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Autore: Amy W Gildeary    05/12/2018    2 recensioni
Il conte Girolamo Riario una volta disse: «Quando si deve trasmettere un messaggio, preferisco servirmi di mezzi che gli altri non userebbero».
Una donna, ad esempio.
E se papa Sisto IV non avesse avuto un figlio, ma una figlia?
E se il bellicoso Santo Padre avesse deciso di sfruttarla come arma per i suoi subdoli piani, approfittando dell'effetto sorpresa?
Cosa sarebbe successo se avesse avuto lei il compito di attaccare Firenze e di ottenere i servigi del geniale artista Leonardo da Vinci?
-
«Sapete chi sono?», domandò la giovane donna, chinando di poco la testa di lato; la voce morbida e vellutata, senza alcuna traccia di turbamento. «Sono Gemma Riario. Contessa di Imola, guida della Santa Romana Chiesa e nipote di Sua Santità, papa Sisto IV».
[...]
«Sì, lo so», commentò la contessa, con un sospiro annoiato. «Rimangono tutti sempre molto sorpresi di vedere una donna», continuò, con una naturalezza e una tranquillità a dir poco disarmanti, ben poco appropriati al contesto. «Volevano un figlio maschio. Lo avrebbero chiamato Girolamo. Ma poi sono arrivata io».
Genere: Avventura, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Leonardo da Vinci, Nico, Nuovo personaggio, Zoroastro
Note: What if? | Avvertimenti: Gender Bender
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Il Gioiello del Vaticano
Capitolo 7 - Il Matto

 

 

 

Nei Tarocchi, la carta del Matto indica tutto ciò che supera la nostra comprensione, è l’infinito, l’abisso. È il vuoto, il nulla in assoluto che rifuggiamo perché non comprendiamo. Può essere tanto Nirvana quanto annientamento spirituale. È la passività fatta persona, l’irresponsabilità che perde l’uomo e lo assoggetta alla schiavitù, soprattutto materiale.
Al negativo, però, indica squilibri che portano alla pazzia e all’errore. È l’essere in balia degli altri e degli elementi. Può essere insensibilità, incapacità di risollevarsi e rendersi conto dei propri errori.

 

 

 

Quel grido di terrore gli mozzò il fiato in gola. D’istinto, Leonardo scattò verso la povera suora che piangeva e implorava pietà da ore, ma quando la raggiunse fu troppo tardi: nei suoi occhi non vide nulla, solo una lacrima rigarle la guancia e cadere sulle lenzuola, una volta candide, ora screziate di sangue e di dolore.

Un’altra vittima di quel contagio.

Ormai aveva perso il conto, insieme a qualsiasi intenzione di ricordare con esattezza quante anime stavano pagando per quell’assurda mossa di manipolazione da parte della Chiesa.

Sentendo la gola chiudersi per il dolore, da Vinci capì di aver bisogno di aria fresca. Traballante e incerto sulle sue stesse gambe, l’artista si rialzò in piedi e barcollò fino alla porta della stanza, per poi gettarcisi addosso con tutte le sue forze. Il portone di legno cedette sotto al suo peso, e gli permise di raggiungere la loggia che si affacciava sul cortile interno del convento.

La testa continuava a non collaborare, vittima di tremendi capogiri, e le dita delle mani erano sempre più intorpidite, formicolanti. Leonardo dovette stringere il balconcino con tutte le sue forze per riuscire a reggersi in piedi, mentre scuoteva energicamente il capo per cercare di ritrovare un minimo di lucidità.

D’istinto si morse le labbra, ma nel farlo ricordò improvvisamente la sensazione di quelle di Vanessa, fredde e screpolate per la malattia, contro le sue, ancora calde e morbide. Il solo ripensare a quel bacio gli strinse lo stomaco.

Ogni secondo che sprecava senza avere nuove idee sulla possibile causa di quel contagio, era un altro secondo in cui la malattia progrediva, strappando sempre più anime alla vita nella verde terra di Dio.

Già, Dio…

Il suo sguardo vagò da solo, senza che potesse essere esercitato alcun controllo su di esso, e si posò di nuovo su di lei, su quella figura tanto delicata quanto fatale. Gemma era ancora al convento, impegnata a disquisire insieme alla badessa, mentre altre suore ancora miracolosamente in salute la ascoltavano con tutta l’ammirazione e la devozione che si dovesse alla nipote del papa.

Leonardo non sarebbe mai riuscito a contestare il suo potere sugli altri, la sua straordinaria capacità di soggiogare chiunque avesse il piacere di poter ascoltare la sua voce e le sue parole. Lì, illuminata solo dalla delicata e fredda luce della luna, le labbra piegate in un sorriso bel lontano dalla falsità e dalle manipolazioni… nemmeno lui sarebbe riuscito a resisterle.

Ma poi vedeva lo sguardo delle altre suore, la loro paura, il loro dolore nell’assistere impotenti di fronte a quella tragedia, nel guardare le altre consorelle dilaniate dalla sofferenza, e sentiva in bocca l’amaro sapore della delusione.

Nemmeno si accorse di aver abbandonato la loggia, o di aver sceso le scale che conducevano al cortile. Si destò solo quando la sua mano entrò in contatto con la morbida stoffa della giacca nera della contessa, le dita strette con fermezza attorno al suo polso mentre la sottraeva a quel colloquio con la badessa e la trascinava lontano da lei.

            «Ve la rubo solo un momento», spiegò alla suora, con il suo caratteristico sorrisetto di arroganza.

Non fece caso allo sguardo confuso delle altre consorelle, né si curò di non trovare alcun turbamento negli occhi della contessa, così in quel momento come in tanti altri colloqui passati.

Adocchiò il primo angolo del cortile abbastanza appartato da permettere loro di parlare senza il fastidio o l’intromissione di sguardi indiscreti, ma non vide alcuna ragione per lasciare la presa intorno al polso di Gemma.

            «Avete cambiato idea nei confronti della mia proposta?», domandò la giovane donna, senza alcuna traccia di turbamento, un atteggiamento tanto calmo quanto snervante vista la gravità della situazione che stavano vivendo.

Non era nei piani di Leonardo scoppiare a ridere, eppure non ebbe alcun controllo su quel gesto, né sulla notevole dose di amarezza con cui lo fece. Semplicemente rise, guardandosi intorno con il disgusto negli occhi.

            «Proposta?», ripeté lui, le labbra ancora piegate in quel sorriso di falsità. «Il vostro è un ricatto bello e buono», disse poi, tornando serio e guardandola con durezza.

            «Si tratta di uno scambio: qualcosa in cambio di qualcos’altro», rispose Gemma semplicemente, senza alcuna traccia di preoccupazione.

            «Un scambio tutt’altro che equo», la corresse da Vinci immediatamente.

            «Siete libero di pensarla come volete», lo liquidò lei, con aria quasi annoiata per quella disputa. «Ma ciò non intaccherà l’accordo».

Leonardo non era mai stato famoso per la sua pazienza, perché sicuramente ne aveva ben poca, ma di certo la fama di essere totalmente incapace di tenere le proprie opinioni per sé era nota a molti.

In ogni caso, era un uomo adulto e, per quanto istintivo, sapeva quando era il momento di parlare e quando invece di cucirsi la bocca. Senza ombra di dubbio, quel particolare colloquio con Gemma non era la sede ideale per dar voce ad ogni suo pensiero, senza alcun filtro.

            «Voi non avete una coscienza, contessa».

Ma evidentemente qualcosa era andato storto.

            «Non vi importa minimamente che delle persone, che credono ciecamente in voi e nella vostra Santa Madre Chiesa, muoiano?», le domandò, con non poco veleno nella voce. «Stanno dedicando la loro vita al Dio di cui la vostra cara Chiesa dovrebbe essere il punto di raccordo qui sulla terra, e in cambio cosa ricevono? Solo morte per qualche vostra assurda manipolazione politica».

            «Avete davvero la spudoratezza di fare a me una predica sulla responsabilità per queste morti?», ribatté Gemma, e la calma che tanto contraddistingueva i suoi colloqui non era più così onnipresente. «Vi ho offerto una soluzione, e l’ho fatto appena arrivata nel convento. Ma voi avete rifiutato, facendo affidamento solamente sulla vostra tanto decantata genialità», proseguì, la tentazione di incrociare le braccia al petto fermata solo dalla presa di Leonardo. «Se delle persone sono morte perché voi avete preferito sfruttare quel tempo per provare qualcosa a loro e a voi stessi, non azzardatevi ad incanalare la vostra frustrazione su di me».

Che fosse semplicemente l’abitudine di sentirsi accusare di peccare d’arroganza, o quella strana mancanza di inibizioni, ma nemmeno una delle sue parole ebbe effetto su da Vinci.

            «Quelle persone sono morte perché voi…», e dicendolo sollevò la mano libera e le puntò l’indice contro. «…le avete avvelenate. E per sviare i sospetti, siete venuta qui a portare il vostro umile aiuto».

Al solo ripensare a come aveva trovato Vanessa, appena giunto al convento, e come lei tante altre vittime innocenti, si sentì soffocare dalla sofferenza.

E un attimo dopo, come se niente fosse, Gemma era arrivata al monastero, con la sua divisa immacolata, la sua maschera imperscrutabile e il suo sguardo soggiogante. E lui ci era cascato in pieno.

            «Se pensate che io mi lasci manipolare da voi, allora non avete capito proprio nulla di me», mormorò a denti stretti, iniziando finalmente a capire che non c’era alcuna traccia di umanità in lei.

            «Se pensate che si riduca tutto a qualcosa di così semplice, allora non avete capito proprio niente», sibilò Gemma, avvertendo una sensazione che non provava da molto tempo, e tutt’altro che piacevole: lo sforzo di tenere le proprie emozioni sotto controllo. Emozioni che, in quel momento, erano tutt’altro che tacite.

Ma se c’era qualcosa in grado di pungerla sul vivo, era proprio toccare l’argomento riguardante la sua vita. Solo parlare del suo passato era peggio di quelle accuse.

            «Come riuscite anche solo a guardarvi allo specchio?», mormorò Leonardo, lasciando la presa attorno al suo polso, e non fece nulla per celare l’espressione di ribrezzo e disgusto con cui la stava osservando. «Non provate nemmeno un minimo di rimorso per ciò che state facendo a queste donne?», chiese ancora, faticando ad immaginare come fosse possibile compiere crudeltà di quel genere senza alcun rammarico. «Sono suore, innocue suore che hanno solamente avuto la sfortuna di mettersi sul vostro cammino».

Le parole di Leonardo erano intrise di ribrezzo nei confronti della persona che aveva di fronte, ma celavano ben altro: la delusione.

Ancor prima di conoscerla di persona, da Vinci sapeva che la contessa Riario sarebbe stata l’incarnazione della sua sfortuna, l’arma inviata dal Vaticano per ostacolare la sua ricerca, mossi dalla paura che l’umanità potesse evolversi e tramutarsi in qualcosa che la Chiesa non sarebbe più stata in grado di controllare.

Eppure, una piccola parte di lui, la più speranzosa, confidava che ci fosse sempre del buono in tutti, anche nei cuori più corrotti dalle malvagità, anche nel cuore di colei che era stata cresciuta ed addestrata per essere una macchina da guerra incarnata nel corpo di una persona.

La giovane donna che stava guardando con tanto disprezzo fu per lui la prova di non essere infallibile, e dovette arrendersi alla realtà: non tutti possono essere salvati. Per quanto ci avesse sperato.

            «Sono convinto che voi non riusciate a provare sentimenti come il rimorso o la pietà. Quante altre persone avete fatto soffrire o sono morte per colpa di qualche vostra manipolazione? Donne? Vecchi? Bambini?», continuò Leonardo, senza il benché minimo scrupolo nello sputarle addosso tanto veleno. «Scommetto che non vi siete mai fermata un attimo a farvi un esame di coscienza mentre qualche innocente moriva a causa vostra».

Fece appena in tempo a scorgere un luccichio nel buio, prima di ritrovarsi la fredda spada di Gemma premuta contro il collo, a tanto così dal tagliargli la gola.

E finalmente si zittì.

La contessa nemmeno perse tempo a rimproverarsi per una tale perdita di controllo su sé stessa e sulle sue emozioni. Semplicemente, non sarebbe riuscita ad ascoltare altro, non senza l’atroce sofferenza che le stava già divorando il cuore.

            «Credete di aver capito ogni cosa di me sulla base di un paio di conversazioni?», sibilò la giovane donna, applicando un altro po’ di pressione sulla lama. «Voi. Non sapete. Niente», gli disse, scandendo attentamente ogni parola, ma la sua voce non era più tanto salda.

Il tempo di accorgersi di avere la vista leggermente offuscata, e sbatté subito le palpebre per cacciar via le lacrime dai suoi occhi. Già si era messa sulla difensiva minacciandolo con un’arma: non poteva permettersi di lasciar intravedere altro, nemmeno la più piccola crepa.

Fu un segnale tutt’altro che rincuorante vederlo sogghignare soddisfatto, con il suo tipico sorrisetto impregnato di arroganza.

            «Ho toccato i punti giusti, a quanto pare», commentò lui, compiaciuto.

Per Gemma non furono solo parole, ma l’ennesimo schiaffo.

            «Un’altra parola diversa da Accetto o Rifiuto, e sono pronta a perforarvi il collo», lo avvertì la contessa, nascondendo dietro al suo tono minaccioso tutto il timore che l’artista indagasse ulteriormente in quel piccolo cedimento.

            «Avete una coscienza, allora», affermò da Vinci con un che di soddisfatto e, sotto sotto, di sollievo. «Non avreste reagito in questo modo, altrimenti», continuò, osservandola dalla testa ai piedi.

Sotto il peso di quello sguardo, di quel compiacimento per aver portato a galla un lato di lei che nessuno avrebbe mai dovuto sfiorare, Gemma cedette e scattò indietro di un passo.

            «Cercate di nasconderla e di rinnegarla in tutti i modi, eppure sono riuscito a farla riemergere», proseguì lui imperterrito, vedendo in quella piccola fuga un’altra conferma della sua teoria.

E ne vide un’altra, quando una scia di terrore saettò nello sguardo della giovane donna, sguardo che subito dopo si spostò altrove, ovunque intorno a loro, pur di non tornare negli occhi dell’artista.

            «Basta così, da Vinci», sibilò la contessa con un filo di voce, stringendo così tanto la presa intorno all’elsa della spada che la pelle nera dei guanti fu privata di qualsiasi piega.

Più osservava quella scena, più il sorrisetto di Leonardo si spegneva. Perso il gusto della vittoria, l’artista si sentì quasi smarrito, come se non fosse più tanto sicuro di aver ottenuto quello che davvero desiderava. Voleva destabilizzarla, voleva mettere alla prova il suo autocontrollo, in un tentativo estremo di sondare i limiti della sua coscienza; eppure non avrebbe mai immaginato di raggiungere un simile risultato.

Avvertendo solo il silenzio, Gemma attinse a tutte le sue forze per indossare di nuovo la maschera della fredda ed imperscrutabile contessa Riario, e solo quando fu certa di esserci riuscita rialzò il capo.

            «Siete ancora in tempo per accettare lo scambio», mormorò lei, e anche se la sua espressione era tornata quella di sempre, non poteva dirsi lo stesso della voce.

L’artista non prestò più attenzione ad altro che non fossero i suoi occhi, sforzandosi di leggervi qualcosa di diverso da quel distacco su cui tanto Gemma faceva affidamento per tenere gli altri a distanza.

Avrebbe voluto muovere un passo avanti, avvicinarsi, tentare di nuovo di colpirla. Che fosse per vincere su di lei come su di un’avversaria, o per un altro motivo, non ne era sicuro nemmeno lui.

All’ultimo istante, però, il suo sguardo fu catturato da una delle consorelle del convento, le guance rigate dalle lacrime e il respiro rotto dal pianto, mentre si dirigeva verso la statua di Sant’Antonio. E quando la vide chinarsi a terra e lasciare un bacio sui piedi della scultura, improvvisamente vide riaccendersi la fiamma della speranza.

            «Forse non ci sarà bisogno di accettare il vostro scambio», mormorò, prima di accorrere al cospetto del santo patrono.

 

 

 

Angolo dell’autrice

Be’, non può essere sempre tutto rose e fiori.

Buonsalve a tutt*!

Sono già passati quattro mesi dal primo capitolo, e spero di avervi fatto compagnia fino a questo punto.

Dopo il mistero, gli intrighi e qualche risata, i toni si sono irrigiditi. Ma si dice che a volte le azioni valgano più delle parole, e forse questo è proprio il caso.

Per Gemma è sempre facile gestire una facciata che lei stessa costruisce a seconda delle situazioni, ma perdere il controllo è qualcosa di molto diverso.

Leonardo, seppur avvelenato, ha fatto bene? O ha esagerato? A prescindere da ciò, la carta di questo capitolo è a dir poco azzeccata.

Io vi mando un forte abbraccio e ci rileggiamo tra due settimane.

Un bacione

Amy W. Gildeary

   
 
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