lo so che in
ospedale capita così, mi è già successo altre
volte, eppure mi stupisce sempre. E chissà per quanto tempo
siamo destinati a restare insieme, chissà che piani ha in
mente l'Universo per noi e il nostro gruppo; chissà se fra un
mese, o fra un anno, o fra due, saremo ancora in contatto o ci saremo
persi di vista; chissà se saremo ancora tutti vivi; lo so, è
un pensiero cinico, ma è un pensiero che non posso fare a meno
di avere: quando convivi col cancro, metti in conto anche questo, e
forse è vero, come dice la Lisandri, che impari a non avere
più paura di morire.
Stasera
però siamo tutti qui, tutti e sei insieme, e provo la
rassicurante sensazione che da oggi in poi le cose saranno un po' più
facili, per tutti noi.
Che
da oggi in poi mi sentirò meno solo.
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