I
Morinethari e il fato di Maglor
Arda
sapeva essere crudele con chi vi dimorava, per forza o per amore.
Il
cantore, che più di tutti aveva vissuto dolori e sofferenze,
negli
immemori anni in cui il suo passo aveva calcato la terra-di-mezzo, lo
sapeva meglio di tutti. Ma sapeva anche di non essere il solo.
In
quell'angolo sperduto di mondo vi era una stirpe di secondogeniti che
condivideva con lui una maledizione del fato. Più di ogni
altro,
persino più delle genti delle tre case, essa aveva
combattuto
l'ombra. Ma, odiata con ferocia dall'oscuro signore, era destino che
i suoi sforzi non venissero mai riconosciuti.
Unico
rimasto tra tutti i priminati a conoscere la loro storia, il cantore
li chiamava 'Morinethari', uccisori dell'ombra. Essi erano gli unici
che, pur essendo nati sotto il dominio di Morgoth, gli avevano
voltato le spalle per allearsi con gli Eldar, in tempi ormai lontani.
Quanto poco questa scelta avrebbe tratto loro vantaggio non lo
potevano certo sapere, ma non tornarono mai sui loro passi
né
tradirono la parola data.
Erano
i discendenti di Borlach, Borlad e Borthand, figli di quel
Bòr che,
durante la battaglia delle innumerevoli lacrime, si schierarono con
Maglor e Maedhros. All'indomani di quel triste scontro, il maggiore
dei figli di Fëanor non
volle più avere a che fare con loro. Il sospetto del
tradimento e
il disprezzo per la debolezza di cuore degli umani avevano avuto la
meglio sul suo animo.
Il
cantore ricordava ancora molto bene cosa il loro capo aveva detto
prima di andarsene irato da Dolmed:
La
luce del Reame Beato, mai potemmo vedere, ché il nostro fato
è
lungi dalla Terra-di-Mezzo. Poco somigliamo ai nostri fratelli che
per primi vennero in queste terre, ed il nostro aspetto ci accomuna
più ai Nani che agli Elfi. Noi sappiamo che trovate la
nostra forma
affatto ripugnante, e da quella giudicate il nostro cuore. Noi,
tuttavia, qui siamo, perché al pari vostro, abbiamo perso le
nostre
case ed i nostri affetti. Se ci giudicate servi di Morgoth, ben
misera ricompensa abbiamo ricevuto dal nostro signore, per i nostri
servigi!
Principi
degli Eldar, abbiamo difeso la vostra ritirata combattendo con onore.
Il nostro padre e capostipite Bòr ed i nostri fratelli sono
rimasti
uccisi. Quale sogno malvagio inculcato nelle vostre menti
può farvi
immaginare che fosse tutto un piano per guadagnarci la vostra
fiducia? Persino le fiere dal cuore più nero provano
pietà per i
propri figli!
Se
volete liberarvi di noi, cacciarci con il fuoco, non staremo certo ad
attendere; non vogliamo mendicare neppure la più piccola
briciola
del vostro pane. Ma sappiate che la vostra collera è mal
riposta e
del vostro disprezzo nei nostri confronti, Morgoth ride.
Tra
coloro che erano rimasti turbati da quelle parole c'era Maglor.
Quello era il nome che più di tutti il cantore non voleva
ricordare.
Il
suo
nome.
All'epoca
non era stato capace di dire nulla, bloccato com'era dalla paura che
albergava nel suo cuore. Maledetto il giuramento, maledetta la
debolezza del suo carattere, maledetto tutto!
Negli
anni a venire la consapevolezza che la sua ignavia avesse ridotto un
popolo alla rovina e all'oblio fu una tortura per la sua mente.
Eppure, la gente di Bòr non morì quel giorno. Si
trasferì nelle
profondità della terra di mezzo, a est del grande mare
interno di
Rhun. E lì, la loro lotta continuò.
Maglor
non venne a conoscenza della loro esistenza se non dopo molti, troppi
secoli, quando uno dei suoi viaggi lo portò lontano, nel
Dorwinion.
Lì il martello di Sauron si posò come su un
incudine. Non poteva
sopportare che così vicino a Mordor si trovasse la prova
vivente che
il suo padrone non era così onnipotente, che non era
riuscito a
traviare tutti i cuori che erano stati a lui vicini. Li odiava con lo
stesso ardore con cui sputava sui numenoreani sopravvissuti
all'inabissamento della terra della stella.
E
una seconda volta, la maledizione dell'ombra piombò sugli
occhi di
coloro che dovevano esser loro alleati. Oropher, re degli elfi
silvani di Boscoverde il grande, vedeva in loro dei rozzi barbari,
una ferita purulenta troppo prossima alla sua pulita e ordinata
foresta. Maglor, più per sentirsi finalmente in pace con la
propria
coscienza, che per vero amore per quel popolo, aveva chiesto al
sovrano udienza presentandosi come Linnon, un noldo errante rimasto
al di qua del mare dopo la guerra d'ira (cosa che non era tanto
lontana dal vero). Tentò di dissuadere il re dai suoi
intendimenti
nella forma che meglio conosceva, cantando un lungo lai in onore dei
figli di Bòr. Non valse a nulla. Anzi, pur rimanendo colpito
dall'arte del suo ospite, derise apertamente il tentativo di
nobilitare quegli sporchi e brutti orientali che, a dispetto delle
apparenze, si dicevano nemici di Mordor.
Linnon
non osò rivelare il suo vero volto. Aveva paura di quel che
ne
sarebbe conseguito. Non aveva fatto già così
fatto il massimo? Non
voleva saperne degli stupidi anelli di Celebrimbor, che gli
ricordavano un po' troppo i Silmaril, per i suoi gusti. Non voleva
saperne di essere riconosciuto come il sovrano di tutti i noldor,
soppiantando Gil-Galad. Non voleva essere costretto a incontrare
Elrond... Per cosa? Per implorare perdono per la strage alle bocche
del Sirion? Ma per tutti i Valar, no!
Cirdan,
l'unico sapeva chi fosse, gli avrebbe negato ancora una volta la nave
per veleggiare verso Valinor, come già aveva fatto?
Il
tuo fato è legato alla terra-di-mezzo, nobile Maglor. Sento
che il
silmaril che fu nella tua mano grida ancora dal profondo degli abissi
marini. Non ti garantirà un salvo percorso sulla dritta via.
Per
due volte il vecchio timoniere del Lindon gli aveva detto le stesse
parole. Certo che se il silmaril ancora lo malediceva, poteva essere
un po' più chiaro su cosa doveva fare per espiare i suoi
peccati,
no?
Anche
dopo quella sceneggiata con Oropher, Cirdan non cambiò il
suo
responso.
Maledetto
il gioiello creato da suo padre! Maledetta Arda! Maledetti tutti!
Chi
lo sa, se ti fossi rivelato, forse tuo nipote Celebrimbor sarebbe
ancora in vita.
Ah,
ora il saggio e profetico timoniere voleva appendergli un'altra
pietra al collo? Non erano già abbastanza quelle che
già gravavano
sulla sua coscienza?
Ad
ogni buon conto, Oropher si dovette poi finalmente ricredere sui
Morinethari. Non volendo sottostare agli ordini di un noldo, non
rispettò le istruzioni di Gil-Galad e attaccò per
primo durante la
grande battaglia di Dagorlad. Inizialmente affondò con le
sue armate
come un coltello nel burro, ma, ovviamente, si trattava di
un'imboscata. Accerchiati sarebbero morti tutti, se gli eredi di
Bòr
non avessero fatto la stessa cosa che avevano fatto nella Nirnaeth
Arnoediad, ossia rompere il fronte nemico per consentire la ritirata
ai propri alleati. E ancora una volta, ricevettero ben poca
riconoscenza se non quella delle lame delle affilate asce degli
orchetti di Sauron. Perirono quasi tutti.
Ah,
se avessi dato ascolto alle parole di Linnon il cantore! Fu
tutto quello che Oropher ebbe a dire della vicenda. Ancora una volta
i Morinethari sparirono nell'oblio. Ancora una volta Maglor avrebbe
potuto salvarli con una sua parola in più, forse. E ancora
una volta
si maledisse per non averla detta mai, quella parola di più.
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