Il
Gioiello del Vaticano
Capitolo
7 - Il Matto
Nei
Tarocchi, la carta del Matto indica tutto ciò che supera la nostra
comprensione, è l’infinito, l’abisso. È il vuoto, il nulla in assoluto
che
rifuggiamo perché non comprendiamo. Può essere tanto Nirvana quanto
annientamento spirituale. È la passività fatta persona,
l’irresponsabilità che
perde l’uomo e lo assoggetta alla schiavitù, soprattutto materiale.
Al negativo, però, indica squilibri che portano alla pazzia e
all’errore. È
l’essere in balia degli altri e degli elementi. Può essere
insensibilità, incapacità
di risollevarsi e rendersi conto dei propri errori.
Quel
grido di terrore gli mozzò
il fiato in gola. D’istinto, Leonardo scattò verso la povera suora che
piangeva
e implorava pietà da ore, ma quando la raggiunse fu troppo tardi: nei
suoi occhi
non vide nulla, solo una lacrima rigarle la guancia e cadere sulle
lenzuola,
una volta candide, ora screziate di sangue e di dolore.
Un’altra
vittima di quel
contagio.
Ormai
aveva perso il conto,
insieme a qualsiasi intenzione di ricordare con esattezza quante anime
stavano
pagando per quell’assurda mossa di manipolazione da parte della Chiesa.
Sentendo
la gola chiudersi per
il dolore, da Vinci capì di aver bisogno di aria fresca. Traballante e
incerto
sulle sue stesse gambe, l’artista si rialzò in piedi e barcollò fino
alla porta
della stanza, per poi gettarcisi addosso con tutte le sue forze. Il
portone di
legno cedette sotto al suo peso, e gli permise di raggiungere la loggia
che si
affacciava sul cortile interno del convento.
La
testa continuava a non
collaborare, vittima di tremendi capogiri, e le dita delle mani erano
sempre
più intorpidite, formicolanti. Leonardo dovette stringere il balconcino
con
tutte le sue forze per riuscire a reggersi in piedi, mentre scuoteva
energicamente il capo per cercare di ritrovare un minimo di lucidità.
D’istinto
si morse le labbra,
ma nel farlo ricordò improvvisamente la sensazione di quelle di
Vanessa, fredde
e screpolate per la malattia, contro le sue, ancora calde e morbide. Il
solo ripensare
a quel bacio gli strinse lo stomaco.
Ogni
secondo che sprecava senza
avere nuove idee sulla possibile causa di quel contagio, era un altro
secondo
in cui la malattia progrediva, strappando sempre più anime alla vita
nella
verde terra di Dio.
Già,
Dio…
Il
suo sguardo vagò da solo,
senza che potesse essere esercitato alcun controllo su di esso, e si
posò di
nuovo su di lei, su quella figura tanto delicata quanto fatale. Gemma
era ancora
al convento, impegnata a disquisire insieme alla badessa, mentre altre
suore ancora
miracolosamente in salute la ascoltavano con tutta l’ammirazione e la
devozione
che si dovesse alla nipote del papa.
Leonardo
non sarebbe mai
riuscito a contestare il suo potere sugli altri, la sua straordinaria
capacità
di soggiogare chiunque avesse il piacere di poter ascoltare la sua voce
e le
sue parole. Lì, illuminata solo dalla delicata e fredda luce della
luna, le
labbra piegate in un sorriso bel lontano dalla falsità e dalle
manipolazioni… nemmeno
lui sarebbe riuscito a resisterle.
Ma
poi vedeva lo sguardo delle
altre suore, la loro paura, il loro dolore nell’assistere impotenti di
fronte a
quella tragedia, nel guardare le altre consorelle dilaniate dalla
sofferenza, e
sentiva in bocca l’amaro sapore della delusione.
Nemmeno
si accorse di aver
abbandonato la loggia, o di aver sceso le scale che conducevano al
cortile. Si
destò solo quando la sua mano entrò in contatto con la morbida stoffa
della
giacca nera della contessa, le dita strette con fermezza attorno al suo
polso
mentre la sottraeva a quel colloquio con la badessa e la trascinava
lontano da
lei.
«Ve
la rubo solo un momento», spiegò alla suora, con il suo caratteristico
sorrisetto di arroganza.
Non
fece caso allo sguardo
confuso delle altre consorelle, né si curò di non trovare alcun
turbamento
negli occhi della contessa, così in quel momento come in tanti altri
colloqui
passati.
Adocchiò
il primo angolo del
cortile abbastanza appartato da permettere loro di parlare senza il
fastidio o
l’intromissione di sguardi indiscreti, ma non vide alcuna ragione per
lasciare la
presa intorno al polso di Gemma.
«Avete
cambiato idea nei confronti della mia proposta?», domandò la giovane
donna, senza
alcuna traccia di turbamento, un atteggiamento tanto calmo quanto
snervante vista
la gravità della situazione che stavano vivendo.
Non
era nei piani di Leonardo
scoppiare a ridere, eppure non ebbe alcun controllo su quel gesto, né
sulla
notevole dose di amarezza con cui lo fece. Semplicemente rise,
guardandosi
intorno con il disgusto negli occhi.
«Proposta?», ripeté lui, le labbra ancora
piegate in quel sorriso di falsità. «Il vostro è un ricatto bello e
buono»,
disse poi, tornando serio e guardandola con durezza.
«Si
tratta di uno scambio: qualcosa in cambio di qualcos’altro», rispose
Gemma
semplicemente, senza alcuna traccia di preoccupazione.
«Un
scambio tutt’altro che equo», la
corresse da Vinci immediatamente.
«Siete
libero di pensarla come volete», lo liquidò lei, con aria quasi
annoiata per
quella disputa. «Ma ciò non intaccherà l’accordo».
Leonardo
non era mai stato
famoso per la sua pazienza, perché sicuramente ne aveva ben poca, ma
di certo la fama di essere totalmente incapace di tenere le proprie
opinioni
per sé era nota a molti.
In
ogni caso, era un uomo
adulto e, per quanto istintivo, sapeva quando era il momento di parlare
e quando
invece di cucirsi la bocca. Senza ombra di dubbio, quel particolare
colloquio
con Gemma non era la sede ideale per dar voce ad ogni suo pensiero,
senza alcun
filtro.
«Voi
non avete una coscienza, contessa».
Ma
evidentemente qualcosa era
andato storto.
«Non
vi importa minimamente che delle persone, che credono ciecamente in voi e
nella
vostra Santa Madre Chiesa, muoiano?», le domandò, con non poco veleno
nella
voce. «Stanno dedicando la loro vita al Dio di cui la vostra cara
Chiesa
dovrebbe essere il punto di raccordo qui sulla terra, e in cambio cosa
ricevono? Solo morte per qualche vostra assurda manipolazione
politica».
«Avete
davvero la spudoratezza di fare a me
una predica sulla responsabilità per queste morti?», ribatté Gemma, e
la calma
che tanto contraddistingueva i suoi colloqui non era più così
onnipresente. «Vi
ho offerto una soluzione, e l’ho fatto appena arrivata nel convento. Ma
voi
avete rifiutato, facendo affidamento solamente sulla vostra tanto
decantata
genialità», proseguì, la tentazione di incrociare le braccia al petto
fermata
solo dalla presa di Leonardo. «Se delle persone sono morte perché voi
avete
preferito sfruttare quel tempo per provare qualcosa a loro e a voi
stessi, non
azzardatevi ad incanalare la vostra frustrazione su di me».
Che
fosse semplicemente
l’abitudine di sentirsi accusare di peccare d’arroganza, o quella
strana
mancanza di inibizioni, ma nemmeno una delle sue parole ebbe effetto su
da
Vinci.
«Quelle
persone sono morte perché voi…», e dicendolo sollevò la mano libera e
le puntò
l’indice contro. «…le avete avvelenate. E per sviare i sospetti, siete
venuta
qui a portare il vostro umile aiuto».
Al
solo ripensare a come aveva
trovato Vanessa, appena giunto al convento, e come lei tante altre
vittime
innocenti, si sentì soffocare dalla sofferenza.
E
un attimo dopo, come se
niente fosse, Gemma era arrivata al monastero, con la sua divisa
immacolata, la
sua maschera imperscrutabile e il suo sguardo soggiogante. E lui ci era
cascato
in pieno.
«Se
pensate che io mi lasci manipolare da voi, allora non avete capito
proprio
nulla di me», mormorò a denti stretti, iniziando finalmente a capire
che non
c’era alcuna traccia di umanità in lei.
«Se
pensate che si riduca tutto a qualcosa di così semplice, allora non
avete
capito proprio niente», sibilò Gemma, avvertendo una sensazione che non
provava
da molto tempo, e tutt’altro che piacevole: lo sforzo di tenere le
proprie
emozioni sotto controllo. Emozioni che, in quel momento, erano
tutt’altro che
tacite.
Ma
se c’era qualcosa in grado
di pungerla sul vivo, era proprio toccare l’argomento riguardante la
sua vita. Solo
parlare del suo passato era peggio di quelle accuse.
«Come
riuscite anche solo a guardarvi allo specchio?», mormorò Leonardo,
lasciando la
presa attorno al suo polso, e non fece nulla per celare l’espressione
di
ribrezzo e disgusto con cui la stava osservando. «Non provate nemmeno
un minimo
di rimorso per ciò che state facendo a queste donne?», chiese ancora,
faticando
ad immaginare come fosse possibile compiere crudeltà di quel genere
senza alcun
rammarico. «Sono suore, innocue suore che hanno solamente avuto la
sfortuna di
mettersi sul vostro cammino».
Le
parole di Leonardo erano intrise
di ribrezzo nei confronti della persona che aveva di fronte, ma
celavano ben altro:
la delusione.
Ancor
prima di conoscerla di
persona, da Vinci sapeva che la contessa Riario sarebbe stata
l’incarnazione
della sua sfortuna, l’arma inviata dal Vaticano per ostacolare la sua
ricerca,
mossi dalla paura che l’umanità potesse evolversi e tramutarsi in
qualcosa che
la Chiesa non sarebbe più stata in grado di controllare.
Eppure,
una piccola parte di
lui, la più speranzosa, confidava che ci fosse sempre del buono in
tutti, anche
nei cuori più corrotti dalle malvagità, anche nel cuore di colei che
era stata
cresciuta ed addestrata per essere una macchina da guerra incarnata nel
corpo
di una persona.
La
giovane donna che stava
guardando con tanto disprezzo fu per lui la prova di non essere
infallibile, e
dovette arrendersi alla realtà: non tutti possono essere salvati. Per
quanto ci
avesse sperato.
«Sono
convinto che voi non riusciate a provare sentimenti come il rimorso o
la pietà.
Quante altre persone avete fatto soffrire o sono morte per colpa di
qualche
vostra manipolazione? Donne? Vecchi? Bambini?», continuò Leonardo,
senza il
benché minimo scrupolo nello sputarle addosso tanto veleno. «Scommetto
che non
vi siete mai fermata un attimo a farvi un esame di coscienza mentre
qualche
innocente moriva a causa vostra».
Fece
appena in tempo a scorgere
un luccichio nel buio, prima di ritrovarsi la fredda spada di Gemma
premuta
contro il collo, a tanto così dal tagliargli la gola.
E
finalmente si zittì.
La
contessa nemmeno perse tempo
a rimproverarsi per una tale perdita di controllo su sé stessa e sulle
sue
emozioni. Semplicemente, non sarebbe riuscita ad ascoltare altro, non
senza
l’atroce sofferenza che le stava già divorando il cuore.
«Credete
di aver capito ogni cosa di me sulla base di un paio di
conversazioni?», sibilò
la giovane donna, applicando un altro po’ di pressione sulla lama.
«Voi. Non
sapete. Niente», gli disse, scandendo attentamente ogni parola, ma la
sua voce
non era più tanto salda.
Il
tempo di accorgersi di avere
la vista leggermente offuscata, e sbatté subito le palpebre per cacciar
via le
lacrime dai suoi occhi. Già si era messa sulla difensiva minacciandolo
con
un’arma: non poteva permettersi di lasciar intravedere altro, nemmeno
la più
piccola crepa.
Fu
un segnale tutt’altro che rincuorante
vederlo sogghignare soddisfatto, con il suo tipico sorrisetto
impregnato di
arroganza.
«Ho
toccato i punti giusti, a quanto pare», commentò lui, compiaciuto.
Per
Gemma non furono solo
parole, ma l’ennesimo schiaffo.
«Un’altra
parola diversa da Accetto o Rifiuto,
e sono pronta a perforarvi il
collo», lo avvertì la contessa, nascondendo dietro al suo tono
minaccioso tutto
il timore che l’artista indagasse ulteriormente in quel piccolo
cedimento.
«Avete
una coscienza, allora», affermò da Vinci con un che di soddisfatto e,
sotto
sotto, di sollievo. «Non avreste reagito in questo modo, altrimenti»,
continuò,
osservandola dalla testa ai piedi.
Sotto
il peso di quello
sguardo, di quel compiacimento per aver portato a galla un lato di lei
che
nessuno avrebbe mai dovuto sfiorare, Gemma cedette e scattò indietro di
un
passo.
«Cercate
di nasconderla e di rinnegarla in tutti i modi, eppure sono riuscito a
farla
riemergere», proseguì lui imperterrito, vedendo in quella piccola fuga
un’altra
conferma della sua teoria.
E
ne vide un’altra, quando una
scia di terrore saettò nello sguardo della giovane donna, sguardo che
subito
dopo si spostò altrove, ovunque intorno a loro, pur di non tornare
negli occhi
dell’artista.
«Basta
così, da Vinci», sibilò la contessa con un filo di voce, stringendo
così tanto
la presa intorno all’elsa della spada che la pelle nera dei guanti fu
privata
di qualsiasi piega.
Più
osservava quella scena, più
il sorrisetto di Leonardo si spegneva. Perso il gusto della vittoria,
l’artista
si sentì quasi smarrito, come se non fosse più tanto sicuro di aver
ottenuto
quello che davvero desiderava. Voleva destabilizzarla, voleva mettere
alla
prova il suo autocontrollo, in un tentativo estremo di sondare i limiti
della
sua coscienza; eppure non avrebbe mai immaginato di raggiungere un
simile
risultato.
Avvertendo
solo il silenzio,
Gemma attinse a tutte le sue forze per indossare di nuovo la maschera
della
fredda ed imperscrutabile contessa Riario, e solo quando fu certa di
esserci
riuscita rialzò il capo.
«Siete
ancora in tempo per accettare lo scambio», mormorò lei, e anche se la
sua
espressione era tornata quella di sempre, non poteva dirsi lo stesso
della
voce.
L’artista
non prestò più
attenzione ad altro che non fossero i suoi occhi, sforzandosi di
leggervi
qualcosa di diverso da quel distacco su cui tanto Gemma faceva
affidamento per
tenere gli altri a distanza.
Avrebbe
voluto muovere un passo
avanti, avvicinarsi, tentare di nuovo di colpirla. Che fosse per
vincere su di
lei come su di un’avversaria, o per un altro motivo, non ne era sicuro
nemmeno
lui.
All’ultimo
istante, però, il
suo sguardo fu catturato da una delle consorelle del convento, le
guance rigate
dalle lacrime e il respiro rotto dal pianto, mentre si dirigeva verso
la statua
di Sant’Antonio. E quando la vide chinarsi a terra e lasciare un bacio
sui
piedi della scultura, improvvisamente vide riaccendersi la fiamma della
speranza.
«Forse
non ci sarà bisogno di accettare il vostro scambio», mormorò, prima di
accorrere al cospetto del santo patrono.
Angolo
dell’autrice
Be’,
non può essere sempre
tutto rose e fiori.
Buonsalve
a tutt*!
Sono
già passati quattro mesi
dal primo capitolo, e spero di avervi fatto compagnia fino a questo
punto.
Dopo
il mistero, gli intrighi e
qualche risata, i toni si sono irrigiditi. Ma si dice che a volte le
azioni valgano
più delle parole, e forse questo è proprio il caso.
Per
Gemma è sempre facile
gestire una facciata che lei stessa costruisce a seconda delle
situazioni, ma
perdere il controllo è qualcosa di molto diverso.
Leonardo,
seppur avvelenato, ha
fatto bene? O ha esagerato? A prescindere da ciò, la carta di questo
capitolo è
a dir poco azzeccata.
Io
vi mando un forte abbraccio
e ci rileggiamo tra due settimane.
Un
bacione
Amy
W. Gildeary
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