Overthinking.
“I
can go and
overthink this
If
you want
to
Nothing
much
is gonna change”.
(We
are scientist – No wait a five levels)1
17
Settembre 2018
Sedi
Università Ca’ Foscari
Il
secondo
giorno di università per Leo fu molto più
frenetico nonostante la prima lezione
fosse restata Estetica a mezzogiorno, ma dopo di essa ne aveva altre
tre con
solo lo stacco di un quarto d’ora dall’una e
all’altra. Se dopo Estetica Simon
aveva avuto la possibilità di andare in Campo a pranzare, a
Leo quella pausa non
era stata concessa: era dovuto correre a Teoretica per non rischiare di
non
trovare posto e sedersi sui gradini. Poi aveva raggiunto Simon e
insieme erano
corsi alla prima lezione di Filosofia Morale; l’amico era
molto scettico in
merito, perché dei loro compagni di corso più
anziani non avevano parlato molto
bene del professore, descrivendolo come un fanfarone bigotto. Il motivo
principale per cui Simon partiva abbastanza prevenuto erano le voci
della sua religiosità
un poco estrema, al suo contrario Leo non lo considerava affatto un
problema,
essendo lui per primo credente.
La
lezione
fu strana, nessuno dei due se la sentì di dare un giudizio
sul professore. Era
evidentemente una persona a cui piaceva parlare di se stesso e nel
corso della
lezione aveva usato spesso esperienze personali per fare esempi che a
malapena
entravano nel discorso. Ciò che fece loro storcere il naso
fu il modo poco
educato con cui spesso si riferiva ai colleghi. Però
l’argomento si prospettava
ricco e interessante, Leo era entusiasta di iniziarlo.
Meno
entusiasta fu di trascinarsi alla quarta lezione della giornata. Erano
ormai le
cinque e mezza, non aveva la volontà di restare concentrato
per altre due ore.
“Mettere
lezione a certi orari dovrebbe essere illegale”
protestò sconfortato.
Simon,
che
aveva avuto la pausa pranzo, non si mostrò altrettanto
provato.
“Se
segui
troppi corsi puoi lasciarne stare uno” gli fece notare.
“Ma
voglio
cercare di stare il più possibile con te”
piagnucolò “E poi non posso scartarne
uno senza nemmeno provarlo prima”.
Ignorò
la
prima risposta e sperò di non essere arrossito nelle
orecchie; era bravissimo a
tenere una faccia da bronzo e raramente l’imbarazzo gli
imporporava le guance,
ma a volte le orecchie gli si infiammavano se accadeva qualcosa di
inaspettato
che lo compiaceva. Per questo le sfiorò con le dita e
cercò di nasconderle con
le ciocche più lunghe dei capelli ribelli.
“Dai,
andiamo” borbottò.
“La lezione è San
Basilio”.
“Secondo
te
che cosa si fa a Filosofia della Letteratura?”
domandò. “Non è che il sito
fosse molto chiaro”.
“Il
sito
non è mai chiaro”.
“Sì,
però…
ci sono così tanti testi che mi chiedo quale sia il filo
conduttore. Forse
faremo un lavoro ermeneutico?”
Simon
rabbrividì a quella parola, memore del corso di ermeneutica
filosofica
frequentato l’anno prima.
“Spero
di
no”.
Arrivarono
che la lezione era cominciata da qualche minuto, perciò si
sedettero in ultima
fila per non fare troppa confusione. L’insegnante sembrava
molto presa da
quello che diceva, ma parlava così velocemente che
faticarono a capire di cosa
stesse parlando.
“Ah,
sta
riassumendo il programma”.
Leo si
ritrovò a pensare che quella professoressa era chiara quanto
il sito, o forse
era lui troppo stanco per riuscire a starle dietro. Saltava da un
argomento
all’altro senza concludere il primo, a volte perfino la frase
rimaneva sospesa
a metà perché lei veniva colta da un altro
pensiero. Faceva movimenti energici
con le mani che lo distraevano, si ritrovò a perdere il filo
del discorso più
di una volta perché si incantava a guardarla gesticolare. Il
suo quaderno degli
appunti era aperto davanti a lui con la pagina immacolata, perfino
Simon aveva
un’espressione un poco corrucciata e confusa. Almeno lui di
tanto in tanto
riusciva a segnare qualcosa con la stilografica, Leo tentò
di spiare, ma la
scrittura dell’amico era talmente stretta e minuta da essere
illeggibile.
Sospirò
e
rinunciò a seguire la lezione, ormai ne aveva persa per
metà e tentare di stare
dietro a quelle continue divagazione era pressappoco impossibile.
Appoggiò
perciò la testa sul banco con gli occhi chiusi, felice di
essere in ultima fila
e quindi di passare inosservato. Pochi secondi dopo sentì
qualcosa picchiettare
sulla superficie vicino a lui, aprendo gli occhi si scontrò
con lo sguardo
confuso di Simon.
Morto,
sillabò con le labbra.
Simon
alzò
gli occhi al cielo e scosse la testa, poi tornò a prestare
attenzione.
Ci
rimase
un poco male, anche se era impossibile che Simon Seguo
Sempre La Lezione Lunardi gli proponesse di giocare a tris
per far passare il tempo. In quel momento sentì la mancanza
del suo compagni di
banco al liceo, Giacomo era sempre disposto a qualsiasi cosa pur di non
seguire
la lezione.
Tirò
fuori
il telefono e decise di mandare un messaggio a Teresa, magari lei lo
avrebbe
distratto. Le lancette dell’orologio appeso sul muro andavano
troppo lente.
L:
“ Quarta lezione
della giornata, il
mio cervello sta chiedendo pietà. Salvami almeno
tu!”
Mentre
aspettava la risposta schiacciò sull’immagine di
profilo di what’s app, quel
giorno l’aveva cambiata. Teresa era una bellezza molto
semplice, con un volto
pulito e ovale, gli occhi rotondi intelligenti e le ciglia lunghe.
Nella foto
sorrideva con una mano a nasconderle un poco la bocca socchiusa, i
capelli
castani erano raccolti
in una mezza coda
spettinata che le scendeva a metà schiena. Gli piacevano i
suoi capelli,
soprattutto adorava passarci le dita mentre si baciavano, erano morbidi
e
lisci.
La
risposta
arrivò quasi subito.
T: “Attento a non uccidere anche
l’ultimo
neurone, saputello”.
Fece un
sorriso al nomignolo.
L:
“No, è troppo tenace per
morire e mi serve
ancora. Com’è andata oggi a scuola?”
T:
“Andata, il solito”.
Teresa
era
ancora al liceo, era all’ultimo anno e si stava preparando ad
affrontare la
maturità; sapeva già che per quel motivo, unito
alla distanza, sarebbero
riusciti a vedersi molto meno.
L:
“Dopo posso chiamarti?”
T: “No, dai, ci siamo sentiti ieri e oggi
viene Sere da me. Magari domani”.
Ci
rimase
male per quella risposta, ma decise di non insistere per non farla
sentire
pressata. Teresa poteva reagire molto male se credeva che qualcuno le
stesse
facendo pressione, si stressava facilmente e per questo cercava di
essere
sempre organizzata.
Si
scrissero un altro poco, ma alla fine lei lo salutò per
andare a farsi la doccia
e si ritrovò a non sapere che altro fare.
Scarabocchiò sul banco con fare
distratto, poi quando vide che mancavano dieci minuti alla fine della
lezione
fece segno a Simon.
“Io
esco”
sussurrò.
“Mancano
dieci minuti” gli fece notare indispettito. “Puoi
resistere?”
“Sto
per
morire, te lo giuro”.
Sbuffò.
“Vai a casa o mi aspetti?”
“Ti
aspetto” assicurò.
Cercò
di
essere il più silenzioso possibile nell’uscire e
fu confortato di non essere
l’unico a darsi alla fuga.
Respirò
l’aria tiepida con sollievo, il cielo si stava colorando di
rosso per il
tramonto ormai vicino. La zona attorno all’aula era
silenziosa e vuota, non
c’era assolutamente nessuno.
Si
stiracchiò e sbadigliò, era distrutto e moriva di
sonno, forse restare svegli
fino a tardi non era una grande idea. Camminò avanti e
indietro per le porte
delle aule nel tentativo di distrarsi, si pentì di essere
uscito perché
aspettare fuori da solo non era tanto diverso che stare dentro.
Da una
delle porte uscì un ragazzo, che quasi gli finì
addosso, e dopo una frettolosa
scusa se ne andò senza chiudere la porta alle sue spalle,
lasciandola per metà
spalancata. Senza un motivo apparente, giusto perché non
aveva nulla da fare,
lanciò uno sguardo all’interno.
Si
congelò
sul posto.
Pareva
essere un aula studio ed era vuota, per eccezione di due ragazzi seduti
vicini.
Due ragazzi che si stavano baciando.
Non
riuscì
a reagire subito e rimase a fissarli, il cuore schizzato in gola; uno
teneva la
mano sulla spalla dell’altro, aveva il volto inclinato e il
naso schiacciato
contro lo zigomo, si baciavano lentamente come se avessero tutto il
tempo del
mondo, come se non temessero che qualcuno potesse entrare e
sorprenderli, per
nulla consci del ragazzo fuori che li spiava ammutolito.
Con un
sussulto si accorse di quello che stava facendo e se ne
vergognò, distolse lo
sguardo e poi si allontanò a passo veloce, ormai perso nella
propria testa per
i troppi pensieri.
Simon
s’indignò quando uscito dall’aula non
trovò nessuno. Eppure gli aveva chiesto
di non andare a casa subito e di aspettarlo.
“Abbandonato?”
Slittò
lo
sguardo verso Arturo, non si era accorto esserci anche lui nella classe.
Scrollò
le
spalle. “Leo ha abbandonato la nave”.
Annuì
mentre tirava fuori la sigaretta, non era accompagnato da Giada e
apprezzò
molto quel dettaglio. Anche lui cominciava a sentirsi provato per le
lezioni e
non aveva la forza necessaria per sopportarla.
“Sì,
ha
fatto bene” accese la sigaretta e se la portò alle
labbra. “Non ho ben capito
dove volesse andare a parare, questa donna”.
“A
me sembra
interessante, da quello che ho capito” si affrettò
ad aggiungere.
Non
capì il
sorriso obliquo che fece Arturo.
“Lo
seguirai, quindi”.
“Ormai
sono
qui” scrollò ancora le spalle.
“Tu?”
“Vedremo”
soffiò il fumo mentre allontana la sigaretta con un gesto
elegante del polso.
“Facciamo un pezzo insieme?” domandò con
un cenno della testa verso la strada.
Rimase
sorpreso da quella richiesta, ma accettò, se ricordava bene
aveva preso casa a
San Polo, il sestiere vicino a quello di Santa Croce.
S’incamminarono
in silenzio, Arturo gli chiese se volesse una sigaretta, ma lui
declinò dal
momento che non fumava. Il sole alle loro spalle era uno spicchio che
si
nascondeva oltre il Canale della Giudecca e lanciava lunghe ombre sulla
strada.
Non c’era ormai più nessuno a quell’ora,
perciò Simon lo notò subito.
Leo non
era
andato a casa, era andato alla panchina di Biagio, il micio
universitario. Era
un gatto magrolino e tigrato che abitava quella zona, su una delle
panchine
c’era la sua cuccia e una ciotola che a volte le vecchiette
del quartiere o gli
stessi universitari riempivano; non era raro trovare qualcuno seduto
alla
panchina per coccolarlo come stava facendo in quel momento Leo.
Si
sentì
stupido per non averci pensato, era ovvio che non fosse andato a casa
ma avesse
raggiunto il gatto per passare il tempo. Eppure c’era
qualcosa che non andava.
“Leo?”
domandò fermandosi. Anche Arturo si fermò.
Quello
alzò
lo sguardo dal gatto che teneva sul grembo, i suoi occhi parevano
leggermente
persi.
“È
finita
la lezione?” chiese distrattamente.
“Sì,
credevo fossi andato a casa”.
“No”
disse
solo.
Arturo
inarcò un sopracciglio abituato com’era a sentirlo
parlare a macchinetta quella
sua poca loquacità doveva essere una sorpresa. Per Simon invece non lo era
affatto, perciò si
scambiò uno sguardo con l’altro ragazzo facendogli
capire che non avrebbero
fatto la strada insieme.
Arturo
colse il messaggio e lo salutò con un cenno del mento, poi
si allontanò. Simon
invece si sedette sulla panchina accanto all’amico e appena
lo fece Biagio si
allungò anche su sul grembo, muovendo una sua zampina contro
la sua mano.
Cominciò a grattargli dietro le orecchie distratto,
più preoccupato a spiare
Leo di soppiatto.
Leonardo
era un grande chiacchierone, di quella tipologia che riusciva a
intavolare una
conversazione anche con un muro; non importava chi aveva davanti,
sicuramente
lo avrebbe stordito di parole. Questa era l’idea che tutti
avevano di Leo, ed
era assolutamente fondata, lui era davvero quel tipo di persona, il suo
continuo parlare non era una maschera sociale, tutt’altro.
Però c’erano quei
momenti in cui sembrava spegnersi, in cui tutta l’energia che
rivolgeva al
mondo esterno restava chiusa dentro di lui. C’erano quei
momenti, che potevano
accadere per la più insignificante cosa, dove Leo cominciava
a pensare e
pensare, rimuginava così tanto da perdersi nel proprio mondo
ignorando quello
che lo circondava. Quegli stati di pensiero continuo potevano durare
giorni
come poche ore e solitamente si risolvevano in due
possibilità: nel caso
positivo raccontava a Simon del viaggio introspettivo che aveva avuto,
con
tutte le idee che aveva vagliato e le soluzioni che lo avevano scosso;
nel caso
negativo faceva semplicemente finta di niente, come se magari non
avesse
passato un’intera giornata nel mutismo totale.
Simon
ovviamente preferiva quando si apriva, perché era sempre
affascinato dalle
conclusioni a cui l’amico arrivava; si chiese come mai fosse
piombato in quello
stato, era qualcosa successo a lezione? Eppure non ne era sembrato
molto
coinvolto. In ogni caso sapeva che cercare di sforzarlo a parlare era
inutile,
si sarebbe sbloccato da solo e in quel caso si sarebbe fatto trovare a
portata
per raccogliere la cascata di parole entusiaste. Però si
stava facendo tardi e
lui voleva andare a mangiare.
“Dovremmo
andare a casa” disse solo quando ormai era quasi passata
un’ora.
Gli
occhi
azzurri si fecero un poco più consapevoli.
“Sì, hai ragione. Sono stanco
morto”.
Diedero
un
colpetto alla pancia del gatto per farlo scendere dalle loro ginocchia,
Biagio
protestò con qualche miagolio, ma poi tornò sulla
panchina con le proprie zampe
e strofinò la testa contro il fianco di Leo.
“Torno
anche domani” lo rassicurò.
“Sai
che
non può capirti, vero?”
“Mah,
se
segue le lezioni di filosofia non capisco perché non debba
capire me”.
“È
solo una
leggenda, non sappiamo se è vero”.
“Questa
università ha troppe leggende, alcune dovranno essere
vere”.
Leo si
alzò
dalla panchina spazzolando i pantaloncini, anche quel giorno si era
presentato
con i bermuda. Sembrava essere tornato sulla terra, non più
perso sulla luna.
“A
cosa
stavi pensando?” domandò Simon non riuscendo a
trattenere oltre la curiosità.
Fu
sorpreso
di vedere un’espressione nervosa. “Ma no, a
niente” minimizzò. “Solo che ero
stanco morto. Non credo che seguirò anche questo corso,
quattro lezioni in un
giorno senza pausa sono troppe anche per me”.
Non si
lasciò sviare, anche se il suo momento era durato poco
rispetto al solito gli
era sembrato troppo concentrato per trattarsi solo
dell’organizzazione del
proprio orario. Forse aveva trovato un impasse che non riusciva a
superare e
aveva preferito lasciar perdere, era raro ma succedeva.
Perciò
gli
disse: “Lo sai che posso aiutarti se hai
difficoltà a trovare una soluzione,
vero?”
“Nah,
seguire tre lezioni nel primo periodo va bene”
cercò di fingere ancora, ma poi
sotto lo sguardo impassibile dell’amico fece un sorriso
rassegnato. “Tu tendi a
sopravvalutarti, Sy”.
“Due
cervelli sono meglio di uno”.
“Vero,
ma…”
lasciò la frase in sospeso e gli batte una mano sulla spalla
in un gesto che
lasciava intendere che preferiva lasciar perdere. “Ci arrivo
da solo, ma non
adesso che sono troppo stanco”.
Non
aveva
nessun motivo per insistere, soprattutto se glielo chiedeva in modo
così
diretto, perciò lo accontentò.
“Senti,
ma
dobbiamo proprio andare a casa?”
La
sorpresa
di Leo a sentire quella richiesta fu perfettamente leggibile e non
poteva
nemmeno biasimarlo, era davvero raro che formulasse quella domanda.
Appena
finivano le lezioni era solito dirigersi subito a casa e sbuffava
quando Leo
gli chiedeva di stare un po’ di più fuori.
“No,
possiamo andare da qualche parte. Perché?”
“Perché
questa sera è il turno di Giovanni di cucinare”.
Cannaregio,
Strada Nova.
Il
piccolo chiosco era abbastanza
affollato come suo solito e le luci appese al soffitto illuminavano la
frutta
esposta e le immagini dei cocktail colorati. Dietro il bancone i
ragazzi si
agitavano da una parte all’altra sorridendo e mixando le
varie bevande, ogni
tanto offrivano un piccolo bicchiere ai passanti per invogliarli a
fermarsi.
Leo
adorava Frulalà, il
locale per cocktail di passaggio. Era sempre uno
scoppio di vita, un dj faceva andare la musica non troppo alta e la
frutta che
usavano era sempre fresca. Avevano deciso di andare lì a
cenare, prendendo
entrambi una bowl, ovvero una
grande
ciotola di yogurt dove potevi aggiungere qualsiasi cosa ti passasse per
la
testa che comprendesse frutta di stagione e frutta secca. Perfino
Simon,
solitamente indisposto verso i posti che richiamavano una grande folla
giovanile, lo apprezzava per la qualità dei prodotti.
Avevano
preso posto sugli sgabelli al
balcone, quelli un po’ più in disparte. Avevano
chiacchierato per tutta la
serata come loro solito, del resto il loro passatempo preferito era
proprio
parlare, ma Leo continuava a restare solo per metà
concentrato nella
conversazione. Sperò che Simon non lo notasse e che, nel
caso, non se la
prendesse.
Sapeva
di essere sciocco a restare
così sconvolto per quello che aveva visto dopo la lezione,
ma non riusciva a
smettere di pensarci. Non tanto perché disapprovasse quello
che stavano facendo
quei ragazzi – dal suo punto di vista, finché non
si costringeva e faceva del
male a qualcuno, gli altri erano liberi di fare quello che volevano
– ma perché
per un momento aveva avuto la strana immagine di se stesso coinvolto in
quel
bacio.
Non era
la prima volta che faceva
pensieri simili.
Già
anni primi, quando aveva circa
diciassette anni, aveva cominciato a fare certi pensieri strani che lo
confondevano. Gli capitava di trovare attraente l’immagine di
un corpo maschile
nudo, di soffermarsi a fissare gli altri uomini in palestra a compiere
movimenti di fatica… Erano piccoli particolari, che tempo
dopo aveva liquidato
con la sua semplice capacità di riconoscere una bellezza
oggettiva – se un
uomo era bello poteva riconoscerlo
tranquillamente, non significava niente.
Però
all’inizio quella situazione
bizzarra lo aveva confuso, al punto che ingenuo si era confrontato con
la
ragazza con cui stava in quel periodo; le aveva detto del suo dubbio di
provare
un interesse fisico per i ragazzi, anche se non ne era del tutto certo
perché
al contrario era sicuro che gli piacessero le donne. Forse era colpa
del modo
in cui aveva formulato la confidenza, ma lei lo aveva lasciato nel giro
di
qualche giorno, perché non era sicura di voler stare con
qualcuno che non
sapeva nemmeno che cosa gli piaceva.
Per il
diciassettenne Leo era stato
un colpo durissimo, l’idea di essere stato lasciato per un
motivo del genere lo
aveva fatto entrare ancora in più in confusione. La sua ex
aveva ragione, come
poteva avere una relazione se non sapeva nemmeno se gli piacevano le
ragazze o
i ragazzi? La seconda opzione non lo rendeva molto entusiasta, non era
contro
gli omosessuali ma era comunque cresciuto in una famiglia molto
credente,
perciò certe idee erano difficili da mandare via. Non
ricordava con piacere
quel periodo, a pensarci si vergognava per il modo in cui aveva cercato
di
recepire ogni minimo segnale sulla sua sessualità.
Però
poi era arrivata Teresa. E ogni
dubbio era sparito a favore di quello che aveva avuto tutto il gusto di
un
colpo di fulmine.
Il loro
primo incontro era stampato
nella memoria di Leonardo come una fotografia dettagliata e vivida
nonostante i
colori notturni.
Era
estate, con Giacomo si era
iscritto a un campo estivo di tre giorni all’osservatorio di
Asiago con un
gruppo di astrofili. La prima volta che l’aveva vista Teresa
era piegata a
guardare con un occhio dentro un telescopio, le labbra piegate in una
smorfia
per tenere l’altro chiuso e le mani sulle rotelline per
regolare l’apparecchio;
aveva una treccia un poco sfilacciata per il vento e nonostante
l’alta quota
dell’altopiano portava un vestitino estivo che le lasciava le
spalle
scoperte. L’aveva
fissata immobile
finché Giacomo non lo aveva spintonato verso di lei e allora
lui,
nell’imbarazzo di non sapere cosa fare, aveva cominciato a
parlare a
macchinetta, vomitando tutte le informazioni che sapeva sulla
costellazione che
la ragazza stava guardando attraverso la lente del telescopio. Quella
sua
brillante uscita gli aveva fatto guadagnare il soprannome di Saputello, che la ragazza ancora
continuava a usare con affetto. Però aveva funzionato, dopo
un’estate di corteggiamento
si erano fidanzati e la loro storia era proseguita perfetta e senza
complicazioni.
Be’,
più o meno.
Il punto
era che dubbi del genere non
avevano più avuto senso di esistere, non era mai stato
così innamorato di
qualcuno e ormai considerava ovvio il suo essere attratto dalle
ragazze. Era
etero, fine della storia.
Ma allora
perché?
Anche
l’anno prima quei dubbi ogni
tanto erano tornati come dei tarli, era un genio maligno degno di
quello
cartesiano e a differenza del vecchio filosofo non riusciva a
scacciarlo in
modo definitivo. La cosa che più lo frustava era non solo
che facesse pensieri
del genere mentre era fidanzato, ma che a volte coinvolgessero anche il
suo
migliore amico. Si sentiva una pessima persona.
A me piacciono
le ragazze.
Come per
voler dare una prova
all’asserzione, lanciò un’occhiata alla
strada e si soffermò su una ragazza in
un vestitino aderente che aveva rallentato il passo per osservare il
locale,
aveva delle lunghe gambe e dei fianchi morbidi invitanti. Quando la
ragazza
passò oltre sparendo alla sua vista, si sentì
aggredire dal senso di colpa.
Lui era
fidanzato, non doveva
guardare le altre ragazze in quel modo, soprattutto non aveva bisogno
di farlo
per assicurarsi di essere etero. Ne aveva già la certezza.
Sospirò
e tornò a guardare ciò che
restava della propria scodella di yogurt.
“Hai
intenzione di dirmi che ti
prende, prima o poi?”
Non
guardò Simon negli occhi, anche
se poteva immaginare bene che espressione avesse. Doveva averlo fatto
preoccupare abbastanza se gli aveva parlato con quel tono secco.
Agitò
il telefono. “Giovanni ha detto
che è offeso con noi perché abbiamo rifiutato la
sua cena”.
“Okay,
che stia pure offeso” Simon si
spostò per evitare che lo colpisse al naso. “Il
vero motivo, invece?”
Ovviamente
non si lasciava ingannare.
Anche se si dicevano sempre tutto, non aveva granché voglia
di confidarsi su
quella cosa. Simon era una persona molto pudica e riservata, si
arrabbiava ogni
volta che Leo entrava nel bagno mentre si faceva la vasca per dire. Per
quanto
poteva essere comprensivo, di sicuro si sarebbe trovato in imbarazzo a
sapere
che il proprio compagno di stanza a volte faceva pensieri strani sui
ragazzi,
anche se etero.
Ma del resto sei
stato tu a riportarli a galla.
Sussultò
per quel pensiero sfuggito
al suo controllo e scese dallo sgabello come se fosse stato punto da
uno spillo,
guadagnandosi così un’occhiata perplessa.
“Andiamo
a prendere una crepes?”
domandò con esagerata vivacità.
“Fino
a Rialto?” si lagnò. “Ti prego,
no”.
“Dai,
sono quattro passi da qui. La
sto aspettando da un’estate”.
Poco
prima di Rialto c’era una
creperia che avevano scoperto l’anno prima, facevano le
crepes più buone che
avessero mangiato; le farcivano di ogni cosa immaginava, la sua
preferita era
quella con la cioccolata e gli spicchi di banana.
“Abbiamo
appena mangiato una ciotola
enorme di yogurt e frutta, non riesco a credere che tu abbia ancora
fame”
protestò incredulo, ma si lasciò trascinare per
la strada senza opporre una
vera resistenza.
“Non
occorre avere fame per volere
una crepes” lo rimbrottò.
“Va
bene, ti ricordo solo che domani
la prima lezione è alle dieci e mezza, quindi non possiamo
stare svegli ancora
fino alle due”.
Lo
ignorò con un ghigno soddisfatto,
del resto era ancora presto. E poteva ancora tenere sotto controllo
quei
pensieri.
Note:
1.
La
canzone qui
Ehi^^
Un poco
più
in ritardo del solito, ma questa settimana è stata
frenetica, senza contare che
si sta avvicinando l’ennesima sessione (la mia vita
è una sessione continua
singh)
Ma
eccomi
qui :D
Il
capitolo
è più centrato su Leo, mi rendo conto che i suoi
pensieri siano un po’ confusionari,
ma il fatto è proprio questo: ha una grande confusione in
testa e non sa come
districarsi.
Volevo
anche informarvi che il gatto Biagio esiste ed è il migliore
antidepressivo
dell’università perché un coccolone
adorabile <3
Spero vi
sia piaciuto, vi ringrazio per seguire questa storia e vi mando un
bacione!
Hatta
|