I'm not a superhero, it's you. You've always been my superhero. di Voglioungufo (/viewuser.php?uid=371823)
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IV
Mille
Falchi era disteso sul terrazzo di un condominio, gli occhi socchiusi e
il
corpo dolorante. Si era teletrasportato lì non appena era
riuscito a portare i
criminali che aveva catturato davanti alla stazione di polizia. Era una
gang
che aveva provato a scassinare un negozio di antiquariato con pezzi di
grande
valore; nonostante fossero in tanti in una situazione normale Sasuke
non
avrebbe avuto problemi a sconfiggerli. Il problema erano state le
pistole e il
proiettile che gli avevano sparato.
Lo
avevano
preso solo di striscio, non era nulla di grave, in più lui
guariva molto
velocemente per via del suo potenziamento. Però sentiva
ugualmente il dolore e
in quel momento ne avvertiva così tanto che non riusciva a
trovare la
concentrazione necessaria per teletrasportarsi a casa. Si era dovuto
interrompere a metà viaggio e fermarsi lì a
prendere fiato. La sua tuta gocciolava
sangue e attorno a lui si stava formando una piccola chiazza; doveva
tornare a
casa per fasciarsi, prendere un antidolorifico e sperare che
né Sakura né
Shisui lo beccassero.
Strinse
gli
occhi e si concentrò sul bicchiere di plastica che aveva
lasciato al centro
della sua stanza, ormai non mancava troppo all’alba e doveva
sbrigarsi. Strinse
i denti e si teletrasportò. Atterrò malamente sul
tappeto della sua camera a
gattoni, lo sforzo lo aveva indebolito al punto che si
ritrovò a vomitare.
Cazzo, mi sono
spinto al limite.
Provò
una
fitta di panico, sensazioni del genere le aveva provate solo al
laboratorio,
quando lo testavano per vedere quali fossero i suoi limiti. Prese
lunghi
respiri cercando di calmarsi, la vista gli si stava sfocando e faticava
anche
solo a reggersi a carponi.
La porta
della sua camera si aprì.
“Sasuke?
Sei tornato adesso? È tard…” la voce
assonnata di Shisui si interruppe con un
urlo soffocato. Peccato che non riuscisse a vedere la sua espressione,
doveva
essere comica, ma ormai vedeva solo nero.
“Sakura!”
chiamò. “Sakura, vieni subito qui!”
Sentì
due
mani afferrarlo per il bacino, gemette quando sfiorarono la ferita. La
fitta di
dolore fu tale che perse definitivamente i sensi.
**
Naruto
chiuse il proprio armadietto pensieroso. Sasuke non era venuto a
scuola, né gli
aveva mandato un messaggio per avvertirlo; aveva pensato fosse in
ritardo per
un malfunzionamento della sveglia, ma dopo due ore non si era
presentato,
cominciava a temere fosse ammalato. Anche se non lo aveva mai visto
ammalato in
tutta la sua vita.
Era
comunque preoccupato, per questo approfittò
dell’intervallo per prendere il
cellulare, sgattaiolare in giardino e chiamarlo a casa. A rispondere fu
Sakura.
“Pronto?”
“Ciao,
sono
Naruto” disse. “Come mai Sasuke non è a
scuola?” domandò diretto.
La
sentì
esitare. “Ha le febbre” spiegò alla
fine. “Starà a casa qualche giorno,
finché
non passerà”.
Si
preoccupò per l’amico, ma sentì anche
il cuore cadergli nello stomaco. Qualche
giorno a casa. Solo quella mezza giornata senza Sasuke al suo fianco
era stata
terribile, non solo perché i bulli vedendolo solo si erano
fatti più
insistenti, ma perché era abituato a condividere con lui
ogni minuto. Non
poterlo fare era destabilizzante.
“Oh,
capisco” mormorò mogio. “Puoi
passarmelo?” voleva sentire la sua voce e
assicurarsi che non stesse davvero troppo male.
“Mi
dispiace, ma sta dormendo. Ma se vuoi dirgli qualcosa dillo a me,
glielo
riferisco appena si sveglia” gli assicurò.
Quello
era
imbarazzante, perché non aveva davvero qualcosa da dire. E
poi quello che si
dicevano era una faccenda fra lui e Sasuke, non gli andava che Sakura
potesse
saperlo.
“Chiedigli
se può chiamarmi appena si sveglia, se sta meglio. E che
prenderò appunti anche
per lui, ma che gli conviene tornare presto perché non sono
il suo schiavo!”
Sakura
rise
al suo finto tono burbero e assicurò che lo avrebbe fatto,
poi lo salutò e mise
giù.
Naruto
tornò in classe intristito e per il resto delle lezioni
lanciò sguardi abbattuti
al banco vuoto.
**
Si
svegliò
con la sensazione che un treno in corsa fosse passato sul suo corpo
inerte più
volte a tutta velocità, per poi essere calpestato da una
mandria di belve
inferocite. Aveva in bocca un gusto orribile e lo stomaco era
così sottosopra
che se solo non fosse stato desolatamente vuoto avrebbe vomitato seduta
stante.
Si avvolse meglio nelle coperte rabbrividendo per il freddo e
sospirò quando
sentì qualcuno passargli una pezza bagnata sulla fronte.
“Sei
sveglio, Sasuke?” mormorò la voce di Sakura, ma a
lui sembrò che quella domanda
gli venisse gridata nelle orecchie, perciò fece una smorfia
di dolore che causò
un’immediata apprensione in Sakura.
“Ti
senti
male? Hai bisogno di…”
“Shhh”
la
interruppe piano, quel semplice sibilo gli grattò la gola e
si ritrovò a
tossire.
Un
bicchiere d’acqua gli fu portato alle labbra e si rese conto
di quanta sete
avesse, perciò bevve con avidità mentre una mano
gli teneva la testa e poi gli
puliva il mento dall’acqua che era scivolata.
Finalmente
Sasuke si decise ad arrischiare ad aprire gli occhi, lo fece piano
sbattendo le
palpebre per abituarsi alla luce bianca e accecante, nella quale
cominciarono a
profilarsi le figure dei mobili della sua camera. Era sul suo letto,
avvolto
tra le coperte invernali, mentre Sakura era su una sedia al suo lato.
Dalla
luce dei lampioni fuori dalla finestra sembrava essere notte.
“Quanto
ho
dormito?” la sua voce aveva la stessa intonazione di un
moribondo.
“Per
tutta
la notte” disse Sakura pianissimo, gli passò una
mano sulla fronte e sospirò
nel sentirla ancora calda “E hai ancora bisogno di
dormire”.
Non si
sforzò nemmeno di mentire dicendo che stava bene,
perché era evidente il contrario
e sì, voleva dormire ancora. Lo voleva tantissimo.
Non
disse
niente, lasciò che Sakura si prendesse cura di lui
sistemando bene le coperte
sul suo corpo e gli rinfrescasse la fronte, cullato da quelle premure
tornò
subito tra le braccia di Morfeo.
**
Il Parco
Susanoo era stato fondato qualche anno prima come regalo della nuova
Uchiha
Corps per partecipare a un’iniziativa cittadina ecologica.
Era molto grande e
in primavera diventava un polmone verde e profumato tra i grattacieli
di
Konoha. Ci andavano gli sportivi a correre e fare esercizio, si
incontravano i
ragazzini a passeggiare e le mamme ci portavano i figli a giocare sui
prati con
le giostre. Era molto frequentato, un progetto che aveva funzionato a
regola
d’arte.
Al mio contrario.
C’era
una
bambina dai capelli castani che giocava sull’altalena, si
spingeva avanti e
indietro con il corpo per andare sempre più in alto. Su e
giù, i piedini
puntati al cielo.
L’uomo
la
guardava da un po’ di tempo immobile nella stessa posizione.
Era una giornata
calda, ma indossava un capotto nero fino ai piedi come se fosse ancora
inverno.
Aveva freddo.
Come si
chiamava quella bambina sull’altalena? Nella sua testa
sentiva ripetuto il nome
di un’altra bambina, che aveva amato e promesso di
proteggere, ma dubitava
fosse lo stesso. Ma quelle due bambine si assomigliavano tantissimo,
magari
erano le stesse? Quanto gli mancava la sua bambina, prenderla fra le
braccia e
farla girare come una principessa.
La sua
bambina, dov’era la sua bambina? Stava giocando anche lei in
quel parco? Perché
non la vedeva più? La cercò con lo sguardo, ma
una fitta alla testa lo
costrinse a serrare gli occhi e digrignò i denti.
Soffriva
di
emicrania, per questo doveva prendere delle pastiglie, ma era uno
sbadato e le
dimenticava. Per fortuna c’era sua moglie a ricordarglielo,
meno male che c’era
quell’angelo a vegliare su di lui e a ricordargli che doveva
stare bene. Perché
quella mattina non lo aveva fatto? Aveva dimenticato la pasticca e ora
gli
faceva male la testa. Quel sole era troppo forte e gli feriva gli occhi.
La
bambina
continuava a dondolarsi sull’altalena, era un movimento
rilassante e
ipnotizzate, riusciva appena a mitigare il suo mal di testa. La sua
bambina riusciva
sempre a farlo stare meglio, era la sua principessa.
No, lei non
è mia figlia…
ricordò.
La
bambina
sull’altalena si diede un’ultima spinta e poi si
gettò contro il cielo,
imitando il volo di un angelo. Ma fu un volo breve, perché
la gravità la spinse
prepotente a terra.
Mia figlia
è…
La
bambina
cadde a terra scomposta e rimase inerte sulla terra, gli arti piegati
in modo
innaturale, il collo spezzato. L’uomo si alzò di
scatto dalla panchina e corse
verso di lei, ansimando per un attacco di panico improvviso.
“Ehi…
ehi…”
tentò di chiamarla, ma era senza voce, senza respiro,
“ehi!”
Sbatté
le
palpebre. La bambina era davanti a lui, inginocchiata a terra e con uno
sguardo
sorpreso, un po’ spaventato. Stava bene. Non era sua figlia.
Si
portò
una mano al collo, si sentiva soffocare.
“Signore…
va tutto bene?” domandò la bambina con una sottile
voce preoccupata.
Non
andava
tutto bene. Dov’era? Perché non era a casa con sua
figlia e sua moglie? Dov’era
la sua casa?
“Scusi”
sussultò quando una voce più adulta, una voce
femminile, lo chiamò.
Alzò
lo
sguardo speranzoso.
Rin?
Non era
sua
moglie, era un’altra donna dall’’incedere
aggressivo. Prese la bambina in
braccio e lo guardò bellicosa.
“Le
serve
qualcosa?” domandò brusca.
Non
rispose. Se lei non era sua moglie, lei dov’era?
Perché era solo?
Un’altra
fitta di dolore gli trapassò il cervello, più
forte della prima, e cadde sulle
ginocchia con un lamento. Faceva così male, c’era
qualcosa che non andava…
Il
cappuccio gli scivolò dalla testa e la donna
sussultò per lo spavento e
l’orrore nel vederlo in viso.
No, non
era
sua moglie, Rin non aveva mai provato orrore per il suo aspetto, aveva
sempre
saputo guardare oltre la carne martoriata.
“Oh,
Rin…”
sussurrò il suo nome, una cantilena mentre la donna
continuava chiedergli se
gli servisse aiuto.
Voleva
sua
moglie, sua figlia… ma non poteva più averle. Le
aveva perse entrambe ed era
colpa sua.
No, è
colpa loro.
La
rabbia
montò dirompente come un uragano, alzò lo sguardo
carico d’odio sulla donna che
teneva in braccio la bambina. Perché c’erano
quelle estranee invece di chi
contava veramente?
Le
odiava.
Odiava tutto quello, odiava quel parco perbenista che nascondeva il
marcio di
quella città.
Smise di
mormorare, risoluto in quello che doveva fare e si rialzò.
La donna ora taceva,
guardandolo circospetta.
Tutto
quello… non aveva senso. Meritava di sparire.
E
così
successe, con un battito di ciglia, la donna e la bambina smisero di
esistere
davanti a lui. E anche il resto del parco cominciò ad
accartocciarsi su sé
stesso, come se una mano invisibile lo comprimesse. Qualcuno
gridò. Delle
sirene suonarono. Pianti, urla, detriti che sbriciolavano e sparivano
inghiottiti nel semplice nulla. Nel giro di un minuto,
l’intero parco sembrava
essere sopravvissuto all’atterraggio di un meteorite e al
centro di quel
cratere desolato c’era solo lui, impassibile e vibrante di
energia distruttiva.
A Obito
Uchiha non faceva più male la testa e se andò,
sparendo a sua volta come se non
fosse mai stato lì.
**
Sasuke
dormì un altro giorno intero, svegliandosi di tanto in tanto
per qualche minuto
o per andare in bagno aiutato da Sakura.
La sera
di
due giorni dopo si sentiva abbastanza riposato da poter scendere in
cucina a
cenare. Sakura aveva ricucito la ferita e anche se gli faceva ancora
male stava
guarendo, non aveva più nulla di cui preoccuparsi.
Shisui
spense il telegiornale appena arrivò a tavola e
puntò gli occhi scuri su di
lui, la sua espressione era impassibile come la pietra. Sasuke
rabbrividì,
c’erano dei piccoli momenti quando Shisui si arrabbiava in
cui gli ricordava
vagamente il volto di Madara.
Nessuno
disse niente per tutto l’inizio della cena, i cucchiai e le
forchette
tintinnavano contro il tavolo e si sentiva solo il loro deglutire.
L’aria era
pesante, nervosa, Sasuke si ritrovò a rimpiangere il ronzio
della televisione
che normalmente detestava. Shisui continuava a guardarlo e a studiare i
suoi
movimenti. Sakura invece gli lanciava continue occhiate nervose e
preoccupate.
Alla
fine
non riuscì più a trattenersi.
“Se
dovete
dire qualcosa, ditelo” sbottò gelido facendo
cadere la forchetta sul piatto con
un rumore frastornante.
Shisui
finì
di bere con calma, quasi senza dare peso allo scatto del ragazzo, poi
lo
appoggiò sul tavolo.
“Secondo
te, cosa abbiamo da dirti?” gli domandò con voce
incolore e controllata. “Ormai
sei abbastanza grande da rendertene conto da solo”.
A Sasuke
non piaceva quel tono, fece una smorfia infastidita.
“È
stato
solo un incidente, non…” iniziò, ma
Sakura lo bloccò.
“Non
ci
provare” lo avvertì. “Non è
stato solo
un incidente”.
Gli
occhi
verdi lo trafissero sul posto furiosi e Sasuke fu tentato di fare un
passo
indietro, si rese conto che dei due quella davvero fuori di
sé era Sakura.
“Saresti
potuto morire” continuò per lei Shisui.
“Tu sei forte, Sasuke, molto più di
qualsiasi altro uomo, ma non sei invincibile. Un proiettile
può ucciderti”.
“E
tu
l’altra sera te ne sei preso uno” Sakura si
appoggiò una mano sulla fronte
massaggiandola. “E ti ha quasi fatto dissanguare. Se non
fosse stato per le tue
capacità rigenerative non ce l’avresti fatta senza
una trafusione. Stavo per
chiamare l’ambulanza!”
Sobbalzò.
“Se lo avessi fatto…”
“Avrebbero
scoperto dei tuoi poteri, lo so” lo interruppe. “Ma
credi che per mantenere il
segreto io sia disposta a vederti morire?!”
Shisui
le
appoggiò una mano sulla spalla, nonostante cercasse di
mostrare calma aveva
tutti i muscoli tesi.
“Sasuke,
almeno capisci la gravità di quello che è
successo?”
Abbassò
lo
sguardo, odiava quella sensazione da bambino sgridato.
“Sì”
disse
piano. “Ma sto bene”.
“No,
non è
vero” lo contraddisse. “Sei debole, ti reggi a
malapena in piedi e hai dormito
due giorni interi”.
“Naruto
ha
chiamato preoccupato” s’intromise Sakura con una
smorfia. “Pensa almeno a lui,
credi che accetterebbe una cosa del genere senza battere
ciglio?”
“Sono
un
vigilante, combatto i criminali, è ovvio che ci siano
effetti collaterali”
sbottò. “E Naruto non saprà mai niente
di tutta questa storia”.
Shisui
si
alzò in piedi di scatto e la sedia si rovesciò.
“Smettila! Tu non sei né un
vigilante né un cazzo di supereroe, questo non è
un fumetto! Sei un ragazzino
che si è buttato in qualcosa di più grande di lui
per un capriccio, devi
piantarla!” gridò.
“Questo
non
è un capriccio!” urlò anche lui in
risposta. “È importante!”
“La
tua
vita è più importante” Shisui si
portò le mani ai capelli. “Hai idea
dell’ansia
che ci fai vivere ogni notte? Del terrore che viene a Sakura quando
ritardi di
qualche minuto? L’altra domenica è quasi impazzita
perché non tornavi più”.
L’altra
domenica ero da Naruto, avrebbe
voluto dire, ma si morse le labbra.
“Ero
in
giro”.
“Sì,
e nel
frattempo noi qui preoccupati che ti fosse successo qualcosa”
allargò le
braccia come a indicare tutta la casa. “Questa storia deve
finire, Sasuke”.
La
rabbia
gli offuscò la vista. “Tu non sei mio padre, non
mi dici cosa fare” sibilò.
Sakura
sussultò e sbiancò, mentre Shisui strinse le mani
a pugno.
“Invece
sì”
lo contraddisse. “Non sarò tuo padre, ma tu farai
quello che ti dico”.
“Non…”
“Questa
storia del supereroe finisce qui. Non voglio vederti mai più
tornare a casa
mezzo morto. Ora la tua priorità è la scuola ed
essere un ragazzo normale”.
I
bicchieri
sulla tavola esplosero in mille schegge.
Sebbene
fosse stato lui, lo stesso Sasuke sussultò per
quell’esplosione inaspettata: la
rabbia lo aveva fatto uscire di testa e perdere il controllo sul suo
potere.
Guardò
le
schegge di vetro con sguardo disperato.
“Come
se i
ragazzi normali potessero fare questo” sbottò
velenoso “O questo”.
Fece per
teletrasportarsi in camera, ma era troppo debole e arrivò
solo fino all’entrata
della cucina contro la quale si accasciò.
Ricacciò dietro le lacrime di rabbia,
dolore e frustrazione.
“Non
sono
mai stato un ragazzo normale e mai potrò esserlo.
È inutile sforzarmi del
contrario” terminò, poi uscì.
**
Il clima
era uggioso, umido, sembrava aver fatto un passo indietro
nell’inverno. Shisui
odiava i temporali primaverili, davano un colore grigio a
quell’angolo di città
e gli gonfiavano i capelli.
Era sul
porticato della loro villetta e stava fumando una sigaretta per
calmarsi per il
litigio appena avvenuto. Sasuke cominciava a spaventarlo, era naturale
che alla
sua età fosse così indisponente e scontroso, un
perfetto adolescente nella fase
di ribellione, ma era tutta la faccenda dietro a preoccuparlo; avrebbe
dovuto
preoccuparsi di vederlo sgattaiolare via la sera per andare alle feste,
non a
combattere i criminali.
Il vero
problema era che non lo considerava davvero una figura autoritaria a
cui dover dare
ascolto, al massimo provava riconoscenza nei suoi confronti e un
bizzarro
affetto. Doveva trovare un modo per costringere Sasuke a casa anche una
volta
ripresosi.
Il
cellulare suonò, ma lo lasciò squillare troppo
pigro per rispondere, odiava
venire disturbato quando si fumava una sigaretta calmante; ma alla fine
il
suono si fece così insistente che si trovò
costretto a rispondere.
“Pronto?”
“Alla
buon’ora!”
Riconobbe
subito la voce e fece una smorfia: lavoro.
“Ero
impegnato.” Mentì. “Cosa vuoi,
Orochimaru?”
“Domani
ci
servi.” Rispose dritto al punto. “Abbiamo una
riunione con altri manager e ci
serve la tua presenza”.
S’irrigidì.
“Non posso, ho da fare”.
Lo
sentì
imprecare a bassa voce. “È una settimana che non
ti fai vedere, le pratiche da
firmare si stanno accumulando e così i tuoi impegni. Non
sono io a doverti
ricordare qual è il tuo ruolo qui”.
“Lo
so”
strinse il cellulare infastidito. “Non ce
n’è bisogno”.
“Allora
sai
che la tua presenza qui è inderogabile. Sei il nostro capo,
prenditi le tue
responsabilità”.
“Lo
so!”
ripeté frustato. “Ma a casa è un
pessimo momento, non posso lasciare Sakura a
vedersela da sola”.
Ci fu un
momento di esitazione dall’altra parte della cornetta.
“Itachi…?”
“No,
è
Sasuke il problema” sospirò. “Prima devo
risolvere qui, domani non può andare
Yamato al mio posto?”
Anche
Orochimaru sospirò, sentì attraverso
l’apparecchio alcuni movimenti di fogli e
tasti del computer.
“Vedrò
cosa
posso fare” concesse alla fine.
Lo
ringraziò e mise giù, non fece però in
tempo a mettere via il telefono che
ricevette un’altra chiamata. Il fastidio sparì
appena vide il nome sullo
schermo e venne sostituito dall’ansia, non era mai un buon
segno quando
riceveva una sua chiamata.
“Kakashi.”
rispose preoccupato. “Che sorpresa”.
“Shisui!”
la voce dell’altro era affrettata. “Hai visto il
telegiornale?”
Ripensò
al
pranzo e fece una smorfia, aveva spento la televisione per potersi
concentrare
totalmente su Sasuke.
“No,
perché?”
Lo
sentì
imprecare coloritamente. “Perché abbiamo un
problema”.
**
Sasuke
continuava a mancare a scuola. Naruto gli aveva mandato qualche
messaggio per
sapere come stesse, ma non aveva mai ottenuto risposta. Era indeciso se
richiamarlo a casa o meno, non voleva risultare troppo ossessivo, ma
gli
mancava terribilmente e la scuola assomigliava sempre più a
una prigione senza
di lui.
Senza
contare che in quelle notti Mille Falchi non era più
tornato; gli stava venendo
il dubbio di essersi esposto troppo quell’ultima mattina, di
aver messo l’eroe
alle strette e per questo non voleva presentarsi più, magari
lo aveva forzato.
Almeno
quella giornata era finita, poteva tornare a casa e prendere un momento
di
respiro. Andò verso il suo armadietto per prendere le sue
cose, ma vide che
c’erano alcuni ragazzi della squadra di football con le
bombolette.
Sospirò,
quella non era proprio giornata.
“Ehi!”
vociò facendo la voce grossa. “Lasciate stare il
mio armadietto”.
I
bulletti
si girarono a guardarlo sfrontati. “To’,
è arrivato il frocietto” lo derisero.
Strinse
gli
occhi e li guardò storto, ma non rispose alla provocazione.
Era stanco, era
stato interrogato alla lavagna e tutto quello che voleva era potersene
tornare
a casa per chiamare Sasuke.
“Non
è
aria” si fece spazio in mezzo a loro per raggiungere il
proprio armadietto, ma
uno di loro lo afferrò per la spalla.
“Su,
non
essere così scontroso” allargò un finto
sorriso amichevole. “Devi sentirti
solo, il tuo amichetto non si fa vedere da un po’”.
Ebbe un
fremito nel sentire il riferimento a Sasuke.
“Forse
ha
capito che non gli conviene farsi vedere con un finocchio come
te” considerò
uno.
Si morse
le
labbra costringendosi a non rispondere. Ne aveva la tentazione, ma non
poteva
cominciare l’ennesima rissa.
“Ehi,
checca, stiamo parlando con te” si sentì sbattuto
contro l’armadietto con la
faccia. Il dolore lo frastornò.
“Cos’è?
Ti
senti meno coraggioso senza il tuo amichetto?”
continuò quello che lo aveva
spintonato. “Sai, gli stavamo per disegnare una grande merda
nell’armadietto.
Perché del resto devi essere proprio una merda umana per
frequentare gente come
te, eh frocie…”
Non
terminò
la frase perché Naruto lo colpì con un pugno allo
zigomo. Ci mise tutta la
forza e la rabbia che aveva in corpo e fu così forte che il
ragazzo dovette
fare un passo indietro.
“Pezzo
di
merda!” sbottò portandosi una mano alla guancia.
“Sei morto!”
“No,
tu”
ringhiò Naruto pronto a battersi e a mandare tutto al
diavolo. “Non permetterti
mai più di chiamare in quel modo Sasuke!”
“Culattone
del cazzo” e gli si avventò addosso, seguito dal
resto dei compagni.
**
Sasuke
non
aveva intenzione di perdersi un’altra ronda, nossignore.
Ormai stava bene, la
ferita era guarita del tutto e anche i suoi poteri erano tornati
abbastanza
stabili. Indossò il costume nel silenzio totale, ben attento
a non fare un
rumore, doveva uscire senza che Sakura e Shisui se ne accorgessero.
Si
assicurò
di avere tutto, di essere a posto e poi si concentrò,
focalizzò il giardinetto
alla fine della strada, si sarebbe scambiato con qualche fiore o una
foglia. Le
scosse elettriche avvolsero il suo corpo, una fitta lo colpì
all’ombelico e la
familiare pressione lo teletrasportò.
Riaprì
gli
occhi davanti alla porta d’entrata in corridoio.
Cosa…?
Perché
non
era uscito? Eppure si era ripreso, sentiva l’energia scorrere
nei suoi muscoli.
“Bene,
bene”.
Sussultò
per la sorpresa e la paura, non si era accorto che seduto sulla sedia a
dondolo
c’era seduto Shisui, celato
dall’oscurità.
“A
quanto
pare stai ancora troppo male per andare a scuola, ma non abbastanza per
farti
un giretto di notte”.
“Io…”
“Non
puoi
uscire” lo interruppe alzandosi e accese la luce, che
illuminò il suo volto
impassibile e freddo.
Era
furioso, poteva dirlo con certezza.
“Non
puoi
teletrasportarti fuori da questa casa, ho messo un apparecchio che ti
impedisce
di lasciarla usando i tuoi poteri” spiegò gelido.
Strabuzzò
gli occhi, come aveva fatto a trovare qualcosa di così
specifico? Sembrava il
sistema di sicurezza che usavano nella sua camera quando era ancora ai
laboratori, non era di certo qualcosa che poteva ordinare con amazon
prime.
“Come…”
Lo
interruppe ancora, intuendo la domanda. “Sono bravo con le
cose elettroniche,
lo sai” gli lanciò un’occhiataccia.
Avrebbe
indagato su quella faccenda più tardi, ora aveva altre
urgenze.
“Significa
che non posso uscire?” domandò rigido.
“Ovvio
che
no. Puoi uscire aprendo la porta e camminando sulle tue gambe, come le
persone normali”.
Lo
fulminò
con un’occhiataccia. “Bene, allora
camminerò!” lo sfidò.
Si
diresse
a grandi passi verso la porta, rigido come un soldatino, e
afferrò la maniglia.
Tirò con forza, ma la porta non si aprì di un
centimetro, si sforzò ancor di
più, ma rimase chiusa.
Si
girò a
trucidarlo con lo sguardo.
“La
porta è
chiusa” lo informò impassibile Shisui.
“Perché è l’una di notte, le
persone normali a
quest’ora dormono”.
“Mi
hai
chiuso dentro casa?” domandò oltraggiato.
“Sì”.
“Non
potrò
più uscire?!”
“Potrai
uscire fra qualche giorno, quando ti sarai ripreso del tutto, per
andare a
scuola e vedere i tuoi amici come le persone normali”.
“Smettila!”
gridò. “Smettila di ripeterlo, ti ho
già detto che io non sono normale!”
Non si
lasciò incantare. “Invece sì, Sasuke.
È vero, hai qualcosa di diverso rispetto
gli altri, ma questo non può impedirti di vivere sereno e
felice. Ora vai a
letto, solo perché riesci a camminare non significa che sei
guarito”.
“No”
s’impuntò.
Sospirò.
“Come vuoi, ma da questa casa non uscirai”.
“Romperò
la
serratura, modificherò la sua struttura
molecolare”.
Lo
guardò
con sufficienza. “Non puoi, i sensori te lo
impediranno” lo superò per
raggiungere le scale.
Sasuke
era
incredulo, tutto quello non poteva essere reale. Non poteva essere
imprigionato
nella sua stessa casa, non di nuovo.
“Ti
odio!”
ringhiò con frustrazione, si morse le labbra per resistere
alla tentazione di
piangere per la rabbia. Chiuso in una gabbia, lo aveva chiuso dentro
un’altra
gabbia.
Quelle
parole bloccarono Shisui.
“È
per il
tuo bene, Sasuke” disse piano. “Non importa se non
capisci, odiami pure. Ma non
permetterò che ti venga ancora fatto del male”.
“Stai
zitto” tremò. “Tu! Tu adesso mi stai
facendo del male, questo non ti rende
diverso da quei pazzi nei laboratori. Sei come loro, vuoi tenermi
dentro una
fottuta gabbia”.
Si
teletrasportò in camera propria e questa volta si
premurò di essere il più
rumoroso possibile con lo stridere delle scosse elettriche.
**
Sakura
aprì
la porta confusa dopo che dallo spioncino aveva riconosciuto la figura
di
Naruto. Strano che fosse lì a quell’ora, non
doveva essere a scuola?
Quasi le
prese un infarto nel vedere in che condizioni si trovava.
“Naruto!”
esclamò. “Che è successo?”
Aveva
lividi
violacei attorno agli occhi e sullo zigomo, il labbro spaccato e una
cicatrice
sul mento.
“Salve
signorina
Sakura” la salutò, si strinse nelle spalle.
“Una rissa a scuola” spiegò
semplicemente, poi: “Sasuke sta ancora male?”
Sbatté
le
palpebre ancora sorpresa di vederlo in quello stato.
“Lui…
sì,
ma ormai è quasi guarito. Entra pure, non stare
fuori”.
La
ringraziò ed entrò nel corridoio familiare, fu
quasi confortante entrare in
quella casa.
“Sasuke
è
in camera sua.” continuò Sakura, lo
guardò più criticamente. “Non dovresti
essere a scuola a quest’ora?”
“Sono
in
punizione.” ammise con una punta di vergogna mentre saliva le
scale. “Sono
stato sospeso per due giorni”.
“Oh,
Naruto…”
“Non
sono
stato io a iniziare.” la interruppe, sembrava davvero
abbattuto. “Ma il preside
non mi ha creduto. Almeno gliel’ho fatta vedere a quegli
idioti”.
Sakura
non
disse niente e lo guardò mentre usciva dalla sua visuale.
Naruto
bussò alla porta della camera di Sasuke, ma poi non attese
che rispondesse ed
entrò.
Sasuke
era
a letto e sussultò quando vide che si trattava di lui,
spalancò lo sguardo
smettendo di essere truce.
“Naruto?”.
La sorpresa felice sparì appena lo vide meglio in volto.
“Che cosa ti è
successo?!”
“Quell’idiota
di Hans” disse semplicemente, richiuse la porta alle proprie
spalle. “Ho fatto
a botte con lui e i loro amici. Sono stato sospeso dalla scuola per due
giorni,
non sapevo dove andare quindi sono venuto a vedere come
stavi” riassunse, evitò
di dirgli che si era lasciato provocare perché lo avevano
insultato, sapeva che
Sasuke non avrebbe gradito scoprire che si era ridotto in quello stato
per lui.
L’amico
era
senza parole.
“Razza
d’idiota!” sbottò preoccupato.
“Manco qualche giorno e tu ti fai spaccare la
faccia, Dio quanto sei idiota” fece per alzarsi, ma una fitta
di dolore lo
immobilizzò in una smorfia. In quella notte aveva provato
molto spesso ad uscire
nonostante i sensori, fino allo stremo, Sakura era furiosa con lui per
quel
motivo.
A Naruto
non sfuggì la sua smorfia di dolore.
“Tu
tutto
bene?” si preoccupò avvicinandosi al letto.
“Lo sapevo che ti stavi ammalando,
ultimamente eri troppo strano”.
“Già”
commentò solo, poi sospirò “Grazie per
essere passato”.
“Figurati,
questi giorni sono stati una noia senza di te” si sedette sul
bordo del letto.
“Devo assolutamente raccontarti quello che ti sei
perso”.
“Evita,
non
mi interessa”.
“Sta’
zitto
e ascolta.” Lo azzittì. “Be’,
innanzitutto sono stato interrogato e…”
Per le
successive ore, la stanza di Sasuke smise di essere noiosa e tetra. Era
bastata
la presenza di Naruto e la sua parlantina a renderla più
calda e accogliente, a
volte Sasuke avrebbe tanto voluto scoprire il suo segreto.
Naruto
lo
mise a capo di tutti i nuovi pettegolezzi, gli disse di quello che si
era perso
con le lezioni e cose stupide o di poco valore. Si sfogò di
tutto il silenzio
che era stato costretto a sopportare in quei giorni di solitudine. Gli
spiegò i
paragrafi nuovi di scienze sentendosi davvero importante e
intelligente, fecero
matematica insieme e guardarono perfino un episodio di Voltron.
Il
malumore
sparì completamente da Sasuke, rinfrescato dalla presenza
dell’amico, e le ore
passarono senza che se ne rendesse conto. Quando si fece ora di cena
Sakura
portò loro il piatto in camera, a quanto pare Sasuke non
voleva scendere in
cucina. Naruto aveva capito che fosse arrabbiato con Shisui di nuovo,
ma appena
aveva provato ad accennare alla faccenda Sasuke era sprofondato in un
cupo
silenzio.
“Ti
fermi a
dormire da noi, Naruto?” domandò Sakura con fare
casuale.
Sia
Naruto
che Sasuke spalancarono gli occhi, l’uno per la
felicità l’altro per l’orrore.
Lui e Naruto non condividevano un letto da anni, se non si contavano le
volte
che si era intrufolato da lui come Mille Falchi. Sarebbe stato troppo
strano,
soprattutto perché Naruto aveva la brutta abitudine di
spiaccicarsi contro
qualsiasi fonte di calore umano.
“Posso
davvero?” domandò Naruto emozionato.
“Non
hai il
pigiama dietro…” tentò Sasuke.
“Non
importa, puoi prestargli uno dei tuoi” s’intromise
Sakura. “Per noi non è
affatto un disturbo”.
Certo,
perché la sua presenza mi impedirà di tentare
di andare via.
Doveva
trovare un modo sottile perché Naruto rifiutasse.
“Adesso
ci
pensa, lasciaci in pace” la mandò via un
po’ brusco, guadagnandosi
un’occhiataccia di rimprovero.
“Io
non ci
devo pensare” disse Naruto appena la porta si fu richiusa.
“Ho già deciso,
resto. È da tanto che non facciamo un pigiama
party”.
Odiava
dover giocare quella carte, ma l’altro sembrava piuttosto
deciso.
“E
se
questa notte passasse Mille Falchi da te? Non sarebbe strano per lui
scoprire
che sei nel letto di un altro ragazzo?”
Fu la
cosa
sbagliata da dire, perché tutta la spensieratezza
sparì dal volto di Naruto.
“In
realtà
è da un po’ che non viene” ammise.
“Credo abbia cambiato idea… forse si è
stufato di me” tentò una risata amara.
“No!”
sbottò Sasuke fin troppo veemente, al punto che si
guadagnò un’occhiata
perplessa. “Voglio dire, nessuno potrebbe stancarsi mai di
te, sei troppo…” non
trovò la parola adatta con cui finire la frase, quindi la
lasciò sfumare da
sola nel silenzio.
Naruto
lo
guardò con gli occhi spalancati, un leggero rossore sulle
guance.
“Grazie…
sei un amico” mormorò intimidito. Quelle parole
gli avevano capovolto lo
stomaco e non capiva nemmeno perché.
Sasuke
distolse lo sguardo, anche lui in palese imbarazzato.
“Già,
il
tuo migliore amico” commentò neutro.
Guardarono
un’altra puntata di Voltron mentre mangiavano, poi si
spostarono sul letto a
guardarlo per stare più comodi.
Dopo
quello
che aveva appena detto, Naruto si sentiva un po’ a disagio a
stare così vicino
a Sasuke, aveva le palpitazioni accelerate. Il modo in cui il corpo di
Naruto
era premuto al suo fianco gli era familiare, ma questo era ovvio visto
che si
conoscevano da anni; però lo sentiva familiare anche in un
altro senso che non
riusciva bene a capire, improvvisamente gli era venuto molto
più caldo e stava
sudando.
Perché
si
stava agitando così tanto? Era Sasuke, il suo migliore
amico, non aveva senso
niente di quello; si stava solo lasciando impressionare.
S’impose di rilassarsi
e nel farlo appoggiò la testa sulla spalla
dell’amico, così sentiva il suo
profumo in modo molto più intenso, lo stava stordendo appena.
Assomiglia a
quello di Mille Falchi…
Si
bloccò,
sconvolto da quella sua stessa considerazione. Perché stava
paragonando l’odore
del suo migliore amico a quello del suo amante? Perché li
trovava eccitanti
allo stesso modo?
Forse
l’idea di restare a dormire da lui quella notte non era stata
una delle
migliori.
Al
termine
di un episodio, Sasuke spense il computer e lo mise via sul comodino.
“Andiamo
a
dormire, stai crollando”.
“Non
è
vero, posso guardarne un altro” s’impose con voce
fievole, anche se aveva gli
occhi socchiusi.
Sasuke
ridacchiò divertito e Naruto si sentì un
po’ indispettito, come faceva a essere
così calmo e controllato? Non stava provando anche lui le
strane emozioni che
lo stavano prendendo?
“Andiamo
a
dormire” ripeté tirando su le coperte sopra le
loro teste. Si sistemò meglio
sul cuscino e si assicurò di allontanarsi il più
possibile da Naruto.
Quello
lo
guardò perplesso. “Ma che fai? Sei sul
bordo!”
“Mi
piace
avere spazio” si giustificò.
“Ma
quale
spazio, stai per cadere” sbuffò,
allungò una mano ad afferrarlo e se lo tirò
contro. “Non fare l’idiota, non ti mangio
mica”.
“Non
azzardarti a fare il polipo come tuo solito” lo
minacciò.
“Non
è
qualcosa che posso controllare, dormo quando succede!”
protestò indignato.
“Come
vuoi,
ma lasciami dormire” fece per chiudere gli occhi, ma si
ritrovò stretto in una
morsa, in uno degli abbracci soffocanti di Naruto. L’amico
gli si era
completamente avvinghiato contro e aveva intrecciato le loro gambe.
“Idiota!”
sbottò. “Adesso sei sveglio, lasciamo
andare”.
Lo
sentì
ridere. “Scusa, dai” blaterò
stringendolo più forte. Era così familiare
abbracciarlo in quel modo, come se il suo corpo si adattasse
perfettamente a
quello dell’altro, era una sensazione così strana.
“Mi
sei mancato,
non hai idea di quanto” ammise con la voce un po’
ovatta per il sonno, aumentò
la stretta. “Mi sei mancato tantissimo”.
Sasuke
trattenne il fiato, quello era un genere di abbraccio che aveva sempre
riservato per Mille Falchi, non lo aveva mai abbracciato in quel modo
così
disperato e totale, che persino le loro gambe erano aggrovigliate. Gli
piacevano quegli abbracci ed era incredulo di averne ricevuto uno. Era
una
brutta persona se ne approfittava un pochino?
Si
rilassò
contro di lui e alzò anche le sue braccia a ricambiarlo.
“Anche
tu”
sussurrò. “Buonanotte,
scemo”.
Buonasera^^
Questo
aggiornamento giunge nel bel
mezzo della settimana e succedono cose.
Sasuke ferito gravemente tanto per cominciare, che viene chiuso in
casa. Naruto
che comincia a sentire qualcosa di strano. E poi
c’è Obito, eh già. Un Obito un
po’ schizzato :> vedremo che cosa combinerà
nella storia u.u e abbiamo un
indizio sul lavoro di Shisui, qualche idea?? Su, I’m so curious delle vostre
elucubrazioni :D
Ringraziamo
Ahiryn per il betaggio, mentre io
ringrazio voi per seguire la
storia. Siete super <3
Un bacio,
Hatta
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