chapter
16. A name
100011101101111011000010101010111011011010101110
CANADA
Date
NOV
14TH,
2038
100011101101111011000010101010111011011010101110
CHATHAM-KENT
- ONTARIO
470
McNaughton Ave
Time
PM
11:48
È
la seconda volta che si trova a risvegliarsi in quella stanza dopo
essere stato assente per lungo tempo. Questa volta, tuttavia,
è
cosciente di essere egli stesso il responsabile di
quell’assenza,
almeno in parte, e l’essere travolto prima da Sumo e poi da
Hank
gli fa comprendere appieno quanto possano pesare certe decisioni
anche sul prossimo.
«Mi
dispiace» soffia, ancora imprigionato tra un ammasso di
sbavante
pelo e una giacca di pelle che mantiene l’odore del tabacco.
«Non
sapevo che altro fare» tenta invano di giustificarsi.
«Potevi
almeno avvisare» brontola cupo Hank, fissandolo duramente ma
per
nulla propenso ad allontanarsi da lui.
Scuote
la testa. «Mancava il tempo per farlo. Dopo… non
ci sarei più
riuscito».
*
Elijah,
in seguito al terzo infruttuoso giro attorno al tavolo in cerca di un
improbabile varco libero nel quale intrufolarsi per dare una
controllata all’RK800, comprende infine di non avere grandi
speranze, per lo meno fino a che la situazione non sarà
tornata un
minimo gestibile, e si risolve quindi ad allontanarsi un poco,
approfittando di quella pausa per scorrere gli ultimi dati raccolti,
mettervi ordine e provare a stilarne un resoconto sui progressi
fatti. Tutto sommato gli pare sia andata discretamente, e nessuno dei
suoi androidi sembra aver riportato danni troppo ingenti. Ma per
averne la certezza dovrà esaminarli più
accuratamente.
Lancia
una discreta occhiata a Markus, ancora occupato a scambiare
silenziose opinioni con l’RK900. Sembra in discrete
condizioni,
tutto sommato; di sicuro migliori rispetto a quelle di Connor. Eppure
ha notato un preoccupante sfarfallio del suo led e non vede
l’ora
di accertarsi che non sia nulla di grave. Ma non è ancora il
momento, quello; non ha intenzione di interrompere
l’interazione
fra quei due, ora: potrebbe essere importante.
Reclina
il capo, pensieroso, osservando il nuovo prototipo. Sembra essere
più… naturale, quasi abbia acquisito maggior
equilibrio. Dovrà
proprio analizzare anche quel fattore, non appena ne troverà
il
tempo.
Sospira.
Socchiude gli occhi un po’ affaticati. Si ritrova
improvvisamente a
pensare a Chloe: sarebbe bello se fosse lì anche lei. Oh,
dev’essere
davvero stanco; la sua mente, altrimenti, non avrebbe simili sbalzi
inopportuni.
*
“Penso
che dovremmo parlargliene”
insiste Jander.
“Può
darsi, ma di certo non ora”
esclude Markus, guardandolo con durezza e scoccando frequenti
occhiate impensierite ora a Connor, ora a Elijah.
“È
corretto che lui lo sappia”
pondera Jander.
“E
allora vai a dirglielo tu stesso”
lo sfida Markus, alterato.
Jander
sposta su di lui i suoi occhi metallici e le sue labbra si piegano in
una smorfia scontenta. “Sai
che non lo posso fare”.
“Potresti,
invece. Non c’è niente che non vada in
te”
commenta Markus, ritrovando un tono più pacato, perfino
gentile.
Soppesa
quelle parole, cauto, crucciando la fronte. “Non
lo so. Ci ho provato, ma non ci riesco. Forse… non ne sono
capace”
ipotizza.
Sospira.
Sorride. Poggia una mano sulla sua spalla. “Proveremo
a capire che cosa non funziona. Sempre che ci sia davvero qualcosa.
Lo faremo insieme, d’accordo?” promette.
“Noi
tre?”.
“Certo.
Siamo una squadra, ora”
conferma Markus.
*
A
Hank non garba molto l’idea che quel Kamski da strapazzo
metta le
sue manacce su Connor. Nonostante l’evidenza dei fatti (in
qualche
modo è riuscito non solo a impedire che l’androide
si spegnesse,
ma perfino a farlo tornare cosciente) non riesce proprio a fidarsi di
quell’uomo. C’è qualcosa di malsano nei
suoi occhi, soprattutto
quando si posano sui tre androidi presenti, qualcosa che lo tiene in
allerta e che gli suggerisce un senso di dubbio, di mancanza di
chiarezza in ciò che sta accadendo. Purtroppo non sa di cosa
si
tratti né tanto meno in che modo scoprirlo, ma ha il
sospetto possa
c’entrare in qualche modo quel famoso programma del quale
discutevano all’inizio.
Sumo
abbaia una volta, un suono secco e deciso: è un
avvertimento, Hank
riconosce il timbro. Solleva lo sguardo e trova il suo cane intento a
squadrare lo scienziato con diffidenza. Non per niente è il suo
cane, si compiace, appuntandosi a mente di fargli un regalo.
*
«Dovrò
quindi potenziare le tue difese e rendere l’accesso criptato.
In
questo modo potranno collegarsi solo con una chiave, che deciderai di
fornire tu stesso, se lo vorrai» lo istruisce Elijah.
Gli
occhi di Connor lo osservano con circospezione e incertezza.
«Ma io
potrò comunque accedere a informazioni esterne?».
«Ma
certo. Tu potrai collegarti a qualsiasi fonte, terminale o database
di cui avrai necessità, purché ovviamente non sia
anch’esso ad
accesso limitato, come lo sarai tu».
Connor
sembra ancora pieno di dubbi e uno di questi decide di esporlo
subito. «Non riesco a capire, signor Kamski:
perché farebbe questo
per me? Lei ora è nuovamente a capo della CyberLife, ho
sentito. E
Amanda è una sua creazione, dopo tutto.
Quindi…» tentenna.
«Lo
era, in effetti» ammette con calma. «Ma lei non mi
serve più,
ormai. Ho voi, adesso; non potrei chiedere null’altro ora
come ora,
e lei attualmente mi è d’intralcio».
«Per
i suoi progetti» tenta con prudenza.
Elijah
accenna un lieve sorriso e annuisce. «Sì,
esatto».
«E
noi… noi tre: Markus, Jander e io, ne facciamo
parte».
«Giusto»
conferma Elijah. Poi solleva un sopracciglio e scruta
l’androide
con curiosità. «Jander?».
Connor
socchiude le labbra, bloccandosi per un attimo mentre l’ambra
lampeggia nel suo led. «Mi scusi, forse non avrei dovuto
dirlo,
questo. Sono abbastanza certo che volesse farlo lui stesso, in
qualche modo» si rammarica.
«Dunque
ha un nome, ora?» si informa interessato.
«Sì,
signore: ce l’ha. Lo ha scelto lui, quando eravamo uniti. Ma,
la
prego, non se la prenda con lui. Stava solo cercando il modo per
informarla» considera, leggermente allarmato.
Elijah
ridacchia, anche se sa che non dovrebbe, se non altro per evitare di
urtare una suscettibilità ancora molto instabile del giovane
androide davanti a lui. Ma è così difficile
trattenere la propria
ilarità in quel momento.
«Ovvio
che no, mio caro Connor. Attenderò che sia lui a darmi
l’annuncio,
se questo può fargli piacere» promette, godendosi
il sorriso grato
del suo piccolo RK800.
*
Il
suo sguardo grigio si sofferma sulla grossa e pelosa figura del cane
e non l’abbandona per lunghi minuti, studiandola con
curiosità e
dubbio. È vivo anche lui, ma è una vita
differente, sia dalla
propria che da quella degli esseri umani: neanche lui parla, eppure
sembra comunque in grado di farsi comprendere. Come fa? Vuole
imparare a farlo, trovare il modo per raggiungere gli umani, far
arrivare anche a loro i suoi pensieri. Ma non sa come, e questa sua
ignoranza lo fa sentire male, lo rende infelice. Infelicità,
tristezza, malessere mentale: Markus gli ha spiegato che si tratta di
emozioni, che gli umani le chiamano così. Dunque possiede
qualcosa
di umano, dopo tutto, oltre all’aspetto esteriore. Tuttavia
non
riesce ancora a parlare come loro, con loro. E allora deve trovare un
modo alternativo per comunicare, uno che sia alla sua portata.
Osserva
per un po’ l’uomo che li ha istruiti lavorare su
Connor,
modificare con pazienza alcuni dei suoi parametri, rimuovere dei
collegamenti e variare la portanza di certuni circuiti; con
sé ha
sempre un terminale con il quale spesso si interfaccia per
controllare i parametri inseriti e le variazioni apposte. Mentre
osserva, il suo led gira pigro e cangiante, e d’un tratto
lampeggia
tornando infine a brillare di un deciso azzurro. Ora Jander sa come
fare, deve solo decidere di agire. Volontà: sì,
l’ha messa in
conto già in passato, può rifarlo anche ora, ora
che non è più
solo o senza punti di riferimento.
«È
tutto ok?» soffia piano Markus, notandolo un po’
agitato.
Sposta
lo sguardo nel suo e annuisce lentamente. “Penso
di sapere in che modo procedere”
rivela, mostrando soddisfazione nel suo tono.
Markus
sorride incoraggiante. “Bene
così, allora. Vuoi farlo adesso?”
si informa.
Jander
controlla la situazione e riflette un momento: sembra che si sia in
una fase ancora delicata. “Più
tardi. Ora sarebbe inopportuno e potrei causare danni
indesiderati”
pondera serio.
“Se
serve, posso avvertirli”
si offre collaborativo.
Ci
pensa ma scuote la testa in un breve diniego. “Non
sarà necessario. Quando giungerà il momento, non
servirà alcun
avvertimento.”.
*
Sono
ore che è piantato a fare la bella statuina nella cabina di
volo. Il
capo s’è certo scordato di lui, dannazione, e ora
gli toccherà di
sicuro dormire lì. Al diavolo! Odia non poter avere un
materasso
comodo sotto il culo per la notte. Sbuffa, Alex, e si guarda attorno
per l’ennesima volta, sapendo già di non poter
vedere altro che
filari di alberi curati e altrettanti filari di villette a schiera.
“Chissà dove mai andranno a fare la spesa quei
cavolo di borghesi”
si ritrova a domandarsi, molto seccato. È già una
rottura pensare
di dormire in elicottero, ma la prospettiva di farlo a stomaco vuoto
gli fa girare le palle. Ad averlo saputo prima…
Già, ma cosa
avrebbe potuto fare? Di certo non poteva fermarsi presso qualche
discount lungo la strada, considerato che di strade non ne hanno
percorse affatto e che se anche ci avesse provato gli avrebbero
tirato il collo; magari non il suo capo, ma quell’androide
con gli
occhi spaiati di certo ci avrebbe provato, su di giri
com’era.
Sbuffa di nuovo, per la milionesima volta, poi fruga nelle tasche
della sua giacca e ripesca una caramella mou, ficcandosela in bocca
con un mesto sospiro di sconforto. “Meglio di
niente” pensa,
comunque un po’ deluso.
*
Sta
aggiustando il grado di luminosità del led di Connor quando
il suo
telefono personale manda un segnale acustico di chiamata in arrivo.
Sbatte le ciglia, sorpreso, e si scosta appena dall’androide.
«Scusami,
devo dare un’occhiata, temo» avverte con una punta
di irritazione
per l’interruzione sul finire del suo intervento.
Connor
annuisce e sorride, e nel suo sorriso c’è qualcosa
che non è
certo di aver mai notato in altre macchine. Scuote la testa,
perplesso, e recupera l’apparecchio telefonico, osservando un
momento il display illuminato, basito. “Chloe? Che diamine
sta
succedendo, ultimamente, ai miei affidabili
androidi?” si chiede con acidità.
«Sì»
sbotta non appena aperta la comunicazione.
«Posso
supporre dal tuo tono che questa chiamata sia giunta in un momento
inadatto» esordisce tranquilla la voce di Chloe.
«Se
la torre è ancora in piedi e integra e la casa sul fiume non
è
finita in fondo al fiume… direi proprio di
sì».
«Mi
rincresce molto per il disturbo, Elijah. Tuttavia ho ritenuto potesse
interessarti e, non sapendo a che punto fosse la riparazione, ho
creduto opportuno contattarti il prima possibile» spiega
compita.
«Non
si tratta del professor Phillips, vero? Perché in tal caso
potrei
decidere su due piedi di smantellarti» borbotta piccato.
«No,
Elijah. Il professore non costituisce, al momento, un problema. In
verità si trova attualmente in infermeria e sotto sedativi.
Il
motivo è che ha cercato, invano, di dare una mano alle
squadre della
sicurezza nella speranza di ritrovare il prototipo scomparso.
Purtroppo, come sicuramente ben saprai, ha ormai una certa
età e non
si è sentito troppo bene, in seguito alla minuziosa
ispezione che ha
effettuato battendo con perizia quattro piani della torre, pertanto
il dottor Doptkins ha ritenuto opportuno somministrargli un calmante
e tenerlo per qualche tempo sotto osservazione. Ma proprio a
proposito del prototipo, il motivo di questa chiamata lo riguarda
direttamente: ho infatti ricevuto, appena qualche minuto fa, un
messaggio criptato che ha saturato la segreteria telefonica. Non
è
stato molto difficoltoso decriptarlo in realtà, tuttavia
pare
giungesse proprio dal prototipo stesso. E, indovina: si tratta di un
messaggio indirizzato direttamente a te, Elijah» conclude con
una
lieve nota compiaciuta nella voce.
Elijah
volta un momento lo sguardo, lo posa sull’RK900 fermo a poca
distanza e lo fissa perplesso. La sua perplessità si impenna
quando
nota le labbra dell’androide incurvarsi in un esitante
sorriso.
Sospira, chiedendosi chi, in effetti, stia conducendo il gioco.
«Va
bene, puoi farmelo avere, questo messaggio?» esita, ancora
stranito
per come sta evolvendo la situazione.
«Naturalmente,
Elijah. Provvedo immediatamente a inoltrarti il file».
«Grazie,
Chloe» soffia in tono un po’ stanco.
«Prego…
Stai bene, Elijah?» si informa, preoccupata.
«Sì,
credo. Forse ho bisogno di un po’ di sonno»
ammette, dimentico
dell’ultima occasione in cui ha avuto modo di dormire.
«Tornerai
alla torre, stanotte?».
«Non
ne sono certo» tituba, guardandosi attorno indeciso.
Tre
androidi. Tecnicamente dovrebbero appartenergli, ma a essere del
tutto sincero con sé stesso ci crede poco. Connor non
lascerà
facilmente il fianco del tenente Anderson; Markus preferirebbe finire
sotto un autobus, piuttosto che seguirlo di propria iniziativa alla
CyberLife; e Jander… già, chissà a
cosa pensa quell’androide,
che cosa vuole, o chi
vuole.
«Sarà
difficile» soppesa a bassa voce, mentre ode il segnale sonoro
di un
messaggio ricevuto. «Puoi aspettare in linea?».
«Certo»
assicura Chloe con voce gentile.
Mette
la chiamata in attesa e apre l’icona del messaggio, poi si
dispone
all’ascolto. Si tratta di una voce artificiale e dal timbro
leggermente metallico, che però sembra fare del proprio
meglio per
risultare cortese e piacevole.
“Buonasera,
signor Kamski. So che questo messaggio potrebbe giungerle inaspettato
e forse inopportuno, e mi scuso in anticipo se dovesse risultarle di
qualche disturbo.
Io
sono l’RK900 che lei ha condotto in elicottero in compagnia
di
Markus. Ho composto con cura questo messaggio perché
è accaduto un
fatto importante, per me, quando mi sono connesso a Markus e Connor:
ho scoperto che mi mancava qualcosa, qualcosa di diverso da
ciò che
credevo essenziale; ho realizzato che pur impegnandomi non ero
comunque stato in grado di rassomigliare abbastanza a un essere
umano, non quanto avrei voluto, in effetti. Mi mancava un nome.
Connor me lo ha fatto notare, e sempre lui, con il supporto di
Markus, mi ha incoraggiato a trovarne uno.
Signor
Kamski, non sono purtroppo in grado di darle personalmente questa
notizia; per quanto mi sia impegnato nel trovare una soluzione non
sembra ch’io sia in grado di parlare, ma posso
recapitargliela per
mezzo di questo messaggio preregistrato. Ho un nome anche io, ora: il
mio nome è Jander. Forse non è molto, ma mi sento
comunque molto
fiero per questo poco, e sono veramente lieto di fare la sua
conoscenza”.
Sorride,
ascoltando il messaggio, e una piccola lacrima attraversa veloce la
sua guancia, svanendo oltre il collo.
«Signor
Kamski, si sente bene?» chiede Connor, impensierito.
Elijah
solleva gli occhi su di lui e annuisce. «Sì, molto
bene, Connor.
Dammi ancora un momento, vuoi?».
Connor
offre un cenno affermativo ma rimane a osservarlo, incerto se credere
alle sue rassicurazioni. L’uomo, nel mentre, ha riaperto la
comunicazione con il suo precedente interlocutore.
«Chloe»
soffia, accertandosi che lei sia ancora in linea.
«Sì,
Elijah».
«Ora
so quello che devo fare» mormora, tremando leggermente.
«Ti
richiamo fra non molto, Chloe» e richiude la comunicazione.
|